La rubricazione “Occupazione di porzione di fondo attiguo” dell’art 938 cc indica sin da subito all’interprete uno dei requisiti necessari per l’applicazione della norma in tema di accessione invertita. Il codice infatti prevede che l’occupazione in buona fede di una porzione di un fondo confinante mediante costruzione di un edificio da parte del vicino comporta il trasferimento in capo a quest’ultimo della proprietà del suolo se non perviene opposizione da parte del reale dominus, previo pagamento a favore di questo del doppio del valore del fondo occupato.
Da questa prima scarna definizione emerge la giustificazione che sta dietro al termine “accessione invertita” utilizzato per riferirsi a tale norma: il meccanismo per cui la proprietà della costruzione abusiva non si trasferisce al proprietario del fondo su cui viene eretta – ma al contrario, la porzione del fondo alla base dell’edificio stesso diviene del costruttore abusivo – fa ben comprendere la deroga che la regola “superficies solo cedit” ex art 936 cc subisce a determinate condizioni stabilite dall’art 938 cc.
Storicamente parlando, l’art 938 cc trova il suo corrispondente nel codice civile del 1865 all’art 452[1], nonostante il codice del 1942 abbia apportato delle innovazioni: fermo restando il pagamento di un’indennità ed il valore della stessa, il legislatore novecentesco introduce il termine trimestrale entro cui il proprietario del fondo occupato deve fare opposizione per evitare il trasferimento della proprietà a favore del vicino.
Accessione come modo di acquisto della proprietà
Sin dalle prime origini del diritto romano l’accessione è sempre stata annoverata tra i modi di acquisto della proprietà, istituto che trova cittadinanza anche nel codice civile all’art 934 cc: “qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo […]”. La dottrina a tal riguardo distingue la trattazione giuridica dell’accessione in tre categorie: i) accessione di mobile ad immobile; ii) accessione di immobile ad immobile; iii) accessione di mobile a mobile[2]. Alla luce di questa impostazione dottrinale, è rilevante dar conto dell’appartenenza tipologica dell’art 934 cc alla prima categoria. Questa norma infatti esplicita l’antico principio generale – che affonda le radici nel diritto romano – del “superficies solo cedit”[3], ovvero la superficie cede al suolo: l’art 934 cc infatti introduce nel codice civile la regola per cui “la proprietà di una cosa qualificabile come principale fa acquisire la proprietà delle cose qualificabili come ad essa accessorie”[4]. Emerge quindi il carattere esemplificatorio del brocardo romano suesposto rispetto a quest’ultimo principio, visto che il fondo è sempre considerato principale rispetto ad ogni altra cosa, quand’anche le cose incorporate dovessero avere un valore di mercato maggiore[5]. Applicando tale principio, ad esempio, il proprietario del suolo che dà incarico ad una impresa edile di costruire su un suo fondo diviene proprietario dei materiali di costruzione man mano che vengono uniti al fondo[6].
Accessione invertita
L’istituto dell’accessione invertita è disciplinata dall’art 938 cc rubricato “Occupazione di porzione di fondo attiguo” che recita: “Se nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo attiguo, e il proprietario di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, l’autorità giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell’edificio e del suolo occupato. Il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni”.
Dalla lettura di questa norma, risalta sin da subito il carattere derogatorio di questo articolo rispetto al principio alla base dell’accessione “superficies solo cedit” infatti, invece di trasferire la proprietà di parte dell’edificio sul fondo altrui al proprietario di questo, il costruttore ha diritto di acquisire la proprietà del suolo abusivamente occupato alla ricorrenza di determinati requisiti: in questo caso è il fondo a cedere a quanto sussiste sopra di esso. Anche la Cassazione avalla tale lettura dell’art 938 cc, secondo cui viene capovolta la direzione in cui opera l’acquisto per accessione, attribuendo al costruttore, al ricorrere delle previste condizioni ed ad una valutazione di opportunità del giudice, la proprietà del suolo occupato con il proprio edifico[7].
