La tematica degli atti di emulazione ex art. 833 c.c. è sempre stata indicata dalla dottrina come un esempio accessibile di comune comprensione della nozione (non sempre immediata) di abuso del diritto. La giurisprudenza è granitica nel ritenere essenziale, ai fini della qualificazione di un comportamento come emulativo, la sussistenza di un requisito oggettivo, ovvero la mancanza di utilità della condotta per il soggetto agente, e un requisito soggettivo, inteso come volontà esclusiva di cagionare danno al proprietario del fondo vicino. La giustificazione storica di questa impostazione è da ricondurre al cambiamento di mentalità ed approccio, rispetto al periodo ottocentesco, che la scienza giuridica ha mostrato in riferimento allo ius in re propria. Infatti l’abbandono dell’impianto ampiamente liberale dell’ordinamento giuridico, a favore di una concezione statalista di stampo sociale, ha comportato l’affermazione della prevalenza dell’interesse generale rispetto a quello del singolo. Ciò trova attuazione anche nell’art. 833 c.c., dove si vieta il compimento di atti esclusivamente nocivi per il confinante, essendo gli stessi anche motivo di turbativa dell’ordine pubblico, ritenuto un bene di primaria importanza. Apparentemente incomprensibile però è l’atteggiamento delle corti giudiziarie, che si mostrano sorde nei confronti delle richieste sempre più pressanti della dottrina di riconoscere il carattere emulativo anche per le omissioni tese solo a creare nocumento, e non solo agli atti commissivi.
È di assoluta rilevanza volgere lo sguardo alla disposizione geografica della norma in esame all’interno del testo codicistico: non a caso l’art. 833 c.c. segue l’art. 832 c.c. rubricato “contenuto del diritto”, che dà inizio al titolo 2° intitolato “della proprietà”. Emerge quindi il collegamento ontologico tra la nozione di atti emulativi e il diritto di proprietà, nonostante sia pacifica l’estensione analogica dell’attuazione di tale divieto anche a tutela di titolari di altri diritti reali di godimento, quali usufrutto, servitù prediali, enfiteusi, uso ed abitazione.
Occorre, però, rendere conto della scarsa applicazione nelle aule giudiziarie dell’art. 833 c.c., dovuta principalmente al gravoso carico probatorio sull’attore, che deve dare prova dell’intento esclusivamente dannoso del soggetto agente per l’atto da lui posto in essere. Non a caso, diffusa è la pratica che prevede il ricorso ex art. 2043 c.c. per la tutela di situazioni che potrebbero essere inquadrate nella categoria di atti emulativi, visto il più semplice assolvimento dell’onere probatorio, che può limitarsi infatti anche alla dimostrazione di un comportamento colposo per ottenere una sentenza di condanna al risarcimento del danno extracontrattuale.
Dopo aver delineato i caratteri essenziali della tematica, risulta essenziale, ai fini di una profonda comprensione della tematica oggetto della trattazione, delineare l’evoluzione storica del concetto di diritto di proprietà e le conseguenze giuridiche che lo stesso ha avuto in riferimento alla genesi del divieto degli atti di emulazione.
Evoluzione storica del concetto di “proprietà”
La concezione statalistica dell’Italia post-unitaria era basata su un modello liberal-individualistico con riferimento ai diritti civili e politici dei cittadini. Non a caso, infatti, la scienza giuridica ottocentesca, fondata principalmente sullo Statuto Albertino, considerava il diritto di proprietà come una prerogativa individuale riconosciuta ad ogni uomo in quanto uomo, ed intangibile anche da parte dello Stato. Proprio la Relazione al codice civile del 1942, che introdusse invece una visione opposta rispetto a quella precedente, sottolineava come in passato i giuristi avessero fatto sfoggio del diritto di proprietà come simbolo della sovranità privata contrapposta al potere statale, concependolo come “la più illimitata libertà del proprietario di disporre delle proprie cose, libertà che non poteva essere vincolata o ristretta, senza sopraffazione dell’individuo”[1].
Con l’avvento del nuovo secolo, ed in particolare con l’emanazione del codice civile del 1942, si è assistito ad un superamento di questa concezione liberal-individualistica del diritto che aveva caratterizzato il periodo albertino, a favore di una mentalità fondata sul primato dell’interesse generale rispetto a quello del singolo. Ciò si è riversato anche nella concezione della proprietà, non più concepita come diritto inviolabile, ma come un diritto che deve rapportarsi con le altre realtà giuridiche. Sempre nella Relazione introduttiva al codice civile, si trova scritto che la configurazione del diritto di proprietà era venuta modificandosi, a discapito della rappresentazione dello stesso come diritto primigenio o naturale dell’individuo, e dunque sono divenute legittime, se non doverose, limitazioni all’esercizio dello stesso in relazione a determinate esigenze sociali o di coordinamento con altri diritti. A tal riguardo, al solo scopo di tutelare l’interesse generale in concorso con l’interesse privatistico, il legislatore del 1942 ha adottato, a seconda delle tipologie di beni e diritti, mezzi di carattere negativo (es. limiti legali del diritto di proprietà, atti emulativi etc.), o a carattere positivo (es. oneri ed obblighi imposti al privato cittadino).
Questo ruolo del diritto come coordinatore di interessi privatistici e protettore dell’interesse generale superiore a quello del singolo ha trovato massima legittimazione ed approvazione con l’emanazione della Costituzione del 1948, che ha rivoluzionato i caratteri del nostro ordinamento costituzionale introducendo il concetto di Stato sociale. Diversamente dallo Stato italiano post-unitario e dallo Stato fascista, i 75 hanno voluto disfarsi del concetto liberale di organizzazione statale, ove l’interesse del singolo risultava primario a tutto, a favore della concezione di Stato, ove l’interesse della collettività è ritenuto supremo rispetto all’interesse del privato, tanto da soccombere a favore del primo nel caso di conflittualità. Questa impostazione filosofico-giuridica trova ampia attuazione anche in molti istituti adoperati oggigiorno[2], in particolare nelle norme del codice civile concernenti il diritto di proprietà. La nuova Costituzione ha poi maggiormente potenziato la legittimità dell’esistenza di limiti al diritto di proprietà, non più visto come diritto inviolabile dell’uomo: da qui la previsione legislativa di limiti esterni ed interni del diritto di proprietà ex art 840 ss. cc, delle immissioni, delle distanze legali, delle luci e vedute, ma soprattutto degli atti emulativi ex art 833 cc, oggetto della trattazione odierna.
