Strumentalità degli immobili rurali e imposta IMU

in Giuricivile.it, 2022, 9 (ISSN 2532-201X)

Il presente articolo, partendo da un inquadramento d’ordine generale sulla figura dell’imprenditore agricolo e sulle peculiarità dell’attività d’impresa agricola, si prefigge l’obiettivo di chiarire il rapporto che lega la strumentalità della costruzione rurale, all’assoggettamento della stessa ai tributi locali e, nella specie, l’imposta IMU. Da ultimo, si ripercorreranno le tappe evolutive del sistema catastale, il cui onere di annotazione, ad oggi, assurge a prova nodale della ruralità/strumentalità dell’immobile, ai fini delle agevolazioni fiscali.

Inquadramento introduttivo: la figura dell’imprenditore e le articolazioni del settore agricolo

Per lungo tempo la descrizione originaria, pur esigua, contenuta all’interno dell’art. 2135 c.c. ha rappresentato l’unico riferimento dispositivo atto a riempire di contenuto la nozione di imprenditore agricolo[1].

Invero, se all’imprenditore commerciale il codice destinava (e destina) copiosa ed articolata disciplina, la figura dell’imprenditore agricolo, di contro, risultava contrassegnata da un’accezione negativo-marginale, in forza della quale “era imprenditore agricolo chi non risultava essere sottoposto alla disciplina dell’imprenditore commerciale[2].

Ancora, entrando nel merito della formulazione primordiale dell’art. 2135 c.c. esso stabiliva, al primo comma, che fosse imprenditore agricolo “chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse”; per poi precisare, al secondo comma, che si considerano connesse “le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura”.

Ictu oculi, la formulazione codicistica altro non evidenziava se non la trasposizione in calce di una realtà sociale prevalentemente rurale, lontana e scevra da ogni forma di sovrastruttura dei mezzi di produzione.

Occorre attendere il D.lgs. n. 228/2001 e, in particolare, la riscrittura dell’art. 2153 c.c. ad opera dell’art. 1 in esso contenuto, per assistere alla metamorfosi della nozione di imprenditore agricolo, nel segno di un suo evidente ampliamento[3].

L’impresa agricola fondata sul circoscritto sfruttamento della produttività naturale della terra e del bestiame, infatti, non rimane che un retaggio del passato, sorpassata da quella che è stata definita “l’agricoltura industrializzata[4]. In sostanza, si comprende che pensare al comparto agricolo come ad un settore vincolato al mero sfruttamento del suolo e degli animali rischia di apparire una soluzione fuorviante, se non del tutto erronea.

Invero, oggi (ed è il caso di aggiungere “ancora più di ieri”) l’impresa agricola è in grado di condizionare ingenti investimenti di capitali, dotarsi di strutture e macchinari di alta tecnicizzazione, concorrere nel mercato al pari di una qualunque impresa commerciale, oltre che rappresentare uno dei primi settori evolutosi nel segno della sostenibilità globale.

A fronte di un ridimensionamento tanto evidente, tuttavia, occorre domandarsi cosa rimane della formulazione antecedente.

Ebbene, se la nuova definizione di imprenditore agricolo ha determinato un evidente ampliamento della disciplina allo stesso riferita, di contro, la bipartizione in cui si sostanzia l’attività agricola (in sé considerata) continua ad essere la medesima.

Difatti, la disciplina codicistica rimane salda nello scindere lo svolgimento dell’attività agricola in due macro categorie, ossia le attività agricole essenziali e le attività agricole per connessione.

Nel dettaglio, si definiscono attività agricole essenziali: la coltivazione del fondo, la selvicoltura e l’allevamento del bestiame; mentre, si definiscono attività agricole per connessione quelle che, pur essendo intrinsecamente commerciali, sono connotate da una congiunzione con l’attività agricola principale[5]. Ancora, sempre con riguardo alle attività agricole per connessione, si precisa che la stessa può essere soggettiva ed oggettiva.

In forza del requisito soggettivo l’imprenditore che esercita le attività connesse è il medesimo soggetto che svolge una delle tre attività agricole essenziali (così ad esempio, resta imprenditore agricolo il viticoltore che commercializza il vino che produce).

