Veterinaria morsa dal cane ed esclusione della responsabilità ex art. 2052 cc del padrone

in Giuricivile.it, 2023, 2 (ISSN 2532-201X)

Con la Sentenza n. 13136 del 08.09.2022 la XIII Sezione Civile del Tribunale di Roma ha rigettato una domanda di risarcimento ex art. 2052 cc avanzata da una veterinaria avverso il padrone di un cane da cui la donna era stata morsa poco prima di operarlo. Il tribunale, con una pronuncia che valorizza i compiti di cura della danneggiata verso l’animale, ha ritenuto che esso fosse stato affidato alla dottoressa e che la sua negligenza avesse ingenerato un caso fortuito, nonostante la presenza del padrone al momento del sinistro. La pronuncia offre l’occasione di analizzare gli elementi della responsabilità ex art. 2052 cc e la permeabilità della distinzione tra caso fortuito e responsabilità di chi ha in uso l’animale.

Introduzione

Con la Sentenza n. 13136 del 08.09.2022 la XIII Sezione Civile del Tribunale di Roma ha deciso in merito a una domanda risarcitoria ex art. 2052 cc proposta da una veterinaria che allegava di essere stata morsa al labbro da un cane di razza “corso” durante la preparazione per un intervento agli occhi e in presenza del padrone che lo teneva al guinzaglio.

Svolgimento del processo

La danneggiata asseriva che, prima di eseguire l’intervento, il cane fosse stato sottoposto a premedicazione, consistente in una puntura di sedazione effettuata dall’anestesista, che avrebbe poi dovuto procedere alla anestesia generale.

Dopo la puntura di sedazione, poiché il medicinale iniettato avrebbe potuto provocare vomito, la veterinaria aveva controllato più volte il cane e si era accorta che stava sbavando. Avvicinatasi alla bocca dell’animale per pulirla, quest’ultimo le si era avventato contro il volto, mordendole il labbro inferiore. Immediatamente soccorsa, la danneggiata era stata accompagnata al Pronto Soccorso e rilasciata con una prognosi di 15 giorni.
Successivamente, soffrendo di vertigini ed episodi di vomito, si era recata nuovamente presso il Pronto Soccorso, ove veniva accertata “sindrome vertiginosa probabilmente su base emotiva”. Delle circostanze in parola, la danneggiata dava prova depositando documentazione medica che attestava altresì l’insorgenza di un “disturbo da stress post-traumatico”; nonché una relazione medico-legale, che valutava il danno nella misura di ITT gg 20, ITP gg 20 e IP pari al 7%.

Il padrone del cane, costituendosi, chiedeva il rigetto della domanda perché infondata in fatto e in diritto.

In particolare, sosteneva che il sinistro fosse di esclusiva responsabilità dell’attrice. Infatti, la responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. sarebbe collegata alla custodia più che alla proprietà dell’animale, dovendo il veterinario ritenersi responsabile ogni volta che l’animale sia sottoposto alla sua custodia per ragioni curative.

In subordine, il convenuto sosteneva che i parametri di diligenza e perizia propri della professione veterinaria non fossero stati adeguatamente adottati nella fase preoperatoria: il personale medico non avrebbe elaborato un piano anestesiologico individualizzato sulla base delle caratteristiche del cane – di razza “corso” e quindi di grossa taglia – come dimostrato dal fallimento della sedazione. Inoltre, secondo il padrone, la dottoressa non avrebbe adoperato alcuna cautela nel controllare l’esito della sedazione del cane, essendosi avvicinata al muso privo di museruola.

In ogni caso, pertanto, il comportamento negligente, imprudente ed imperito tenuto dalla veterinaria sarebbe idoneo e sufficiente ad integrare il quale fattore esterno con efficacia causale esclusiva della produzione del danno.

In ultimo, relativamente al danno conseguenza, il padrone del cane allegava che il riscontro probatorio della dottoressa fosse inattendibile, anche per via del fatto che la danneggiata aveva poi operato il medesimo cane appena il giorno dopo il sinistro.