Come scritto dal legislatore del 1942, l’art. 833 c.c. dispone il divieto di atti emulativi, come “principio di solidarietà tra privati e nel tempo stesso pone una regola conforme all’interesse della collettività all’utilizzazione dei beni”[3], da cui consegue quindi la negazione della veridicità dell’assunto di origine romana che per secoli aveva trovato larga approvazione tra giuristi: “qui suo iure utitur neminem laedit”[4]. Perciò si è ritenuto opportuno sanzionare quegli atti posti in essere nel proprio fondo dal legittimo proprietario, finalizzati esclusivamente a creare nocumento ad altri: questa la definizione di atti emulativi.
Nozione di atti emulativi: requisiti e natura giuridica
L’art. 833 c.c. recita: “il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altrui”. Definizione analoga al testo della norma è anche quella coniata dalla dottrina subito dopo la promulgazione del codice civile, secondo cui “gli atti di emulazione sono quelli che, a rigor di legge, il proprietario […] potrebbe compiere perché compresi nella sfera del suo diritto come facoltà da questo derivanti; ma che si traducono in veri abusi allorché sono posti in essere, non per raggiungere un’utilità propria, ma per recar danno o molestia ad altri: normalmente al vicino”[5]. Dalla lettura della disposizione legislativa si evince come sia necessaria la compresenza di due requisiti affinché un comportamento possa rientrare nella categoria degli atti emulativi: un requisito oggettivo ed uno soggettivo[6].
Assenza di utilità
Per quanto riguarda il primo, la giurisprudenza, concordemente con la dottrina, ha ritenuto che, affinché si possa parlare di emulazione, è necessario che l’atto posto in essere sia caratterizzato dall’assenza di utilità per chi lo compie. A tal riguardo la Cassazione si è espressa nel senso di adoperare un criterio restrittivo nella valutazione dell’assenza di interesse per il proprietario, sicché, seppur un atto non risponda completamente ai requisiti funzionali che ne avevano giustificato la creazione, l’idoneità a soddisfarli in gran parte consente di escludere l’inquadramento in atto emulativo[7]. Il supremo consesso ha più volte ribadito quindi l’inapplicabilità dell’art 833 cc per quei comportamenti che comunque rispondono ad un interesse del proprietario del fondo, impedendo al giudice di compiere una valutazione comparativa od un giudizio di meritevolezza o prevalenza degli interessi in gioco, visto che questa tipologia di sindacato rientra nella piena ed esclusiva discrezionalità del titolare del diritto di proprietà[8]. Anche a seguito di questa interpretazione, per cui anche una minima utilità del proprietario rende lecito l’atto[9], l’applicazione pratica della norma ex art 833 cc è scarsamente diffusa.
A tal riguardo, la Cassazione si è persino espressa nel senso di ritenere esistente un’utilità anche per un atto illecito, e dunque ha censurato una eventuale classificazione dello stesso in emulativo[10]. Non si può non citare però un orientamento esclusivamente dottrinale che limita le categorie di interessi meritevoli di poter escludere che un certo atto possa essere emulativo ricorrendo all’art. 1322 co. 2, che subordina l’ammissibilità di contratti atipici qualora gli stessi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico[11]. Seguendo tale filone di pensiero, dunque sono ritenuti leciti tutti quegli atti che sono finalizzati al perseguimento di un interesse ritenuto socialmente e giuridicamente apprezzabile dall’ordinamento giuridico.
Proporzionalità
Proprio alla luce del fatto che anche un minimo interesse del soggetto agente nella condotta adottata – seppur cagioni principalmente danno al proprietario vicino – la legittimi, alcuni autori evidenziano come di fatto non si ponga una questione di proporzionalità tra interesse sacrificato ed interesse avvantaggiato, operazione che invece avviene in altre situazioni giuridiche (tra cui le immissioni ex art 844 cc)[12]. Si apre spazio dunque ad un filo dottrinale che ritiene più corretta una valutazione in concreto degli interessi confliggenti, per cui si può parlare di emulazione solo qualora l’interesse del soggetto agente al compimento dell’atto sia sproporzionalmente inferiore rispetto al danno arrecato al vicino a seguito della condotta medesima[13], una cui giustificazione è rintracciabile proprio nell’art 2 Cost che sancisce un generale dovere di solidarietà tra i cittadini[14]. Un approccio valutativo di tal fatta trova applicazione analogica in altre situazioni giuridiche disciplinate direttamente dal codice, accumunate agli atti emulativi dal fatto che il legislatore concede rilievo giuridico anche alla controparte che subisce l’esercizio di un diritto soggettivo: basti pensare all’importanza dell’inadempimento ex art 1455 cc, all’interesse apprezzabile all’adempimento ex art 1464 cc ed in generale all’equo contemperamento di interesse, che emerge dalla lettura degli artt. 1432, 1450, 1467 co 3 e 1371 cc[15]. Una visione parzialmente differente è quella offerta da chi ritiene che la valutazione di proporzionalità non debba riguardare gli utili conseguiti da un proprietario rapportati agli svantaggi subiti dal confinante, ma al contrario debba riferirsi ai valori espressi dagli interessi confliggenti, alla luce della scala gerarchica dell’ordinamento[16]. Ad esempio, l’installazione sul muro di recinzione del fabbricato comune al vicino di una telecamera, posta in direzione del balcone del vicino, è considerata nell’ottica della suesposta visione dottrinale come emulativa alla luce del fatto che l’interesse del vicino alla riservatezza è considerato un diritto superiore e prevalente rispetto a qualsiasi altro interesse dell’altro proprietario, quale potrebbe essere il vantaggio di capire chi possa stazionare di fronte alla sua abitazione. Pertanto, nonostante le corti giudiziarie non ammettano nel caso di specie l’illiceità dell’atto vista l’esistenza seppur irrilevante di un interesse dietro a questa condotta, la dottrina non condivide questa soluzione giurisprudenziale vista la prevalenza costituzionale del diritto alla privacy menomato dal comportamento del vicino. Occorre, però, citare alcuni tentativi delle corti di merito che hanno accolto questa lettura costituzionale dell’art 833 cc, ammettendo in un caso l’emulazione per l’atto di piantagione di un albero ad alto fusto che precludeva la visuale panoramica senza apportare alcun’utilità concreta o maggiore amenità al proprietario del fondo su cui era stato compiuto l’atto. Del pari illegittima è stata considerata l’opposizione di un condomino alla ricostruzione del condominio a seguito del suo perimento[17] .
