Difetto di un bene consegnato: consumatore può chiedere risarcimento

in Giuricivile, 2020, 4 (ISSN 2532-201X), nota a Cas., sez. II civ., sent. n. 1082 del 20/01/2020

La pronuncia della Cassazione si inserisce nel contesto della responsabilità per inadempimento. Tale forma di responsabilità necessita di essere distinta rispetto alla cosiddetta responsabilità contrattuale [1].

Nell’alveo di quest’ultima, la Cassazione annovera dei regimi speciali di responsabilità, quali, ad esempio, la  garanzia sui vizi della cosa. Sul punto, acquisisce rilevanza quanto deciso dalla Corte a Sezioni Unite nel 2019 [2], in merito ai vizi della cosa nella compravendita. La pronuncia si concentra sul contrasto giurisprudenziale [3] relativo al riparto dell’onere probatorio, indagando la natura della garanzia per vizi. Intento è verificare se la consegna della cosa, viziata, costituisca inesatto adempimento di un’obbligazione del venditore oppure sia da qualificare quale mera garanzia.

Analizzando il dettato letterale dell’art. 1476 c.c. [4], la Corte conclude nel ritenere che la garanzia per vizi non sia nè un’obbligazione, nè una garanzia in senso stretto, quanto piuttosto un regime speciale di responsabilità contrattuale. Questa forma di responsabilità può, infatti, ricomprendere ed includere situazioni giuridiche soggettive diverse dall’obbligazione in senso stesso. Nel caso di specie, si parla di situazione di soggezione alla quale corrisponde il diritto potestativo del compratore di domandare la risoluzione o la riduzione del prezzo. Di conseguenza, la sussistenza di un diritto di tipo potestativo comporta l’evidente estraneità rispetto all’art. 1218 c.c. e, dunque, la necessità per il compratore di provare la presenza dei vizi della cosa.

Altro statuto speciale di responsabilità contrattuale è previsto all’art. 130 del Codice del Consumo [5].

La fattispecie in questione

Il caso di specie ha ad oggetto la tematica relativa ai rimedi accordati al consumatore nell’ipotesi di difetto dei beni di consumo. Nello specifico, l’attore aveva chiesto, in via principale, la condanna del convenuto all’eliminazione dei vizi già riscontrati in sede di accertamento tecnico preventivo ed, in via subordinata, il risarcimento di quanto subito in conseguenza dei vizi del materiale fornito.

Il giudice di primo grado accoglieva la domanda di risarcimento del danno e rigettava quella di eliminazione dei vizi, ritenendo eccessivamente oneroso per il venditore l’intervento di ripristino.

La Corte d’Appello, partendo dalla considerazione che il rigetto della domanda di eliminazione dei vizi non aveva formato oggetto di impugnazione e che, dunque, si era formato giudicato interno sull’accertata eccessiva onerosità dell’intervento in ripristino, accoglieva gli altri gravami. In particolare, secondo la Corte il danno conseguente al vizio del materiale aveva rilevanza esclusivamente estetica e non poteva, pertanto, consistere nella spesa occorrente per l’intervento in ripristino (di conseguenza non risultava possibile l’integrale risarcimento del danno emergente) [6].

L’intervento della Corte di Cassazione

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1494 c.c. e degli artt. 130 e 135 del Codice del Consumo. La sentenza viene censurata nella parte in cui non viene riconosciuto al compratore l’integrale danno emergente, ma il solo danno estetico. Il ricorrente ritiene che l’art. 135 del Codice del Consumo [7] prevede che i rimedi ordinari previsti dal diritto italiano concorrano con quelli ah hoc per la tutela del consumatore. Nello specifico, il consumatore aveva richiesto l’intervento di ripristino, ritenuto eccessivamente oneroso, ma non preclusivo rispetto alla pretesa di risarcimento del danno, quantificato nella somma occorrente all’eliminazione effettiva dei vizi.

La Cassazione ritiene tale motivo fondato.

Nell’ipotesi in cui il bene consegnato al consumatore presenti un difetto di conformità, i rimedi previsti per il consumatore nei confronti del professionista sono da individuare in quelli contemplati dall’art. 130 del Codice del Consumo (riparazione del bene, sostituzione dello stesso, riduzione del prezzo e risoluzione del contratto). La norma de qua non include tra i rimedi il risarcimento del danno, ma ciò non esclude che il consumatore non possa esercitare delle pretese risarcitorie nei confronti del professionista [8].

Secondo un orientamento, ormai consolidato della giurisprudenza, in materia dei vizi nella vendita, il compratore può esercitare l’azione di risarcimento del danno, senza chiedere nè la risoluzione nè la riduzione del presso. Analogicamente, dunque, tale facoltà non può essere negata al consumatore, nell’ipotesi in cui si verta in una delle situazioni di cui al comma 7 dell’art. 130 del Codice del Consumo [9].