In virtù del requisito oggettivo, invece, i prodotti oggetto dell’attività agricola per connessione devono provenire “prevalentemente” dal compimento di una delle tre attività agricole essenziali. A riguardo, proprio il profilo della prevalenza contribuisce ad innovare il significato da attribuire alla connessione, non più circoscritta a ciò che rappresenta “l’esercizio normale dell’agricoltura”[6], bensì estesa a tutte quelle attività aventi ad oggetto beni/servizi che possiedono una correlazione in termini di prevalenza rispetto all’attività agricola essenziale di riferimento.

Pertanto, alla luce della nuova disciplina è del tutto irrilevante che l’attività di trasformazione e/o commercializzazione sia riferita alle normali attività agricole, risultando, di contro, essenziale che l’attività agricola connessa abbia ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dallo svolgimento dell’attività agricola essenziale[7].

I beni strumentali all’attività d’impresa

Definite le caratteristiche concernenti l’imprenditore agricolo, si procede lungo la disamina delle peculiarità che interessano l’attività d’impresa, ponendo in rilievo il valore dei beni strumentali all’espletamento della stessa.

Avanzando con ordine, in primo luogo, occorre chiarire il concetto di strumentalità riferito ai beni di cui si serve l’azienda nello svolgimento della propria attività.

I beni strumentali rappresentano l’elemento cardinale del patrimonio aziendale posto che contribuiscono a definire l’assetto tecnico, produttivo e di sviluppo dell’impresa. La solidità, l’attitudine all’accrescimento e l’abilità competitiva dell’impresa, infatti, sono circostanze fortemente condizionate dal possesso, e conseguentemente dal corretto impiego, dei beni strumentali.

In particolare, nella definizione di beni strumentali si riconducono tutti quei beni (materiali, immateriali e di natura finanziaria) che le imprese utilizzano per svolgere la propria attività, come fattori produttivi pluriennali e che, in quanto tali, formano un asset permanente per qualsiasi azienda.

Sul punto, recentemente, la Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 3249/2020 si è espressa offrendo una chiara definizione di beni strumentali, fornendo, altresì, paradigmi orientativi in grado di scongiurare comode soluzioni di sintesi. Nello specifico, secondo il Supremo Collegio sono strumentali quei beni “che hanno, quale unica destinazione, quella di essere direttamente impiegati nell’espletamento di attività tipicamente imprenditoriali, così da non essere idonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel quale sono inseriti”[8]. Ancora, ai fini della loro qualificazione, ribadisce la Cassazione, la loro particolare natura deve essere oggetto di attenta disamina, non essendo sufficiente il ricorso a valutazioni in astratto.

Pertanto, risulta imprescindibile procedere con valutazioni in concreto, verificando quali funzioni vengono programmate ed eseguite attraverso l’uso dei beni strumentali, non essendo configurabileuna categoria di beni la cui strumentalità è in re ipsa[9].

Alla luce di quanto premesso, è opportuno illustrare le diverse categorie di beni strumentali, ossia le immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie.

Sono immobilizzazioni materiali, i beni tangibili di uso durevole costituenti parte dell’organizzazione permanente dell’azienda, la cui utilità economica si estende oltre i limiti di un esercizio[10]. A riguardo, si precisa che il riferimento a fattori e/o condizioni durature non è una caratteristica intrinseca ai beni come tali, bensì alla loro destinazione d’uso. Esemplificazione di questi specifici beni sono: i terreni, i fabbricati, gli impianti, i macchinari, le attrezzature industriali, le attrezzature commerciali ed altri beni (quale categoria residuale)[11].

Le immobilizzazioni immateriali, invece, sono attività normalmente caratterizzate dalla mancanza di tangibilità. Esse sono costituite da costi che non esauriscono la loro utilità in un solo periodo, protraendo i loro benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi[12]. Compongono questa categoria: i diritti di brevetto industriale, i diritti d’utilizzazione delle opere d’ingegno, le concessioni, le licenze, i marchi e i diritti agli stessi equiparati.