Animus nocendi
Il secondo presupposto necessario per qualificare un atto come emulativo è di natura soggettiva, definito dalla dottrina “animus nocendi”[18], ovvero l’intenzione di nuocere o arrecare molestia ad altri.[19] La previsione di questo requisito è giustificato nella Relazione introduttiva al codice civile del 1942 dalla volontà di evitare eccessi pericolosi nell’applicazione della norma, ovvero per scongiurare un abuso del divieto consistente in un eccessivo sacrificio del diritto di proprietà a vantaggio di interessi non sufficientemente meritevoli di prevalere[20]. Per aversi quindi atto emulativo, imprescindibile è la sussistenza di uno specifico divieto sanzionato ovvero un comportamento idoneo esclusivamente a danneggiare il vicino[21].
Questo requisito ha dato, però, adito a forti divergenze in dottrina in relazione alla natura ontologica del presupposto stesso, visto il carattere squisitamente psicologico che emerge dalla lettura della norma: se ne evince come una siffatta concezione di animus nocendi dia vita a una probatio diabolica in capo al danneggiato che richieda tutela giurisdizionale[22]. Per queste ragioni, da un lato è stato proposto da alcuni autori di interpretate tale presupposto come in relazione al risultato finale che scaturisce dall’atto incriminato[23]; d’altra parte altri hanno voluto mantenere l’aspetto soggettivo dell’animus aemulandi, contemperandolo, però, a caratteri necessariamente oggettivi, dovendosi infatti dimostrare da comportamenti posti in essere dall’agente da cui desumere l’intento fraudolento e nocivo[24].
Di fronte a questo panorama variegato offerto dalla dottrina, la giurisprudenza ha temperato le differenze di visioni suesposte ricorrendo frequentemente a presunzioni per dimostrare la sussistenza dell’animus nocendi: la consapevolezza del danno provocato o il mero ricorso per primo presupposto, ovvero l’assenza di utilità dell’atto da parte di chi lo ha posto in essere, sono stati considerati elementi valutativi da cui il supremo consesso ha in alcuni casi ricondotto la sussistenza del presupposto soggettivo.
Onere probatorio
Dopo aver delineato la corretta individuazione giuridica del secondo requisito, è doveroso spendere alcune parole in merito all’onere probatorio. E’ indubbio, alla luce dell’art 2697 cc, che il peso di dimostrare la sussistenza dei requisiti suesposti gravi sull’attore che agisca in giudizio per tutelare i suoi diritti[25]: si dovrà, quindi, in primo luogo dar prova della molestia o danno recato, per poi dimostrare l’assenza di utilità della condotta ed infine l’esistenza di un interesse esclusivo a creare nocumento, anche se, come detto precedentemente, la giurisprudenza ha ritenuto anche solo i primi due elementi come presupposti sufficienti per poter poi presumere il terzo.
Omissioni come atti emulativi
In ultimo, occorre porre attenzione anche a quel filone dottrinale che di fatto introduce un terzo requisito, limitando infatti l’inquadramento in emulativi ai solo atti giuridici, e non omissioni, seppur finalizzate esclusivamente ad arrecare danno al vicino[26]. In Cass. 10250/1997, il supremo consesso non ha infatti censurato la mancata potatura di piante, finalizzata a precludere al proprietario del fondo finitimo la possibilità di godere di una visuale panoramica suggestiva[27]. La dottrina ha sostenuto questo impianto ermeneutico, ritenendo da un lato che l’inclusione delle condotte omissive tra i possibili atti emulativi costituirebbe una palese violazione dell’art 833 cc il quale – in base ad una analisi del canone letterale della disposizione – fa riferimento al compimento di “atti”. In secondo luogo i dottrinali sostengono che l’atto omissivo comporta sempre un vantaggio da parte del proprietario, quanto meno in termini di spesa e/o energia psico-fisica (che invece non è ovvio per le condotte commissive). Nonostante questo orientamento ormai consolidato, non sembra essere corretto escludere categoricamente che gli atti omissivi non possano essere considerati emulativi, infatti se non ci si limitasse pigramente ad analizzare la parola della norma, ma si volgesse uno sguardo alla ratio sottesa alla stessa, risulta indiscutibile che l’art 833 cc tende a sanzionare l’esercizio del diritto di proprietà che di fatto esorbita dal contenuto del diritto stesso (ovvero arrecando danno a terzi). Finalità che trova maggior tutela alla luce dell’impianto costituzionale, in cui il diritto di proprietà trova un limite nell’interesse generale, quale è l’ordine pubblico e la pacifica convivenza, che possono venire, però, severamente compromessi anche da condotte omissive finalizzate esclusivamente a arrecare nocumento. Vero è che in sede giudiziaria, l’onere probatorio incombente sull’attore, già difficile da assolvere, sarebbe ancora più arduo, visto che un atto omissivo non ha manifestazioni esterne tali da consentire una più semplice valutazione dell’eventuale carattere emulativo.
Danno e molestia
Leggendo il testo dell’art. 833 c.c. emerge come l’atto dichiarato emulativo deve tendere a “nuocere o creare molestia” ad altri. Ritenendo questa espressione non inquadrabile come endiadi, si evince come non solo siano illeciti ex art. 833 c.c. le condotte che danno origine a nocumento, ovvero danno inteso in senso tecnico ex art. 2043 c.c., ma anche quei comportamenti che si estrinsecano in mere molestie, ovvero turbative della situazione giuridica di un soggetto, non necessariamente comportante un danno. La dottrina, per spiegare bene il rapporto sussistente tra danno e molestia, ha usato la seguente affermazione: “il danno costituisce sempre una molestia, mentre non può dirsi l’inverso”[28]. Conseguentemente, qualora il risultato conseguente all’atto emulativo sia inquadrabile in danno, è consentito esperire la tutela ex art. 2043 c.c.
Natura giuridica degli atti emulativi
Ampio dibattito, invece, ha riguardato la natura giuridica del divieto di atti emulativi: seppur inizialmente la dottrina avesse ritenuto questa norma come espressione di un limite esterno al diritto di proprietà, e conseguentemente non applicabile in via analogica ad altri casi, la giurisprudenza successivamente ha però accolto un cambiamento ermeneutico di tale disposizione, introdotto da un’altra parte della dottrina più accorta. A tal riguardo infatti si è iniziato a guardare alla illiceità dell’atto emulativo come una espressione del più ampio concetto generale di abuso del diritto, rintracciabile tramite una visione sistematica ed organica di tutto l’ordinamento giuridico, e conseguentemente tale divieto costituisce un limite interno allo ius in rem, e dunque azionabile per analogia. Questa visione dottrinale è stata poi sugellata dalla Cassazione che in Cass. 6823/2013 ha riconosciuto come il limite generale al potere di godimento del proprietario quello risalente al diritto romano del divieto di atti emulativi, facendolo rientrare nella categoria dell’abuso del diritto[29]. C’ è chi, a sostegno di tale tesi, adduce anche che la specifica collocazione della norma nel codice civile – dove l’art 833 cc succede l’art 832 rubricato “contenuto della proprietà” – così come la sua origine induce a ritenere che il divieto, più che prevedere un limite, incide sulla conformazione del diritto di proprietà[30].