Proprio lo stesso art. 135 del Codice del Consumo fa salvi “i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico”, al fine di assicurare al consumatore uno standard di tutela maggiormente elevato rispetto a quello previsto nella direttiva n. 44/1999 [10].

La Corte richiama una corrente dottrinale, ormai condivisa anche dalla giurisprudenza, ai sensi della quale il risarcimento del danno avrebbe lo scopo di porre il compratore in una posizione economicamente equivalente non a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse concluso il contratto o l’avesse concluso ad un prezzo inferiore, ma a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi [11].

Il secondo motivo di ricorso ha, invece, ad oggetto la denuncia di violazione dell’art. 1494 c.c. e 112 c.p.c.

Il ricorrente, nello specifico, ritiene che la Corte abbia erroneamente ristretto i danni risarcibili al costo dell’intervento per eliminare le fessure o all’incidenza negativa sul valore della cosa, non liquidando le ulteriori voci di danno presenti nella domanda. Il consumatore, infatti, aveva richiesto la condanna del convenuto a tutti i danni subiti, con la conseguente necessità per il giudice adito di accertarli e quantificarli.

La Cassazione ritiene anche tale domanda fondata, sulla scorta della mancata istruttoria del giudice adito in merito alle voci di danno indicate dall’attore. L’errore posto in essere dalla corte di merito è da ravvisarsi nel fatto che il formarsi del giudicato interno sull’eccessiva onerosità non preclude la valutazione circa il risarcimento del danno (domanda proposta in via subordinata).

Si precisa, inoltre, che la domanda, con la quale un soggetta chieda il risarcimento del danno, nell’ambito della responsabilità civile, si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta. Di conseguenza, la domanda di risarcimento dei danni, salva espressa indicazione, deve ritenersi comprensiva di tutti i danni.

L’ultimo motivo, ritenuto assorbito nei precedenti, ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 191 e 194 c.p.c. [12]

La portata innovativa della pronuncia

La sentenza qualifica la disciplina dei rimedi previsti in caso di difetto di difformità dei beni di consumo, al pari della garanzia per vizi della cosa venduta, come statuto speciale di responsabilità contrattuale. Specificità è da ravvisare nel fatto che la Cassazione ritiene necessario inserire, oltre ai rimedi espressamente previsti dall’art. 130 del Codice del Consumo in capo al consumatore, in caso di difetto di conformità dei beni di consumo, anche la possibilità di richiedere il risarcimento del danno in via esclusiva oppure unitamente ad uno dei rimedi specifici.

Ratio è da individuare in quanto segue:

  • a) parallelismo con la disciplina generale della compravendita (art. 1494 c.c.);
  • b) con la disciplina generale del contratto (art. 1453 c.c.);
  • c) l’art. 135  del Codice di Consumo prevede espressamente l’applicabilità di diritti attribuiti al consumatore anche da altre norme dell’ordinamento giuridico.

In tal modo, dunque, la Corte oltre ad aver introdotto un ulteriore statuto speciale di responsabilità contrattuale, ha inteso allargare la tutela del consumatore estendendo a quest’ultimo i rimedi previsti anche dal codice civile.

È possibile, infatti, ritenere che le azioni previste ah hoc per il consumatore, ai sensi dell’art. 130 Codice del Consumo, non risulterebbero in grado di apprestare una tutela completa in favore dello stesso. La peculiarità dell’azione di risarcimento del danno è di porre il consumatore nella posizione in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da difetti o da vizi, come nel caso della compravendita.


[1] La responsabilità contrattuale è da intendere quale derivante dalla mancata attuazione del programma negoziale. In tal senso, può essere considerata una sottocategoria della responsabilità per inadempimento, unitamente alla responsabilità aquiliana.

[2] Cassazione Sezioni Unite n. 11748/2019:”In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi.”

[3] Sino al 2013, la giurisprudenza era unanime nel ritenere che la prova della sussistenza dei vizi della cosa venduta fosse a carico del compratore, che facesse valere la garanzia. Tale indirizzo viene sovvertito, nel medesimo anno, con una pronuncia della Cassazione che richiama le Sezioni Unite del 2001 (unificazione dell’onere probatorio nell’ipotesi di inadempimento, azione di adempimento, risoluzione e risarcimento del danno, con la conseguenza che il creditore deve solo allegare l’inesatto adempimento). Di conseguenza, l’onere probatorio, in questo caso, viene addossato in capo al venditore, con semplice onere di allegazione per il compratore.

[4] Tra le obbligazioni a carico dal venditore, l’art. 1476 n.1) prevede quella di consegnare la cosa al compratore. Tale obbligo ha ad oggetto un bene che, al momento dell’adempimento, risulta essere già di proprietà del compratore. L’effetto traslativo, infatti, si produce al momento della conclusione del contratto. La norma, dunque, introdurrebbe una sorta di obbligo successivo/futuro, caratterizzato dalla mera consegna della cosa nello stato in cui si trova al momento della vendita. Risulta mancante il riferimento all’immunità dai vizi all’atto della consegna.