Le condizioni che devono sussistere congiuntamente affinché possa operare l’art 938 cc sono: i) il vicino deve costruire un edificio[8] occupando in parte il fondo contiguo[9] per cui la costruzione viene ad insistere a cavallo tra due fondi[10]; ii) la parte della costruzione realizzata sul terreno altrui non deve essere funzionalmente autonoma[11]; iii) il costruttore deve essere in buona fede[12]; iv) il proprietario del fondo occupato illegittimamente non deve aver fatto opposizione entro 3 mesi dalla data di inizio della costruzione[13]. Qualora ricorrano tutti i suddetti presupposti, il proprietario della costruzione ha diritto a chiedere, ma non pretendere, al giudice che pronunci una sentenza di natura costitutiva[14], infatti, tenuto conto delle circostanza, l’autorità giudiziaria può disporre il trasferimento del diritto di proprietà della parte del fondo altrui occupato, ed obbligare il costruttore al pagamento dell’indennità[15].
Al contrario, non opera l’art 938 cc sia in caso di mancanza di uno dei requisiti suesposti, sia qualora lo sforamento da parte del vicino avvenga in senso non orizzontale, ma verticale, come può capitare ad esempio in ambito condominiale, per mano di un proprietario di un’unità immobiliare a detrimento di un altro condomino sito in un piano sovrastante o sottostante[16].
Approfondiamo ora la posizione della giurisprudenza riguardo ad alcuni aspetti cruciali dell’accessione invertita.
Buona fede
L’art 938 cc indica come requisito per la sua applicazione anche uno specifico movente psicologico del costruttore: è infatti necessario che lo stesso sia in buona fede nel momento in cui costruisce sforando nel fondo altrui. A tal riguardo la Cassazione si è più volte espressa per delineare il necessario atteggiamento interiore che si deve avere per far sì che operi l’accessione invertita. Si è in primo luogo affermato che la buona fede che rileva ai fini dell’art 938 cc è quella che consiste nel convincimento ragionevole del costruttore di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione[17]. Il supremo consesso ormai è granitico anche nell’identificazione come parametro per la valutazione della sussistenza della buona fede, la ragionevolezza dell’uomo medio e il convincimento che questi poteva formarsi legittimamente circa l’esecuzione della costruzione sul proprio suolo, in base alle cognizioni effettivamente possedute o che avrebbe potuto acquisire con un comportamento diligente[18]. Conseguentemente la sussistenza della buona fede va esclusa nel caso in cui il costruttore, in relazione a particolari circostanze, avrebbe dovuto sin dall’inizio anche solo dubitare della legittimità dell’occupazione del suolo vicino[19], ovvero qualora, seppur convinto del suo diritto di proprietà, si sia fatto ragione da sé e sia entrato in possesso della porzione di fondo nel quale ha edificato mediante uno spoglio del possesso altrui[20].
Interessante è anche l’orientamento maggioritario (seppur non univoco[21]) degli Ermellini per cui la buona fede deve perdurare nell’animo del costruttore fino alla fine dei lavori di costruzione[22].
Molto più articolato è invece il discorso riguardo all’onere probatorio in relazione alla buona fede del costruttore: si è infatti affermato che la buona fede ai fini dell’accessione invertita deve essere dimostrata, e non si può presumere[23]. Non solo, si è anche sostenuto che ciò comporta l’incombenza dell’onere sul costruttore (a differenza delle ipotesi sull’istituto del possesso disciplinate ex art 1147 cc[24]), che può usufruire di ogni tipologia di mezzo di prova, anche di elementi indiziari nei limiti ex art 2729 cc[25]: tale apertura così totale della giurisprudenza nei confronti dei mezzi probatori trova giustificazione nella natura dell’oggetto della prova, ovvero la buona fede, che consiste in un elemento soggettivo, la cui dimostrazione non può basarsi su prove dirette, ma sulla valutazione di elementi indiretti[26]. Quindi, sulla base di questa tipologia di prova, il giudice dovrà accertare se il costruttore era in una situazione psicologica tale da ricondurla alla suesposta buona fede. Da citare la sent. 20/06/2013 della Corte d’Appello di Firenze, in cui i giudici hanno escluso che la mancata opposizione dei confinanti entro tre mesi integrasse la sussistenza della buona fede in capo ai costruttori, essendo infatti questi due requisiti autonomi e diversi che entrambi devono concorrere[27].