Infine, si definiscono immobilizzazioni finanziarie[13] le partecipazioni e i titoli[14] detenuti dall’impresa sotto forma di stabile investimento, considerato che, diversamente, i medesimi strumenti sarebbero contabilizzati nella sezione dell’attivo circolante (mancando il requisito della strumentalità).

Strumentalità degli immobili rurali ai fini IMU

Prima di sottoporre ad attenta valutazione il rapporto di strumentalità che lega la costruzione rurale all’attività agricola, è doveroso compiere una (sintetica) premessa sulla normativa istitutiva dell’imposta IMU, nella consapevolezza che spesso il significato di una norma si intende più compiutamente indagando, oltre al dato letterale, anche i suoi trascorsi evolutivi.

Il dato da cui partire è la bipartizione secondo cui: le imposte patrimoniali generali colpiscono il patrimonio complessivo e le imposte speciali colpiscono il possesso di specifici beni[15].

Postulato di quanto anticipato, dunque, è che l’imposta IMU[16], è una patrimoniale speciale.

In passato la proprietà di fabbricati edificabili ed agricoli era assoggettata ad ICI (imposta comunale sugli immobili)[17], tributo istituito con D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.

Ora, in forza del D.l. 6 dicembre 2011, n. 201 “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici -Salva Italia-”, l’ICI venne sostituita dall’IMU (imposta municipale unica); altresì prevedendo all’art. 13, comma 8 del medesimo decreto l’applicazione dell’aliquota ridotta allo 0,02%, riferita alle costruzioni rurali necessarie per lo svolgimento dell’attività agricola.

Successivamente, la L. 27 dicembre 2013, n. 147 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” e nello specifico l’art. 1, comma 708 della medesima, statuì che non fosse più dovuta l’IMU di cui al comma 8 dell’art. 13 del decreto succitato.

Tuttavia, considerato che non esiste nulla di più permanente nel nostro ordinamento della provvisorietà della legge, un nuovo intervento del legislatore ha portato alla riscrittura di quanto stabilito nel 2013 ed alla costituzione dell’art. 1, comma 750 contenuto nella L. 27 dicembre 2019, n. 160 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022”, attraverso cui veniva rispristinata la subordinazione degli immobili rurali strumentali all’imposta IMU a decorre dall’anno 2020. Nel dettaglio, riproponendo l’aliquota dello 0,02% da applicare agli immobili rurali strumentali, la novella legislativa, riconosce in capo ai Comuni la facoltà di poter procedere a diminuzione della stessa fino all’azzeramento, ma non all’esenzione[18].

Ciò detto, allora, un dato non deve sfuggire: allo stato attuale si può parlare di un eventuale azzeramento dell’aliquota, non più di esenzione dall’imposta[19].

Sulla scorta delle considerazioni esposte, il presente contributo prosegue ad indagare le caratteristiche della strumentalità/ruralità degli immobili asserviti allo svolgimento dell’attività agricola; anticipando, fin da subito, che le metamorfosi della materia in esame, altro non rappresentano che il diretto condizionamento dell’altrettanto volubile sistema catastale.

La disciplina avente ad oggetto la tassazione degli immobili strumentali presenta, salvo precise puntualizzazioni, una struttura omogenea sia per l’impresa agricola sia per l’impresa commerciale.

L’unica rilevante diversità, oltre alla separata ubicazione delle disposizioni all’interno del T.U.I.R.[20], rileva nel fatto che se nell’impresa agricola la nozione di immobile strumentale (sostanzialmente) tende a coincidere con quella di “costruzione rurale”, nel contesto dell’impresa commerciale, invece, in forza del principio di attrazione del reddito d’impresa, il legislatore accoglie la nozione più ampia di “immobili relativi all’impresa” (ex art. 65 T.U.I.R.)[21].

Con precipuo riferimento alla strumentalità relativa all’impresa agricola, la nozione di costruzione rurale, originariamente, era contenuta all’interno dell’art. 39 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 “Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche” ed asserviva:

  1. ad abitazione delle persone addette alla manuale coltivazione della terra, alla custodia dei fondi, del bestiame e degli edifici rurali ed alla vigilanza dei lavoratori agricoli, nonché alle persone di famiglia conviventi a loro carico;
  2. al ricovero degli animali e degli animali occorrenti per la coltivazione dei terreni;
  3. alla custodia delle macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione dei terreni;
  4. alla conservazione dei prodotti agricoli e alla loro manipolazione e/o trasformazione.