La norma de qua, inoltre, dispone al n.3) l’obbligazione per il venditore di garantire il compratore dell’evizione e dai vizi della cosa. Secondo la Corte, l’utilizzo del termine garantire ha portato parte della giurisprudenza ad attribuire alla garanzia per vizi un significato di tipo assicurativo, di accollo di un rischio. Con la conseguenza, che tale obbligazione andrebbe qualificata come di tipo indennitario/restitutorio e non assoggettabile alla disciplina dell’inadempimento.

Sulla scorta di ciò, l’obbligazione di consegna della cosa deve essere definita quale attuazione del programma contrattuale, in quanto avente ad oggetto una prestazione futura. La sussistenza dei vizi, infatti, pur essendo una violazione della lex contractu non risulta essere un caso di inadempimento. Ciò è possibile per i contratti con effetti traslativi (consegna della cosa viziata non è qualificabile come inadempimento, ma come mancata attuazione del programma contrattuale). La presenza dei vizi si risolve, dunque, in una responsabilità contrattuale per inesatta attuazione dell’effetto traslativo.

[5] Art. 130 Codice del Consumo: “1. Il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene.
2. In caso di difetto di conformità, 
il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma dei commi 3, 4, 5 e 6, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto, conformemente ai commi 7, 8 e 9.
3.
 Il consumatore può chiedere, a sua scelta, al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all’altro. 4. Ai fini di cui al comma 3 è da considerare eccessivamente oneroso uno dei due rimedi se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all’altro, tenendo conto:
a) del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità; b) dell’entità del difetto di conformità;
c) dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore. 5. Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene. 6. Le spese di cui ai commi 2 e 3 si riferiscono ai costi indispensabili per rendere conformi i beni, in particolare modo con riferimento alle spese effettuate per la spedizione, per la mano d’opera e per i materiali. 7.
 Il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 5; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore. 8. Nel determinare l’importo della riduzione o la somma da restituire si tiene conto dell’uso del bene. 9. Dopo la denuncia del difetto di conformità, il venditore può offrire al consumatore qualsiasi altro rimedio disponibile, con i seguenti effetti: a) qualora il consumatore abbia già richiesto uno specifico rimedio, il venditore resta obbligato ad attuarlo, con le necessarie conseguenze in ordine alla decorrenza del termine congruo di cui al comma 5, salvo accettazione da parte del consumatore del rimedio alternativo proposto; b) qualora il consumatore non abbia già richiesto uno specifico rimedio, il consumatore deve accettare la proposta o respingerla scegliendo un altro rimedio ai sensi del presente articolo. 10. Un difetto di conformità di lieve entità per il quale non è stato possibile o è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non dà diritto alla risoluzione del contratto.”

[6] Secondo la Corte d’Appello il danno, da considerarsi puramente estetico, non poteva consistere nell’integrale riparazione del tetto (intervento in ripristino), ma nel costo occorrente per eliminare le fessure o l’incidenza delle fessure sul valore dell’immobile.

[7] Art 135 Codice del Consumo: “1. Le disposizioni del presente capo non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico. 2. Per quanto non previsto dal presente titolo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita.”

[8] Nel caso di specie, il consumatore aveva richiesto l’eliminazione dei vizi, in via principale, ed, in via subordinata, il risarcimento del danno.

[9] Tale comma contempla proprio la situazione che la riparazione o la sostituzione siano impossibili o eccessivamente onerose.

[10] Direttiva introdotta al fine di attribuire al consumatore una tutela più ampia. Tale ratio verrebbe meno se non si potesse estendere a quest’ultimo anche l’azione di risarcimento del danno.

[11] Sul punto, è possibile richiamare quanto disposto da Cassazione n. 1153/1995 e Cassazione n. 4161/2015: “La circostanza che un determinato prodotto si riveli inidoneo ad essere adoperato secondo le modalità indicate dal venditore e possa esserlo solo con modalità più dispendiose (per i tempi di lavorazione e quantità da impiegare) ben può esser valutata dal giudice di merito ai fini del risarcimento del danno, oltrechè sotto l’aspetto della riduzione del prezzo poichè quest’ultima ristabilisce l’equilibrio patrimoniale solo con riguardo al valore della cosa venduta ma non elimina il danno determinato dal venditore, consistente nel costo delle maggiori quantità di prodotto utilizzato e di manodopera impiegata.”

[12] La sentenza censurata aveva affermato, in contrasto rispetto a quanto stabilito con l’accertamento tecnico, che i danni consistevano nel costo dell’intervento per eliminare le fessure. Diversamente il consulente tecnico aveva riconosciuto che il solo intervento possibile era da qualificare nello smantellamento del tetto. Tale motivo risulta essere assorbito.

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