Ambito di applicazione del divieto ex art. 833 c.c.
Risulta doveroso inoltre volgere la nostra attenzione all’ambito di applicazione dell’art. 833 c.c.: la dottrina infatti ritiene da un lato che i beneficiari di tale divieto non si possano limitare esclusivamente nei proprietari confinanti al titolare del diritto di proprietà che pone in essere l’atto emulativo[31]; d’altro lato è pacificamente ammesso che tale divieto si estenda non solo a coloro che vantano un diritto di proprietà, ma anche in generale ai titolari degli altri diritti reali di godimento, ovvero usufrutto, enfiteusi, uso, abitazione e servitù prediali. Interessante è citare la diatriba sorta in merito all’estensione della tutela fornita dal divieto ex art. 833 c.c. in riferimento anche alle situazioni giuridiche ove gli interessi privatistici contrapposti (o anche il contrasto tra interessi dei singoli e quello generale) sono composti dallo stesso legislatore ex lege (es. basti pensare alla disciplina dei rapporti di vicinato, nel dettaglio regolata dal codice civile). Ci si chiede dunque se siano sottoposti all’applicazione del divieto di atti emulativi “anche gli interessi specificamente sacrificati dalla legge a fronte dell’interesse del proprietario o dell’interesse generale”[32]. Un primo orientamento dottrinale[33] prevede che le norme già regolatrici di interessi contrastanti siano espressione di una scelta del legislatore di risoluzione di conflitti ex ante, e dunque si esclude che da essi possano derivare attività antisociali aggiuntive; per cui il divieto ex art 833 cc troverebbe operatività solo per diritti non espressamente previsti dalla legge[34]. Diverso, invece, è il pensiero di chi crede che l’esercizio di un diritto soggettivo riconosciuto legalmente deve comunque sottostare ad un giudizio di merito circa la liceità dello stesso, altrimenti verrebbe meno il senso della previsione legislativa dell’art 833 cc: proprio questo limite al diritto di proprietà giustifica la necessaria valutazione concreta dell’atto, non essendo sufficiente la formale aderenza della condotta al contenuto del diritto[35].
Atti emulativi ed abuso del diritto
Da sempre la dottrina ha comparato il divieto di atti di emulazione con la figura solo giurisprudenziale e dottrinale (ma non normativa) dell’abuso del diritto. A tal riguardo, sulla base di specifiche disposizioni normative in cui si sanziona l’abuso con riferimento a determinate situazioni soggettive, si è dedotto un principio generale di divieto di esercizio del diritto qualora determini un’alterazione della funzione obbiettiva che tale diritto si prefiggeva o perché avviene un’alterazione del fattore causale oppure perché l’esercizio si manifesta in una condotta contraria alla buona fede o lesiva della buona fede altrui. Occorre a questo punto delineare gli elementi costitutivi dell’abuso di diritto: è necessaria la titolarità di un diritto soggettivo, l’esercizio concreto del diritto in modo concorde con la cornice attributiva legislativa, ma censurabile secondo un criterio di valutazione giuridico o extragiuridico; ed infine la verifica di una sproporzione ingiustificata tra il beneficio conseguito dal titolare del diritto e il sacrificio cui deve sottostare un terzo[36].
Per introdurre la comparazione tra divieto degli atti emulativi e l’abuso del diritto, è illuminante ricordare come il progetto ministeriale del codice civile del 1942 stabiliva esplicitamente che nessuno potesse esercitare un proprio diritto in contrasto con lo scopo per cui gli era riconosciuto; ma tale esplicita previsione legislativa non ha trovato più confluenza nel progetto finale del codice civile, venendo infatti ricondotta alla regola puntuale prevista dall’art 833 cc. È infatti soluzione preferibile quella che ritiene il divieto degli atti di emulazione come una esplicazione normativa e specifica del generale abuso del diritto, nonostante il divieto di emulazione si riferisca solo alle limitazioni riconosciute ai titolari del diritto di proprietà, o al massimo esteso genericamente ai titolari di diritti reali di godimento. Paragonando, però, i requisiti necessari sopraesposti per poter qualificare un esercizio di un diritto come abusivo, non si spiega perché la giurisprudenza abbia negato una ponderazione degli interessi in gioco tra il soggetto agente e il soggetto danneggiato ai fini della qualificazione dell’atto come emulativo: non a caso l’argomentazione per cui il divieto di atti emulativi costituisce una fattispecie dell’abuso di diritto è largamente utilizzata da chi invoca una modifica giurisprudenziale in riferimento al fatto che un qualsiasi vantaggio, ancorché minimo dell’agente, giustifica ogni condotta anche se maggiormente lesiva agli altri. Non solo, infatti proprio questo punto costituisce anche la base argomentativa per chi invece non ritiene corretta la sussunzione del divieto di atti emulativi nella grande categoria dell’abuso di diritto: a giustificazione di ciò si adduce il carattere specifico di inutilità – nocività che contraddistingue l’emulazione, diversamente dalla clausola generale ed informe dell’abuso del diritto[37].
Casi pratici: art. 833 c.c. e art. 2043 c.c. a confronto
Prima di addentrarci nelle casistiche pratiche risolte dalle corti di merito e dalla Suprema Corte, occorre in primo luogo delineare i rimedi giudiziali che si sono ritenuti applicabili in ordine al perseguimento della violazione del divieto ex art 833. C’è chi sostiene infatti che i mezzi esperibili siano da un lato l’azione inibitoria, ovvero il divieto di reiterazione di un atto lesivo, e l’azione di risarcimento del danno ex art 2043 cc per il nocumento subito, oltre alla riduzione in pristino, nel caso in cui l’atto lesivo sia consistito nel compimento di un’opera[38]. Contrariamente a questo orientamento, si argomenta che le condotte considerate emulative sono comunque un esercizio di un diritto di proprietà, e dunque mai possono essere considerate illecito da cui si esclude l’esperimento dell’azione di risarcimento ex art 2043 cc[39].