In seguito ad autorizzazione da parte del giudice, interveniva la compagnia assicurativa aderendo alle difese del convenuto e aggiungendo che, in seguito alla puntura di sedazione, il padrone non aveva avuto più l’autorizzazione ad accedere alla sala medicheria.

Veniva espletato l’interrogatorio formale della danneggiata e l’anestesista veniva ascoltata quale testimone.

Dalle prove orali emergeva sostanzialmente che il padrone fosse in sala medicheria assieme al cane e che lo tenesse al guinzaglio sia al momento dell’iniezione che successivamente. Emergeva inoltre che il padrone non avesse preavvertito nessun membro dello staff medico che il cane mal sopportasse di essere manipolato da estranei, e che la sedazione era avvenuta in presenza del padrone appunto perché l’animale era esuberante e non era stato possibile fargli indossare la museruola. Peraltro, l’anestesista riferiva di non aver avuto lo sguardo rivolto al cane al momento del sinistro e confermava – assieme alla danneggiata stessa – che il giorno dopo la dottoressa aveva operato il medesimo cane.

La decisione del giudice

Il Tribunale capitolino decideva premettendo che, secondo i principi che sottendono alla responsabilità per danno cagionato da animale ex art. 2052 cc: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

Pertanto, la responsabilità si fonda non su un comportamento o un’attività commissiva o omissiva, ma su una relazione (di proprietà o uso, fondante la custodia e la sorveglianza) intercorrente tra i predetti soggetti e l’animale.

Trattandosi di responsabilità oggettiva, il padrone o chi ha uso dell’animale può dare prova liberatoria non dimostrando di aver agito con diligenza, ma solo allegando e provando il caso fortuito.

La disposizione in parola, dunque, comporta un’inversione dell’onere della prova, dal danneggiato attore al convenuto proprietario o “utente” dell’animale.

Più precisamente, all’attore in giudizio che lamenti il danno spetta soltanto di provare il nesso eziologico tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso secundum o contra naturam, comprendendosi in tale concetto qualsiasi atto o moto dell’animale quod sensu caret.

Mentre il convenuto dovrà provare un caso fortuito la cui rilevanza dovrà essere apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all’animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi.

Tale evento dovrà avere i caratteri della imprevedibilità e della assoluta eccezionalità ovvero della condotta colposa del danneggiato o di un terzo.

Ciò in quanto il proprietario o detentore dell’animale è onerato di una posizione di garanzia, che esorbita dal semplice obbligo di tenere una condotta conforme ai canoni di diligenza, prudenza o perizia in quanto “copre” anche i comportamenti imprudenti altrui.

E infatti, la colpa della vittima che ponga in essere un comportamento imprudente, può al più concorrere con quella del garante, ma non elide quest’ultima, a meno che non ci si trovi di fronte a comportamenti caratterizzati da abnormità e da assoluta eccentricità.

La valutazione dell’incidenza causale di tali comportamenti deve tener conto delle caratteristiche dell’animale, sicché quanto meno esso è intrinsecamente pericoloso e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente di quest’ultimo.

Tanto premesso, il giudicante così concludeva:

nel caso in esame deve ritenersi provato, all’esito dell’escussione dei testi, che il cane prima di mordere la d.ssa [attrice] era già stato affidato alle sue cure, sicché era suo compito adottare tutte le misure necessarie alla visita del cane, evitando eventuali reazioni (che possono essere dettate dal dolore o dagli effetti della sedazione) che possono sfociare finanche nel morso.

Il cane del [convenuto], infatti, prima di mordere la d.ssa [attrice], era stato dalla stessa sedato e durane il controllo sull’esito della sedazione, col cane già privo di museruola, la predetta si era avvicinata senza adottare alcuna cautela.

Il cane, dunque, al momento dell’azione causativa del danno era fuori dal controllo del suo proprietario ed affidato alla d.ssa [attrice] che deve imputare esclusivamente alla sua imprudenza il danno subito.

La domanda, pertanto, dev’essere rigettata.”1

La natura della responsabilità civile per danno cagionato da animale

A parere di chi scrive, la decisione in esame non appare così scontata, vista la dinamica dei fatti di causa. Sicuramente, offre l’occasione di analizzare il tema della responsabilità per danno cagionato da animale e le sue cause di esclusione.