Per ben comprendere la nozione di buona fede che deve ricorrere nell’art 938 cc, risulta utile paragonare tale nozione con quella necessaria per l’applicazione dell’art 936 co 4 cc in riferimento alle opere fatte da un terzo con materiali propri[28]. La Cassazione con sent. 9093/2018 ha analiticamente delineato i tratti differenziali (non immediati da comprendere) tra la nozione di buona fede contenuta nell’art 938 cc e quella contenuta nell’art 936 co 4 cc[29]: nel primo caso il costruttore sa di costruire su un proprio fondo e ha la convinzione che i confini del suo terreno siano diversi rispetto a quelli reali, tanto da occupare parte della proprietà contigua. Nel secondo caso invece la buona fede del costruttore sussiste qualora questo abbia la convinzione di essere proprietario del terreno su cui costruisce: in altre parole si ha buona fede se il costruttore è convinto di essere proprietario del fondo su cui realizza la costruzione la cui sussistenza non può prescindere dalla dimostrazione dell’esistenza di un titolo di proprietà.
Nozione di costruzione
I giudici di ultima istanza hanno nel corso del tempo anche delineato una nozione specifica di costruzione affinché possa operare il disposto dell’art 938 cc. Infatti, da ultimo Cass. 16331/2020 ha ricordato un orientamento granitico per cui l’art 938 cc può applicarsi solo in riferimento all’occupazione del fondo contiguo mediante costruzione di un edificio, cioè “di una struttura muraria complessa idonea alla permanenza nel suo interno di persone e di cose, non potendo, quindi, essere invocato con riguardo ad opere diverse, quali un muro di contenimento o di divisione”[30]: quindi solo un edificio connotato da stabilità e complessità consente al costruttore di rivendicare la proprietà del suolo occupato. La ragione fondante questo indirizzo è da ricondurre alla natura derogatoria di questo istituto: l’accessione invertita infatti costituisce un’eccezione sia al principio generale dell’acquisto per accessione, che allo ius utendi ab utendi riconosciuto al proprietario ex art 832 cc[31] . Per la stessa ragione appena esposta, si ritiene che l’operatività dell’art 938 cc sia preclusa anche nel caso di costruzione eseguita in tutto od in parte su un suolo di proprietà comune del costruttore e di terzi: in tal caso si applicano le norme relative alla comunione ex art 1100 cc[32].
Indennità
Occorre preliminarmente analizzare i rapporti giuridici intercorrenti tra il costruttore e il proprietario del fondo occupato. Infatti la normativa ex art 938 cc origina e disciplina due rapporti giuridici tra loro dipendenti: da un lato il diritto del costruttore di rivendicare la proprietà del suolo occupato e d’altro lato il diritto del proprietario del suolo illegittimamente occupato di ricevere un’indennità[33]. La Cassazione ha anche precisato che la giustificazione causale dell’indennizzo in capo al proprietario espropriato si rinviene proprio dal trasferimento coattivo della proprietà al costruttore[34]: solo se si verifica questa ultima condizione trova ragion d’essere il pagamento del doppio del valore del suolo, “essendo questo previsto come diretto a compensare il dominus soli per il sacrificio coattivo della sua proprietà, attribuita al costruttore per effetto della sentenza emessa ai sensi dell’art 938 cc”[35]. Conseguentemente, tale situazione di unitarietà che contraddistingue questi due rapporti giuridici si riverbera anche nell’attuazione in via giurisdizionale, stante il fatto che il giudice non può accogliere la domanda diretta a far valere l’obbligazione indennitaria senza attribuire contestualmente al costruttore la proprietà dell’edificio e della superficie occupata[36].
