Contratto valido ma pregiudizievole per vizi incompleti: si configura la responsabilità precontrattuale

in Giuricivile, 2017, 4 (ISSN 2532-201X), Nota a Cass., Sez I civ., 23/03/2016, n. 5762

Si arricchisce di nuovi tasselli l’intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativo all’accoglimento nel nostro ordinamento della teoria dei c.d. vizi incompleti del contratto.

Più in particolare, con tale espressione, s’intende riferirsi a tutte quelle ipotesi in cui – parafrasando le argomentazioni di autorevole dottrina[1] – “pur non essendo presenti tutti i requisiti che integrano una delle ipotesi tipiche di vizio – e per le quali l’impugnativa è perciò esclusa – il concreto assetto di interessi che risulta dal contratto appaia comunque il frutto di una decisione in qualche modo “deformata” in ragione della influenza spiegata dalla condotta sleale e scorretta di una delle parti, nella fase che ha preceduto la conclusione del contratto”.

Si tratta, in altri termini, di “anomalie” che senza raggiungere gli estremi della fattispecie astratte del vizio così come prefigurate dal legislatore, inficiano il processo decisionale, forgiando un regolamento contrattuale svantaggioso per la parte rimasta vittima del contegno scorretto del partner.

In siffatto scenario, s’impone una riflessione sui seguenti, nevralgici, quesiti: la valorizzazione del canone della buona fede consente di sanzionare, in via risarcitoria, le descritte interferenze nella formazione dell’altrui volontà contrattuale o, diversamente, la conclusione di un valido contratto assorbe la violazione del dovere di correttezza perpetrata da una parte in danno dell’altra nella fase precontrattuale?

Contratto concluso con violazione in contrahendo

Secondo l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, la violazione in contrahendo – ove cristallizzata nella stipula del successivo negozio – è priva di autonoma rilevanza, convergendo nella nuova struttura contrattuale che rappresenta la sola fonte della responsabilità risarcitoria (ex plurimis, cfr. Cass. Civ. 25 luglio 2006, n.16937; Cass. Civ. 5 febbraio 2007, n. 2479).

Discostandosi da detto restrittivo indirizzo, con sentenza del 23 marzo 2016, n. 5762, la Suprema Corte ha invece sancito il seguente principio di diritto:

La violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, positivamente sancito dagli artt. 1337 e 1338 c.c., assume rilievo in caso non solo di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche di contratto validamente concluso quando, all’esito di un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, alla parte sia imputabile l’omissione, nel corso delle trattative, di informazioni rilevanti le quali avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso”.

Con la pronuncia in commento, quindi, la Corte di legittimità suggella la tendenza “evolutiva” della responsabilità precontrattuale, il cui perimetro applicativo, lungi dal restar confinato alle ipotesi codificate, si dilata fino a ricomprendere quelle fattispecie in cui – secondo il combinato disposto dell’art. 1337 c.c. con l’art. 1440 c.c. – il comportamento scorretto della parte si concreta nella stipulazione di un contratto che l’altra parte avrebbe senz’altro concluso ma a condizioni diverse e più vantaggiose.

Il caso in esame

Una società leader nella produzione e commercializzazione di prodotti per la cosmesi conveniva in giudizio un’altra società dalla quale aveva acquistato un marchio.

La società acquirente lamentava, però, di esser venuta a conoscenza soltanto dopo la conclusione del contratto che la società cedente possedeva una registrazione del marchio ceduto negli Stati Uniti, circostanza sottaciuta al momento della conclusione del contratto stesso.

Chiedeva, pertanto, il risarcimento dei danni patiti, imputando alla cedente responsabilità precontrattuale o contrattuale e concorrenza sleale.

Rigettata la domanda attorea nei primi due gradi di giudizio, la società acquirente ricorreva in Cassazione.

La decisione della Corte

Il cuore delle doglianze si appuntava intorno alla ritenuta esclusione della responsabilità precontrattuale delle parti convenute sul presupposto dell’avvenuta stipulazione del contratto, in dispregio dell’affidamento ingenerato nell’attrice, non informata dell’esistenza di ulteriori registrazioni del marchio.

Ebbene, la Suprema Corte ha sottolineato che la regola di cui all’art. 1337 c.c. ha valore di “clausola generale”, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto.

Sulla scorta di queste considerazioni generali, la Corte ha ribadito che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto (cfr. Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24795; Cass. civ., sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024)

Nel solco di tale indirizzo, la Cassazione ha ritenuto, quindi, esperibile l’azione di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. per la lesione della libertà negoziale allorché una violazione della regola di buona fede nelle trattative abbia dato luogo ad un assetto d’interessi più svantaggioso per la parte che abbia subito le conseguenze della condotta contraria a buona fede, e ciò pur in presenza di un contratto valido ovvero, nell’ipotesi di invalidità dello stesso, in assenza di una sua impugnativa basata sugli ordinari rimedi contrattuali (v. Cass. n. 21255/2013).

In altri termini, la Cassazione ritiene configurabile una responsabilità risarcitoria a carico della parte che abbia scorrettamente insidiato l’autonoma determinazione contrattuale dell’altra, anche quando la condotta contraria a buona fede non sia tale da integrare il paradigma normativo di uno dei vizi del consenso così come disciplinati dal codice civile.

Proseguendo lungo le coordinate così scolpite, nella sentenza in commento i Giudici di legittimità hanno quindi definitivamente chiarito che “la circostanza che il contratto sia stato validamente concluso non è di per sé decisiva per escludere la responsabilità della parte, qualora a questa sia imputabile – all’esito di un accertamento di fatto che è rimesso al giudice di rinvio – l’omissione di informazioni rilevanti nel corso delle trattative, le quali avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contenuto del contratto”.

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[1] Mantovani, Vizi incompleti del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995.

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