A tal riguardo è interessante confrontare la tutela dei diritti ex art 833 cc e l’ambito di operatività garantito dall’art 2043 cc. Proprio alla luce delle considerazioni sopra effettuate, ovvero l’immobilità che ha contraddistinto la giurisprudenza riguardo alla corretta interpretazione ed applicazione dell’art 833 cc, il ricorso alla tutela prevista da questo articolo ha visto numeri molti esigui nel corso degli anni, a favore invece di un più rapido ed efficacie strumento giuridico rappresentato dall’azione di risarcimento del danno extracontrattuale. Non a caso, è noto come l’interpretazione dell’art 2043 cc abbia subito nel corso dei tempi notevoli modifiche giurisprudenziali, che hanno garantito l’attualizzazione di tale principio. Ciò non è avvenuto per il divieto di atti emulativi[40], e questa è anche una delle cause del quasi inesistente ricorso a questa tutela giuridica: da qui deriva la preferenza per un soggetto leso da un atto del proprietario del fondo vicino, di agire per l’accertamento della responsabilità aquiliana. Ma tale successo è anche dovuto dalla possibilità di poter richiedere tale protezione anche invocando una responsabilità colposa, e non solo dolosa, che invece è imposta dal requisito dell’animus nocendi negli atti di emulazione. È pur sempre vero, però, che non si può sostenere una perfetta sovrapposizione tra l’art 2043 cc e l’art 833 cc, tale da poter giustificare una quasi abrogazione implicita del secondo a vantaggio del primo, vista la necessaria presenza di un danno inteso in senso tecnico come requisito per attivare una tale richiesta[41]. C’è poi anche chi si è spinto ad auspicare un intervento della Corte Costituzionale, in modo da correggere l’interpretazione attuale dell’art 833 cc in chiave di legittimità costituzionale, vista anche la mancata evoluzione giurisprudenziale subita dal divieto in esame, rispetto alla notevole modifica ermeneutica adottata in riferimento alla responsabilità extracontrattuale[42] .
Casi risolti dalla giurisprudenza
Dopo aver delineato i caratteri teorici della materia, risulta estremamente chiarificatrice l’analisi di alcuni casi pratici risolti dalla giurisprudenza. In questa trattazione divideremo le casistiche da sottoporre all’attenzione in 3 macro argomenti: atti emulativi nell’ambito dei diritti reali, in ambito condominiale ed infine in relazione all’esperimento di azioni giudiziarie.
Diritti reali
Per quanto riguarda la sussistenza di atti emulativi in riferimento all’esercizio di iura in rem, la Cassazione si è espressa in molteplici circostanze affermando sempre in maniera coerente la compresenza necessaria dell’animus nocendi e dell’assenza di utilità da parte del proprietario del fondo. In Cass. 6823/2012, si è sostenuta infatti la legittimità della creazione di un terrapieno in un terreno agricolo, facoltà rientrabile all’interno dello ius utendi ab utendi del diritto di proprietà, anche qualora tale operazione determini una compressione del godimento del proprietario confinante in riferimento al pregiudizio subito a causa dell’ostruzione del paesaggio da parte del fondo sopraelevato; ciò perché si presume che una costruzione di tal fatta porti necessariamente vantaggio al proprietario del fondo stesso. In riferimento invece all’art 841 cc, che consente al proprietario di un fondo di chiudere in qualunque tempo il fondo, Cass. 5564/2001 ha ritenuto non emulativo la decisione del dominus di recingere la sua proprietà per tutelare indirettamente i suoi diritti alla sicurezza e riservatezza, anche se non è presente altro interesse più urgente che giustifichi tale scelta: l’emulazione non sussiste esistendo comunque un vantaggio del proprietario nell’aver posto in essere l’atto, e non avendo di fatto cagionato alcun detrimento a terzi. Per la medesima motivazione non è illegittima l’installazione da parte del proprietario di un terreno di un cancello all’ingresso dello stesso per impedire l’entrata di persone estranee[43]. Del pari, non può applicarsi l’art 833 cc in riferimento alla decisione di un soggetto di eliminare la veduta aperta dal vicino nel muro del confine[44], come al contrario è vietato chiudere le luci presenti nel muro del vicino[45] costruendo in aderenza, se finalizzato esclusivamente a cagionare un danno al vicinato[46]. È stata invece considerata emulativa l’azione del proprietario che installa sul muro di recinzione del fabbricato comune al vicino un contenitore avente l’aspetto di telecamera nascosta fra il fogliame degli alberi, posto in direzione del balcone del vicino: emerge indiscutibilmente in questa circostanza che tale atto non reca alcun vantaggio all’agente, cagionando invece danno (quanto meno preoccupazione e timore) al proprietario del fondo confinante[47]. Altra sentenza interessante è quella emessa dalla Pret. civ. di Vallo di Lucania del 27 Novembre 1998, ove si afferma che la costruzione di un muro di cinta alto 2,99 metri in sostituzione di una precedente recinzione metallica non costituisce atto di emulazione, presumendo che sia sempre riscontrabile una certa utilità per il proprietario del fondo (ad esempio una maggiore riservatezza e sicurezza). Particolare infine è il caso concreto affrontato da Cass. 3010/1981, ove è stata considerata lecita sia l’attività edificatoria del proprietario in violazione delle norme pubblicistiche disciplinanti lo ius aedificandi, sia il mantenimento dell’opera iniziata e non ultimata perché in contrasto con le predette norme: il rispetto dell’art 833 cc è proprio giustificata dal venir meno dell’assenza dell’utilità dell’atto da parte del proprietario del fondo, vista la preordinata intenzione di conseguire un diretto e concreto vantaggio dalla costruzione, attività poi arrestata a causa della violazione di norme di legge in materia.
