Com’è noto l’art. 51 L.F. pone il divieto all’inizio e alla prosecuzione delle azioni esecutive dopo la pronuncia dichiarativa di fallimento.
L’eccezione più rilevante a tale divieto si rinviene nell’art. 41 T.U.B. (D.lgs 385/1993) secondo il quale l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore e che il curatore ha la facoltà di intervenire nell’esecuzione. La somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento.
I principi enunciati, che attengono al coordinamento dell’art. 41 TUB e dell’art. 52 L. F., sono confortati dai monolitici orientamenti di dottrina e giurisprudenza, oltre che dalla lettera della norma. La Corte di Cassazione a più riprese (Cass. 23572/2004; Cass. 8609/2007; Cass. 11014/2007; Cass. 13996/2008) ha ribadito che l’art. 41 T.U. B. attribuisce al creditore fondiario il potere di iniziare e proseguire l’azione esecutiva nei confronti del debitore nonostante il fallimento del debitore esecutato.
Nell’interpretazione della norme richiamate, la giurisprudenza ha affermato chiaramente che si configura un privilegio che si sostanzia nella possibilità di iniziare o proseguire l’azione esecutiva (in deroga a quanto previsto dall’art. 52 L.F.) e, altresì, nella possibilità di conseguire l’assegnazione delle somme ricavate dalla vendita forzata dei beni del debitore nei limiti del credito per il quale si è agito.
Art 41 TUB: privilegio di riscossione e necessità di insinuazione al passivo
Trade union tra la disciplina fondiaria e fallimentare si è individuato nella natura solo “processuale” del privilegio citato: la norma non attribuisce un privilegio di credito, ma solo un privilegio di riscossione.
L’art. 41 T.U.B., infatti, non deroga all’accertamento del passivo in sede fallimentare “non potendosi ritenere che il rispetto di tali regole sia assicurato nell’ambito della procedura individuale dall’intervento del curatore fallimentare” (Cass. 17368/2018). Ne deriva che l’attribuzione compiuta in sede esecutiva ha carattere provvisorio e in capo all’istituto di credito persiste l’onere di insinuarsi al passivo fallimentare per consentire la graduazione dei crediti, garantita solo dalla procedura concorsuale.
Più chiaramente, la procedura esecutiva, pur proseguita dal creditore fondiario, ha carattere accessorio alla procedura fallimentare: solo in sede di riparto fallimentare l’attribuzione provvisoria ottenuta in sede esecutiva diverrà definitiva.
Più in generale si è affermato che l’istituto di credito, pur nell’esercizio dell’azione esecutiva, deve insinuarsi al passivo della procedura fallimentare e che l’accertamento del diritto di credito conseguente al decreto di esecutività L. Fall., ex art. 97, pur avendo effetto preclusivo soltanto durante la procedura fallimentare, impedisce che, in corso di essa, possano essere proposte dal creditore e dal debitore, ad un giudice diverso da quello fallimentare, le questioni riconducibili al credito ammesso al passivo, come pure alla validità ed opponibilità del titolo da cui esso deriva (Cass. 12683/2011)
La decisione in sede di ammissione al passivo, allora, incide sul diritto attribuito dall’art. 41 T.U.B.; in tal senso si è chiarito che il creditore fondiario deve insinuarsi al passivo: in quella sede se il credito viene degradato al chirografo non ha più diritto all’attribuzione provvisoria delle somme in sede esecutive e se le ha già incassate perde il diritto a trattenerle in quanto l’esclusione del privilegio determina il venir meno della natura fondiaria del credito e del relativo privilegio processuale.
Di recente la Cassazione ha affermato, in particolare, che “per ottenere l’attribuzione (in via provvisoria, e salvi i definitivi accertamenti operati nel prosieguo della procedura fallimentare) delle somme ricavate dalla vendita, il creditore fondiario dovrà – anche a prescindere dalla avvenuta costituzione del curatore nel processo esecutivo – documentare al giudice dell’esecuzione di avere proposto l’istanza di ammissione al passivo del fallimento e di avere ottenuto un provvedimento favorevole dagli organi della procedura (anche se non definitivo)” (Cass.23482/2018).
È chiaro, in definitiva, che è in sede fallimentare che si procede a determinare definitivamente la massa attiva e la massa passiva, conteggiando nella massa attiva il bene oggetto di esecuzione e nella massa passiva tutte le spese sostenute dalla curatela anche per intervenire nell’esecuzione forzata.
La prededucibilità delle spese del curatore e del legale della curatela in relazione all’art 41 TUB
Se questa è generalmente la disciplina del rapporto tra procedura concorsuale e procedura esecutiva ex art. 41 tub, si è discusso se le spese del curatore e del difensore della curatela intervenuto nel procedimento esecutivo siano collocabili in privilegio in sede di distribuzione nell’esecuzione forzata immobiliare proseguita dal creditore fondiario ex art. 41 T.U.B.
In particolare, l’art. 2770 c.c. richiama, tra i crediti privilegiati, i crediti per le spese di giustizia fatte per atti conservativi o per l’espropriazione dei beni immobili nell’interesse comune dei creditori; in sede esecutiva, più chiaramente, l’assegnazione delle somme derivanti dalla vendita forzata sconta l’anteposizione dei crediti per gli atti di cui all’art. 2270 c.c.
Il professionista delegato ai sensi dell’art. 591 bis c.p.c., al fine della predisposizione del progetto di distribuzione del ricavato dell’esecuzione immobiliare, deve però operare una distinzione tra le spese di giustizia in privilegio ex art. 2770 c.c. da porre in prededuzione e le altre spese di procedura il cui grado segue quello del credito cui afferiscono.
Quid iuris per le spese del curatore e del difensore del curatore per l’intervento nell’esecuzione individuale?
La giurisprudenza di merito è di recedente intervenuta sulla questione chiarendo che l’art. 2270 c.c. è norma di stretta interpretazione che colloca in privilegio esclusivamente le spese strettamente strumentali all’esecuzione immobiliare. È chiaro, allora, che le spese eventualmente sostenute dalla curatela non rientrano propriamente nell’art. 2270 c.c. poiché tutte sostenute nell’interesse della procedura fallimentare e dei creditori e quindi prededucibili in sede concorsuale, ma non in sede esecutiva (Tribunale di Mantova 03/09/2018).
Il principio espresso trova la sua ratio in quanto sopra affermato: l’assegnazione delle somme ottenute dalla vendita forzata a favore del creditore fondiario è solo provvisoria ed è in sede fallimentare che si procede alla determinazione della massa attiva, comprensiva del ricavato della vendita realizzata in sede esecutiva, provvisoriamente attribuito al creditore fondiario, e della massa passiva. È in quella sede che si terrà conto di tutti i crediti prededucibili della procedura concorsuale, anche derivanti dall’intervento nell’esecuzione.