La recente sentenza n. 33398 del 19 dicembre 2024, pronunciata dalla Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, ha discusso il ruolo del giudice ordinario nella verifica delle designazioni ministeriali dei Paesi di origine sicuri. La questione sollevata dal Tribunale di Roma con rinvio pregiudiziale ha permesso alla Suprema Corte di enunciare principi fondamentali in materia, definendo il perimetro del sindacato giudiziario su decisioni amministrative che, pur essendo espressione di discrezionalità tecnica, incidono profondamente sui diritti fondamentali degli individui.
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Corte di Cassazione- Sez. I Civ.- sent. n. 33398 del 19-12-2024
Il contesto normativo
La normativa italiana sulla protezione internazionale si ispira ai principi delineati a livello europeo dalla Direttiva 2013/32/UE, che stabilisce procedure comuni per il riconoscimento e la revoca dello status di protezione internazionale. In particolare, l’art. 2-bis del D.Lgs. n. 25/2008 disciplina la designazione dei cosiddetti “Paesi di origine sicuri”, ossia quegli Stati che, in base a parametri di rispetto dei diritti umani e democratici, possono essere considerati generalmente privi di pericoli per i loro cittadini.
Questa designazione, aggiornata periodicamente attraverso decreti ministeriali, comporta una serie di conseguenze sul trattamento delle domande di protezione internazionale presentate da cittadini provenienti da tali Paesi. Tra queste, spicca la presunzione relativa di sicurezza, che consente una procedura accelerata per l’esame delle richieste e un aggravio dell’onere probatorio per il richiedente, chiamato a dimostrare la non applicabilità della presunzione alla sua situazione personale.
La questione sollevata
Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 1° luglio 2024, ha chiesto alla Corte di Cassazione di chiarire se il giudice ordinario possa sindacare la designazione di un Paese di origine sicuro, valutando, in base a informazioni aggiornate, la reale sicurezza del Paese d’origine anche quando questa sia stata determinata mediante decreto ministeriale. La rilevanza della questione emerge con forza nel caso specifico, riguardante la Tunisia, inclusa nell’elenco dei Paesi sicuri con decreto del 7 maggio 2024. Il richiedente protezione internazionale, cittadino tunisino, aveva contestato la sicurezza del Paese sulla base di una presunta involuzione autoritaria generale, senza però fornire elementi specifici relativi alla propria situazione personale.
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Paolo Morozzo della Rocca
Direttore del Dipartimento di Scienze umane e sociali internazionali presso l’Università per stranieri di Perugia.
Le posizioni delle parti
L’Avvocatura generale dello Stato ha sottolineato il carattere tecnico-discrezionale della designazione ministeriale, sostenendo che il giudice ordinario non può sostituirsi all’Amministrazione se non in casi di manifesta irragionevolezza. Al contrario, il Pubblico Ministero ha evidenziato come il giudice abbia il potere-dovere di valutare, sulla base di informazioni aggiornate, se il Paese incluso nell’elenco risponda effettivamente ai criteri di sicurezza previsti dalla normativa europea e nazionale.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha riconosciuto che il decreto ministeriale che designa un Paese come sicuro non è un atto politico sottratto alla giurisdizione, bensì un atto amministrativo generale, soggetto a sindacato di legittimità. Tale controllo non si estende al merito delle valutazioni discrezionali, ma è finalizzato a verificare la conformità dell’atto ai criteri stabiliti dalla normativa. La Corte di Cassazione ha quindi enunciato il principio secondo cui il giudice ordinario, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc della domanda di protezione internazionale, può valutare la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione ministeriale, disapplicando in via incidentale il decreto ministeriale laddove esso risulti in contrasto manifesto con i criteri normativi.
I criteri per la valutazione
La Corte ha richiamato i criteri stabiliti dalla Direttiva 2013/32/UE e recepiti nell’art. 2-bis del D.Lgs. n. 25/2008. Un Paese può essere considerato sicuro se, sulla base dello stato giuridico, dell’applicazione della legge e della situazione politica generale, si può dimostrare che non vi sono generalmente e costantemente persecuzioni, torture o trattamenti degradanti, né pericoli legati a violenze indiscriminate in situazioni di conflitto armato. Il giudice, nell’esercizio del proprio sindacato, deve valutare se la designazione ministeriale rispetti tali criteri alla luce di informazioni aggiornate e affidabili, provenienti da fonti qualificate, come l’UNHCR, l’EASO e altre organizzazioni internazionali competenti. Inoltre, il giudice deve tenere conto delle condizioni attuali del Paese di origine al momento della decisione.
I diritti fondamentali in gioco
Un elemento centrale della pronuncia riguarda il rapporto tra la designazione di un Paese come sicuro e la tutela dei diritti fondamentali del richiedente. I giudici hanno ribadito che il diritto alla protezione internazionale è un diritto soggettivo, annoverato tra i diritti umani fondamentali tutelati dall’art. 2 Cost. Pertanto, la designazione di un Paese come sicuro non può precludere un esame individuale della domanda di protezione, soprattutto quando emergano elementi concreti che mettano in dubbio la sicurezza del Paese rispetto alla situazione specifica del richiedente.
Conclusioni
La I Sez. Civile ha enunciato il seguente principio di diritto:
«Nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, e alla legge 9 dicembre 2024, n. 187, se è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di richiedente proveniente da paese designato come sicuro, il giudice ordinario, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Inoltre, a garanzia dell’effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest’ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale»