Risarcimento danni per sinistro causato da animali selvatici protetti

in Giuricivile, 2020, 5 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., sez. III civ., sent. 20/04/2020 n. 7969

In caso di sinistro cagionato dalla fauna selvatica protetta quale ente, pubblico o privato, sarà tenuto a rispondere dei danni causati da animali selvatici? Quale, inoltre, sarà il criterio di responsabilità applicabile al caso?

Tali quesiti sono stati risolti dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale si è espressa sul punto con la sentenza n. 7969 del 20 aprile 2020. 

Danni causati da fauna selvatica protetta: l’ente responsabile è la Regione.

Secondo la Cassazione, ai fini del risarcimento dei danni subiti e derivanti da animali selvatici appartenenti alle specie protette nel patrimonio indisponibile dello stato, il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione quale ente preposto, in prima battuta, al fine di perseguire l’utilità collettiva dell’ambiente e dell’ecosistema. Essa ne risponderà, diversamente rispetto all’orientamento giurisprudenziale tenuto sino ad oggi, ai sensi dell’art. 2052 c.c. quale “proprietario” della fauna selvatica appartenente ex lege nel patrimonio indisponibile dello Stato.

L’ente regione, infine, potrà eventualmente rivalersi nei confronti degli altri soggetti pubblici ai quali sarebbe spettato in concreto, per loro diretta titolarità o per delega regionale ricevuta, porre in essere misure idonee ad impedire il sinistro occorso.

La sentenza in oggetto, che non merita in alcun modo di passare ‘in sordina’, effettua un ampio excursus relativo ai precedenti orientamenti tenuti dalla stessa Corte di piazza Cavour il quale, tramite una condivisibile nonché approfondita elaborazione, porta a modificare in toto la fattispecie di danni causati da specie protette rientranti nel patrimonio indisponibile dello stato.

Caso di specie ed orientamento giurisprudenziale tradizionale.

L’analisi effettuata dalla Suprema Corte pone l’attenzione sulla discussa questione della individuazione del soggetto, sia esso pubblico o privato, tenuto a rispondere dei danni causati dalla fauna selvatica.

Il caso di specie, il quale verteva su un sinistro subito da un automobilista e cagionato da un animale selvatico (un cinghiale), aveva visto vincitore nei primi due gradi di giudizio (Giudice di Pace e Tribunale) la parte danneggiata con conseguente condanna della regione alla completa corresponsione dei danni patiti dall’attore. Successivamente, la Regione promuoveva ricorso innanzi alla Corte di Legittimità lamentando l’erronea imputazione della responsabilità – posta nei suoi confronti – per danni cagionati dalla fauna selvatica nei confronti dell’automobilista.

Il Supremo Collegio, al fine di dirimere la controversia, ha ritenuto che la questione de qua fosse necessariamente legata al fondamento giuridico della responsabilità stessa per i danni causati da animali appartenenti a specie protette di proprietà pubblica (già dichiarati quali parte del patrimonio indisponibile dello Stato dalla l. N. 968/1977 e tutelate nell’interesse della comunità nazionale tramite funzioni normative ed amministrative assegnate alle Regioni ai sensi dell’art. 117 della costituzione), e, attraverso un’ampia trattazione della vicenda, ne ha modificato in modo rilevante il criterio di imputazione della responsabilità.

Anzitutto, i giudici della Cassazione hanno preso quali punti di partenza la normativa statale di riferimento e l’orientamento tradizionale sotteso al caso.

In particolare, con l’entrata in vigore della l. N. 968 del 27 dicembre 1977, nonché con le successive norme in materia1, il legislatore ha dichiarato espressamente che la fauna selvatica appartenente a determinate specie protette rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato e, come tale, benefici ai sensi dell’art. 117 Cost. di una relativa tutela nell’interesse dell’intera comunità nazionale. Tale tutela poteva, e doveva, essere perseguita attraverso le funzioni normative ed amministrative assegnate alle Regioni.

Delineata la fattispecie si poneva il problema su quale fosse il fondamento giuridico della responsabilità e, di conseguenza, su chi dovesse ricadere l’onere risarcitorio in tema di danni causati dalla fauna selvatica appartenente dal ’77 al patrimonio indisponibile dello Stato.

La giurisprudenza consolidata2 riteneva che il danno causato dalla fauna selvatica non fosse risarcibile in base alla presunzione stabilita nell’art. 2052 c.c.3 (danno cagionato da animali), in quanto risultava inapplicabile agli animali selvatici per i quali, per il loro stato di libertà, sarebbe stato incompatibile ogni qualsivoglia obbligo di custodia da parte della Pubblica Amministrazione. A tale fattispecie, diversamente, avrebbero dovuto applicarsi solamente i principi generali della responsabilità aquiliana (diversamente detta extracontrattuale) previsti dall’art. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito), con relativo onere della prova richiedente l’individuazione di un comportamento quantomeno colposo ascrivibile all’ente pubblico.