Ambito condominiale
Le vicende condominiali hanno fornito alla giurisprudenza ampie possibilità di applicazione dell’art 833 cc, ciò anche alla luce dell’elevato carattere di litigiosità che caratterizza questo ambiente. Esempio di attuazione di tale divieto è stato fornito dal Trib. civ. di Genova, sez. 3° del 03 Gennaio 2006, che ha ritenuto emulativo l’atto di stendere il bucato e i tappeti in modo da oscurare la finestra dell’appartamento sottostante; analogamente sanzionabile sarebbe il comportamento del condomino che erigesse un muro di confine tra la parte di lastrico solare di sua proprietà esclusiva e la restante parte degli altri condomini, al sol fine di far perdere a questi la vista panoramica[48]. Particolare nel contenuto è il caso sottoposto all’attenzione del Trib. civ. di Ivrea del 3 Agosto 2016, che ha riconosciuto come emulativo l’apposizione di pezze maleodoranti sulla siepe di confine, escludendo invece che lo fossero l’accensione di motori in orario notturno, o il cantilenare insulti verso il confinante ed i suoi familiari. Ma gran parte delle casistiche affrontate dalla Cassazione riguardano la legittimità di delibere condominiali: a tal riguardo occorre ricordare che l’assemblea condominiale ha il potere di determinare le modalità concrete con cui utilizzare le parti comuni ex art 1135 cc, e perciò anche in riferimento a questi atti è possibile invocare il divieto di atti emulativi ex art 833 cc, qualora i medesimi siano finalizzati ad arrecare nocumento ad uno o più condomini, senza apportare alcun vantaggio ai restanti proprietari. Ad esempio, di recente il Trib. civ. di Roma ha rigettato la richiesta di invalidità, in quanto contraria all’art 833 cc, di una deliberazione assembleare che aveva disposto la riqualificazione di un grande locale rientrante tra le parti comuni del condominio in zona destinata ai posti auto al servizio dei condomini[49]. Nel caso di specie, l’attore invocava l’inquadramento di tale delibera tra gli atti emulativi, in quanto tale decisione risultava dannosa perché da un lato impediva al condomino di poter utilizzare una zona delle parti comuni per poter parcheggiare a titolo gratuito la propria vettura qualora non fossero sufficienti i parcheggi per tutti i condomini; d’altro lato invocava il danno derivante dal costo che avrebbe dovuto pagare per affittare un posto auto. Correttamente il tribunale romano riteneva che non sussistessero nessuno dei due requisiti per poter dichiarare quella delibera come emulativa, in quanto la decisione assunta portava in primo luogo vantaggio a tutti i condomini, garantendo loro un parcheggio in una zona di proprietà comune, ed in secondo luogo non emergeva la volontà di cagionare danno ad uno specifico condomino. Un altro caso affrontato dalla Suprema Corte invece riguarda la liceità della richiesta del ripristino dell’impianto di riscaldamento centralizzato, soppresso da una delibera dichiarata poi illegittima, proprio in considerazione della sproporzione tra i costi necessari all’uopo e quelli per realizzare un impianto unifamiliare nell’appartamento dell’istante[50]. In questa circostanza il diritto al ripristino dell’impianto di riscaldamento risponde anche all’utilità del condomino di potere usufruire di un servizio comune che era stato illegittimamente disattivato dall’assemblea dei condomini i quali, proprio in attuazione di tale illegittima delibera, si erano poi dotati di impianto autonomo. In questa fattispecie sussiste un interesse proprio del condomino nell’effettuare tale richiesta, e dunque viene meno la qualifica dell’atto come emulativo. Per le stesse motivazioni del caso precedente è altresì considerata lecita la deliberazione condominiale che dispone il ripristino della recinzione della terrazza a livello mediante l’installazione di una rete divisoria tra la parte di proprietà esclusiva del condomino e quella della proprietà comune, ciò con la finalità di evitare l’usucapione da parte del singolo condomino, e di delimitare il confine, garantendo a tutti l’accesso alla parte comune[51]. In generale non si può ritenere riconducibile alla categoria di atti emulativi quelle deliberazioni assembleari che sono finalizzate alla tutela e alla conservazione dei diritti dei condomini sulle cose comuni; per contro emulativo sarebbe il comportamento del condomino che si era opposto ad una innovazione valida, solo perché dettato esclusivamente da intenti ricattatori e speculativi, ovvero al solo scopo di arrecare il maggior danno possibile agli altri condomini senza che da tale condotta gli fosse derivato il minimo vantaggio[52].
Azioni giudiziarie
Un’ ultima categoria che verrà analizzata in questa trattazione riguarda le pronunce giudiziarie inerenti al riconoscimento del carattere emulativo nell’esperimento di azioni giudiziarie a tutela di un diritto soggettivo. L’orientamento granitico assunto dalla Cassazione si esprime con un’interpretazione restrittiva, nel senso di escludere dall’ambito degli atti emulativi le azioni giudiziali intraprese per tutelare un diritto[53]. È doveroso, però, evidenziare le aspre critiche rivolte da parte della dottrina nei confronti di questa posizione ermeneutica, che accusa la Suprema Corte di aver reso sterile e di fatto inoperativo il divieto dell’art 833 cc[54]. Recentemente, tuttavia, la dottrina ha preso atto che la maggior parte dei problemi derivanti dalla inattuabilità di fatto del divieto di atti emulativi è aggirata dal ricorso alla tutela della responsabilità civile, come ampiamente analizzato in precedenza. Nonostante ciò, c’è chi contesta la convinzione delle Corti che l’esperimento di un’azione giudiziale non possa essere mai vista come una condotta da valutare negativamente, alla luce del fatto che nel nostro ordinamento non sussiste alcun controllo di meritevolezza preventivo[55], mentre comunque è ammessa censura per la lite temeraria ex art 96 cpc.
La legittimità di azioni giudiziarie a tutela di diritti reali, oltre a trovare applicazione in molti casi che ora esporremmo, è appoggiata anche da parte della dottrina, che sostiene tale orientamento giurisprudenziale alla luce del fatto che la mancata osservanza di questa categoria di diritti può, con il decorso del tempo, pregiudicare o limitare alcune delle facoltà riconosciute al proprietario[56]. La liceità delle azioni a tutela degli iura in rem è da ultimo acclarato dalla recente Cass. 27916/2018, dove si afferma la legittimità della pretesa del proprietario di un terreno di difendere il proprio diritto reale, venendo meno il presupposto dell’assenza di qualsiasi utilità in capo al titolare del diritto di proprietà[57]. Nel dettaglio è consentita l’azione del proprietario che chiede la riduzione della costruzione realizzata dal vicino in violazione delle distanze legali[58], come analogamente non rientra negli atti emulativi l’esperimento della actio negatoria servitutis, in quanto diretta a tutelare la consistenza e libertà da servitù sui fondi, e persegue un interesse del proprietario del fondo. Sempre in riferimento al rispetto delle distanze legali, la Cassazione si è espressa nel senso di negare il carattere emulativo all’azione giudiziaria del proprietario di un immobile inabitato volta al ripristino del distacco previsto ex lege da una costruzione eretta dal vicino[59]: la situazione di decadenza della costruzione dei proprietari che citano in giudizio il confinante non è motivo per escludere l’assenza di utilità della condotta, vista la possibilità futura di poter ricostruire o restaurare o trasformare l’edificio[60]. Per le stesse motivazioni Cass. 4803/1992 consente anche la domanda giudiziale di eliminazione di una veduta aperta dal vicino a distanza illegale, essendo tesa al riconoscimento della libertà del fondo e rimozione dell’atto illecito posto in essere dal confinante. Particolare è il caso affrontato dalla sentenza 9714/2013 emessa dalla Suprema Corte, che ha riconosciuto la legittimità della pretesa del proprietario di un immobile tesa ad acquisire il possesso del bene in conseguenza di una finta locazione, anche se in presenza della trascrizione della sentenza di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita preventivamente stipulato tra locatore e conduttore riguardo il medesimo locale: in tal caso quindi il locatore fa valere in giudizio i diritti che competono per contratto e che ritiene violati.
