Con la sentenza n. 12565 del 22.5.2018, la Corte di Cassazione Civile, a Sezioni Unite, ha affrontato la questione, lungamente dibattuta, relativa alla cumulabilità tra il risarcimento del danno e l’indennizzo assicurativo, ossia alla possibilità che la vittima di un evento lesivo possa pretendere per il medesimo, allo stesso tempo, sia l’integrale risarcimento da parte del responsabile civile che il pieno indennizzo da parte della compagnia di assicurazione.
La questione
Il tema deve essere affrontato partendo da una questione di carattere più generale, ossia la corretta individuazione dell’ambito di applicazione del tradizionale principio della compensatio lucri cum damno, secondo cui nella quantificazione del risarcimento del danno derivante da fatto illecito debbono essere considerati, oltre alle conseguenze lesive, anche i vantaggi patrimoniali che dallo stesso fatto illecito sono derivati.
In sostanza, se l’evento lesivo ha cagionato, oltre al danno, anche un vantaggio, quest’ultimo deve essere calcolato in diminuzione rispetto all’ammontare del risarcimento; non fosse così, la misura del risarcimento supererebbe quella dell’interesse leso e il danno verrebbe allora a rappresentare una fonte di lucro, conducendo ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato.
Secondo la consolidata giurisprudenza, non sussiste alcun dubbio in ordine all’applicabilità di tale principio quando danno e vantaggio patrimoniale derivino da un unico titolo e vi sia un unico soggetto obbligato al risarcimento.
La discussione riguarda invece quelle ipotesi in cui vantaggio e danno derivino da un titolo diverso e vi siano due soggetti obbligati.
Il caso classico (sottoposto all’attenzione della Corte Suprema di Cassazione) è quello in cui il danneggiato abbia diritto, oltre che ad essere risarcito dall’autore del danno ai sensi dell’art. 2043 cc, all’indennizzo da parte una compagnia con la quale abbia concluso un contratto di assicurazione. Il danneggiato sarebbe dunque in tal caso titolare di un duplice diritto di credito, fondato su due titoli diversi: quello al risarcimento nei confronti del responsabile civile, fondato sulla responsabilità extra-contrattuale di questi, e quello di essere indennizzato nei confronti dell’assicuratore, fondato sulla responsabilità contrattuale dell’assicuratore stesso.
La giurisprudenza
Fissati in tal modo i termini della questione, l’orientamento più risalente della Corte di Cassazione riteneva che indennità e risarcimento potessero cumularsi solo nel caso in cui l’assicuratore non esercitasse la surrogazione ai sensi dell’art. 1916 cc. Solo l’operare della surrogazione, infatti, determinerebbe la sostituzione dell’assicuratore nel diritto di credito del danneggiato il quale, in caso di mancata surrogazione, potrebbe dunque agire nei confronti del responsabile civile per il risarcimento integrale del danno, ancorché abbia già ricevuto l’indennizzo.
Detta tesi si fonda ovviamente sull’idea che la surrogazione di cui all’art. 1916 cc non operi automaticamente per effetto del pagamento dell’indennità assicurativa, ma solo al momento in cui l’assicuratore, dopo aver corrisposto detta indennità, manifesti al terzo responsabile la volontà di surrogarsi nei diritti dell’assicurato.
Proprio quest’ultimo assunto è stato superato dalla sentenza in commento, mediante la quale si è affermato che con il pagamento dell’indennità assicurativa i diritti dell’assicurato nei confronti del terzo responsabile si trasferiscono ope legis all’assicuratore, senza che questi abbia l’onere di manifestare formalmente una propria volontà in tal senso. La lettera dell’art. 1916 comma 1 cc, del resto, sembra deporre proprio a favore di tale conclusione: ‘L’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili’.
Conclusioni: possono cumularsi risarcimento e indennizzo assicurativo?
In tal modo, la Corte di Cassazione non si è posta in linea di totale discontinuità con la tesi anzidetta, secondo cui risarcimento e indennizzo potevano cumularsi solo quando non venisse esercitata la surrogazione. Semplicemente, riconoscendo carattere automatico a quest’ultima, ed escludendo perciò la necessità che la stessa venga esercitata dall’assicuratore, ha escluso in via generale la cumulabilità tra risarcimento ed indennizzo.
In altre parole: se detta cumulabilità ricorre solo allorquando non trovi concreta applicazione la surrogazione, allorquando si ritenga – come hanno ritenuto le Sezioni Unite – che questa operi sempre ed automaticamente si giunge altresì a ritenere, conseguentemente, che la cumulabilità tra risarcimento ed indennizzo non possa operare mai.
Del resto, la ricostruzione della surrogazione in questi termini appare maggiormente conforme alla funzionalità tradizionalmente riconosciuta a tale istituto rispetto a due principi: il principio indennitario, in ragione del quale la prestazione assicurativa non può trasformarsi in una fonte di arricchimento per il danneggiato; e il principio di responsabilità, per il quale il responsabile del danno non dovrebbe poter andare esente dall’obbligazione risarcitoria grazie all’operatività di una polizza assicurativa in riferimento all’evento lesivo da egli cagionato.
L’operatività automatica della surrogazione dell’assicuratore ex art. 1916 cc, infatti, se da un lato contribuisce ad escludere che il danneggiato possa ottenere un ristoro maggiore del danno patito, dall’altro fa sì che il terzo responsabile sia sempre soggetto alla possibilità di subire l’azione dell’assicuratore per il recupero dell’indennizzo corrisposto.