Condhotel: disciplina e giurisprudenza

in Giuricivile, 2021, 1 (ISSN 2532-201X)

Il condhotel è il fenomeno giuridico caratterizzato dalla vendita frazionata di singole unità immobiliari a destinazione residenziale, legalmente costituite nella forma del condominio ed inserite all’interno di strutture alberghiere. Queste ultime, contestualmente alla loro tipica attività di ospitalità, forniscono anche alle prime i servizi accessori e strumentali della stessa, come la pulizia periodica, il servizio in camera e l’help desk.

Questo tipo di organizzazione risponde alle primarie esigenze dell’impresa alberghiera, articolate su due differenti fronti: da un lato, reagire a fenomeni concorrenziali “collaterali”, come gli affitti stagionali, e dall’altro reperire fondi per la riqualificazione delle proprie strutture.

L’istituto, di origine statunitense, si è progressivamente diffuso nel Nord Europa ed è infine approdato anche in Italia. Sebbene la modalità di gestione alberghiera nella forma del condhotel fosse già conosciuta nel nostro Paese, soprattutto nelle zone con spiccata vocazione turistica, il legislatore è intervenuto per disciplinare questo nuovo fenomeno solo nel 2014.

L’intervento normativo

Con il Decreto legge 12 settembre 2014 n. 133, successivamente convertito in Legge 29 luglio 2014 n. 106 (c.d. Legge Sblocca Italia) è stata introdotta nel nostro ordinamento la prima definizione giuridica di condhotel. L’art. 31, infatti, stabilisce che sono qualificabili come tali gli “esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare il quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati[1].

Si tratta, quindi, di un’attività che ben può essere scissa in due macrosettori, tra di loro complementari: l’attività alberghiera propriamente detta e l’attività di compravendita delle unità abitative facenti parte del complesso immobiliare, comunque caratterizzata dalla prestazione dei tipici servizi alberghieri.

Rinviando al più agile strumento regolamentare, il comma 2 della medesima norma affida ad un successivo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e previa intesa tra Governo, Regioni e Province autonome in sede di Conferenza Unificata, il compito di stabilire le condizioni per l’esercizio dei condhotel.

Il DPCM 22 gennaio 2018 n. 13[2], fornisce in primo luogo una definizione specifica degli elementi caratterizzanti il condhotel, dai quali emerge una ricostruzione del fenomeno caratterizzata dalla gestione unitaria per la fornitura di servizi alberghieri, primari ed accessori, in forma integrata e complementare, tanto agli alloggi destinati alla ricettività quanto alle unità abitative con destinazione residenziale per un periodo minimo di dieci anni. Questa attività può essere esercitata in presenza di precise condizioni:

  1. Il rispetto della normativa vigente in materia di agibilità per le unità abitative ad uso residenziale, in considerazione della loro destinazione alla vendita ai privati. Le unità abitative possono essere ricavate da una porzione della struttura preesistente (per una misura massima del quaranta per cento della sua superficie totale), ovvero consistere in appartamenti aggregati alla struttura alberghiera, purché situati ad una distanza massima di 200 metri dalla stessa;
  2. Un intervento di riqualificazione, cioè di restauro e risanamento conservativo, all’esito della quale venga riconosciuta alla struttura alberghiera una classificazione minima di tre stelle. Tale intervento deve riguardare un albergo, tradizionale o diffuso, con almeno sette camere, al netto delle unità abitative ad uso residenziale, gestite in materia unitaria ed integrata da una portineria unica.

Il medesimo DPCM, infine, demanda alle Regioni, fissando il termine di una anno dalla sua entrata in vigore, l’emanazione della disciplina di dettaglio in materia di “modalità per l’avvio e l’esercizio dell’attività dei condhotel nel rispetto della legislazione vigente e delle disposizioni di cui al presente decreto”.

Attualmente solo la Regione Toscana ha disciplinato l’esercizio della attività dei condhotel, rimandando peraltro alla disciplina nazionale del 2014. Recentemente, il Decreto della Giunta Regionale n. 221 del 25 febbraio 2019 è intervenuto per fornire specifiche indicazioni interpretative ed applicative per l’avvio e l’esercizio della attività dei condhotel[3].

Gli arresti del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale

L’assetto normativo delineato nel paragrafo precedente non è andato esente da critiche. In particolare il Consiglio di Stato, chiamato ad esprimersi in sede consultiva su richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha evidenziato come le numerose fonti chiamate ad intervenire nella disciplina dei condhotel determinino una grave difficoltà di coordinamento nell’attività di interpretazione prima e di attuazione poi. A tale mancanza di organicità, sottolineano ulteriormente i giudici di Palazzo Spada, si accompagna la totale assenza di qualsivoglia strumento di verifica e monitoraggio circa l’effettivo rispetto delle norme fissate dal DPCM[4].

