Con la sentenza in commento, la Cassazione ha definitivamente chiarito se sia indennizzabile il pregiudizio arrecato alla porzione residua di terreno in caso di espropriazione per pubblica utilità.
Breve esposizione dei fatti di causa
Il caso trae origine dalla mancata accettazione dell’indennità provvisoria di esproprio da parte dei proprietari di un terreno sul quale la società Autostrade per l’Italia aveva disposto l’occupazione d’urgenza e l’espropriazione per la costruzione e l’esercizio di una terza corsia autostradale.
A seguire veniva attivata procedura arbitrale ex art. 21 D.P.R. n. 327/2001, conclusasi con una relazione di stima opposta da Autostrade per l’Italia innanzi al Giudice d’appello.
La Corte territoriale, con ordinanza, ha statuito nel seguente modo:
- ha ridotto la stima in materia di migliorie opportunistiche realizzate dal soggetto espropriato, per avere chiesto ed ottenuto un permesso a costruire finalizzato a demolire un fabbricato adibito a magazzino per ricostruirlo con una maggiore superficie e con diversa destinazione (commerciale), a seguito della comunicazione di avvio del procedimento teso all’espropriazione; ciò sul presupposto che, ai fini dell’indennizzo, non si possa considerare il plusvalore che i terreni oggetto di espropriazione hanno ottenuto in conseguenza dell’intervento edilizio;
- non ha riconosciuto il pregiudizio per la ridotta capacità edificatoria e la perdita di volumetria dell’area residua in conseguenza dell’ampliamento dell’autostrada e dell’avanzamento della fascia di rispetto verso il fabbricato;
- ha escluso il danno per la perdita di luminosità e panoramicità derivante dalla costruzione di un muro di contenimento del tratto autostradale in posizione sopraelevata; ciò in quanto ritiene che lo stesso non incida sull’area residua del fondo e, come tale, non eccedente la normale tollerabilità;
- altresì, ha ritenuto di escludere il pregiudizio stante sia l’impossibilità di locare o alienare un locale destinato a magazzino e insistente parzialmente sull’area che il costo sostenuto per la creazione di un parcheggio provvisorio finalizzato ad agevolare e permettere la movimentazione dei mezzi;
- in via conclusiva, la corte d’appello determina l’indennità di esproprio, di occupazione d’urgenza e di occupazione temporanea.
Avverso le suesposte argomentazioni addotte dal giudice territoriale interviene la società immobiliare, proponendo ricorso per cassazione. Di seguito i motivi posti a sostegno del ricorso.
I motivi del ricorso
La ricorrente poggia la propria linea difensiva su nove doglianze.
In primo luogo, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c., 32, secondo comma, e 16, quarto comma, del DPR n. 327/2001 assumendo che il giudice territoriale abbia inteso applicare la norma sulle migliorie opportunistiche in assenza di prove circa la comunicazione ex art. 7 Legge 241/1990[1] nonché di specifica eccezione del soggetto espropriante.
Con il secondo motivo, a fondamento del ricorso si pone l’errata qualificazione, da parte del giudice d’appello, di un fatto decisivo per il giudizio. Nel dettaglio, la corte d’appello ha ritenuto tardiva la contestazione della comunicazione d’avvio del procedimento espropriativo da parte dellla ricorrente (agenzia immobiliare) nelle memorie conclusionali.
Tardività che, a detta della ricorrente, non può trovare riscontro positivo in rapporto alla fattispecie in oggetto e, dunque, va necessariamente contestata laddove l’espropriante ha invocato tardivamente l’applicazione dell’art. 32, 2 comma, DPR n. 327/2001[2] in fase di osservazioni alla c.t.u. e nelle memorie conclusionali.
La terza motivazione, poi, fa perno sulla violazione e falsa applicazione delle previsioni di cui agli artt. 702-bis e 183 c.p.c.. per avere, il giudice di seconde cure, accredito la tesi della miglioria opportunistica introdotta tardivamente dal soggetto espropriante, in ordine alla comunicazione d’avvio del procedimento finalizzato alla apposizione del vincolo espropriativo.
