Immissioni di rumore da impianti di ventilazione: chiarimento della Cassazione

in Giuricivile, 2019, 6 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., sez. II civ., sent. n. 6906 dell'11.03.2019

La Corte di Cassazione, con la sentenza in epigrafe, ha affrontato un interessante nonché recente tema relativo alla disciplina delle immissioni sonore, definendo con ciò, l’ormai dibattuta questione inerente il limite di tollerabilità delle stesse immissioni.

Da un punto di vista fattuale la fattispecie appare ben delineata, avendo il proprio incipit nel ricorso nanti la Suprema Corte, proposto dalla Società X, titolare di un salumificio sito in uno stabile condominiale.

Oggetto della contesa riguardava l’emissione di rumori provenienti dagli impianti di ventilazione e refrigerazione dei quali si avvaleva l’impresa e che, per l’appunto, venivano ritenute superiori al limite della normale tollerabilità e, come tali, oggetto di immediata censura.

Dal Giudice di seconde cure, peraltro, le predette immissioni venivano ritenute superiori al criterio della normale tollerabilità (dopo confronto del rumore prodotto dalla sorgente indagata con il rumore di fondo) per tutti gli ambienti campionati sia nel periodo diurno che in quello notturno.

Veniva, pertanto, disposto nella sentenza di secondo grado l’immediato intervento atto alla rimozione delle suddette immissioni, o intervenendo direttamente sul fabbricato o eliminando le stesse fonti dei rumori anche interrompendo il processo lavorativo.

Adiva, quindi, la società X la Suprema Corte articolando il proprio ricorso principalmente sul motivo di violazione e falsa applicazione dell’articolo 844 c.c. in combinato disposto con la L. n. 447 del 1995.

In particolare, lamentava la ricorrente l’esclusione dell’applicabilità della l. n. 447 del 1992 perché la stessa perseguirebbe interessi pubblici e non quelli tra privati e sarebbe, quindi, inapplicabile al caso di specie.

La decisione della Corte

La Suprema Corte ha ribadito il proprio orientamento, ad effetto del quale le leggi ed i regolamenti che disciplinano le attività produttive e che fissano le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità in materia di immissioni perseguono interessi pubblici, disciplinando in via generale ed assoluta i livelli di accettabilità delle immissioni al fine di assicurare alla collettività il rispetto dei livelli minimi[1].

Ciò significa che “il superamento di tali livelli è, senza dubbio alcuno, illecito, mentre l’eventuale non superamento non può considerarsi senz’altro lecito, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità essere effettuato alla stregua dei principi stabiliti dall’articolo 844 c.c[2]

La sentenza impugnata, quindi, ha correttamente seguito tali principi avendo specificato che “alla materia delle immissioni sonore o da vibrazioni o scuotimenti atte a turbare il bene della tranquillità nel godimento degli immobili adibiti ad abitazione, non è applicabile la l. 26.10.1995 n. 447 sull’inquinamento acustico, poiché tale normativa, come quella contenuta nei regolamenti locali, persegue interessi pubblici disciplinando, in via generale ed assoluta, e nei rapporti c.d. verticali fra privati e PA, i livelli di accettabilità delle immissioni sonore al fine di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete”.

Nei rapporti fra privati, infatti, la disciplina delle immissioni moleste in alieno va indiscutibilmente rinvenuta nella disposizione di cui all’articolo 844 c.c. ad effetto del quale “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”.

Alla stregua delle suddette disposizioni, infatti, quand’anche dette immissioni non superino i limiti basati dalle norme di interesse generale, il giudizio in ordine alla loro tollerabilità andrà compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice che tenga conto della particolarità della situazione concreta.

Nel caso di specie, pertanto, la Suprema Corte – confermando quanto già disposto in primo e secondo grado di giudizio- e, valorizzando le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio espletata, perveniva alla conclusione che i lamentati rumori provenienti dai locali gestiti dalla società convenuta superassero effettivamente i limiti della normale tollerabilità.

In conclusione, quindi, ritenendo infondati i motivi di gravame addotti dalla ricorrente la Suprema Corte confermava il danno cagionato dalle immissioni sonore e condannava, altresì, la ricorrente alle spese di soccombenza liquidate ex art. 91 c.p.c.


[1] Cfr ex multis, Cass. Civ. n. 2375 del 2018 o Cass. Civ. 2319 del 2011;

[2] Cass. Civ., Sez II, 11.03.2019;

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