La violenza assistita intrafamiliare tra le forme di violenza domestica, risulta una delle sue espressioni più pericolose. I bambini possono essere spettatori di diversi tipi di violenza: fisica, sessuale, psicologica e verbale che viene agita nei confronti dei componenti della famiglia, di solito madre e/o fratelli.
La famiglia, luogo in cui il bambino sviluppa la propria personalità e in cui dovrebbe trovare protezione e accoglienza, spesso risulta invece l’epicentro di situazioni che generano conseguenze irrimediabili e traumatiche per i minori.
I bambini che assistono agli episodi di violenza tra genitori subiscono danni permanenti: in primis il minore vede disgregata la coppia genitoriale, questo compromette il suo sano sviluppo psico-fisico, oltre a ciò egli apprende una modalità di dialogo tra i generi che può definirsi patologica, il bambino viene così educato alla violenza. Immaginiamo un bambino che assiste a litigi verbali corredati da urla, vessazioni e scontri fisici tra i genitori: egli può, nella sua crescita, ripudiare tali atteggiamenti oppure considerarli normali atteggiamenti della vita di relazione. Da ciò deriverà il suo essere adulto!
La violenza assistita produce dunque danni indelebili nel bambino che si ripercuotono sia a livello psicologico che a livello comportamentale: i bambini che hanno assistito a episodi di violenza nella propria abitazione familiare, più di altri svilupperanno comportamenti aggressivi o ne subiranno, in quanto non hanno altri parametri nel loro vissuto per coltivare diversamente le relazioni personali.
Definizione di violenza assistita
La definizione di violenza assistita viene coniata per la prima volta in Italia nel 1999 dal CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’abuso all’Infanzia) secondo la quale per violenza assistita da minori in ambito familiare si intende il fare esperienza da parte del bambino di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte e minori.
Definizione aggiornata nel 2017 includendo una nuova tipologia di vittima: gli “orfani speciali” ovvero le “vittime di violenza assistita da omicidio, omicidi plurimi, omicidio-suicidio” ricomprendendo tutte quelle vittime che vengono privati della figura del genitore per mano dell’altro genitore.
E’ una definizione abbastanza emblematica che racchiude tutte le situazioni pregiudizievoli che si sviluppano ai danni dei minori all’interno del proprio nucleo familiare.
La protezione dei minori nella normativa internazionale
Convenzioni e Trattati internazionali si occupano della tutela dei minori.
Ai sensi dell’art.19 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo (New York 1989 ratificata in Italia con la Legge 27 maggio 1991, n. 176) le autorità nazionali hanno l’obbligo di adottare “ ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, per tutto il tempo in cui è affidato all’uno o all’altro, o a entrambi, i genitori, al suo tutore legale (o tutori legali), oppure a ogni altra persona che abbia il suo affidamento.”
La Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli (firmata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata in Italia con legge n. 77 del 2003) pone come fulcro i diritti dei minori intesi come protagonisti dei procedimenti che li riguardano. La Convenzione di Strasburgo, è complementare a quella di New York e va a rinforzare i diritti procedurali che i minori possono esercitare in particolare per le vicende riguardanti la vita familiare. Essa elabora due principi fondamentali: il “best interest of child” ovvero del superiore interesse del minore e quello dell’interesse del minore ad essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano
La violenza assistita è espressamente prevista dalla Convenzione di Instanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica ratificata in Italia nel 2013), l’art. 26 titolato “Protezione e supporto ai bambini testimoni di violenza” prevede che lo Stato adotti misure idonee a garantire i diritti e i bisogni dei bambini testimoni di ogni forma di violenza. L’art.31 della Convenzione “Custodia dei figli, diritto di visita e sicurezza” stabilisce l’obbligo per le autorità nazionali di adottare misure affinchè, “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli”, siano tenuti in considerazione gli episodi di violenza domestica e di genere al fine di garantire la sicurezza dei bambini.
I rimedi giudiziali alla violenza assistita
A livello nazionale, con la legge 5 Aprile 2001 n.154 “ Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” è stato introdotto nel codice civile il titolo IX – bis del libro primo, rubricato “Ordini di protezione contro gli abusi familiari”.