L’esclusione dal reddito dei fabbricati, dunque, trovava ragione nel fatto che il reddito (agrario) fosse imputabile al suolo e che in quest’ultimo fosse assorbito anche quello della costruzione rurale.

Questa concezione, rimasta in piedi almeno fino al graduale spopolamento delle campagne, muta quando il legislatore si rende conto che l’utilizzo dei fabbricati in esame ha cessato d’essere “strumentale all’attività agricola” e veicolato ad altri usi[22].

Così, per evitare che le ex costruzioni rurali rimanessero improduttive di reddito, il legislatore, con l’art. 70, comma 4, Legge 30 dicembre 1991, n. 413[23], ha previsto “che le costruzioni o porzioni di costruzioni attualmente iscritte al nuovo catasto terreni come rurali, destinate invece ad abitazione di persone e quindi ad uso diverso da quello indicato nella lettera a) del comma 1 dell’art. 39 del testo unico delle imposte sui redditi, devono essere iscritte al catasto edilizio urbano entro il 31 dicembre 1993”. In sostanza, la disposizione introdotta doveva assolvere lo specifico compito di recuperare quella sostanziale evasione d’imposta frutto della mancata annotazione catastale di immobili divenuti, in concreto, civili abitazioni.

Il quadro sopradescritto, lungi dal rappresentare un definito approdo della questione, muta ulteriormente con l’emanazione dell’art. 9, comma 1, D.l. 30 dicembre 1993, n. 557 “Ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l’anno 1994” (convertito con modificazioni in L. 26 febbraio 1994, n. 133), il quale interviene per istituire il catasto dei fabbricati[24]. Nel dettaglio, con l’obiettivo di censire tutto il patrimonio edilizio presente, il legislatore ha istituito il “catasto dei fabbricati”, contenente l’elencazione di tutti gli immobili presenti sul territorio nazionale, andando aldilà della loro effettiva destinazione d’uso.  Pertanto, una volta individuato, l’immobile veniva annotato nel catasto dei fabbricati, attribuendo allo stesso una rendita e senza distinguere tra fabbricato ad uso abitativo o strumentale allo svolgimento dell’attività d’impresa agricola. Nello specifico, il comma 3, del sopracitato art. 9, infatti, riuniva in un’unica disposizione (con una soluzione di sintesi assai discutibile) i requisiti di ruralità relativi ai fabbricati abitativi e strumentali, prevedendo il soddisfacimento di precise condizioni[25].

Bisogna attendere l’art.2, comma 1, del D.P.R. 23 marzo 1998[26] , n. 138, per assistere alla separazione della disciplina tra costruzioni rurali ad uso abitativo/uso strumentale all’attività agricola e la conseguente istituzione del comma 3-bis all’interno dell’art. 9, D.l. 30 dicembre 1993, n.557[27].

Più in particolare, tale nuova disposizione, premesso che debba riconoscersi carattere di ruralità ai fini fiscali alle costruzioni strumentali all’attività agricola[28], fissa dettagliatamente quale sia la destinazione allo scopo necessaria, elencando peculiari attività deputate:

  1. alla protezione delle piante;
  2. alla conservazione dei prodotti agricoli;
  3. alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l’allevamento;
  4. all’allevamento e al ricovero degli animali;
  5. all’agriturismo, in conformità a quanto previsto dalla legge 20 febbraio 2006, n. 96;
  6. ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento;
  7. alle persone addette all’attività di alpeggio in zona di montagna;
  8. ad uso di ufficio dell’azienda agricola;
  9. alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione, commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228;
  10. all’esercizio dell’attività agricola in maso chiuso.

