Blocco licenziamenti covid-19: questione di legittimità costituzionale

La Sezione Lavoro ha sollevato una questione di legittimità costituzionale riguardante l’art. 46 del d.l. n. 18 del 2020 e l’art. 14, comma 1, del d.l. n. 104 del 2020. Queste norme, in risposta all’emergenza Covid-19, hanno previstro il blocco dei licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo, escludendo però dal novero dei soggetti, i dirigenti dal divieto di recesso per motivi oggettivi. Tale esclusione ha creato una disparità di trattamento potenzialmente in contrasto con l’art. 3 della Cost.

Corte di Cassazione- sez. Lav. – ord. inter. 15030 del 29-05-2024

La questione

Un dirigente della società ricorrente è stato licenziato nella primavera del 2020 durante una riorganizzazione aziendale per ridurre i costi e migliorare la gestione dell’impresa. Il dirigente ha contestato il licenziamento presso il Tribunale di Roma, sostenendo che la statuizione avesse violato il divieto di licenziamenti collettivi durante l’emergenza COVID-19, introdotto dall’art. 46 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18. Il Tribunale ha rigettato la domanda, ma la Corte d’Appello ha successivamente dichiarato nullo il licenziamento, ordinando la reintegrazione e il risarcimento del danno.
La Corte territoriale ha, infatti, ritenuto che il divieto di licenziamenti dovesse applicarsi anche ai dirigenti, in linea con l’art. 1, co. 305, della l. 30 dicembre 2020, n. 178, che consentiva ai datori di lavoro di ottenere trattamenti di cassa integrazione senza limitazioni soggettive.

I motivi del ricorso

La società ricorrente presenta quattro motivi nel suo ricorso per cassazione:
Nel primo motivo di ricorso, la società ha denunciato la violazione dell’art. 46 del d.l. n. 18 del 17 marzo 2020, per avere la Corte d’appello incluso i dirigenti nel blocco dei licenziamenti, allorquando essi siano soggetti a licenziamento ad nutum. Per la società, i giudici d’appello hanno ignorato il criterio ermeneutico letterale dell’art. 12 disp. prel. c.c., e il richiamo dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 non includente la categoria dei dirigenti.
All’interno del secondo motivo, la società ha contestato la violazione dell’art. 1, co. 305, della l. n. 178 del 30 dicembre 2020  in quanto la Corte territoriale ha considerato tale norma come base per applicare il blocco dei licenziamenti ai dirigenti.
Nel terzo e quarto motivo, la società ha sollevato la nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione e la violazione dell’art. 18 della l. 20 maggio 1970, n. 300. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale ha applicato la tutela dell’art. 18, co. 1, della l. n. 300 del 1970, senza che fosse richiesta dal lavoratore.

Il principio di supremazia costituzionale

Per i giudici della Sezione Lavoro, l’art. 46 del d.l. n. 18 del 17 marzo 2020 ha introdotto un blocco temporaneo dei licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo, prevedendo la sospensione delle procedure di licenziamento avviate dopo il 23 febbraio 2020 e vieta ai datori di lavoro di recedere dai contratti per giustificato motivo oggettivo, indipendentemente dal numero di dipendenti.
I giudici hanno sottolineato che la norma è stata oggetto di contestazioni da parte di alcune aziende che hanno sollevato dubbi di legittimità costituzionale.  In particolare, quest’ultime hanno ritenuto la possibile violazione degli artt. 3 e 41 Cost.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha sottolineato che i dirigenti sono in numero significativamente inferiore rispetto ai dipendenti non dirigenti, rendendo ragionevole l’esclusione dei dirigenti dalla cassa integrazione. La Corte ha anche chiarito che il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo si applica solo ai lavoratori subordinati non dirigenti, poiché per i dirigenti il recesso è ad nutum, salvo specifiche tutele previste dalla contrattazione collettiva.
I giudici della Sezione Lavoro, nelle loro argomentazioni, hanno richiamato il principio di supremazia costituzionale che impone di scegliere, tra varie interpretazioni di una norma, quella conforme alla Costituzione.

L’interpretazione corforme

Tuttavia, i giudici hanno disatteso l’interpretazione dei giudici d’appello poiché il riferimento al recesso “per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604” ha una visuale chiara che non può essere ignorata (in base all’art. 12 disp.prel.c.c.).
La giurisprudenza costituzionale, infatti, ha stabilito che l’interpretazione conforme deve cedere di fronte a un testo univoco (sentenze n. 150 del 2022, n. 118 del 2020, n. 221 del 2019). Pertanto, il richiamo al giustificato motivo oggettivo si riferisce specificamente al licenziamento di dipendenti non dirigenti, escludendo interpretazioni estensive.
I giudici non hanno condiviso la tesi secondo cui il divieto di licenziamento si associerebbe inevitabilmente al costo del lavoro a carico della collettività tramite la cassa integrazione guadagni straordinaria. Il legislatore, con l’art. 46 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, ha vietato temporaneamente il licenziamento collettivo, includendo anche i dirigenti, senza la possibilità di ricorrere alla cassa integrazione guadagni straordinaria. Pertanto, il costo dei dirigenti finisce per ricadere in ogni caso sul datore di lavoro.
Per compensare questo “sacrificio” nei confronti dei datori di lavoro, il legislatore ha previsto diverse misure economiche come la cassa integrazione, la sospensione temporanea di oneri fiscali e previdenziali, contributi a fondo perduto, e credito d’imposta su locazione di immobili ad uso non abitativo. Queste misure presuppongono la portata generalizzata del blocco dei licenziamenti collettivi e individuali per ragioni oggettive, indipendentemente dalla categoria dei dipendenti.I giudici ermellini hanno osservato che la scelta del legislatore di escludere dal divieto i licenziamenti individuali per ragioni oggettive dei dirigenti sia di dubbia ragionevolezza. Infatti, il sacrificio imposto ai datori di lavoro è più gravoso nei casi di licenziamento collettivo sicché coinvolge più dipendenti e comporta diversi oneri procedurali da affrontare.

Conclusione

A parere dei giudici, questa scelta è irragionevole perché “nel più sta il meno”: se il legislatore ha sacrificato la facoltà di recesso collettivo, dovrebbe aver sacrificato anche quella di recesso individuale. Le misure di sostegno economico sono sufficienti a compensare il blocco dei licenziamenti collettivi e, ancor di più, quello dei licenziamenti individuali.L’omessa previsione di questo sacrificio “minore” e l’impossibilità di interpretare la norma in modo da includere anche il licenziamento individuale dei dirigenti per ragioni oggettive hanno imposto alla Corte di Cassazione di sollevare la questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost. sicché l’omessa previsione non può essere giustificata costituzionalmente, né risolta con l’interpretazione costituzionalmente orientata, a causa del tenore letterale della norma.

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