In tali situazioni, l’interprete è chiamato a ricomporre un inevitabile conflitto tra le strette maglie della norma e le contingenze e ambiguità della realtà concreta.
Si rifletta, infatti, sulla complessità di variabili quali la presenza del padrone col cane al guinzaglio al momento del sinistro, l’asimmetria informativa lamentata da entrambe le parti (la veterinaria perché non informata dell’indole del cane, il padrone poiché non in grado di valutare le competenze dei sanitari) e la particolare qualifica professionale della danneggiata.

Com’è noto, in passato si è dibattuto sulla natura della responsabilità per danno cagionato da animale.2

Un primo orientamento, definito “soggettivista” individua la causa della responsabilità in un difetto di custodia, da inquadrarsi quale presunzione di colpa3. Nel corso degli anni la giurisprudenza ha inteso tale elemento soggettivo come presunzione di culpa in vigilando o in custodiendo, considerata da alcune pronunce come addirittura juris et de jure, ovverosia non superabile da una prova contraria, ad esclusione di quella del caso fortuito4.

Un secondo orientamento, ora pressoché unanime nella giurisprudenza, qualifica l’art. 2052 cc quale fattispecie di responsabilità oggettiva, fondata sul principio dell’utilità e del rischio (sintetizzato dal brocardo “cuius commoda, eius et incommoda”) in base al quale il rischio di rispondere del danno rappresenta la “contropartita” dei vantaggi connessi alla proprietà o all’uso dell’animale.5

Una declinazione di questo principio è la teoria dell’esposizione al pericolo: colui che esercita un potere-dovere di controllo sull’animale espone i terzi al pericolo da esso derivante, pertanto ne risponde oggettivamente, a prescindere da valutazioni sui vantaggi (i “commoda”) di tale potere-dovere.6

Peraltro, secondo alcuna dottrina, il fondamento di tutte le fattispecie di responsabilità oggettiva è la creazione di un rischio per terzi.7

I compiti di cura del professionista sanitario nella decisione del Tribunale di Roma

Venendo alla sentenza in commento, essa non si discosta dall’impostazione oggettivistica dominante, pur stigmatizzando la condotta dell’attrice perché colposamente generativa di un caso fortuito ex art. 2052 cc.

L’arresto in esame, peraltro, individua in modo convincente una causa di esclusione della responsabilità nel fatto del danneggiato, seppur non mancano dubbi e perplessità su alcuni punti del ragionamento. In particolare, esso sembra far confluire nel concetto di caso fortuito anche la diversa questione del “passaggio” di responsabilità dal padrone del cane a “chi lo ha in uso”.

A parere di chi scrive, il ragionamento del giudice prende piede da una implicita valutazione del “peso” nella vicenda della qualifica professionale della danneggiata. Infatti, osserva il Magistrato, è alle cure dell’attrice che il cane è stato affidato al momento del sinistro, con totale esautoramento del padrone.

A ciò va aggiunto che, con una certa imprecisione, il giudice attribuisce alla danneggiata stessa la sedazione del cane. Rectius, tale compito era spettato all’anestesista, anch’ella presente in sala al momento del sinistro, seppur non avesse lo sguardo rivolto verso il cane nell’istante esatto dell’evento, come emerge dalle dichiarazioni dell’attrice in sede di interrogatorio formale e dell’altro sanitario in sede di prova testimoniale, trascritte nel testo del provvedimento.

Ad ogni modo, non è difficile immaginare che il giudicante sarebbe comunque arrivato alle medesime conclusioni, magari censurando sia il comportamento imprudente del soggetto danneggiato che quello dell’altra dottoressa, costituito nel non aver approntato un efficace piano anestesiologico che prevenisse la reazione del cane. D’altronde, anche il terzo è considerato dalla giurisprudenza quale possibile autore del caso fortuito.8

È poi importante sottolineare che, come confermato da danneggiata ed anestesista, il padrone si trovava in sala di premedicazione al momento del sinistro, accanto al cane e col guinzaglio in mano.