Da ultimo, a ben guardare, l’elencazione di cui sopra persiste nel mantenere al suo interno talune fattispecie di fabbricati con destinazione abitativa. Sicché, per esigenze chiarificatrici, il legislatore ha previsto l’istituzione anche del successivo comma 3-ter, il quale precisa che le porzioni ad uso abitativo, ancorché ricomprese nell’elencazione del comma 3-bis, sono censite, autonomamente, come unità immobiliari per uso abitativo o assimilabili[29].

Vexata quaestio: la prova della ruralità/strumentalità e l’intervento chiarificatore della Suprema Corte di Cassazione

Nel nostro ordinamento la tassazione immobiliare, e per quanto qui interessa dei fabbricati rurali, avviene su base (prevalentemente) catastale[30]; ne deriva, che le modalità con cui si procede ad annotazione, diventano nodali per la legittimazione ad ottenere (o meno) agevolazioni fiscali.

A tali effetti possiede rilevanza preminente il D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139[31] che, oltre a riproporre i requisiti di ruralità di cui all’art. 9 comma 3 del D.l. 557/1993, istituisce all’art. 1, comma 5, una nuova categoria catastale denominata D/10, destinata ad inglobare il novero delle costruzioni rurali strumentali all’attività d’impresa agricola[32]. Le costruzioni rurali abitative (e relative pertinenze), di contro, continuavano ad essere censite autonomamente all’interno del quadro A/6 (categoria residuale), costituente un ibrido tra fabbricati di pessima qualità e costruzioni a destinazione rurale[33].

Così, data la bipartizione (A/6-D/10) e il diffondersi di un orientamento giurisprudenziale[34] secondo cui, ai fini del riconoscimento della ruralità, avesse valenza il mero dato formale di iscrizione catastale, il legislatore, semplicemente, recepisce tale indirizzo costituendo in essere l’art. 2 comma 2 (bis-ter-quater), D.l. 13 maggio 2011, n. 70, ai sensi del quale risultava stabilito che gli interessati, al fine del riconoscimento della ruralità dell’immobile, dovessero presentare all’Agenzia del Territorio una domanda di variazione dell’annotazione della costruzione, rispettivamente, in A/6 o D/10.

A distanza di pochi mesi, il legislatore ritorna sulla materia per mezzo del D.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (poi convertito con modificazioni, in L. 22 dicembre 2011, n. 214)[35], il cui art. 13 riporta le novità della disciplina vigente, ossia:

  1. l’abrogazione dell’art. 23, comma 1, del D.l. 30 dicembre 2008, n. 207, che esonerava da ICI i fabbricati rurali, riconoscendo la soggezione ad IMU dei medesimi;
  2. l’introduzione di un’aliquota di favore, pari allo 0,02%, per i fabbricati rurali strumentali (ovvero per quelli accatastati in categoria D/10);
  3. l’introduzione di un termine ultimo (il 30 novembre 2012) entro il quale i fabbricati rurali ancora iscritti a catasto terreni avrebbero dovuto essere dichiarati al catasto fabbricati, con ciò adempiendo a quanto fin dall’inizio previsto dall’art. 9 del D.l. 30 dicembre 1993, n. 557.

Da ultimo, al fine di dare attuazione a quanto sopra descritto, successivamente, è stato emanato il Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 26 luglio 2012 “Individuazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito della ruralità”, prevedendo i seguenti principi in punto di accatastamento dei fabbricati rurali[36]:

  1. “ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione” (art. 1, comma 1);
  2. “ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione” (art. 1, comma 2).

In ragione di quanto argomentato, dunque, non resta che interrogarsi su di un’ultima questione:

come si prova la strumentalità del fabbricato rurale?”.

L’interrogativo, infatti, valicando i confini di una mera dissertazione astratta possiede una rilevanza oltremodo concreta, non foss’altro che per i riflessi fiscali palesemente differenti tra una categoria catastale ed un’altra.

Sul punto, e prima degli interventi risolutivi del Supremo Collegio, convivevano due orientamenti.