Altre casistiche risolte dalla Cassazione esulano dall’ambito della tutela giurisdizionale dei diritti reali: Cass. 1267/1996 afferma la legittimità, in comparazione del divieto ex art 833 cc, della domanda giudiziale volta al rispetto di un obbligo contrattuale, indipendentemente che da tale violazione sia dipeso un danno effettivo. In ambito condominiale, la dottrina poi sostiene fermamente che l’art 833 cc non possa essere attuato verso il condomino che esercita il proprio diritto di invocare l’autorità giudiziaria per dichiarare la nullità di una delibera dell’assemblea condominiale, visto anche il necessario carattere di materialità che l’atto commissivo deve possedere per potere essere inquadrato in atto emulativo[61]. Spaziando in campo giuslavoristico, la Cassazione ha anche effettuato in passato un parallelismo tra il divieto di atti di emulazione e il carattere dell’intenzionalità del datore in tema di condotta antisindacale: si è infatti detto che la volontà stessa di voler cagionare danno nonostante la liceità formale del diritto attuato, può essere ricondotto alla fattispecie di abuso di diritto, assumendo infatti che, come in materia di proprietà vige l’art 833 cc, lo stesso può essere rintracciato nei principi di correttezza e di buona fede in tema di diritto del lavoro, che costituiscono un limite all’esercizio di diritti del datore qualora incidano negativamente per espressa ed unica intenzione nella sfera dei lavoratori[62].
Conclusioni
L’articolo ad oggetto ha lo scopo di delineare gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali maggioritari in tema di divieto di atti emulativi, con un taglio estremamente pratico fornito dall’analisi di molte casistiche risolte dalle corti di merito e di legittimità. Per completezza della trattazione, però, occorre anche dare voce ad una minoritaria corrente di pensiero che nega alla radice l’utilità e la necessità dell’art. 833 c.c. nel nostro ordinamento. C’ è infatti chi ritiene che il legislatore, nel momento in cui riconosce un diritto soggettivo ad una categoria di soggetti, già mette in preventivo l’eventuale uso distorto dello stesso, sanzionandolo esplicitamente con un divieto normativo qualora lo ritenga opportuno. Inoltre, ciò che più si teme che possa derivare dal divieto di atti emulativi è che la proibizione di un atto inutile e dannoso possa comportare un livellamento dell’esercizio del diritto di proprietà a comportamenti che sono in grado di condurre oggettivamente a vantaggi apprezzabili, rischiando dunque di introdurre un sindacato giuridico su gusti personali dei proprietari[63]. Come del resto sarebbe aggirabile il divieto di porre in essere una condotta inutile e dannosa modificando il comportamento adottato facendo sì che si esplichi all’esterno una qualsiasi utilità concreta e percettibile, sebbene di fatto l’intenzione sia solo quella di creare nocumento a terzi[64].
Nonostante queste convinzioni impopolari seppur interessanti, ritengo comunque che il divieto ex art. 833 c.c. sia una norma di fondamentale importanza, non tanto ai fini dell’impianto giuridico del codice civile in tema di proprietà, ma più per il significato ontologico che porta all’interno di sé, rintracciabile in un generale obbligo di stampo costituzionale imposto a tutti i soggetti di diritto: il dovere di solidarietà ex art. 2 Cost.
[1] cfr. Relazione del Guardasigilli al codice civile, pag. 85.
[2] esempi di prevalenza dell’interesse generale rispetto all’interesse del singolo sono sia l’art 42 co 4 – che afferma: “la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale” – sia le limitazioni dell’iniziativa economica privata ex art 41 co 2 che recita “non può svolgersi l’iniziativa economica privata] in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
[3] cfr. Relazione del Guardasigilli al codice civile, pag. 87.
[4] trad.: “chi esercita un proprio diritto non lede nessuno”.
[5] cfr. Ferranti F., Commento al nuovo codice civile italiano – Il libro della proprietà, sub. art 833, n. 54, 112.
[6] cfr. Roppo V., Diritto Privato, Giappichelli, 2010, 206: è previsto come terzo requisito concorrente agli altri due il fatto che l’atto arrechi danno o disturbo ad un altro soggetto.
[7] vedi Cass. 3598/2012: nel caso di specie, la Cassazione ha escluso la classificazione in atti emulativi la sostituzione di una siepe con un muro di cemento, visto il riscontro dell’utilità del nuovo manufatto nell’evitare ingerenze esterne da parte di vicini.
[8] vedi motivazione in Cass. 1209/2016; principio espresso ex multis in Cass. 164/1981, Cass. 173/1983, Cass. 27916/2018, da ultimo Cass. 7976/2022.
[9] cfr. Lipari N., Rescigno P., Diritto civile, Giuffrè, II, 2009, 72: tenuto conto dei poteri che il diritto di proprietà attribuisce al suo titolare, l’atto che si assume come emulativo può anche soddisfare un interesse estetico o futuro del proprietario.
[10] vedi Cass. 3010/1981, come specificato nel par. 5.1.2.
[11] cfr. Caringella F., De Marzo G., Manuale di diritto civile, Giuffrè, I, 2007, 528.
[12] cfr. Zatti P., Colussi V., Lineamenti di diritto privato, Wolters Kluwer, 2015, 241.
[13] Natoli scrive che “l’equilibrio appare raggiunto dalla valutazione proporzionale degli interessi opposti. L’eventuale rilevabilità dell’attività emulativa dovrà provare la oggettiva sproporzione del danno rispetto all’interesse tutelato”.
[14] cfr. Ruscello F., Proprietà e diritti di godimento. Famiglia. Successione., Giuffré, IV, 2007, 8.
[15] cfr. Caringella F., De Marzo G., Manuale di diritto civile, Giuffrè, I, 2007, 528.
[16] cfr. Ruscello F., Proprietà e diritti di godimento. Famiglia. Successione, Giuffré, IV, 2007, 8.
[17] cfr. Caringella F., De Marzo G., Manuale di diritto civile, Giuffrè, I, 2007, 529.
[18] il requisito soggettivo è da altri definito anche “animus aemulandi”.
[19] vedi Cass. 9998/1998, Cass. 3275/1999, Cass. 5421/2001.