Questa circostanza, che non risulta negata dal convenuto, era invece contestata dalla compagnia assicurativa, la quale sosteneva che il proprietario fosse stato fatto allontanare dalla sala in seguito alla puntura di sedativo.

Il giudice non ne fa menzione nella parte motiva, limitandosi a sostenere che l’animale fosse fuori dal controllo del suo proprietario ed affidato alla dottoressa.

Proprio per questo, l’impostazione decisionale si espone a perplessità e possibili contestazioni.

La condotta della veterinaria, la presenza del padrone e la sua irrilevanza

Invero, seppur il fatto del danneggiato debba essere valutato in considerazione dello stato dei luoghi e delle situazioni concrete9, non rilevando il comportamento diligente del padrone, va anche detto che l’avere il cane al guinzaglio appare circostanza tendenzialmente idonea a escludere il caso fortuito.

E infatti, il padrone, posto nella condizione di poter tirare a sé la corda, ben avrebbe potuto tenere alta l’attenzione nel momento in cui la veterinaria avvicinava il viso al cane.

Appare dunque problematico affermare che il cane fosse effettivamente fuori dal controllo del padrone, come invece sostenuto dal giudice.

E a ben vedere, dalla parte motiva non pare emergere alcuna valutazione, sul versante giuridico e causale, della presenza del convenuto, tantomeno alcuna argomentazione giustificativa della sua inerzia.

Ad esempio, il giudice non afferma che per il proprietario fosse impossibile notare eventuali comportamenti anomali del cane, spia del suo imminente attacco; né viene esplicitamente escluso che vi siano stati tali comportamenti nell’instante antecedente al morso, ovvero che per il padrone – in ogni caso – sarebbe stato impossibile intervenire in tempo per evitare il sinistro.

Le mancate cautele della veterinaria: quale colpa?

Volendo escludere un errore nella comprensione dei fatti da parte del Magistrato, possiamo concluderne che la qualifica professionale della danneggiata è apparsa al giudicante idonea a comportare l’eccezionalità e imprevedibilità del sinistro, seppur l’animale non fosse effettivamente sottratto al raggio di azione del padrone.
In questo contesto, l’imprudenza nell’avvicinarsi al muso cane appare come un elemento accessorio del generale mancato rispetto dei compiti di cura da parte dell’attrice, la quale avrebbe dovuto “adottare tutte le misure necessarie alla visita del cane, evitando eventuali reazioni (che possono essere dettate dal dolore o dagli effetti della sedazione) che possono sfociare finanche nel morso.”

Tale ricostruzione eccede il concetto di “normali cautele” imposte al danneggiato di cui, secondo la motivazione della sentenza, va tenuto conto per verificare l’esistenza o meno del caso fortuito. Queste sono infatti legate alla sua condotta materiale al momento del sinistro, restando indifferenti alle sue condizioni personali. In poche parole, si tratta delle medesime cautele per qualunque danneggiato.

Al contrario, l’imprudenza contestata alla veterinaria (non riguardando il solo fatto di essersi avvicinata al muso del cane ma venendo estesa a un suo complessivo compito di cura dell’animale) sembra doversi intendere nella sua accezione di imprudenza quale elemento della colpa medica, o comunque avvicinarsi ad essa.

Evitando lunghe incursioni nel tema della responsabilità sanitaria, si ricorderà qui a grandi linee che il medico è tenuto a una condotta conforme a diligenza, prudenza e perizia10, la cui violazione comporta negligenza, imprudenza o imperizia ossia, rispettivamente: ingiustificata mancata adozione di azioni necessarie; mancata considerazione dei rischi; mancanza della giusta preparazione.11 Ancora, il sanitario deve conformarsi alle norme disciplinanti la propria professione che, come tali, egli non può ignorare12.
Il discostamento da tali canoni integra una condotta colposa apprezzabile in più gradi differenti, sulla base a diversi fattori tra cui: le specifiche condizioni del soggetto agente; il suo grado di specializzazione; la situazione ambientale, di particolare difficoltà, in cui il professionista si è trovato a operare; l’accuratezza nell’effettuazione del gesto medico; eventuali ragioni d’urgenza; l’oscurità del quadro patologico; la difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche e il grado di atipicità o novità della situazione data.13
Si noterà che il Tribunale di Roma sembra proprio tenere conto di questi fattori nell’enfatizzare che era compito della veterinaria: “adottare tutte le misure necessarie alla visita del cane”.14