Andiamo ora a trattare di alcuni aspetti specificamente legati all’indennità: l’art 938 cc fa riferimento all’importo – pari al doppio del valore della superficie occupata – che il costruttore deve al proprietario del fondo occupato. A tal riguardo quindi il parametro di riferimento per il calcolo dell’indennizzo è proprio il valore venale del suolo[37] abusivamente occupato, a cui la legge aggiunge anche il risarcimento del danno patito[38].
Per quanto riguarda la natura di questa obbligazione indennitaria, la giurisprudenza consolidata la riconduce alla categoria del debito di valore. Infatti essa è finalizzata da un lato a ricostruire il patrimonio del proprietario del fondo occupato e, dall’altro, a ricompensarlo degli incrementi potenziali di valore non documentabili. L’implicazione è che il giudice in sede di liquidazione dell’indennità suddetta, deve tenere in considerazione la svalutazione monetaria sopravvenuta fino al momento della sua decisione “a prescindere alla prova della sussistenza di uno specifico pregiudizio dell’interessato dipendente dal mancato tempestivo conseguimento dell’indennizzo medesimo”[39]. Inoltre la Cassazione, in relazione al debito di valore, ritiene che “gli interessi per il ritardo nel pagamento della somma dovuta costituiscono una componente implicita nella domanda risarcitoria”[40]. Questo principio infatti è applicato dal Supremo Consesso anche in riferimento all’obbligazione indennitaria ex art 938 cc, per cui il giudice, nel liquidare detta indennità, deve riconoscere sulla relativa somma, anche d’ufficio, gli interessi compensativi, a far data dalla domanda[41]. A ciò poi si ricollega il fatto che il costruttore, pur dovendo fare domanda per ottenere l’attribuzione della proprietà del suolo occupato, non debba anche offrire una congrua indennità, il cui ammontare spetta al giudice[42].
Aspetti processuali
Dal punto di vista processuale la disciplina ex art 938 cc suscita due interessanti osservazioni che vengono ben delineate da Cass. 3899/2017. Si è detto in precedenza dei due rapporti giuridici interconnessi tra il costruttore e proprietario del fondo occupato: gli Ermellini ritengono che proprio questa vicenda unitaria in reciprocità causale giustifica il fatto che l’accoglimento della domanda diretta a far valere obbligazione indennitaria può essere accordato solo se il proprietario del fondo abbia contemporaneamente richiesto l’acquisto coattivo della proprietà del suolo in favore del costruttore convenuto. Ciò in quanto la condanna al pagamento del doppio del valore del suolo trova fondamento del contestuale trasferimento della proprietà della porzione di suolo occupata.
Un secondo aspetto delineato nelle motivazioni della Cass. 3899/2017 riguarda l’aspetto della legittimazione attiva dell’azione ex art 938 cc. Nel caso di specie infatti, colui che aveva agito in giudizio non era il vicino costruttore – secondo il modello figurato dalla previsione legislativa – ma il proprietario del suolo occupato, il quale era interessato a ricevere l’indennizzo. A tal riguardo la Suprema Corte ha ricordato come con sent. 763/1974, era stato superato il precedente orientamento che riconosceva solo in capo al costruttore abusivo il diritto di azionare il meccanismo ex art 938 cc. Conseguentemente, visto che tale normativa ha come ratio la tutela dei contrapposti interessi di ambo i soggetti in questione, le azioni giudiziarie originate dall’articolo in questione possono essere esperite anche dal proprietario del fondo illegittimamente occupato, anche nell’inerzia del costruttore, restando però salva la possibilità di quest’ultimo di demolire l’edificio abusivamente eretto per far sì che venga meno una delle condizioni di operatività dell’art 938 cc e dunque evitare il pagamento dell’indennità.