Con la quarta censura denuncia violazione e falsa applicazione della disposizione ex art. 32 DPR n. 327 del 2001. Nel dettaglio, sottolinea come la corte di merito abbia sostenuto erroneamente che essa (parte ricorrente) avesse deciso di demolire un fabbricato di 1100 mq. adibito ad uso magazzino per poter procedere alla costruzione di uno stabile di estensione maggiore pari a 2670 mq. Ciò al fine di incrementare l’indennità di esproprio che le sarebbe stato riconosciuto in futuro.
Il quinto motivo concerne la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 37 DPR n. 327/2001 nonché delle disposizioni di cui agli artt. 26 e 28 DPR n. 495/1992 sull’assunto che la Corte d’appello ha inteso sposare l’orientamento per il quale non è oggetto di indennizzo il danno/pregiudizio arrecato alla porzione residua di terreno per la perdita della pregressa volumetria.
Specifica la parte ricorrente, invero, che nel caso di specie è andato profilandosi un evidente pregiudizio della capacità edificatoria della porzione residua, in quanto unita all’area destinata a fascia di rispetto autostradale; ciò in conseguenza dell’avanzamento della fascia all’interno dell’area privata, rendendo così non possibile la sopraelevazione del fabbricato commerciale di proprietà della ricorrente. Venendosi, di fatto, a profilare la violazione di un importante criterio operante in tema di determinazione dell’indennità ove l’esproprio riguardi solo una parte del bene: la stima della svalutazione della porzione residua, dovendo l’indennizzo corrispondere alla differenza tra il valore che il bene aveva prima dell’esproprio e quello che aveva successivamente.
Argomentazione, quest’ultima, mossa da una precisa ratio: l’indennità deve poter rappresentare il valore di mercato cui deve essere opportunamente rapportata.
Riguardo al sesto ordine di motivazione, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 33 DPR n. 327/2001 per avere il giudice territorialmente compente escluso, nel computo dell’indennizzo di esproprio, la perdita di luminosità e panoramicità in conseguenza della costruzione di un muro di sostegno dell’opera autostradale alto venti metri e posto a poca distanza dalla facciata del fabbricato. Di qui, la corte, nella sentenza impugnata, ha escluso il superamento della soglia di tollerabilità, ritenendo che la parte residua del fabbricato non avesse conseguito alcuna perdita oggettiva del valore economico.
Con il settimo punto, la ricorrente evidenzia la violazione dell’art. 132 c.p.c. stante il rigetto della tutela indennitaria riferita al pregiudizio inerente il costo di realizzazione di un parcheggio provvisorio; costruzione resasi necessaria per la inutilizzabilità del piazzale adibito a parcheggio e movimentazione dei mezzi.
Infine, le ultime due doglianze riguardano, rispettivamente, violazione e falsa applicazione degli artt. 49 e 50 DPR n. 327/2001 nonché l’omissione di motivazione.
Più specificamente, nel caso dell’ottava motivazione la ricorrente sottolinea come il soggetto espropriante non abbia inteso riconoscere il danno derivante dall’impossibilità di locare o alienare il magazzino e la corte di pertinenza, secondo gli artt. 22-bis e 50 DPR n. 327/2001[3].
Con il nono motivo, in conclusione, la parte lamenta una erronea applicazione del criterio dell’interesse legale per non avere la corte territoriale tenuto conto del bene sul quale calcolare l’interesse.
Soluzione del caso e rispettive argomentazioni
Il Collegio ritiene di accogliere il ricorso, sposando pienamente il quinto ed il sesto motivo esposto dal ricorrente.
Di seguito le argomentazioni logico-giuridiche poste dai giudici di legittimità a sostegno della propria soluzione.
Preliminarmente, il Supremo Consesso rigetta le eccezioni sollevate con i primi quattro motivi del ricorso, esaminandoli congiuntamente.
In proposito, gli Ermellini propendono per una infondatezza dei passaggi motivazionali addotti nel ricorso ritenendoli privi di influenza ai fini decisionali; in particolare, la Cassazione sostiene che il giudice territoriale abbia accertato in maniera diretta l’esistenza della comunicazione d’avvio del procedimento con un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità[4].