Secondo un primo indirizzo ermeneutico, la natura esonerante della ruralità poteva essere fatta dipendere dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme. In sostanza, in forza del dato letterale contenuto, rispettivamente, dall’art. 2135 c.c. e dall’art. 9, comma 3-bis D.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (convertito con modificazioni in L. 26 febbraio 1994, n.133), il solo fatto (oggettivo) che l’immobile fosse asservito allo svolgimento di una delle attività agricole essenziali o connesse, di per sé, era in grado di soddisfare il requisito di ruralità e giustificare la richiesta d’agevolazione fiscale avanzata del contribuente.

In forza di un secondo indirizzo, invece, risultava opportuno vagliare il possesso del requisito soggettivo. Detto in altri termini, la qualifica d’imprenditore agricolo in capo al contribuente, avrebbe determinato l’automatica estensione della ruralità agli immobili di cui lo stesso si serviva per lo svolgimento della propria attività d’impresa.

Data l’evidente polarizzazione interpretativa, il Supremo Collegio, a più riprese, è tornato ad esprimersi sul punto, suggellando:

  • Cass. civ. 4 giugno 2007, n. 12999 – “Il contribuente deve provare, nell’esercizio dell’impresa, il carattere strumentale del bene. La strumentalità del bene non può essere presunta, ma deve essere volta per volta provata, senza che sia ipotizzabile una categoria di beni “oggettivamente strumentali”, ovvero strumentali in re ipsa. Deve pur sempre accertarsi il rapporto strumentale tra bene e attività aziendale, potendosi però in concreto prescindere dall’utilizzo diretto del bene, purché in presenza del presupposto dell’insuscettibilità di diversa destinazione”.
  • Cass. civ. 7 maggio 2019, n. 11974 – “Il carattere rurale dei fabbricati, diversi da quelli destinati ad abitazione, non può essere negato, ogni qualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dalla normativa di riferimento a prescindere dal fatto che la titolarità dei terreni da cui provengono i prodotti agricoli coincidano nello stesso soggetto”.
  • Cass. civ. 24 agosto 2021, n. 23386 – “La domanda di variazione catastale, presenta con la prevista autodichiarazione dell’interessato, non determina ex se il riconoscimento della ruralità, a tal fine essendo necessaria l’annotazione in atti della sussistenza dei requisiti di ruralità prevista dal D.M. 26 luglio 2012, art. 1, comma 2.

[1] G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale – Diritto dell’impresa, Torino, 2017 “Copiosa è invece la legislazione speciale (creditizia, laburistica e tributaria) nazionale e comunitaria in materia di agricoltura, generalmente ispirata dalla finalità di favorire lo sviluppo di tale settore fondamentale dell’economia”.

[2] Nell’originaria formulazione, quindi, la nozione di imprenditore agricolo (sottoposto alla disciplina dell’imprenditore in generale) assolveva la specifica funzione di circoscrivere l’ambito applicativo della disciplina dell’imprenditore commerciale.

[3] Decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 rubricato “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo”, il cui art. 1 interviene per sostituire l’art. 2135 c.c. stabilendo, al primo comma, che: “E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità definite dalla legge”.

[4] La locuzione in esame non si riferisce solo all’agricoltura altamente meccanizzata, in grado di controllare e modificare i normali cicli biologici, ma richiama anche tutto il novero di prodotti che il progresso tecnologico definisce merceologicamente agricoli, pur prescindendo dalla lavorazione del suolo (ad es. le coltivazioni artificiali “fuori terra” che si servono di soluzioni nutritive in provetta e di strumentari capaci di riprodurre condizioni simili a quelle esistenti in natura).

[5] Detto in altri termini, le attività agricole connesse sono attività di per sé commerciali che possono essere attratte al contesto agricolo solo in quanto prolungamento funzionale della tripartizione (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento) che connota le attività agricole essenziali.

[6] G.F. CAMPOBASSO, Ibidem: “Infatti non si richiede più che le attività di trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli rientrino nell’esercizio normale dell’agricoltura, né che le attività connesse diverse da queste ultime abbiano carattere accessorio. Entrambi questi criteri sono infatti sostituiti da quello della prevalenza”.