Ciò ricordato, si potrebbe forse obiettare che le conclusioni del giudice siano in distonia col suo stesso ragionamento.
E infatti, la sentenza riporta testualmente che: “quanto meno esso [l’animale] è intrinsecamente pericoloso e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente di quest’ultimo”.15

Nel caso che ci occupa, il cane risulta essere di razza corsa e pesare circa 60 kg, come emerge dall’interrogatorio formale trascritto in sentenza. Pertanto, se ne dedurrebbe una alta pericolosità intrinseca, rispetto a un esemplare di razze più minute.
Ciò dovrebbe far deporre a favore del danneggiato che, anche nell’applicare le normali cautele, si troverebbe comunque ad approcciarsi a un cane potenzialmente in grado di provocare gravi danni.

Essendo quindi evidente che l’attenzione demandata alla veterinaria non fosse normale e generale, ne deriverebbe che il giudice abbia prima ricordato la necessità di rispettare normali cautele, salvo poi esigere dalla danneggiata una cautela maggiore e, apparentemente, propria della sua ars medica.

Uso, custodia e proprietà dell’animale nel sistema dell’art. 2052 cc

Come accennato, inoltre, l’elemento del caso fortuito pare sovrapporsi al diverso tema dell’avere “in uso” l’animale.

È chiaro, però, che si tratti di due componenti diverse dell’istituto di cui all’art. 2052 cc.

E infatti, l’uso dell’animale attiene alla titolarità della responsabilità stessa.

Nel dettaglio, secondo la giurisprudenza, si serve dell’animale colui che, col consenso del proprietario ed anche in virtù di un rapporto di mero fatto, lo usa per soddisfare un interesse autonomo, anche non coincidente con quello del proprietario.16
Pertanto, è escluso logicamente che, al momento del sinistro, dell’animale possa risponderne il proprietario. Costui, avendo lasciato in uso la creatura a qualcun altro, ne ha trasferito anche quella “posizione di garanzia” di cui alla sentenza in esame: non vi è infatti alcun vincolo di solidarietà tra i due soggetti17.

Ne consegue che – prima ancora di affrontare la questione del caso fortuito – sarebbe necessario comprendere chi, tra attrice e convenuto, risponda astrattamente ex art. 2052 cc per il fatto del cane.

Sul punto, sono riscontrabili due orientamenti.

Una parte della giurisprudenza conferma la responsabilità del padrone anche per i danni subiti da chi lo avesse in affido per ragioni di cura, custodia o mantenimento.18

La responsabilità del proprietario non rimane eliminata neppure nei confronti del custode per i danni da questo subiti senza sua colpa.19

Il proprietario sarebbe responsabile anche per i danni cagionati al dipendente che abbia avuto in custodia l’animale. Ciò in quanto non ne è ritenuto utilizzatore. 20

Per un indirizzo minoritario, invece, il proprietario non risponde dei danni causati dall’animale a chi lo deteneva temporaneamente in vista del perseguimento di un interesse proprio.

Sul punto, si veda Cass. civ., Sez. III, Sent, 11.12.2012, n. 22632.
Secondo la Cassazione, il trasportatore di animali non può pretendere dal proprietario di essi il risarcimento del danno causatogli dalle bestie durante le operazioni di carico o scarico, dal medesimo espletate in piena autonomia.

Nel predetto arresto, gli Ermellini enfatizzano il carattere alternativo della responsabilità ex 2052 cc tra proprietario e custode, sicché il primo non potrà risponderne tutte le volte che la custodia dell’animale è trasferita ad altro soggetto.