Il parere reso, dunque, tende a stimolare una maggiore chiarezza della disciplina del nuovo istituto e del rapporto tra le fonti che lo disciplinano: la articolazione normativa, regolamentare e contrattuale dovrebbe attribuire maggiore rilevanza a quest’ultimo profilo, cioè all’atto traslativo della proprietà delle singole unità abitative inserite nel complesso alberghiero, valorizzando il potere riconosciuto alla autonomia negoziale delle parti nella definizione dei rapporti reciproci tra albergatore e proprietario.

Anche la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi sulla disciplina dei condhotel, posta la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle Province autonome di Trento e di Bolzano in merito all’art. 31 della legge 106/2014 per asserita violazione delle norme relative al riparto di competenze nelle materie di “urbanistica e piani regolatori”, “turismo e industria alberghiera”, “commercio” ed “esercizi pubblici”. La Corte, con sentenza del 14 gennaio 2016 n. 1, ha rigettato la questione in considerazione della portata trasversale della norma impugnata, idonea ad incidere su materie di competenza tanto statale quanto regionale. Peraltro, la Consulta ha ritenuto che proprio la previsione di una apposta intesa tra Governo, Regioni e Province autonome è sintomatica del rispetto del principio di leale collaborazione che deve permeare i rapporti tra Stato ed organi periferici.

Compatibilità del condhotel con la tradizionale concezione codicistica della proprietà

Sebbene non abbia affrontato direttamente la questione relativa alla natura del condhotel, la Corte Costituzionale ha focalizzato la sua attenzione sui rapporti privatistici che l’istituto coinvolge: “all’interno della nuova figura delineata dall’art. 31, comma 1, le unità abitative a destinazione residenziale possono essere oggetto di diritti, evidentemente anche reali, di soggetti diversi dall’impresa alberghiera; sicché le condizioni di esercizio […] devono riguardare sia i rapporti con il pubblico dei turisti, sia quelli con i proprietari delle unità residenziali nelle quali pure l’impresa offre i propri servizi, ‘in forma integrata e complementare’ a quanto avviene nelle camere tradizionali[5]. Ed infatti, a parere della Corte è innegabile la “natura ibrida e complessa” del condhotel, che necessariamente impone anche la regolamentazione degli aspetti condominiali dell’istituto.

Questa duplice natura del condhotel ha inevitabilmente indotto i primi interpreti ad interrogarsi circa la tenuta della tradizionale nozione di proprietà, come delineata dall’art. 832 c.c.

Già a partire dagli anni Settanta del secolo scorso sono infatti emerse nella prassi delle nuove forme proprietarie (c.d. new properties) nelle quali assumono primaria rilevanza nuovi interessi funzionali all’esercizio del diritto dominicale[6]. Il legislatore è successivamente intervenuto per disciplinare alcune di queste figure, tra le quali il supercondominio, la multiproprietà immobiliare ed alberghiera,  ed infine il condhotel[7]. I citati fenomeni si caratterizzano per il progressivo superamento della classica concezione statica della proprietà, focalizzata sulla struttura del diritto, al fine di valorizzare la sua dimensione dinamica e la sua funzione di soddisfacimento dei plurimi interessi coinvolti[8]. Questi interventi settoriali hanno incrementano le incertezze circa la attribuzione di un significato univoco al termine “proprietà” e alla sua riconduzione nell’alveo dell’art. 42 Cost.: proprio tale constatazione ha condotto la dottrina più attenta a declinare al plurale tale concetto, evidenziando così il processo di frantumazione dell’istituto[9]. Alla proprietà tradizionalmente intesa, quindi, si affiancano oggi degli istituti affini, caratterizzati da un nucleo comune, ma che si differenziano, talvolta in modo netto, tanto per struttura quanto per finalità. Il condhotel ne è un esempio paradigmatico: al primario interesse di godimento del proprietario della singola unità abitativa si affianca, con pari dignità, quello ulteriore a fruire dei servizi propri dell’attività alberghiera.