Confronto tra art. 938 c.c. e art. 936 c.c.
Prima di procedere ad un’analisi comparativa dei disposti degli artt 938 cc e 936 cc, occorre riportare il testo dell’art 936 co 1 cc rubricato “Opere fatte da un terzo con materiali propri”: “Quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle”. Interessanti poi sono il co 4 – secondo cui “Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni ed opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede” – e il co 5 che recita “La rimozione non può essere domandata trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione”.
Da una lettura del suddetto articolo, si possono subito notare alcune somiglianze all’art 938 cc in riferimento alla fattispecie prospettata, seppur l’operatività dell’accessione invertita presuppone condizioni ulteriori rispetto a quelle previste per l’applicazione dell’art 936 cc. In particolare, la giurisprudenza ha in primo luogo affermato che la norma ex art 938 cc non regola la fattispecie di occupazione completa del fondo altrui con la costruzione, situazione che, invece, risulta regolata dal disposto ex art 936 cc[43]. Così afferma graniticamente Cass. 16331/2020: l’art 938 cc “si riferisce esclusivamente alle ipotesi di sconfinamento, ovvero di costruzione giacente in parte sul terreno del costruttore ed in parte sul terreno altrui, non trovando, perciò, applicazione nelle ipotesi di costruzione interamente eseguita sul fondo altrui, che sono invece regolate dall’art. 936 cc”.
Secondariamente, si è analizzato anche il caso di rigetto della domanda ex art 938 cc in riferimento allo sconfinamento privo delle ulteriori condizioni necessarie per l’applicazione dell’occupazione acquisitiva: in questo specifico caso, gli Ermellini hanno negato l’operatività delle limitazioni allo ius tollendi riconosciuto al dominus soli prescritte ai suddetti co 4 e co 5 dell’art 936 cc, in quanto la loro applicazione presuppone necessariamente la realizzazione di opere da parte di un terzo interamente su un fondo altrui. Conseguentemente, si ritiene escluso il ricorso all’art 936 cc nel caso di rigetto della domanda di riconoscimento dell’accessione invertita – seppur esistendo uno sconfinamento con una costruzione sul fondo finitimo – per mancanza degli altri requisiti richiesti dal legislatore (ad esempio la buona fede del costruttore o la manifestazione dell’opposizione da parte del proprietario del fondo occupato). Di contro, nei casi in cui il rigetto della qualificazione della situazione giuridica come rientrante nell’ambito dell’accessione invertita sia dipeso dalla mancata considerazione del manufatto come edificio alla luce delle caratteristiche richieste dalla legge[44], tali opere edili vanno guardate di per sé sole e dunque sembrano attratte dalla disciplina ex art 936 cc[45].
Applicazione dell’art. 938 c.c. per tutelare le distanze legali
In passato si è tentato di invocare la disciplina dell’accessione invertita da parte di chi, in buona fede, edifica una costruzione a distanza inferiore da quella prescritta, previa regolare concessione edilizia. Sin da subito però è emersa una incompatibilità tra la disciplina ex art 938 cc e quella riguardante le distanze legali regolate dall’art 872 ss cc. In Cass. 40851/2021, si evidenzia infatti che la normativa avente a riguardo l’occupazione acquisitiva presuppone l’acquiescenza del proprietario del fondo occupato, perdurante per tre mesi dall’inizio dei lavori edili, mentre la disciplina del distacco legale tra edifici ha natura perentoria, e non subordinata alla discrezionalità del proprietario vicino. Non di meno, l’art 872 cc prescrive la riduzione in pristino della costruzione nel caso in cui l’edificio non rispetti la disciplina codicistica delle distanze legali.