La vicenda di cui alla pronuncia di Cassazione in parola, oltretutto, si attaglia quasi perfettamente al nostro caso.
Infatti, l’animale (un toro) era affidato alla custodia del trasportatore e, comunque, il comportamento imprudente di quest’ultimo aveva assunto carattere assorbente. Invero, questi aveva incautamente dato le spalle all’animale, tanto che era stato avvertito da altri che il toro lo stava caricando.
La Corte di merito, nell’escludere la responsabilità del proprietario, aveva sottolineato che il danneggiato era un trasportatore esperto, che era solito trasportare il bestiame al Macello di Bologna e che quindi conosceva il luogo e aveva scelto egli stesso la rampa da cui effettuare lo scarico.
La Suprema Corte conferma tali argomentazioni, ricordando però che è custode dell’animale chi lo gestisca autonomamente e in modo indipendente, in vista del perseguimento di un interesse proprio ed autonomo rispetto a quello del proprietario.21

Ugualmente, altre pronunce chiariscono che è custode (dunque responsabile) dell’animale chi ne ha la disponibilità, perché è costui che può e deve sorvegliarlo, nonché intervenire, laddove si ravvisi una situazione di pericolo.22

Ebbene, tornando alla vicenda del Tribunale di Roma, evidenti sono i punti di contatto con quest’ultima sentenza: l’interesse autonomo del custode quale attività professionale sull’animale (trasporto in un caso, operazione chirurgica nel secondo), la competenza professionale del danneggiato valutata sfavorevolmente, la negligenza “assorbente”.
Vi è però una sostanziale differenza: nel caso capitolino il proprietario dell’animale era presente al momento del sinistro e col cane al guinzaglio.
Sembra dunque complesso affermare che, in tale situazione, la veterinaria fosse l’unica ad avere disponibilità dell’animale e possibilità di sorvegliarlo e intervenire. Siffatta posizione, sembrerebbe anzi doversi attribuire al padrone.

Ad ogni modo, non manca un filone della giurisprudenza che sembra basato sulla stessa intersezione tra elementi diversi della fattispecie ex art. 2052 cc, ammettendo la riduzione o l’esclusione della responsabilità del proprietario per concorso di colpa ex art. 1227 cc o per esimente del caso fortuito.

Si veda infatti Corte d’Appello Potenza, 15.02.1961:” Non sorge responsabilità per il proprietario del cavallo per il fatto che il dipendente sia stato assunto non come trainante ma solo come manovale; ciò tanto più quando la colpa di costui non è consistita nell’imperizia alla guida ma in una grave imprudenza riconoscibile anche dal profano.”
Quest’ultima pronuncia è di particolare interesse perché, da una parte, esclude la risarcibilità sulla base del caso fortuito anziché del rapporto di custodia, dall’altra ritiene che il caso fortuito sia da attribuirsi a una mancanza di cautela riscontrabile da chiunque.

Si ricorderà che nell’arresto del giudice romano qui analizzato sembrerebbe, invece, contestarsi alla veterinaria una imprudenza secondo i canoni della propria professione.

Conclusioni

In definitiva, il ragionamento del giudice capitolino sembra condivisibile e ancorato a un orientamento di legittimità pregresso, sebbene piuttosto trasversale tra le diverse categorie logico-giuridiche della responsabilità ex art. 2052 cc.

Peraltro, la prospettazione sembra rispondere ai rilievi di alcuna dottrina per cui, nell’applicazione dell’art. 2052 c.c., andrebbe superata una concezione di caso fortuito che non tenga conto della natura degli animali e permetta arbitrariamente di non attribuire rilevanza a comportamenti del danneggiato che, quand’anche non necessariamente imprevedibili, possano essere considerati privi dell’ordinaria diligenza o colpevolmente diretti ad ingenerare la reazione dannosa dell’animale.23

Data però l’enfasi sui compiti di cura della veterinaria, anche in presenza del padrone, sembra doversi ammettere che la logica del giudice sia corretta solo accettandone il carattere latamente “punitivo” nei confronti dell’attrice.

Quest’ultima ha infatti convenuto in giudizio il proprietario del cane pur sapendo che il danno era dovuto alla di lei mancanza di adeguate cautele nella gestione dell’animale, nonostante le competenze che non poteva non avere in quanto veterinaria.