[7] Sul punto, si dà atto, a titolo esemplificativo, di alcune pronunce di merito che hanno mantenuto la qualifica di imprenditore agricolo: al soggetto che commercializza prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo agricolo (Corte appello, Milano, n.2888/2021); al soggetto che, pur senza esercitare attività agricola in senso proprio, svolge in favore dei propri soci, imprenditori agricoli o cooperative di questi, attività di natura mutualistica o consortile volta alla manutenzione dei prodotti (CTP, Brescia, n.456/2020); al soggetto che produce e cede energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche attraverso l’utilizzo di attrezzature dell’azienda impiegate nell’attività agricola esercitata (Tribunale, Mantova, n.9967/2021).

[8] Cfr. Cassazione civile, 11 febbraio 2020, n. 3249.

[9] Cfr. Cassazione civile, 11 febbraio 2020, n.3249.

[10] OIC 16, Immobilizzazioni materiali, su www.fondazioneoic.eu

[11] Cfr. S. AZZALI, Financial reporting and accounting standards, Torino, 2021.

[12] OIC 24, Immobilizzazioni immateriali, su www.fondazioneoic.eu

[13] OIC 21, Immobilizzazioni finanziarie, su www.fondazioneoic.eu

[14] Per chiarezza si ricorda che le partecipazioni, sono quote o azioni rappresentative del capitale sociale o del patrimonio netto delle imprese; i titoli, invece, sono investimenti finanziari di strumenti di debito emessi dallo Stato, da altri enti pubblici ovvero da imprese private (ad esempio BOT, CCT, BTP).

[15] Cfr. E. MARELLO, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, Milano 2006.

[16] F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario – parte speciale, Milano, 2018: “Il presupposto dell’IMU è il possesso di immobili, tra cui fabbricati, le aree fabbricabili e i terreni agricoli non montani. Restano ferma le definizioni dettate per l’ICI dall’art. 2 del D.lgs. 30 dicembre 1992, n.504. L’unità immobiliare, adibita ad abitazione principale (la cd. prima casa), non è soggetta ad IMU. Sono però tassate le abitazioni classificate A/1 (case di tipo signorile), A/8 (ville) e A/9 (castelli e palazzi con pregi artistici e storici)”.

[17] L’imposta comunale sugli immobili ha rappresentato un tributo comunale, in vigore dal 1993 al 2011, che aveva come presupposto impositivo la proprietà di fabbricati e terreni agricoli ed edificabili situati sul territorio nazionale.

[18] Si precisa, inoltre, che ai sensi dell’art. 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato): “Gli enti locali, relativamente ai tributi di loro competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato”. Ancora, si puntualizza che gli atti impositivi (siano essi emessi in rettifica o d’ufficio) “devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello a cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

[19]Ad ogni modo, le questioni che gravitano attorno all’imposta IMU restano accese ed attuali, come testimonia l’ulteriore modificazione che l’imposta ha subito durante l’emergenza pandemica COVID-19, periodo nel quale è stata disposta la sospensione del potere impositivo da parte dell’Ente locale.

[20] Rispettivamente: art. 42 “Costruzioni rurali”, art. 43 “Immobili non produttivi di reddito fondiario”.

[21] Riferendosi: agli immobili effettivamente strumentali all’attività d’impresa, a quelli posseduti da società aventi struttura commerciale (s.p.a.- s.n.c.-s.a.s.), a quelli individuati dall’imprenditore individuale all’interno dell’inventario tenuto ex art. 2217 c.c.

[22] Detto in altri termini, il mutamento della destinazione d’uso della costruzione rurale, per altro non seguito da una diversa annotazione catastale dell’immobile medesimo, non costituiva solo una lacuna normativa, ma determinava una “falla” improduttiva di reddito, posto che tali beni (di fatto) risultavano affrancati da qualunque forma di tassazione.

[23] Legge 30 dicembre 1991, n. 413 “Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare, potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzione dei centri di assistenza fiscal e del conto fiscale”.

[24] Art. 9, comma 1, D.l. “Ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l’anno 1994”: “Al fine di realizzare un inventario completo ed uniforme del patrimonio edilizio, il Ministero delle finanze provvede al censimento di tutti i fabbricati o porzioni di fabbricati rurali e alla loro iscrizione, mantenendo tale qualifica, nel catasto edilizio urbano, che assumerà la denominazione di “catasto dei fabbricati”. L’Amministrazione finanziaria provvede inoltre alla individuazione delle unità immobiliari di qualsiasi natura che non hanno formato oggetto di dichiarazione al catasto. Si provvede anche alla ricognizione generale del territorio basata su informazioni derivanti da rilievi aerofotografici”.

