Argomenti e giurisprudenza a sostegno della tesi che impone il risarcimento del danno tanatologico da morte istantanea provocata dal fatto illecito altrui.
A sostegno della tesi che impone l’obbligo di ristorare il danno da perdita del bene giuridico vita (cd. Danno tanatologico), allorquando il decesso sia intervenuto istantaneamente, anche se verificatosi entro breve intervallo temporale, rispetto alle lesioni inferte tramite fatto illecito altrui, con conseguente legittimazione attiva degli eredi ad ottenere iure successionis le relative somme spettanti alla vittima primaria, militano differenti argomentazioni di evidente rilievo.
Tali considerazioni, quale che sia il peso giuridico ad essi attribuito, non possono essere ignorate dall’organo decidente chiamato a pronunciarsi nel merito di una simile fattispecie astratta, poiché chiamano in causa plurimi valori e principi fondanti del nostro ordinamento, venendosi dunque a configurare una sorta di enigma giuridico di non facile decifrazione.
Suprema Corte di Cassazione: la sentenza n. 1361/2014 relativa al danno da privazione del diritto di vita (cd. Danno tanatologico)
A fronte delle numerose pronunce giurisprudenziali di merito e di legittimità, che nel tempo si sono succedute in merito al tema della risarcibilità o meno del cd. danno tanatologico da decesso istantaneo, o pressoché tale, assume particolare rilievo la sentenza del 23.1.2014 n. 1361, pronunciata di “recente” dalla Suprema Corte di Cassazione.
Affrontando in modo analitico la controversa tematica in esame, il giudice di legittimità, allinenandosi con altre pronunce giurisprudenziali appartenenti allo stesso Ufficio Giudiziario, ha espressamente accolto la richiesta di risarcimento avanzata iure successionis dai congiunti della vittima primaria, deceduta istantaneamente in conseguenza del fatto illecito posto in essere da un terzo.
Ripercorrendo nel testo della sentenza i succitati contrasti giurisprudenziali, la Corte di Cassazione ha inteso mettere chiarezza sulla tematica, affermando, nelle sue definitive conclusioni, che “costituisce danno non patrimoniale altresì il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell’individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell’ordinamento, anche sul piano della tutela civilistica. Il danno da perdita della vita…deve essere ristorato anche in caso di cd. morte immediata o istantanea… Il diritto al ristoro del danno da perdita della vita si acquisisce dalla vittima istantaneamente al momento della lesione mortale…, giacché la morte ha per conseguenza la perdita non già solo di qualcosa bensì di tutto.
Il ristoro del danno da perdita della vittima ha funzione compensativa, e il relativo diritto (o ragione di credito) è trasmissibile iure ereditatis” (Cass. n. 1361/2014; in tal senso, V. anche Cass. n. 8360/2010, Cass. n. 458/2009, Cass. n. 8204/2003).
In altri termini, a parere della Suprema Corte, “va senz’altro condivisa l’osservazione che le categorie dogmatiche create e poste dagli interpreti a base dell’argomentare non possono divenire delle gabbie argomentative di cui risulti impossibile liberarsi anche quando conducano ad un risultato interpretativo non rispondente o addirittura in contrasto con il prevalente sentire sociale, in un determinato momento storico” (Cass. n. 1361/2014).
Ebbene, nonostante la fondamentale pronuncia in commento non sia riuscita nel suo intento di eliminare successivi arresti giurisprudenziali contrastanti tra loro, la stessa ha però il pregio di aver dato spazio a successive pronunce di legittimità, di analogo contenuto, maggiormente improntate alla piena tutela del fondamentale diritto di vita: il danno non patrimoniale da perdita della vita non è indennizzabile ex sè senza che possa essere invocato il diritto alla vita di cui all’art. 2 CEDU, quale disposizione normativa di carattere generale diretta a tutelare ogni possibile componente del bene giuridico vita (Cass. n. 14940/2016); ai fini della risarcibilità del danno da privazione del diritto di vita, anche denominato danno tanatologico, è da considerarsi irrilevante la sussistenza di un apprezzabile lasso di tempo intercorso tra lesione personale e decesso, essendo sufficiente che la vittima primaria si trovasse, anche per un brevissimo lasso temporale, in una condizione di lucidità agonica (Cass. n. 26727/ 2018).