Si ritiene che tali rimedi possono essere estesi alla violenza assistita intesa come Abuso Familiare nei confronti dei figli minori – maltrattamenti indiretti – nel caso in cui il minore sia costretto ad assistere a reiterate aggressioni e comportamenti denigratori di uno dei due genitori nei confronti dell’altro (in genere la madre ); in questo caso si è ritenuto che potrebbe configurarsi il reato di maltrattamenti in famiglia a loro danno in quanto i minori hanno diritto ad un armonico sviluppo psicofisico nell’ambito familiare ai sensi della Convenzione sui Diritti del Fanciullo (New York 20 Novembre 1989) e della Conferenza di Stoccolma del 1996.
L’ordine di protezione è un rimedio civilistico cui può affiancarsi, nei casi più gravi, la corrispondente sanzione penale, con possibile ricorso all’art.282 bis c.p.p. Il rimedio di cui all’art.282 bis c.p.p. e che prevede l’allontanamento dalla casa familiare della persona imputata per reati commessi ai danni dei componenti della famiglia, con prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa, oltre al pagamento di un assegno nei confronti delle persone che, per via della misura cautelare predisposta, rimangano prive dei mezzi adeguati, non prevarrà senz’altro su quello civilistico ma, il coordinamento andrebbe operato accordando preferenza al provvedimento adottato per ultimo. La legge n.154/2001 può essere definita “vittimocentrica” e presuppone la presenza di una condotta di abuso non solo fisico ma anche morale di rilevanza.
Per quanto riguarda la tutela penale il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. in l. 15 ottobre 2013, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza per il contrasto della violenza di genere) ha introdotto l’art. 61 comma quinquies c.p. circostanza aggravante per “l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale e contro la libertà personale, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza”.
L’art.572 c.p. è stato recentemente modificato dalla Legge 19 luglio 2019 n.69 (Codice Rosso), il quale prevede al secondo comma “La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi”, il quarto comma prevede altresì “Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”.
Conclusioni
L’intervento delle autorità nei casi di violenza assistita dovrebbe essere non solo efficace ma anche incentrato sulla celerità; è necessario che i casi di violenza domestica siano strettamente connessi al pregiudizio provocato nei bambini e che le autorità agiscano al fine di prevenire e condannare condotte pregiudizievoli ai danni dei soggetti vulnerabili bisognosi di adeguata tutela. Il trascorrere del tempo pregiudica certamente la protezione del minore, protezione che deve essere finalizzata alla interruzione immediata della violenza.
Non è sempre facile intervenire immediatamente ciò perché troppo spesso, ancora oggi, gli episodi di violenza non vengono denunciati soprattutto dalle donne che, risultano troppo spesso afflitte e sopraffatte da ciò che subiscono e pensano che tenere unita la famiglia, anche in tali situazioni, sia fondamentale per il benessere dei figli. Questo modo disfunzionale di essere madri pregiudica non soltanto l’incolumità della donna stessa, ma certamente si ripercuote sui minori, vittime inconsapevoli e inermi della violenza domestica.
Buongiorno,
nel documentarmi sulla violenza assistita a danno di minori, leggo questo articolo https://giuricivile.it/violenza-assistita-intrafamiliare/
Al fine di tendere al miglioramento continuo delle professionalità condivido qui la mia opinione.
Un articolo sul tema della violenza assistita intrafamiliare che si concluda colpevolizzando le donne (“Questo modo disfunzionale di essere madri pregiudica non soltanto l’incolumità della donna stessa, ma certamente si ripercuote sui minori, vittime inconsapevoli e inermi…”), ovvero la parte offesa nel 99% dei casi di maltrattamenti famigliari, non credo offra un servizio corretto alla letteratura giuridica o psico-sociale. Chi lavora nell’ambito non può non riconoscere che gli ostacoli e le difficoltà nel denunciare le violenze domestiche sono da ricercare in ben altre cause – insite nella violenza stessa – prima che nella asserita disfunzionalità materna.
Senza intento polemico, auguro a tutt* buon lavoro.