A nulla è valsa la questione di legittimità sollevata riguardo alla disciplina ex art 873 ss cc in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost, mozione dichiarata subito manifestatamente infondata da Cass. 25501/2014. In quella sede infatti la Suprema Corte ha negato l’operatività dell’art 938 cc nei caso di violazioni delle distanze legali in quanto la disciplina del distacco tra edifici rientra nelle norme che tutelano la proprietà nella dimensione pubblicistica, e dunque sono norme indisponibili. Di diverso tipo è invece l’art 938 cc, che invece attiene solo ai rapporti privatistici tra individui, e che, come detto in precedenza, costituisce un’eccezione al panorama giuridico civilistico: da ciò è giustificata la totale arbitrarietà del dominus soli illegittimamente occupato di consentire, mediante silenzio assenso, all’acquisizione della proprietà da parte del vicino occupante.[46]
Cenni sull’occupazione acquisitiva da parte delle pubbliche amministrazioni
Un breve cenno merita l’istituto dell’occupazione acquisitiva ad opera delle Pubbliche Amministrazioni, che trova pieno fondamento nell’accessione invertita ex art 938 cc. La fattispecie cui si fa riferimento con questo termine è l’occupazione di un fondo privato da parte delle PA durante il corso di una procedura di espropriazione, ed in particolare quando tale occupazione diventa illegittima per scadenza del termine previsto, ovvero nei casi in cui l’occupazione sia avvenuta senza titolo, e quindi sia illegittima fin dall’inizio[47]. In passato la giurisprudenza usava distinguere le casistiche in occupazione acquisitiva ed occupazione usurpativa, a seconda che la proprietà del fondo avesse subito una irreversibile destinazione alla realizzazione di un’opera pubblica, e dunque si fosse in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità, o meno. Solo nel primo caso il privato che si vede occupare abusivamente il proprio fondo per mano delle Pubbliche Amministrazioni non aveva più alcun mezzo giuridico per scongiurare la perdita del diritto di proprietà: si verificava infatti il passaggio dell’area nella proprietà delle PA.
Questo orientamento però ha suscitato moltissimi dubbi dal punto di vista giuridico, tanto da arrivare dinnanzi al giudizio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: con sentenza 30 Maggio/30 Agosto 2000 i giudici di Strasburgo hanno ritenuto illegittimo l’istituto dell’occupazione acquisitiva in quanto contrario al principio di legalità e non arbitrarietà che deve caratterizzare l’ambito di operatività delle Pubbliche Amministrazioni[48]. In linea con questa pronuncia, si cita l’intervento ordinatorio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con sent. n. 735 del 19 gennaio 2015, ha dichiarato, in tema di occupazione acquisitiva, la natura di illecito di diritto comune che non determina il trasferimento della proprietà del bene all’Amministrazione, mentre fa sorgere la responsabilità in capo alle PA verso il soggetto privato danneggiato. Ergo emerge che nei casi prospettati, l’occupazione di un terreno privato ha natura di illecito permanente che cessa quindi solo per effetto della restituzione del bene, o di un accordo transattivo tra le parti, o della compiuta usucapione da parte dell’occupante, o di rinuncia del proprietario al suo diritto (che risulta implicita nella richiesta del risarcimento del danno per equivalente), ovvero di acquisizione sanante[49] disciplinata dall’art 42 bis DPR 327/2001[50].
[1] L’art 452 codice civile del 1865 recita “Se nella costruzione di un edifizio si occupasse in buona fede una porzione del fondo attiguo, e la costruzione si fosse fatta a saputa e senza opposizione del vicino, potranno l’edifizio ed il suolo occupato essere dichiarati di proprietà del costruttore, il quale però sarà tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio valore della superficie occupata oltre al risarcimento dei danni”.
