Circolazione stradale: la responsabilità del conducente dello scuolabus

in Giuricivile, 2019, 1 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., sez. VI civ., ord. n. 1106 del 18/1/2019

La Cassazione Civile, Sezione VI, con l’ordinanza n. 1106 del 18.01.2018 ha ribadito un importante principio di diritto in materia di circolazione stradale, imponendo al conducente di uno scuolabus di non riprendere la marcia dopo aver fatto discendere i relativi passeggeri, sino a quando quest’ultimi non si siano portati a debita distanza dal mezzo o non si trovino in condizioni di non interferenza con le manovre di esso.

Incorre, quindi, in vizio di sussunzione il giudice di merito che omette di considerare negligente la condotta di guida del conducente che sia stata accertata non conforme a tale regola di condotta.

Il caso in esame

Tizio e Caia, genitori del piccolo Caietto di anni 4, adivano l’autorità giudiziaria al fine di ottenere l’integrale risarcimento del danno patito a seguito del decesso del proprio figlio.

Infatti Caietto, dopo essere stato investito da un mezzo di proprietà comunale adibito al servizio di “scuolabus”, decedeva a causa delle lesioni riportate.

Ritenevano i genitori, tuttavia, l’evento ascrivibile in toto al conducente del mezzo scolastico il quale, dopo aver fatto scendere i bambini dallo scuolabus, avrebbe ripreso la marcia senza attendere che il piccolo Caietto fosse a distanza di sicurezza.

La difesa dell’istituto assicuratore dello scuolabus, nei gradi di merito, asserendo l’assenza di qualsivoglia responsabilità in capo al conducente medesimo si soffermava sulle seguenti circostanze fattuali:

  • il conducente riprendeva la marcia solo dopo essersi accertato che il bambino fosse stato recuperato dalla madre e che fosse stato dalla stessa preso in braccio;
  • il piccolo Caietto, solo dopo essere stato riposto a terra dalla madre, inciampava nel marciapiede finendo sulla strada ove veniva, sfortunatamente, travolto dalle ruote posteriori dello scuolabus che si trovava, per l’appunto, in fase di ripartenza.

La domanda di Tizio e Caia veniva rigettata in entrambi i gradi di merito, sull’assunto che il conducente del mezzo, una volta accortosi della presenza di Caietto tra le braccia della madre, poteva fare ragionevole affidamento sul fatto che lo stesso si trovasse, ormai, in condizioni di sicurezza e che il mezzo potesse lecitamente ripartire.

Proponevano appello i genitori della vittima.

La Corte, in punto di fatto, accertava che il conducente dello scuolabus avesse correttamente vigilato sulla discesa del bambino dallo scuolabus e che questi, una volta recuperato dalla madre, cadendo dalle braccia della stessa si fosse accidentalmente ritrovato sul manto stradale, ove sfortunatamente transitava il mezzo scolastico.

Sulla base di tali assunti tutti i motivi di gravame dei ricorrenti venivano rigettati, non essendo possibile ravvisare, a detta della Corte, alcuna colpa e/o negligenza nella condotta del conducente.

Riteneva, infatti, il giudice di seconde cure che il conducente dello scuolabus, una volta scorto il bambino tra le braccia della madre, ben avrebbe potuto fare ragionevole affidamento sul fatto che ormai il piccolo si trovasse in condizioni di sicurezza e che, quindi, il mezzo potesse riprendere in condizioni di sicurezza la marcia.

I genitori del piccolo Caietto, quindi, proponevano ricorso in Cassazione, che controparte mirava a far dichiarare inammissibile sulla base del fatto che fosse finalizzato ad ottenere il riesame nel merito dei fatti già accertati dalla Corte d’Appello.

La decisione della Corte

In ordine a questa prima eccezione, la Corte la riteneva infondata sulla base del fatto che, se è vero che il giudizio di legittimità non può estendersi a sindacare gli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito, è altrettanto vero che tale principio non si estende sino a precludere al giudice di legittimità medesimo di stabilire se quello di merito abbia correttamente sussunto, sotto l’appropriata previsione normativa, i fatti da lui accertati.

Nel caso di specie, quindi, ci si trova dinanzi ad un “vizio di sussunzione”, che consiste nello scegliere in modo erroneo quella, tra le norme dell’ordinamento, della quale deve farsi applicazione nel caso concreto.

Nel merito, poi, la Suprema Corte censurava quanto asserito dalla Corte d’Appello con un ragionamento così riassumibile: dopo aver visto il bambino essere ormai sotto la sorveglianza della madre, il conducente poteva ragionevolmente attendersi che fosse questa a badare all’incolumità del piccolo; egli, pertanto, legittimamente trascurò di occuparsi della posizione e della condotta dei due pedoni che si trovavano alla sua destra, in quanto doveva prioritariamente occuparsi di ripartire, e quindi di sorvegliare il sopraggiungere di veicoli dalla sua sinistra.

