Illecito disciplinare avvocato: prescrizione è di 7 anni e mezzo

Nell’ordinamento professionale forense la prescrizione dell’azione disciplinare, al di là degli effetti della sospensione e dell’interruzione, non può essere prolungata di oltre un quarto rispetto ai 6 anni indicati al comma 1 dell’art. 56 della legge n. 247/2012, con la conseguenza che il termine complessivo di prescrizione è pari a 7 anni e mezzo. Tale disciplina segue criteri di natura penalistica in sostituzione dei precedenti criteri di natura civilistica. Lo hanno chiarito le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione (Sentenza 20 dicembre 2024, n. 34735).

La vicenda

Con sentenza resa nel febbraio 2024, il Consiglio Nazionale Forense aveva rigettato il ricorso di un legale iscritto a un Ordine degli Avvocati avverso la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense della Corte d’Appello, che lo aveva ritenuto responsabile degli addebiti oggetto dei capi di incolpazione per avere chiesto compensi professionali superiori a quelli pattuiti dal cliente con una società, compiuto un accaparramento di clientela in base a una convenzione stipulata con essa, nonché assunto il patrocinio del cliente senza adeguata competenza tecnica, quindi applicato la sanzione disciplinare della sospensione di due mesi dall’esercizio dell’attività professionale. Il Consiglio Nazionale aveva condiviso la ricostruzione dei fatti operata dal Consiglio Distrettuale di Disciplina, ritenuto provata la responsabilità, ravvisando quindi la congruità della sanzione disciplinare comminata. Il Consiglio Nazionale aveva acquisito come incontestata la stipulazione di una convenzione con una società, che richiedeva di uniformarsi alle sue direttive e al suo codice deontologico a tutela del cliente, in ragione del fatto che il cliente aveva preventivamente sottoscritto il contratto con la società, regolante i profili dei compensi esigibili dai clienti. Convenzione limitante la indipendenza defensionale e libertà di scelte tecniche e di designazione di altre professionalità eventualmente coinvolte nella tutela della parte assistita. L’avvocato si era impegno a retrocedere alla società una parte dei compensi professionali. Il legale ha proposto ricorso alle Sezioni Unite deducendo la violazione dell’articolo 56 della legge n. 247/2012, per prescrizione dell’azione disciplinare in relazione all’addebito del divieto di accaparramento di clientela, decorrente dalla sottoscrizione, in data prossima anteriore al luglio 2014, della convenzione con la società e consumata, per lo spirare del periodo prescritto (di 6 anni non prolungabile oltre il quarto di durata, e quindi di 7 anni e mezzo) al gennaio 2022, cioè prima della pubblicazione della sentenza impugnata (febbraio 2024), e rilevabile anche in sede di legittimità, non occorrendo indagini di fatto.

Dove sono impugnabili le decisioni del CNF

Le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 56, terzo comma, R.D.L. 1578/1933, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché, ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizio di motivazione, con l’effetto che, salva l’ipotesi di sviamento di potere, in cui il potere disciplinare sia impiegato per una finalità differente rispetto a quella per la quale era stato conferito, l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata, non può essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza (Cass. S.U. n. 20344/2018).

La natura non normativa del Codice deontologico

Il collegio di legittimità ha rammentato che il codice deontologico forense non presenta carattere normativo, essendo costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la professione e garantire la libertà, la sicurezza e l’inviolabilità della difesa, con l’effetto che la violazione del codice rileva in sede giurisdizionale solo quando si colleghi all’incompetenza, all’eccesso di potere o alla violazione di legge, ossia a una delle ragioni per le quali l’articolo 36 della L. 247/2012 consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, per censurare unicamente un uso del potere disciplinare da parte degli ordini professionali per fini diversi da quelli per cui la legge lo riconosce (Cass. S.U., n. 13168/2021).

L’articolo 56 della legge professionale

Nel caso di specie l’addebito di accaparramento di clientela contestato all’Avvocato (in data prossima anteriore al 24 luglio 2014) è risultato soggetto ratione temporis all’art. 56 della legge n. 247/2012, per essere la data del fatto commesso (che individua il regime disciplinare applicabile) successiva alla sua entrata in vigore il 2 febbraio 2013. Esso stabilisce che “l’azione disciplinare si prescrive nel termine di sei anni dal fatto” (primo comma) e che “in nessun caso il termine stabilito nel primo comma può essere prolungato di oltre un quarto” (terzo comma), fissando il termine complessivo di prescrizione dell’azione disciplinare nella misura massima di 7 anni e mezzo dal fatto di rilevanza deontologica (come nel caso di specie, per essere stato il termine di 6 anni interrotto dall’avvio del procedimento disciplinare).

L’eccezione di intercorsa prescrizione

L’eccezione di intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare sollevata in sede di legittimità è ammissibile, essendo rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ove la sua soluzione non comporti indagini fattuali. Essa, nel nuovo ordinamento professionale forense, al di là degli effetti della sospensione e dell’interruzione, non può comunque essere prolungata di oltre un quarto rispetto ai 6 anni indicati nel primo comma dell’art. 56. Di conseguenza, il termine globale di prescrizione dell’azione disciplinare deve intendersi in 7 anni e mezzo (Cass., n. 8558/2023).

La cassazione per intercorsa prescrizione

L’addebito di accaparramento di clientela è stato contestato al legale per avere stipulato una convenzione con una società tramite scrittura privata firmata in data prossima anteriore al 24 luglio 2014, quindi si è prescritto nel gennaio 2022, prima della udienza di discussione e pure della pubblicazione della sentenza impugnata (febbraio 2024). Il ricorso è stato quindi accolto, con la cassazione della sentenza impugnata per la prescrizione dell’azione disciplinare dell’illecito di accaparramento di clientela, e rinvio al Consiglio Nazionale Forense per la nuova determinazione della sanzione e la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra le parti, non avendo il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati svolto attività difensiva.

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