Bibliografia

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1 Trib. Roma, Sez. XIII, Sent. 08.09.2022 n. 13136, pagg. 11,12

2 L. Felleti, R. Mazzon, sub art. 2052 in commentario “Experta” al Codice Civile, Wolters Kuwler, 2022

3 C. M. Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, pagg. 725-727;

4 Cass. civ., 19.5.2009 n.11570: “È indubbio che la responsabilità ex art. 2052 c.c. è una responsabilità per colpa presunta juris et de jure a carico del proprietario o del possessore dell’animale che arrechi danni a terzi ed è, altresì, indubbio che, nel caso in esame, il giudice del merito ha escluso ogni responsabilità del G., rinvenendo nell’accaduto il caso fortuito”.

5 P. Monateri, La responsabilità civile, Torino, 2006, pag. 476

6 M. Comporti, Fatti illeciti: le responsabilità oggettive, in Schlesinger, Busnelli, Commentario al Codice Civile, sub artt. 2049-2053, Milano, 2009, pagg.355-356

7 P. Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, pagg.19-23,

8 ex multis, Cass. civ., Sez. III, 19.07.2019, n. 19506

9 Si veda Cass. 21.04.2016, n. 8042, che ha escluso la responsabilità dei convenuti sul rilievo della condotta imprudente della danneggiata che era passata dietro a un cavallo, in una posizione che, per la conformazione dei luoghi, la esponeva ai possibili calci dell’animale. Cfr Cass. 20 aprile 2009 n.9350; Trib. Ascoli Piceno 24.10.2016.

10 Cass. civ., Sez. III, 19.05.2004, n. 9471 

11 D. Rosati, Responsabilità medica: tutele in caso di danno ai pazienti, in Diritto.it

12 Cass. pen., Sez. IV, 11.02.2020, n. 15258

13 Cass. Pen., sez. VI, 29.04 .2021– 12.05.2021, n. 18347, con nota di A. Forestieri, Responsabilità medica: come stabilire il grado della colpa, in Altalex, 09.07.2021.

14 Trib. Roma, cit., pag. 11

15 Trib. Roma, ibid.

16 Cass. civ., Sez. III, Sent., 07.07.2010, n. 16023

17 Cass. 15.04.1959, n. 1115; Cass. 22.12.2015, n. 25738.

18 Ad esempio, Cass civ., 21.4.1947, n. 590: “La responsabilità del proprietario per i danni cagionati da animali, nel caso in cui il proprietario abbia affidato ad altri l’animale soltanto in custodia, non rimane eliminata neppure nei confronti del custode per i danni da questo subiti senza sua colpa”. Peraltro, questa massima risalente sembrerebbe attagliarsi al caso che ci occupa, dato che quantomeno l’avvicinarsi al muso del cane senza museruola è considerato dal giudice stesso un comportamento colposo della danneggiata.

19 Cass. civ., 21.04.1947, n. 590

20 Cass. civ., Sez. III, 28.04.2010, n. 10189 “La norma dell’art. 2052 cod. civ. – in base alla quale chi si serve di un animale è responsabile dei danni dallo stesso cagionati per il tempo in cui lo ha in uso – trova il proprio fondamento nel principio per cui chi fa uso dell’animale nell’interesse proprio e per il perseguimento di proprie finalità, anche se non economiche, è tenuto risarcire i danni arrecati ai terzi che siano causalmente collegati al suddetto uso; in tale situazione, peraltro, non rientra colui il quale utilizzi l’animale per svolgere mansioni inerenti alla propria attività di lavoro, che gli siano state affidate dal proprietario dell’animale alle cui dipendenze egli presti tale attività”.
Nel caso di specie, viene accolta la domanda risarcitoria avanzata da un componente del corpo di polizia municipale, di risarcimento dei danni conseguenti alla caduta dovuta all’impennata del cavallo da lui montato.

21 Vedi la nota di V. Carbone in Il Corriere Giuridico, n. 2, 1 febbraio 2013, pagg. 279 ss

22 Cass. 16.04.2015, n. 7703. Sul punto si veda R. Foffa, Guida Pratica Experta, Danno cagionato da animale.

23 F. Bertelli, La responsabilità del proprietario dell’animale tra caso fortuito e colpa del danneggiato, in Danno e responsabilità, 1/2017, pag. 20

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