Con la sentenza n. 4248 del 4 marzo 2016, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno risolto un contrasto giurisprudenziale in materia di difetto di rappresentanza processuale. In particolare, veniva richiesto alla Corte se il difetto di rappresentanza processuale sia suscettibile di sanatoria anche in grado di impugnazione, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie, e se, inoltre, tale difetto sia rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità.
In primo luogo, la Corte ha osservato che il potere di controllo delle nullità (non sanabili o non sanate), esercitabile in sede di legittimità, mediante proposizione della questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante il rilievo d’ufficio da parte della Corte di Cassazione, va ritenuto compatibile con la prospettiva del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., se si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio ovvero di ipotesi riconducibili a carenza assoluta di potestas iudicandi. In tutte queste ipotesi si deve infatti prescindere “dal vizio relativo all’individuazione del giudice“, poiché si tratta non già di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, bensì di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, “difettando i presupposti o le condizioni per il giudizio”.
Ne consegue che per le questioni processuali “fondanti”, tra le quali il difetto di rappresentanza processuale, non può formarsi giudicato implicito: in altre parole, esse non possono mai considerarsi implicitamente risolte, ma sono sempre soggette alla verifica dei giudici delle impugnazioni, al fine di salvaguardare l’ordinamento dall’emissione di sentenze inutiliter datae.
Chiarita la possibilità di rilievo d’ufficio del difetto di rappresentanza in sede di legittimità, anche se non vi sia stata contestazione di parte nei precedenti gradi di merito, la Suprema Corte ha poi rilevato che a questo inevitabile rigore corrisponde tuttavia l’ampia sanabilità del vizio della rappresentanza volontaria: l’art. 182, co. 2, c.p.c., ai sensi del quale il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev’essere infatti interpretato nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, “con effetti “ex tunc“, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali“.
La Suprema Corte ha inoltre precisato che, qualora il vizio non sia stato rilevato d’ufficio, ma venga per la prima volta sollevato in sede di legittimità dalla controparte, sorge immediatamente per il rappresentato l’onere di procedere alla sanatoria, con la produzione necessaria allo scopo. Non v’è infatti luogo per assegnare un termine – a meno che non sia motivatamente richiesto – allorquando il difetto non sia stato rilevato d’ufficio (e sia quindi nuovo), perché il giudice è stato preceduto dal rilievo di parte, sul quale l’avversario è chiamato a contraddire.
La Corte di legittimità ha inoltre superato l’orientamento dottrinale secondo cui – consentendo al falso rappresentato, e non all’altra parte, di giovarsi, con la ratifica, solo dei giudizi in cui la sua posizione sia risultata vittoriosa, rigettando le conseguenze della soccombenza – il rilievo in appello potrebbe incidere sul principio di parità delle parti: è stato infatti evidenziato come “l’altra parte ha comunque interesse ad una pronuncia che non sia esposta a impugnazioni straordinarie, ma venga utilmente reincanalata; inoltre potrà pur sempre rivalersi sul falso rappresentante, se ve ne sono le condizioni“.
Alla luce del suddetto ragionamento, le Sezioni Unite hanno perciò respinto le posizioni contrarie alla sanatoria in grado di impugnazione, riaffermando l’opposto principio, secondo il quale è possibile la sanatoria del difetto di rappresentanza, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie. In particolare, qualora sorga in sede di legittimità la contestazione esplicita del potere rappresentativo del soggetto che ha agito in giudizio, o stia resistendo, la Suprema Corte ha altresì chiarito che la prova (documentale) della sussistenza della legittimazione processuale può essere fornita anche in questa sede, ai sensi dell’art. 372 c.p.c..
Leggi la sentenza integrale: Corte di Cassazione, SS. UU. civili, sentenza n. 4248 del 4 marzo 2016