[2] cfr. Galgano F., Diritto privato, Wolters Kluwer, Milano, 2019, 159 ss.; cfr. Torrente A. e Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, 292 ss.; cfr. Zatti P. e Colussi V., Lineamenti di diritto privato, Wolters Kluwer, 2015, 255.; cfr. Tramontano L., Compendio di diritto civile, LaTribuna, Piacenza, 2020, 404.
[3] cfr. Istituzioni di Gaio, G. 2.73: “Praeterea id, quod in solo nostro ab aliquo aedificatum est, quamuis ille suo nomine aedificauerit, iure naturali nostrum fit, quia superficies solo cedit” (trad. : Inoltre tutto ciò che sul nostro suolo è edificato da qualcuno, sebbene sia stato edificato in nome di questo, sarà per diritto naturale nostro, poiché la superficie accede al suolo).
[4] cfr. Galgano F., Diritto privato, Wolters Kluwer, Milano, 2019, 159. Analogamente Tramontano L., Compendio di diritto civile, LaTribuna, Piacenza, 2020, 404: il bene accessorio segue la sorte di quello principale. Da qui il termine “accessione”, ove per accedere si intende “andare verso, unirsi a”.
[5] cfr. Torrente A. e Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, 293.
[6] vedi Galgano F., Diritto privato, Wolters Kluwer, Milano, 2019, 159.
[7] vedi Cass. 3899/2017.
[8] vedi paragrafo 3.2.
[9] cfr. Tramontano L., Compendio di diritto civile, LaTribuna, Piacenza, 2020, 407.
[10] cfr. cfr. Torrente A. e Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, 293.
[11] cfr. Torrente A. e Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, 293. : nel caso in cui lo sforamento sul terreno altrui avvenga mediante erezione di un edificio autonomo rispetto al fondo di proprietà del costruttore, si applicherà la regola della “superficies solo cedit”.
[12] vedi paragrafo 3.1.
[13] Il termine dei 3 mesi dall’inizio della costruzione è considerato ai fini della decadenza ex art 2964 ss cc.
[14] vedi Cass. 3899/2017: la pronuncia del giudice ha natura costitutivo-traslativa, ed è destinata ad attuare un trasferimento coattivo della proprietà cui va riconosciuto carattere derivativo.
[15] Per comprendere il rapporto sussistente tra trasferimento del diritto di proprietà e obbligo di pagamento dell’indennità vedi paragrafo 3.3.
[16] cfr. Tramontano L., Compendio di diritto civile, LaTribuna, Piacenza, 2020, 407.
[17] vedi Cass. 12033/2022.
[18] vedi ord. Cass. 11845/2021; sent. Cass. 3303/2020; sent. Cass. 2589/1997; da ultimo sent. Cass. 12033/2022.
[19] vedi Cass. 1393/1986; 4774/2005; 345/2011; 20323/2021; da ultimo Cass. 12033/2022.
[20] vedi Cass. 2398/1983 e Cass 12033/2022.
[21] vedi Cass. 12230/2002: il requisito della buona fede del costruttore, ai fini della declaratoria dell’accessione invertita ex art. 938 c.c., deve sussistere solo nel momento iniziale, in cui nell’effettuare la costruzione di un edificio il costruttore operi inconsapevolmente lo sconfinamento sul fondo altrui, laddove non è richiesto che persista oltre tale momento, né tanto meno fino al completamento dell’opera.
[22] vedi Cass. 9786/1997; 3058/1999; 4774/2005; da ultimo Cass. 26509/2018
[23] ciò perché ci si trova in una situazione di mancanza di una previsione analoga a quella dettata in tema di possesso ex art 1147 cc in cui si prevede ex lege la presunzione di buona fede (vedi Cass. 12033/2022).
