Riserva mentale nel matrimonio non costituisce responsabilità civile

Con l’ordinanza n. 28390 del 2024, la Corte di Cassazione ha confermato l’insussistenza della responsabilità civile per la mancata comunicazione, da parte di un coniuge, della riserva mentale circa la durata del vincolo matrimoniale. 

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Il caso di specie

Il ricorrente aveva lamentato che l’ex moglie, prima del matrimonio, avesse nascosto l’intenzione di contrarre matrimonio solo “per prova”, senza il reale intento di rispettarne la durata. La questione era emersa già durante un giudizio ecclesiastico, conclusosi con la nullità del matrimonio religioso, ma la successiva richiesta di delibazione era stata respinta per contrarietà all’ordine pubblico. Il ricorrente aveva inoltre sostenuto che tale comportamento avesse causato danni patrimoniali e non patrimoniali, invocando la responsabilità civile della controparte. Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato le sue pretese.

I limiti della responsabilità civile

I giudici di legittimità hanno chiarito che, a differenza di quanto avviene in un contratto, il matrimonio non comporta obblighi di trasparenza o di comunicazione preventiva di intenzioni personali, essendo un atto fondato su diritti della personalità e non su vincoli patrimoniali. Dunque,  l’omissione di tali comunicazioni non può  fondare un fatto costitutivo della pretesa risarcitoria.
Il ricorrente aveva invocato l’art. 2043 c.c., sostenendo che la mancata comunicazione della riserva mentale costituisse un fatto illecito produttivo di danno ingiusto. La Corte, richiamando la sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite, ha ribadito che la configurabilità di un danno ingiusto richiede la lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Nel caso di specie, la libertà matrimoniale della resistente è stata ritenuta prevalente rispetto all’interesse del ricorrente a essere informato della riserva mentale.
Secondo la Cassazione, l’ordinamento giuridico non attribuisce rilevanza giuridica alla riserva mentale sulla dissolubilità del matrimonio, né a eventuali dubbi sulla durata del vincolo.

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Esclusione di obblighi giuridici specifici

La Corte ha escluso altresì l’applicabilità delle norme sul contratto e sulla responsabilità precontrattuale previste dagli artt. 1337 e 1338 c.c., sottolineando che il matrimonio non può essere assimilato a un negozio giuridico in senso tradizionale. Non può quindi configurarsi un obbligo giuridico di comunicare intenzioni personali o riserve mentali, né è ipotizzabile un dolo incidente ai sensi dell’art. 1440 c.c., dal momento che la mancata comunicazione degli stati soggettivi personali non incide sulla validità del consenso matrimoniale. L’art. 122 c.c., che disciplina l’errore sulla persona, si riferisce a caratteristiche oggettive e non a stati soggettivi o intenzioni interne. Allo stesso modo, l’art. 129-bis c.c., che regola la responsabilità per violazione di obblighi matrimoniali, non è applicabile in assenza di una concreta violazione di obblighi derivanti dal matrimonio.

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 La coabitazione come indizio, ma non decisiva

Rapporti con il diritto canonico

La Corte ha rilevato che, mentre nel diritto canonico la riserva mentale può essere causa di nullità del matrimonio, nel diritto civile essa non produce effetti. La mancata delibazione della sentenza ecclesiastica era motivata dalla contrarietà all’ordine pubblico, con particolare riferimento alla tutela dell’affidamento incolpevole dell’altro coniuge.

Principio di diritto

La Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “Non rappresenta fatto costitutivo di responsabilità risarcitoria l’omessa comunicazione da parte di uno dei due coniugi, prima della celebrazione del matrimonio, dello stato psichico di concreta incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale e della scelta di contrarre matrimonio con la riserva mentale di sperimentare la possibilità che il detto vincolo non si dissolva.”

Conclusioni

Con l’ordinanza n. 28390/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’autonomia della scelta matrimoniale, garantita dalla libertà personale, prevale su eventuali interessi di trasparenza o affidamento dell’altro coniuge. La decisione conferma che il matrimonio non può essere assimilato a un contratto e che le norme sulla responsabilità civile non possono estendersi a stati soggettivi personali che restano estranei alla sfera giuridicamente rilevante.

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