[25] Art. 9, comma 3, D.l. 30 dicembre 1993, n. 557: “Ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali, i fabbricati o porzioni di fabbricati devono soddisfare le seguenti condizioni: a) il fabbricato deve essere posseduto dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno, ovvero detenuto dall’affittuario del terreno stesso o dal soggetto che ad altro titolo conduce il terreno cui l’immobile viene dichiarato asservito o dai familiari conviventi a loro carico risultanti dalle  certificazioni anagrafiche; b) l’immobile deve essere utilizzato, quale abitazione o per funzioni strumentali all’attività agricola, dai soggetti di cui alla lettera a), sulla base di un titolo idoneo, ovvero dai dipendenti esercitanti attività agricole nella azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti nel rispetto della normativa in materia di collocamento; c) il terreno cui il fabbricato è stato dichiarato asservito deve avere  superficie non inferiore a 10.000 metri quadrati ed essere censito al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario. Qualora sul terreno siano praticate colture specializzate in serra, ovvero la funghicoltura, il suddetto limite viene ridotto a 3.000 metri quadri; d) il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo. Il volume di affari dei soggetti che non presentano la dichiarazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto si presume pari al limite massimo di cui all’art. 34, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; e) i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8 , ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei la vori pubblici 2 agosto 1969, adottato in attuazione dell’art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, non possono comunque essere riconosciuti rurali”.

[26] D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138:  “Regolamento recante norme per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali, a norma dell’articolo 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662”.

[27] Sulla scorta di quanto argomentato risulta ragionevole affermare che, allo stato attuale, l’art. 42 T.U.I.R. rappresenti la cornice generale all’interno della quale la disciplina di dettaglio risulta essere meglio descritta dall’art. 9, comma 3 ss., D.l. 30 dicembre 1993, n. 557.

[28] Nei limiti della stessa ex art. 32, comma 2, T.U.I.R., il quale, a sua volta, mutua i paradigmi codicistici contenuti all’art. 2135 c.c.

[29] Art. 9, comma 3-ter, D.l. 30 dicembre 1993, n. 557: “Le porzioni di immobili di cui al comma 3-bis, destinate ad abitazione, sono censite in catasto, autonomamente, in una delle categorie del gruppo A”.

[30] Cfr. Ufficio Parlamento di bilancio, Tassazione degli immobili: fiscalità locale, disciplina, effetti e confronti con ordinamenti stranieri, Roma, 2015.

[31] D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139 “Regolamento recante nome per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali, a norma dell’articolo 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662”.

[32] La locuzione “strumentale” richiama, precisamente, le costruzioni che per destinazione e tipologie sono tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione diversa da quella per la quale furono originariamente costruite.

[33] Si precisa che, anteriormente all’istituzione del catasto dei fabbricati, pur esistendo la categoria A/6, le costruzioni rurali (anche abitative) erano per lo più censite a catasto terreni, contraddistinte dal simbolo “R” e senza attribuzione di rendita. Ancora, sulla residualità della categoria A/6 si veda F. SAPONARO, Imposizione locale e fabbricati rurali, in Riv. Dir. trib., 2011.

[34] In tal senso, con riferimento all’applicazione dell’ICI, si veda Cass. SS.UU., 21 agosto 2009, n. 18565.

[35] D.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (poi convertito con modificazioni, in L. 22 dicembre 2011, n. 214) “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici – Salva Italia-).

[36] Per maggiori chiarimenti si rimanda alla Circolare del 07/08/2012 n.2 -Agenzia del Territorio- Direzione Centrale Catasto e Cartografia e Pubblicità immobiliari, “Nuova disciplina in materia di censimento dei fabbricati rurali ai sensi dell’art. 13, commi 14-bis, 14-ter, 14-quater del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 e del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 26 luglio 2012”.

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