La Corte di Cassazione ha affrontato la responsabilità per il pagamento delle sanzioni amministrative in caso di illeciti fiscali, specialmente quando sono coinvolte società con personalità giuridica. Al centro del dibattito vi è l’interpretazione dell’art. 7 del d.l. n. 269/2003, che prevede che le sanzioni relative a violazioni fiscali commesse da società o enti dotati di personalità giuridica ricadano esclusivamente sulla persona giuridica stessa. Questa norma sembrerebbe escludere la responsabilità diretta di amministratori o rappresentanti legali, a meno che la società non sia una “cartiera”, ovvero una struttura di facciata creata al solo scopo di coprire attività illecite personali.
Corte di Cassazione-sez.V.-sent. n. 23229 del 28-08-2024
La vicenda
L’Agenzia delle Entrate aveva imposto sanzioni a una società per violazioni fiscali legate agli anni 2012 e 2013, in un caso di maxi-frode tramite cooperative fittizie. In primo grado, la Commissione Tributaria di Milano aveva confermato le sanzioni, ma in appello la Commissione della Lombardia le ha annullate, affermando che solo le società stesse potevano essere sanzionate, escludendo consulenti e amministratori. Ora, l’Agenzia ha chiesto alla Cassazione di rivedere la decisione.
La Corte di Cassazione ha affrontato la responsabilità per il pagamento delle sanzioni amministrative in caso di illeciti fiscali, specialmente quando sono coinvolte società con personalità giuridica. Al centro del dibattito vi è l’interpretazione dell’art. 7 del d.l. n. 269/2003, che prevede che le sanzioni relative a violazioni fiscali commesse da società o enti dotati di personalità giuridica ricadano esclusivamente sulla persona giuridica stessa. Questa norma sembrerebbe escludere la responsabilità diretta di amministratori o rappresentanti legali, a meno che la società non sia una “cartiera”, ovvero una struttura di facciata creata al solo scopo di coprire attività illecite personali.
Interpretazione dell’art. 7 del d.l. n. 269/2003
La questione si complica ulteriormente quando si considera l’art. 9 del d.lgs. n. 472/1997, che disciplina il concorso di terzi negli illeciti fiscali. Infatti, la norma permette di sanzionare anche soggetti esterni alla società, come consulenti o collaboratori, che abbiano concorso all’illecito. Il problema che si pone è se l’art. 7, con il suo focus sulla responsabilità della società, modifichi in qualche modo il regime di concorso previsto dall’art. 9, oppure se le due disposizioni debbano essere lette in maniera autonoma.
La giurisprudenza ha fornito risposte diverse nel corso degli anni. Alcune sentenze hanno sostenuto che l’art. 7 dovrebbe essere applicato rigorosamente, attribuendo la responsabilità esclusivamente alla società, a condizione che essa sia una realtà economica autonoma e non un mero strumento per scopi illeciti personali. Tuttavia, in casi dove la società è una “cartiera”, ossia una struttura priva di reale attività economica e usata per finalità illecite, la Corte ha stabilito che la sanzione può ricadere sull’amministratore di fatto o su altre persone fisiche che hanno tratto beneficio dalla violazione, riconoscendo così un’eccezione al principio della responsabilità sociale.
Questa interpretazione lascia aperta la possibilità di applicare sanzioni anche ai terzi che abbiano concorso all’illecito, mantenendo così una distinzione tra la responsabilità della società e quella delle persone fisiche coinvolte. In pratica, mentre l’art. 7 circoscrive la responsabilità della società, l’art. 9 continua a consentire l’azione nei confronti di consulenti o altri soggetti esterni che abbiano partecipato attivamente all’illecito fiscale.
Divergenze giurisprudenziali sulla responsabilità sociale
Il dibattito giuridico attorno a queste norme dimostra che la loro applicazione non è sempre lineare e richiede un’attenta valutazione del contesto specifico di ciascun caso. La Corte di Cassazione ha provato a bilanciare il principio di responsabilità sociale con la necessità di punire effettivamente chi, attraverso artifici giuridici, cerca di sottrarsi alle proprie responsabilità personali. Tale equilibrio mira ad assicurare che le sanzioni tributarie siano efficaci e giuste, colpendo non solo le entità giuridiche, ma anche le persone fisiche che ne fanno un uso distorto per fini illeciti.
Secondo gli ermellini, il concetto di “compatibilità” tra la disciplina sanzionatoria del d.lgs. n. 472 del 1997 e l’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 richiede un’interpretazione che vada oltre la semplice lettura formale delle norme. La compatibilità non deve essere intesa come un’automatica abrogazione di qualsiasi disposizione del decreto del 1997 che sembri in contraddizione con l’art. 7, ma piuttosto come un’esigenza di coordinamento tra le due normative.
Bilanciamento tra responsabilità sociale e personale
In particolare, l’art. 7 del d.l. 269/2003 mira a superare il modello personalistico previsto dal d.lgs. n. 472/1997, specialmente per le strutture imprenditoriali complesse dotate di personalità giuridica, dove la separazione concettuale tra il contribuente e l’autore materiale dell’illecito risulta meno netta. Dunque, la partecipazione del terzo deve essere caratterizzata da un interesse autonomo e distinto, che non si limiti a un mero beneficio professionale, come ad esempio un compenso, ma che si traduca in un vantaggio economico illecito, conseguito attraverso il compimento di azioni fraudolente o evasive.
Conclusioni
Per i giudici ermellini, questa interpretazione impone al giudice di merito un attento esame delle circostanze concrete del caso, per determinare se il terzo abbia agito con l’intento di ottenere un beneficio personale attraverso condotte illecite, in posizione di equiordinazione rispetto alla società. Solo in presenza di tale autonomia e compartecipazione interessata il terzo può essere chiamato a rispondere in concorso, secondo le previsioni dell’art. 9 del d.lgs. n. 472/1997.
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