L’ordinanza 27142/2024 della Cassazione ribadisce il principio del danno parentale come presunzione iuris tantum, fondato sul criterio del “id quod plerumque accidit” e chiarisce l’accertamento del nesso causale secondo la preponderanza dell’evidenza in ambito sanitario.
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Corte di Cassazione- Sez. III Civ.-ord. n. 27142 del 21-10-2024
I fatti di causa
La vicenda riguarda un paziente che, affetto da una grave patologia, era stato sottoposto a quattro interventi chirurgici in una struttura sanitaria. Secondo i familiari, il trattamento era stato compromesso dagli errori dei medici. Nonostante gli interventi, le condizioni del paziente si erano progressivamente aggravate, fino al decesso, avvenuto dieci mesi dopo l’ultima operazione, a causa di un infarto miocardico. La moglie e i due figli hanno quindi deciso di agire in giudizio contro la struttura sanitaria, chiedendo il risarcimento del danno parentale.
Le decisioni di merito
In primo grado, il Tribunale aveva respinto le loro richieste, ma la Corte d’Appello aveva poi riconosciuto il nesso causale tra gli errori medici e la morte. Tuttavia, il risarcimento era stato limitato alla moglie convivente, con esclusione dei figli, per i quali i giudici avevano ritenuto non dimostrato un concreto pregiudizio relazionale derivante dalla perdita del genitore.
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Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
I motivi del ricorso
I figli, esclusi dal risarcimento, hanno impugnato la sentenza della Corte d’Appello, sostenendo che il diniego del danno parentale fosse basato su un’errata interpretazione delle regole probatorie. A loro avviso, la decisione ignorava il principio secondo cui la perdita di un genitore convivente comporta, di norma, un pregiudizio che può essere riconosciuto anche attraverso le presunzioni semplici, in linea con il criterio del “id quod plerumque accidit“. I ricorrenti hanno dunque contestato l’omissione della giovane età dei figli, la convivenza con il padre al momento del decesso e l’esistenza di un rapporto affettivo intenso. A loro avviso, il giudice d’appello aveva confuso il diritto al risarcimento con la sua quantificazione , contravvenendo anche al dettato normativo previsto dall’art. 2059 c.c. Parallelamente, la struttura sanitaria ha presentato un ricorso incidentale, contestando l’accertamento del nesso causale tra la condotta dei medici e il decesso del paziente. La difesa della struttura ha richiamato il principio dell’art. 41 c.p., sostenendo che il decesso fosse riconducibile a cause indipendenti dagli errori medici, come la gravità della patologia di base e le comorbilità preesistenti.
Id quod plerumque accidit
La III Sez. Civ. della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso principale dei figli, ricordando che in tema di danno parentale è applicabile una presunzione iuris tantum per i familiari stretti, come il coniuge e i figli. Questo principio, sancito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 26972/2008, si fonda sul criterio del “id quod plerumque accidit”: la sofferenza e il mutamento delle condizioni di vita derivanti dalla perdita di un genitore convivente sono eventi prevedibili, che non necessitano di una prova specifica, salvo contestazione da parte del danneggiante. I giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse errato nel richiedere una dimostrazione analitica del pregiudizio, trascurando che il danno non patrimoniale da perdita parentale si presume sulla base di elementi basici come la convivenza e la giovane età dei figli, salvo prova contraria. Nel caso concreto, il rapporto affettivo tra il de cuius e i figli era supportato da allegazioni documentali non contestate da altre parti.
“La sofferenza e il mutamento delle condizioni di vita derivanti dalla perdita di un genitore convivente sono prevedibili e presunti, senza necessità di ulteriori prove, a meno che il danneggiante non dimostri l’assenza di legami affettivi significativi.”
Preponderanza dell’evidenza e perdita di chance
Un aspetto altrettanto rilevante riguarda l’accertamento del nesso causale tra la condotta dei medici e il decesso del paziente. La struttura sanitaria aveva sostenuto che la morte fosse attribuibile a fattori alternativi, ma i giudici hanno confermato l’applicabilità del principio del “più probabile che non”. Come evidenziato in precedenti giuridici come Corte di Cass., sent. n. 36638/2021, il nesso causale non richiede una certezza assoluta, ma deve essere valutato sulla base della preponderanza dell’evidenza: se è più probabile che l’errore medico abbia causato il danno rispetto a cause alternative, il nesso è dimostrato.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva accertato che gli errori medici avevano compromesso le condizioni del paziente, privandolo della possibilità di una sopravvivenza più lunga e di una qualità della vita migliore.
La decisione della Cassazione ha ribadito un principio di diritto in tema di responsabilità sanitaria, confermando che spetta al paziente dimostrare il nesso causale tra la condotta del sanitario e il danno subito, ma è onere della struttura sanitaria provare che l’evento dannoso sia riconducibile a cause imprevedibili e inevitabili. Nel caso in esame, la struttura sanitaria non era stata in grado di dimostrare che il decesso fosse stato determinato dalla gravità della patologia di base o da fattori indipendenti dagli errori medici. La Cassazione ha quindi confermato l’accertamento della responsabilità, riconoscendo il diritto al risarcimento per i familiari del de cuius.
Principio di diritto
In definitiva, il principio di diritto emergente dall’analisi dei giudici della Terza sez. è il seguente: “Il danno non patrimoniale da perdita di un rapporto parentale può essere riconosciuto attraverso una presunzione iuris tantum, fondata sul criterio del ‘id quod plerumque accidit’. Tale presunzione impone al danneggiante l’onere di dimostrare l’assenza di un legame affettivo significativo tra la vittima e i superstiti, salvo prova contraria.”