[24] Un interessante paragone tra la nozione di buona fede in tema di accessione invertita e quella necessaria per configurare il possesso è fornito da Tramontano L., Compendio di diritto civile, LaTribuna, Piacenza, 2020, 407: “la buona fede richiesta ai fini dell’accessione invertita è più ristretta di quella necessaria per integrare il possesso in buona fede […] per la cui configurabilità è sufficiente l’ignoranza, non dipendente da colpa grave, di ledere l’altrui diritto […].”
[25] vedi Cass. 1599/1986 e Cass. 12033/2022.
[26] Così in motivazione Cass. 12033/2022.
[27] Così confermato in Cass. 20348/2017.
[28] L’art 936 co 4 recita: “il proprietario [del fondo ove il terzo ha fatto piantagioni, o costruzioni o opere] non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni o opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione, o quando sono state fatte dal terzo in buona fede”.
[29] Nel caso di specie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato perché il ricorrente ha ritenuto la sussistenza della sua buona fede invocando però l’operatività di quella ex art 938 cc, invece applicare quella adeguata al caso concreto, ovvero ex art 936 cc.
[30] vedi Cass. 1018/1984; 15539/1992; 8509/1998; 3676/1999; 3189/2003; 23018/2012; 13650/2017.
[31] vedi Cass. 13650/2017.
[32] vedi Cass.6177/2011; da ultimo Cass. 9879/2018: in tal maniera infatti non è ravvisabile alcuna disparità irragionevole di trattamento tra comunista e terzo.
[33] vedi Cass. 3899/2017.
[34] vedi Cass. 2970/1959 e da ultimo Cass. 3899/2017.
[35] vedi Cass. 3899/2017: in altri termini il Supremo Consesso ribadisce che “l’indennità è dovuta dal vicino costruttore in quanto questi sia in grado di ottenere, reciprocamente, l’acquisto coattivo della proprietà del suolo altrui occupato con il proprio edificio”.
[36] vedi Cass. 3899/2017.
[37] vedi Cass. 12033/2022
[38] vedi Cass. 15739/2017: la Cassazione censura l’operato della Corte distrettuale che ha omesso la decisione in riferimento al risarcimento del danno – anche di fronte all’esplicita domanda del Comune di Spello – perché “il risarcimento del danno è esplicitamente contemplato dalla normativa di cui all’art 938 cc”.
[39] vedi Cass. 3706/2013; 15739/2017; da ultimo Cass. 6973/2017.
[40] vedi Cass. 24858/2005; 10825/2007; da ultimo Cass. 6973/2017: come tali, [gli interessi] non solo spettano di pieno diritto al danneggiato, anche in assenza di un’espressa richiesta, ma sono dovuti anche in mancanza di una prova rigorosa del mancato guadagno, potendo tale prova essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice ricorrendo a criteri presuntivi ed equitativi, previa valutazione delle circostanze attinenti al caso specifico.
[41] vedi Cass. 3706/2013, 6973/2017.
[42] vedi Cass. 1404/1986; da ultimo Cass. 12033/2022: il giudice, nel determinare l’ammontare dell’indennizzo, non è neppure “vincolato dall’entità dell’offerta compiuta dal costruttore, nè dalla condotta processuale dello stesso, che può indicare quella indennità anche in appello nonché modificarla, senza che la sua attività processuale al riguardo resti soggetta ai dettami degli artt. 345 e 346 cpc.”.
[43] vedi Cass. 23707/2014; Cass. 16331/2020; da ultimo Cass. 39370/2021.
[44] cfr. par. 3.2.
[45] vedi Cass. 16331/2020.
[46] vedi da ultimo Cass. 40851/2021.
[47] vedi Zatti P. e Colussi V., Lineamenti di diritto privato, Wolters Kluwer, 2015, 259.
[48] L’illegittimità riscontrata dalla Corte EDU trova anche fondamento nell’art 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione EDU secondo cui la privazione del diritto di proprietà è ammessa solo per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
[49] vedi la motivazione di Cass. SU 735/2015.
[50] L’art 42 bis DPR 327/2001 recita: “Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo”.