Peraltro, la “funzione sociale” costituzionalmente riconosciuta alla proprietà deve oggi essere necessariamente declinata alla luce del diritto dell’Unione europea e dei vincoli derivanti dalla CEDU, che inquadrano la problematica in un’ottica prevalentemente concorrenziale, al fine di bilanciare l’individualismo proprietario e l’utilità sociale del bene[10]. La prospettiva sovranazionale è determinante anche nella individuazione del ruolo da attribuire alla autonomia negoziale nell’ambito del condhotel. Infatti, mentre il nostro ordinamento è fondato sui principi di tipicità e numero chiuso dei diritti reali, con conseguente esclusione di qualsiasi potere contrattuale di creare nuove situazioni di dominio o di modificare il contenuto essenziale di quelle disciplinate dalla legge, la maggior parte dei Paesi europei lasciano invece un ampio margine alla regolazione pattizia degli stessi[11]. Ciò comporta necessariamente una limitazione del potere negoziale di albergatore e proprietario nella definizione dei loro rapporti reciproci, sebbene tale assetto di interessi, alla luce del quadro normativo delineato, non possa trovare altra fonte se non quella pattizia.

Emerge così il principale ostacolo alla piena operatività del condhotel: essendo un istituto originario di ordinamenti giuridici fondati su principi differenti e talora diametralmente opposti a quelli nazionali, il suo utilizzo si scontra con categorie giuridiche per lungo tempo considerate granitiche, che necessitano dunque di nuovi interventi normativi, arresti giurisprudenziali ed elaborazioni dottrinali che gli consentano di esplicare al meglio tutte le sue potenzialità.

Conclusioni: la rilevanza del regolamento negoziale nella disciplina del condhotel

Dalla breve disamina della disciplina del condhotel appare evidente il suo necessario inserimento nel novero di quegli istituti che, progressivamente, contribuiscono al processo di c.d. frammentazione del diritto di proprietà, nel solco di un’idea di economia incentrata non tanto sui beni e sul loro scambio, quanto piuttosto sulla fornitura dei servizi ed il godimento delle risorse[12].

Gli interventi sulla disciplina del condhotel, ad oggi lacunosa e disorganica, potranno rappresentare dunque una ottima opportunità per fare un passo avanti verso la costruzione di una proprietà funzionale agli interessi emergenti, che lasci un margine idoneo alla volontà delle parti nella loro definizione[13]. In quest’ottica evolutiva del nostro ordinamento giuridico e di apertura verso esperienze extranazionali, le esigenze del mercato immobiliare e dell’attività alberghiera dovranno necessariamente essere compendiate nella garanzia di piena operativa di un istituto duttile, che consenta di bilanciare adeguatamente le nuove istanze proprietarie e l’attività del venditore/albergatore, creando un unicum nel quale le due funzioni si integrino reciprocamente. E lo strumento attraverso il quale questo obiettivo può essere perseguito e raggiunto non può che essere il contratto quale massima espressione dell’autonomia negoziale dei soggetti coinvolti.


[1] Decreto Legge 12 settembre 2014 n. 133 “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”, convertito con modificazioni in Legge 29 luglio 2014 n. 106 “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”.

[2] Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 gennaio 2018 n. 13 “Regolamento recante la definizione delle condizioni di esercizio dei condhotel, nonché dei criteri e delle modalità del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri esistenti e limitatamente alla realizzazione della quota delle unità abitative a destinazione residenziale”, pubblicato in G.U. il 6 marzo 2018.

[3] Deliberazione Giunta Regione Toscana 25 febbraio 2019 n. 221 “Indicazioni interpretative ed applicative ai Comuni concernenti avvio ed esercizio del condhotel, ai sensi art. 23 della l.r. 86/2016”.

[4] Consiglio di Stato, Sezione Consultiva 27 luglio 2017 n. 1850.

[5] Corte cost., 14 gennaio 2016 n. 1.

[6] Mattei U., Proprietà (nuove forme di), in Enc. dir., Annali, V, Milano, 2012, p. 1120.

[7] Il supercondominio è disciplinato dall’art. 1117 bis c.c., introdotto nel codice con la l. 11 dicembre 2012 n. 220. La multiproprietà, immobiliare ed alberghiera, è disciplinata dal Codice del consumo, D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206.

[8] Cervale M. C., La proprietà “plurale”: un itinerario tra condominio e multiproprietà, in Rass. dir. civ., 2014, pp. 358 e ss.

[9] Gentili A., I concetto nel diritto privato europeo, in Riv. dir. civ., 2010, I, pp. 774 e ss.

[10] Nivarra L., La proprietà europea tra controriforma e “rivoluzione passata”, in Eur. dir. priv., 2011, p. 622.

[11] Comporti M., Tipicità dei diritti reali e figure di nuova emersione, in Studi in onore di C. M. Bianca, II, Milano, 2006, p. 774.

[12] Gambaro A., Il diritto di proprietà, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, Milano, 1995, p. 657.

[13] Con più specifico riferimento al c.d. condominio alberghiero Galletto T., Le residente turistico alberghiere. Proprietà frazionata, rapporti condominiali e regolamenti contrattuali, in Foro pad., 2007, II, c. 126.

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