Nel dettaglio, i giudici di legittimità si soffermano sulla previsione normativa di cui all’art. 32, secondo comma, DPR n. 327 del 2001, la cui violazione viene espressamente invocata dalla ricorrente.
Al riguardo, sottolineano che, nell’applicazione del suddetto dato normativo, il giudice di secondo grado non è vincolato alla eccezione o istanza del soggetto espropriante, trattandosi di una circostanza che è tenuto a rilevare, anche ex ufficio, sulla scorta di elementi probatori acquisiti agli atti in quanto incidente sulla determinazione giudiziale dell’indennizzo.
Evidenziando, in aggiunta, che la liquidazione dell’indennità di esproprio è da considerarsi una operazione rimessa all’autorità giurisdizionale, la quale è tenuta ad operare valutazioni tecniche[5] nonché ad applicare regole giuridiche, tra le quali vi rientra proprio la norma di cui all’art. 32, comma secondo, DR. N. 327/2001[6].
Precisano, inoltre, che la norma de qua non si pone in contrasto con il principio generale desumibile dal primo comma dello stesso articolo 32; quest’ultima, difatti, riconduce la valutazione legale e fattuale del bene immobile al momento dell’adozione del decreto di esproprio, ponendosi in una dimensione integrativa e non già confliggente.
Di qui, considera le censure addotte dalla ricorrente prive di fondamento in riferimento sia al punto relativo alla tardiva contestazione della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 17, quarto comma, DPR n. 327/2001 sia alla tardiva introduzione della quaestio delle migliorie opportunistiche da parte del soggetto espropriante.
Il quinto ed il sesto motivo, invece, sono ritenuti meritevoli di accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
Partendo dalla doglianza concernente la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 37 DPR n. 327 del 2001, 26 e 28 DPR n. 495/1992, la corte di legittimità non condivide la tesi appoggiata dal giudice d’appello, ritenendo pertanto ammissibile che il pregiudizio arrecato alla porzione residua di terreno per la perdita della pregressa volumetria vada indennizzato in favore della ricorrente.
A tal proposito, la Corte pone a sostegno del proprio iter logico-argomentativo pregressi orientamenti sviluppatisi in ambito giurisprudenziale.
In particolare, analizza diverse pronunce di estrazione civile nonché amministrativa[7], tutte concordanti nel sostenere che il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale vada inteso in termini di divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili.
Posizioni, queste ultime, che tendono ad escludere la natura espropriativa del vincolo sull’assunto che non possa ritenersi preordinato all’espropriazione, di guisa che lo stesso deve tenersi in debita considerazione ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, venendo in rilievo le previsioni normativi di cui all’art. 32, primo comma, e art. 37, quarto comma, del DPR n. 327/2001[8].
Concetti che, come abilmente sottolineato nella pronuncia in commento, sono stati più volte oggetto di studio da parte della giurisprudenza, seppur con riguardo a casi del tutto differenti.
Al riguardo, la Cassazione volge lo sguardo verso una distinzione fondamentale, quella tra: esproprio di area vincolata ed imposizione di vincolo di inedificabilità su area non espropriata.
Distinguo, quest’ultimo, che sicuramente ha rappresentato per i giudici di Cassazione un fondamentale passaggio argomentativo volto a consentire una disamina più approfondita delle considerazioni avallate dal giudice d’appello nella sentenza oggetto di impugnazione.
E, dunque, premessa focale orientata a comprendere se sia condivisibile o meno la posizione sostenuta dalla corte territoriale, nel senso che nulla vada riconosciuto, in termini di indennizzo, al soggetto/privato che resti titolare/proprietario dell’area segnata dall’apposizione del vincolo di inedificabilità.
Nello specifico, la Corte di legittimità, nella sentenza oggetto di disamina, pone dapprima l’accento su quella parte della giurisprudenza che ha inteso far leva sul carattere generale dei vincoli imposti alla generalità dei consociati, quali proprietari di dati beni aprioristicamente individuati in ragione della loro pozione rispetto ad una opera di carattere pubblico.