La giurisprudenza compensativa: il cd. danno morale catastrofale
Sotto altro aspetto, è doveroso evidenziare la sussistenza di un orientamento giurisprudenziale più recente, che, pronunciandosi sul tema del cd. danno morale catastrofale, ha ritenuto di affermare che quest’ultimo debba essere ristorato anche in assenza di un apprezzabile intervallo temporale tra lesioni e successivo decesso, con conseguente trasmissibilità, iure successionis, del relativo credito risarcitorio agli eredi della vittima primaria (ex plurimis, Cass. 11719/2021).
Tale emblematico orientamento giurisprudenziale, al fine di compensare evidentemente l’ingiustizia sostanziale data dalla carenza di tutela del fondamentale diritto alla vita, non prende formalmente posizione sulla difficile tematica del danno tanatologico da morte immediata, ammettendo però di fatto la risarcibilità di quest’ultima voce di danno.
In effetti, a ben vedere, tale corrente di pensiero riconosce la sussistenza di un diritto di credito in favore della vittima primaria (seppur a titolo di “danno morale”), quale conseguenza della morte immediata causata direttamente dal fatto illecito altrui, con conseguente trasmissione del relativo credito risarcitorio agli eredi della stessa.
In altri termini, siamo in presenza di una tutela di fatto, la quale, a fronte della esigenza di protezione assoluta dei diritti fondamentali dell’individuo, si esprime a favore della piena garanzia del suo diritto alla vita, posto a tutela del bene giuridico supremo.
La dottrina favorevole alla tutela del diritto di vita: nuove coordinate interpretative
Come correttamente evidenziato dalla dottrina più attenta alla tutela del diritto di vita (intrinsecamente altro e diverso dal diritto alla vita), l’intervallo di un apprezzabile lasso di tempo intercorrente tra evento lesivo e decesso, semmai, assume rilievo in riferimento al danno biologico terminale (si intende la sofferenza psichica della vittima che ha subito le lesioni fatali), contestualmente al danno morale catastrofale (ovvero la sofferenza emotiva patita dal soggetto danneggiato, accentuata dalla lucida consapevolezza della propria morte imminente).
E’ evidente, in effetti, che per la configurazione del danno biologico e morale, e quindi a maggior ragione per le voci risarcitorie ora menzionate (danno biologico terminale e danno morale catastrofale), sia necessaria la sussistenza di uno spatium vivendi per un apprezzabile lasso di tempo, quale presupposto ontologicamente imprescindibile per l’accoglimento della relativa richiesta di indennizzo, dal momento che un soggetto deceduto non può di certo percepire alcuna sofferenza psichica o emotiva.
Tutt’altra questione invece per il pregiudizio tanatologico (dal greco thanatos, morte, logos, discorso).
Invero, l’insorgenza del relativo credito risarcitorio, come evidenziato dalla dottrina tendenzialmente garantista, non necessita un apprezzabile lasso di tempo intercorrente tra danno evento (lesione) e danno conseguenza (morte): il sostrato fattuale che giustifica la venuta ad esistenza del credito risarcitorio è dato proprio dalla perdita in sè del bene giuridico vita, tutelato dall’art. 2 e 32 della Costituzione quale diritto assolutamente inviolabile.
In altri termini, il diritto di vita, quale bene giuridico per eccellenza, tutelato a pieno regime anche dalla normativa e giurisprudenza appartenente agli altri paesi Ue, deve essere senza dubbio riconosciuto e garantito in qualsiasi circostanza, non essendo plausibile che la sua tutela (risarcitoria) possa essere ammessa in talune occasioni e dunque negata in altre, a pena di violazione, tra l’altro, del fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.