La Corte d’appello, in sostanza, accertava in punto di fatto come il conducente dello scuolabus avesse lasciato scendere dei passeggeri e fosse ripartito, senza poi occuparsi di dove fossero, perché “l’autista doveva badare al traffico e non poteva prospettarsi una caduta del minore, sotto la diretta sorveglianza della madre che lo teneva per mano

Così giudicando, la Corte d’appello incorreva in un errore di diritto, consistito nella falsa applicazione delle regole del codice della strada regolanti la condotta dei conducenti.

Tale sentenza, pertanto, veniva cassata con rinvio alla Corte d’appello medesima, la quale “dovrà tornare a valutare la colpa del conducente dello scuolabus applicando il seguente principio di diritto”:

“il combinato disposto dell’art. 140 C.d.S., co.1 e art. 191 C.d.S., comma 3, impone al conducente di uno scuolabus di non riprendere la marcia, dopo aver fatto discendere i passeggeri, sino a quando questi ultimi non si siano portati a debita distanza dal mezzo, ovvero non si trovino in condizioni di non interferenza con le manovre di esso. Ne consegue, quindi, che incorre in vizio in iure di sussunzione il giudice di merito che omette di considerare negligente la condotta di guida del conducente che sia stata accertata non conforme a detta regola di condotta

Pertanto, ritenendo sussistente una condotta colpevole del conducente, nonché la sua efficienza causale nella determinazione del sinistro, il giudice di rinvio dovrà valutare in che misura la condotta del conducente, rapportata al reale verificarsi dei fatti, abbia o possa aver contribuito alla determinazione dell’evento in esame.

Il principio di diritto

La questione sottesa alla pronuncia in epigrafe riguarda il combinato disposto degli artt. 140 e 191 del Codice della Strada.

Dispone espressamente l’art. 140 che “Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale

La norma sancisce il principio generale a mente del quale ogni utente della strada (quindi dal pedone al conducente dell’autotreno) deve comportarsi in modo da non costituire pericolo od ostacolo per la circolazione ed in modo tale che sia, in ogni caso, salvaguardata la sicurezza stradale.

È opportuno significare come la locuzione “in ogni caso” significhi che su qualsiasi altra esigenza (di circolazione, di celerità, di efficienza di un servizio) prevale sempre e comunque la salvaguardia dell’incolumità delle persone.

Il successivo disposto ex art. 191 co.3., nel disciplinare la condotta dei conducenti rispetto ai pedoni, stabilisce come gli stessi “devono comunque prevenire situazioni di pericolo che possano derivare da comportamenti scorretti di bambini o anziani, quando sia ragionevole prevederli in relazione alla situazione di fatto

Ebbene, nella pronuncia in oggetto, la Cassazione interpreta il combinato disposto dei suddetti articoli ritenendo che chiunque guidi un autobus, potendo provocare un danno a chi circola a piedi, deve prestare particolare attenzione nella guida, in ragione dell’intrinseca pericolosità dell’attività svolta (peraltro, da sempre attribuita alla circolazione dei veicoli da dottrina e giurisprudenza uniformi, che addirittura rinvengono nell’art. 2054 c.c. l’antecedente originario della norma più generale di cui all’art. 2050 c.c. in tema di responsabilità da esercizio di attività pericolose).

Il concetto di “particolare attenzione” enucleato dalla Corte, quindi, viene interpretato nel senso di un preciso onere gravante sul conducente il quale, quando si tratti di veicoli di dimensioni ingombranti come un autobus, prima di eseguire qualsivoglia manovra dovrà accertarsi non solo che nel raggio di azione del mezzo non vi siano pedoni, ma anche e, soprattutto, che questi non possano ragionevolmente entrarvi o interferirvi.

Pertanto, per quanto sopra evidenziato, il conducente in questione avrebbe avuto l’obbligo di non iniziare o proseguire la manovra quando avvisti intorno a sé medesimo pedoni che tardino a spostarsi e che possano, teoricamente, interferire con la circolazione dinamica del mezzo e, sulla base di questo precetto, la Corte d’appello avrebbe dovuto comparare la condotta del conducente ritenendo la stessa non conforme a quello specifico precetto, dal momento che il conducente medesimo riprese la marcia nonostante vi fossero pedoni nel mezzo della carreggiata.

Ulteriore circostanza idonea a deporre nel senso di una palese responsabilità del conducente e, parimenti, di un errore di valutazione compiuto dal giudice di seconde cure, è stata poi individuata nella errata applicazione dell’art. 191 co.3 C.d.S da parte del conducente medesimo che, qualora avesse rispettato tutte le prescrizioni codicistiche a lui imposte, verosimilmente avrebbe potuto prevenire e, quindi, impedire il verificarsi dell’evento de quo.

In conclusione, quindi, il conducente di uno scuolabus deve aspettare che tutti i diversi passeggeri si siano allontanati prima di riprendere la marcia.

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