Sul punto, gli Ermellini richiamano importanti precedenti intesi a qualificare i suddetti vincoli in termini di “limitazioni legali della proprietà”, con l’ulteriore specificazione che questi ultimi: “non determinano alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore del bene immobile, difettando il nesso di causalità diretto sia con l’ablazione, sia con l’esercizio del pubblico servizio cui l’opera è destinata[9]”.
Ne consegue il mancato riconoscimento di un indennizzo in capo ai privati stante la carenza di un rapporto di causalità che vada a giustificare la sussistenza di pregiudizi in riferimento all’area residua del fondo inciso dalla costruzione di opere stradali.
Siffatta conclusione cui ha aderito il giudice d’appello (nella sentenza oggetto di impugnazione), tuttavia, non trova riscontro positivo nelle argomentazioni dei giudici di legittimità.
In proposito, gli Ermellini rilevano un duplice profilo sostanziale ai fini della soluzione della vexata questione.
Difatti, per un verso, evidenziano la correttezza dell’argomentazione circa l’imposizione del vincolo di inedificabilità, chiarendo che lo stesso impedisce di indennizzare il privato in conseguenza della perdita della edificabilità della porzione impiegata come fascia di rispetto; ciò in quanto presente una normativa inderogabile e, come tale, non aggirabile neppure ipotizzando che la volumetria dell’area sia utilizzabile da un punto di vista edificatorio
Per altro, invece, il Collegio precisa come il diritto a costruire su una porzione protetta rispetto a quella residua o ad altre aree rappresenti un travalicamento degli scopi sottesi al vincolo di inedificabilità. Avendo luogo, in tal modo, una eccedenza non passibile di indennizzo anche in relazione alle parti residue della proprietà, quali parti esterne alla zona di rispetto autostradale.
Di qui, viene ad essere ripreso quell’indirizzo per il quale in ipotesi di espropriazione parziale volta alla costruzione di opere stradali che comporti la creazione o l’avanzamento dell’area di rispetto che già insisteva sulla proprietà del privato, occorre tenere a mente, ai fini del calcolo indennitario, la differenza tra il valore dell’intero fondo anteriormente all’iter espropriativo e quello di detta fascia residua a seguito dell’espropriazione stessa[10].
Detto altrimenti, il vincolo di inedificabilità ben potrebbe incidere negativamente sulla fascia protetta residua, quando funzionalmente ed economicamente connessa con quella oggetto di espropriazione, riducendone l’utilizzabilità e, dunque, la capacità edificatoria, con conseguente pregiudizio indennizzabile per il proprietario dell’area[11].
Dunque, il Consesso ritiene che la conclusione sostenuta dalla corte territoriale non sia assolutamente condivisibile, ritenendo applicabile al caso di specie la disciplina operante in materia di espropriazione parziale, ex art. 33 DPR n. 327 del 2001. Previsione, quest’ultima, a mente della quale l’indennizzo va determinato guardando non solo alla zona oggetto di espropriazione bensì anche alla compromissione delle possibilità di impiego della parte residua rimasta nella proprietà del privato.
Di conseguenza, giunge all’elaborazione del seguente principio: “in tema di espropriazione per pubblica utilità, nel caso in cui, per effetto della realizzazione o dell’ampliamento di una strada pubblica, il privato debba subire nella sua proprietà a creazione o l’avanzamento della relativa fascia di rispetto, quest’ultima si traduce in un vincolo assoluto di inedificabilità che di per sé non è indennizzabile, ma che in applicazione estensiva della disciplina in tema di espropriazione parziale, non esclude il diritto del proprietario di essere indennizzato per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, quando risultino alterate le possibilità di utilizzazione della stessa ed anche per la perdita della capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste”.
Continuando, poi, nella risposta alle motivazioni addotte dalla ricorrente, anche il senso motivo viene considerato pienamente fondato.
Sul punto, i giudici ritengono che la statuizione della corte di secondo grado non possa accogliersi in quanto la domanda di indennizzo va calcolata anche in considerazione della perdita di luminosità e panoramicità del fabbricato. Criterio sicuramente privo di supporto normativo ma pur sempre meritevole di accertamento a detta degli Ermellini, in quanto incidente sul valore della porzione residua, causandone un pregiudizio non indifferente nel caso si accerti una riduzione oggettiva e consistente della luminosità, panoramicità e fruibilità dello stesso[12].