In conseguenza di ciò, che si tratti di morte istantanea, intervenuta dopo un breve lasso di tempo ovvero ancora verificatasi dopo l’intervento di un apprezzabile spatium vivendi, il relativo credito risarcitorio da decesso istantaneo (o pressoché istantaneo), se provocato dal fatto illecito altrui, deve considerarsi comunque trasmissibile agli eredi iure successionis, poiché, ragionando al contrario, si avrebbe una limitazione inaccettabile della tutela del diritto di vita, ma anche del diritto alla vita (che invece avrebbe ad oggetto la tutela di un’esistenza piena e soddisfacente).
Tantomeno può essere aprioristicamente affermato che, in caso di decesso istantaneo, sarebbe assente un soggetto al quale sia riconducibile la perdita del bene vita, e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, come talora affermato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
Un ragionamento pragmatico di questo tenore, come evidenziato dall’ orientamento dottrinale in parola, elude effettivamente la tipica astrattezza che caratterizza la dimensione teorica del diritto oggettivo (basti pensare, a titolo esemplificativo, il tema della capacità giuridica del nascituro non concepito, limitata ma seppur esistente).
Inoltre, non appare corretto affermare che il credito risarcitorio, connesso al fatto illecito altrui ex art. 2043 cc, necessariamente viene ad esistenza al momento della effettiva verificazione del danno che possa considerarsi giuridicamente ingiusto.
Tale ultima interpretazione dell’art. 2043 c.c., in talune ipotesi, tra cui certamente la fattispecie del danno tanatologico da morte istantanea, obbliga il soggetto danneggiato a rimanere sostanzialmente privo di qualsivoglia forma di tutela, sicché tale attività ermeneutica, a ben vedere, si pone in aperto contrasto con la ratio iuris della medesima previsione normativa.
È doveroso dunque richiamare l’art. 12 preleggi, in particolare l’obbligo di interpretazione delle previsioni normative facendo leva sulla ratio ad esse sottesa, che impone quindi all’organo decidente di ancorare la genesi del credito risarcitorio, quale conseguenza dal fatto illecito altrui, al momento storico che conduca ad una maggiore tutela possibile per il soggetto concretamente danneggiato.
La dottrina favorevole alla tutela del diritto alla vita: il paradosso logico-giuridico
Altra parte della dottrina evidenzia il paradosso logico-giuridico a cui perviene chi intende negare cittadinanza al credito risarcitorio per il danno tanatologico da morte
Un diniego di questo tenore, invero, conduce alla inevitabile conclusione secondo cui, limitatamente agli effetti del diritto privato, per il danneggiante risulterebbe sostanzialmente più conveniente depredare il danneggiato del bene giuridico vita, piuttosto che limitarsi a ledere la sua integrità psico-fisica, solo in quest’ultimo caso essendo tenuto egli al risarcimento per equivalente nei confronti del soggetto che ha subito la lesione.
Si tratta di un paradosso logico, ancor prima che giuridico: ad un comportamento da considerarsi certamente più grave (l’uccisione) corrisponderebbe una conseguenza nettamente meno grave (nessun risarcimento per equivalente); ad una condotta invece palesemente meno grave (lesioni) corrisponderebbe una conseguente sanzione considerevolmente più incisiva (risarcimento per equivalente del danno biologico causato, che può essere liquidato secondo le Tabelle di Milano o Roma).
E’ evidente dunque che la tutela del diritto di vita non può ammettere eccezioni di sorta, che conducono a paradossi assai difficili da superare, essendo confliggenti con i principi e valori fondanti del nostro attuale sistema normativo.
Ancora una volta, dunque, si perviene alla medesima conclusione logica: deve necessariamente considerarsi irrilevante il tema relativo al lasso di tempo che concretamente separa l’ evento lesivo e l’evento-morte (V. in tal senso la succitata Cass. n. 26727/ 2018).