[20] cfr. Relazione del Guardasigilli al codice civile, pag. 87.
[21] vedi Trib. civ. di Salerno del 9 luglio 2002.
[22] cfr. Foresta E., Galasso J., Stefanelli F., La proprietà, Key, 2018, 40.
[23] così si esprimeva Natoli in “La proprietà”.
[24] questa era l’opinione a riguardo di Gambaro in “Emulazione”.
[25] cfr. Foresta E., Galasso J., Stefanelli F., La proprietà, Key, 2018, 40 e Lipari N., Rescigno P., Diritto civile, Giuffrè, II, 2009, 71.
[26] cfr. Foresta E., Galasso J., Stefanelli F., La proprietà, Key, 2018, 38.
[27] in particolare il giudice di merito, poi smentito dalla Cassazione, ravvisava l’emulazione nel fatto che il convenuto avesse lasciato crescere gli alberi di ligustro oltre il livello del fondo sovrastante, senza ricavarne alcuna utilità né di ordine estetico, trattandosi di piante non da frutto, ma da ornamento (finalità questa non tutelata dalla loro incontrollata crescita e meglio soddisfatta da una congrua potatura), né di ordine pratico, non essendo in grado né di fungere da barriera frangivento, essendo posti alla base del muraglione di sostegno ed essendo la casa in posizione che non trovava comunque copertura dai venti dall’esistenza del filare.
[28] cfr. Caringella F., De Marzo G., Manuale di diritto civile, Giuffrè, I, 2007, 530.
[29] cfr. Foresta E., Galasso J., Stefanelli F., La proprietà, Key, 2018, 33-34.
[30] cfr. Lipari N., Amadio G., Baralis G, Diritto civile, Giuffrè, II, 2009, 71.
[31] cfr. Lipari N., Rescigno P., Diritto civile, Giuffrè, II, 2009, 71: si opta per questa soluzione dottrinale in quanto non v’è ragione di ritenere che solo gli altri proprietari possano avvalersi della tutela offerta contro gli atti emulativi.
[32] cfr. Bianca M., Diritto civile, Giuffrè, VI, 2016, pag. 195.
[33] a sostegno di questo filone di pensiero si è espresso Bianca, ma anche la giurisprudenza in Cass. 830/1976, Cass. 2670/1960, Cass. 1404/1966; da ultimo Cass. 4803/1992.
[34] a sostegno di questo orientamento ricorre Cass. 5564/2001, in cui si è escluso che l’esercizio del diritto ex art 841 cc, ovvero la facoltà di ricingere in qualsiasi tempo un proprio fondo, costituisca atto emulativo.
[35] cfr. Caringella F., De Marzo G., Manuale di diritto civile, Giuffrè, I, 2007, 530.
[36] vedi Trib. civ. di Reggio Emilia, sez. 2, 7 luglio 2015, n.964.
[37] cfr. Digesto. Discipline privatistiche. Sezione civile, Utet, IV, 1989, 18.
[38] cfr. Turco C., Lezioni di diritto privato, Giuffrè, 2011, 168.
[39] cfr. Lipari N., Rescigno P., Diritto civile, Giuffrè, II, 2009, 72.
[40] cfr. Caringella F., De Marzo G., Manuale di diritto civile, Giuffrè, I, 2007, 531: richieste non accolte vertevano sull’imperituro omaggio da parte della giurisprudenza alla lettura soggettiva dello scopo emulativo che viene inteso come non una semplice scientia (così desiderato dalla dottrina), ma addirittura un vero e proprio animus nocendi, nonostante il testo dell’art 833 cc si riferisce all’azione, e non al soggetto; è altresì contestato l’immodificato orientamento che limita l’ambito di operatività del divieto ai soli atti commissivi.
[41] basti pensare al caso tipico in cui è invocato il divieto ex art 833 cc, ovvero l’ostruzione della veduta panoramica: è chiaro che in questo caso è inammissibile il ricorso all’art 2043 cc vista la mancanza del danno in senso tecnico derivante da tale condotta.
[42] cfr. Caringella F., De Marzo G., Manuale di diritto civile, Giuffrè, I, 2007, 531.
[43] vedi Cass. 1509/1986.
[44] vedi Cass. 6949/1999.
[45] ciò è consentito ex art 904 co 1 cc che recita: “la presenza di luci in un muro non impedisce al vicino di acquistare la comunione del muro medesimo né di costruire in aderenza”.
[46] vedi Cass. 12759/1992.
[47] vedi Cass. 5421/2001.
[48] cfr. Colangero Gennarino, Atti di emulazione in ambito condominiale, in Il Foro Malatestiano, 2016, I, 10.
[49] vedi Trib. civ. di Roma del 15 Novembre 2021.
[50] vedi Cass. 1209/2016.
[51] vedi Cass. 12732/2005.
[52] cfr. Colangero Gennarino, Atti di emulazione in ambito condominiale, in Il Foro Malatestiano, 2016, I, 10.
[53] vedi Cass. 4803/1992, Cass. 4105/1996; in ultimo Cass. 1267/1996.
[54] cfr. Il Foro Italiano, Luglio-Agosto 1996, Vol. 119, No. 7/8, 2464: Gambaro, in Il diritto di proprietà, in Trattati Cicu-Messineo, Milano, 1995, VIII, 482, sostiene la sostanziale cancellazione della norma.
[55] cfr. Gambaro A., Emulazione, voce del Digesto civ., Torino, 1991, VII, 439.
[56] cfr. Dossetti G., Atti emulativi, voce dell’Enciclopedia Treccani, Roma, 1988, III, 4: in particolare l’autore si riferisce all’osservanza delle norme sulle distanze.
[57] vedi Cass. 164/1981, Cass. 173/1983, Cass. 1209/2012.
[58] vedi Cass. 12258/1997, Cass. 3275/1999; da ultimo Cass. 12794/2019.
[59] vedi Cass. 2971/1976.
[60] cfr. Il Foro Italiano, 1978, Vol. 101, Parte Prima: giurisprudenza costituzionale e civile, 745.
[61] cfr. Colangero Gennarino, Atti di emulazione in ambito condominiale, in Il Foro Malatestiano, 2016, I, 9.
[62] vedi Cass. sez. lavoro 9501/1995.
[63] cfr. Digesto. Discipline privatistiche. Sezione civile, Utet, IV, 1989, 17.
[64] invece che creare una palizzata in modo tale da impedire al vicino di consentire il volo di dirigibili, il proprietario del fondo costruisce un grattacielo od un rudimentale osservatorio astronomico, anche se di fatto non abbia alcun interesse in queste costruzioni.