Riguardo al settimo ed ottavo ordine di motivazione, la corte propende per una loro infondatezza stante la non ricorrenza del necessario rapporto eziologico di causalità tra l’espropriazione ed i conseguenti danni lamentati.
Più precisamente, da un lato ritiene che la tutela indennitaria non possa trovare accoglimento in merito ai costi affrontati dalla ricorrente per la costruzione di un parcheggio provvisorio, in quanto l’area di sosta si è resa necessaria stante la non fruibilità del piazzale adibito a parcheggio e movimentazione dei mezzi.
Per altro lato, poi, sostiene che l’impossibilità di locare o alienare il magazzino e la corte di pertinenza non possano qualificarsi in termini di pregiudizio e, come tale, non liquidabile sulla base di una indennità di occupazione temporanea, ex artt. 22-bis e 50 DPR n. 327 del 2001.
Infine, il nono motivo è parimenti considerato inammissibile chiarendo che non possa ritenersi profilata l’omissione di motivazione (invocata dalla ricorrente) circa l’applicazione del criterio dell’interesse legale senza valutazione del bene su cui calcolare l’interesse; ciò sull’assunto che non sono evidenziate in maniera chiara, precisa e puntuale le condizioni volte a permettere una comprensione dell’impugnazione e le ragioni dettagliate posta a fondamento della stessa.
[1] Rectius: Comunicazione di avvio del procedimento espropriativo.
[2] Art. 32, secondo comma, DPR n. 327/2001 statuisce espressamente quanto segue: “Il valore del bene è determinato senza tenere conto delle costruzioni, delle piantagioni e delle migliorie, qualora risulti, avuto riguardo al tempo in cui furono fatte e ad altre circostanze, che esse siano state realizzate allo scopo di conseguire una maggiore indennità. Si considerano realizzate allo scopo di conseguire una maggiore indennità, le costruzioni, le piantagioni e le migliorie che siano state intraprese sui fondi soggetti ad esproprio proprio dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento”.
[3] Danno liquidabile alla stregua di una indennità di occupazione temporanea, in misura pari a un dodicesimo dell’indennità virtuale di esproprio per ogni anno di occupazione.
[4] Sul punto, i giudici di legittimità rinviano ad un importante precedente giurisprudenziale, ovvero alla sentenza n. 8755 del 2018, quale pronuncia della Cassazione intervenuta in materia di inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione che censuri argomentazioni della sentenza impugnata svolte “ad abundantiam”.
[5] Si pensi alla stima del valore di mercato.
[6] Previsione normativa che riproduce essenzialmente il contenuto dell’art. 43 della legge n. 2359/1865.
[7] Cfr. Cass. n. 14632/2018; Cass. nn. 13516-25668/2015; Cass. N. 27114/2012; Cass. n. 5875/2012; Cons. Stato, sez. IV, n. 90/2018; Cons. Stato n. 347/2015; Cons. Stato n. 2062/2013; Cons. Stato, sez. V, n. 4432/2012.
[8] Art. 32, primo comma, DPR n. 327/2001 statuisce che la determinata dell’indennità di esproprio deve avvenire valutando: “l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa”. La norma di cui all’art. 37, quarto comma, del medesimo decreto specifica ulteriormente quanto segue: “non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale”.
[9] Cfr. Cass. n. 2552/2014; Cass. n. 23210/2012.
[10] Si veda, sul punto, art. 33 DPR n. 327 del 2001, il cui contenuto precedentemente era riportato nell’art. 40 della legge n. 2359/1865.
[11] Sul punto, gli Ermellini richiamano importanti precedenti: Cass. n. 17789/2015; Cass. n. 9541/2012; Cass. n. 3790/1990.
[12] Nella sentenza in commento, i giudici discorrono di applicazione del principio di integralità dell’indennizzo dovuto al proprietario dell’area in conseguenza dei danni arrecati alla porzione residua nella fase di esecuzione dell’opera e di realizzazione dell’opera (nel caso di specie, autostrada) e di esercizio del servizio pubblico cui l’opera è finalizzata.