Pertanto, in caso di decesso istantaneo o pressocchè tale, se provocato dalla condotta illecita altrui, appare corretto affermare che la vittima primaria, astrattamente, acquista un credito risarcitorio per equivalente, da liquidarsi, in attesa di specifiche previsioni normative, alla stregua del danno biologico massimo, e non vi è motivo di considerare tale credito risarcitorio intrasmissibile iure successionis agli eredi della stessa.
Interpretazione letterale: le disposizioni normative di rilievo
Da ultimo, ma non importanza, occorre rimarcare il tenore letterale delle disposizioni normative di maggiore rilievo.
In merito al riconoscimento e tutela del diritto di vita, ontologicamente diverso anche rispetto al diritto alla salute di cui all’art. 32 cost., non vi è dubbio che tale protezione debba trovare il proprio fondamento normativo principalmente nel testo dell’art. 2 Cost.
È invero lo stesso legislatore a ribadirlo in molteplici occasioni: a titolo esemplificativo, nel testo dell’art. 1 della L. 219/2017, che disciplina il controverso tema del cd. testamento biologico, il legislatore si sofferma a precisare che: “La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona…”.
D’altro canto, e ciò risulta sostanzialmente dirimente per la tematica in esame, il succitato art. 1 della L. 219/2017, richiamando espressamente l’art. 2 CEDU, chiarisce un altro aspetto essenziale sul tema della tutela della vita dell’individuo, ovvero la necessità di una sua protezione integra e incondizionata, fatta salva una sola eccezione: “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena “ (art. 2 CEDU).
In altri termini, la disposizione normativa richiamata (art. 1 della L. 219/2017), atteggiandosi a norma di interpretazione autentica, chiarisce sostanzialmente la portata applicativa dell’art. 2 Costituzione: la vita dell’individuo, dotata del carattere di assolutezza e inalienabilitá, è riconosciuta e garantita sotto ogni aspetto a livello costituzionale, trattandosi di un diritto inviolabile che non può tollerare, in nessuna circostanza, limitazioni di tutela.
Fatte tali premesse, è possibile, e anzi doveroso, ritenere quindi inappropriata la tesi che nega legittimità al risarcimento del danno tanatologico da morte istantanea, o pressoché tale.
Tale ultima tesi, infatti, secondo cui il diritto di vita andrebbe garantito esclusivamente quando intercorre un apprezzabile intervallo di tempo tra lesione e conseguente decesso, di fatto rappresenta una limitazione della tutela del diritto medesimo di cui all’art. 2 Cost., configurando dunque un tentativo di attività ermeneutica parzialmente abrogativa del dato normativo (interpretatio abrogans), che pacificamente è vietata dall’art. 12 preleggi.
Conclusioni
In definitiva, dovendo concludere, fatta eccezione per alcune pronunce giurisprudenziali ostative all’indennizzo del danno tanatologico da morte istantanea, che peraltro deducono di volta in volta ragioni diverse e talora anche incongruenti tra loro, deve essere evidenziato che, a parere dello scrivente, ogni altra considerazione logico-giuridica, incluso il dato testuale delle vigenti disposizioni di legge, conduce inevitabilmente alla logica conclusione opposta: il danno tanatologico da decesso immediato, o pressoché tale, se provocato dal fatto illecito altrui, deve essere senza dubbio ristorato per equivalente, con conseguente trasmissibilità del credito risarcitorio, iure successionis, in favore degli eredi della vittima primaria.
De iure condendo, allora, considerata l’importanza individuale e sociale della tematica in esame, risulta oltremodo essenziale un immediato intervento normativo che possa definitivamente risolvere tale spinosa questione, auspicabilmente in direzione del supremo riconoscimento e protezione del primario diritto di vita, quale bene giuridico per eccellenza.