Quest’ultimo non poteva che corrispondere alla Regione4, stabilita la sua competenza a disciplinare, sia direttamente che tramite delega ad altri enti (ex. Province), la tutela della fauna e la gestione del territorio nazionale. 

Pronunce successive contrastanti in tema di legittimazione passiva mancata tutela dei diritti del danneggiato.

Inizialmente, come esposto, la predetta responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. risultava inequivocabilmente in capo alle Regioni ma, a causa di successive pronunce discordanti tra loro5, sono state in seguito operate una serie di specificazioni capaci, in qualche modo, di alterare l’esposto criterio di imputazione soggettiva della responsabilità in capo alla Regione.

Difatti, dato il presupposto che il fondamento della responsabilità fosse da ricercare nella clausola generale di cui all’art. 2043 c.c., e che ciò avrebbe richiesto in ogni caso l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico, in alcune più recenti decisioni si era affermato che la responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici non fosse sempre imputabile alla Regione, ma sarebbe dovuta essere imputata in realtà all’ente (sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, etc.), a cui fossero stati concretamente affidati i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata.

In questo contesto, ove era tutt’altro che univoco il criterio di imputazione della responsabilità, risultava sempre più incerta e complessa la tutela dei diritti vantati dai soggetti danneggiati dalla fauna selvatica. Questi, infatti, oltre ad avere un onere probatorio sempre più complesso ai sensi dell’art. 2043 c.c. Dovevano, inoltre, “(…) districarsi in un ipertrofico e confuso sovrapporsi di competenze statali, regionali, provinciali e di enti vari (…) i cui rapporti interni non sono sempre agevolmente ricostruibili, al fine di individuare l’unico soggetto pubblico effettivamente legittimato passivo, in concreto, in relazione all’azione risarcitoria avanzata (…), il che finisce in molti casi per risolversi in un sostanziale diniego di effettiva tutela, in evidente tensione con i valori costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost.6. 

Soluzione dalla Cassazione sulla responsabilità per danni causati da fauna selvatica protetta.

Effettuata tale disamina, iniziata con l’orientamento tradizionale e passata attraverso le pronunce di merito discordanti con lo stesso, gli Ermellini hanno ribaltato totalmente il precedente orientamento tenuto in tema di istituto giuridico applicabile al caso concreto, affermando che l’art. 2052 c.c., in tema di criterio di imputazione della responsabilità per danni causati da animali, non risulti espressamente limitato agli animali domestici (cosa che era negata nell’ordinamento tradizionale), facendo lo stesso riferimento solo alla fauna suscettibile di proprietà o utilizzazione. Per di più, esso opererebbe a prescindere di una situazione di effettiva custodia dell’animale in quanto sussistente anche qualora l’animale fosse sia smarrito o fuggito.

Unita tale considerazione, ed in particolar modo l’utilizzazione dell’animale equiparata alla sua proprietà nella funzione del criterio ex art. 2052 c.c., al fatto che la legge ordinaria (l. N. 968/1977 e l. N. 157/1992) ha stabilito il diritto di proprietà dello Stato su alcune specie di animali selvatici in virtù della sua funzione di tutela generale dell’ambiente e del patrimonio faunistico, questa corte è arrivata ad affermare l’applicabilità della responsabilità delineata da tale articolo anche in capo ai soggetti pubblici per casistiche di questo tipo.

Così facendo la Cassazione ha modificato nettamente gli aspetti relativi all’istituto de quo, ossia l’applicazione della disciplina del danno cagionato da animali (ex art. 2052 c.c.) in luogo del risarcimento per fatto illecito (ex art. 2043 c.c.), specificandone il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. per la fauna selvatica protetta.

In particolare, per quanto riguarda il regime di imputazione della responsabilità, in applicazione del nuovo criterio oggettivo di cui all’art. 2052 c.c., dovrà essere il danneggiato a dover allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall’animale selvatico. Ciò comporta quindi che su tale soggetto che alleghi di avere subito un danno cagionato da un animale selvatico, graverà da un lato l’onere di dimostrare la dinamica del sinistro, nonché il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito. Inoltre, dall’altro, sarà tenuto a rendere palese l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto di tutela e/o che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.

D’altro canto, il soggetto pubblico responsabile ex art. 2052 c.c., accantonando definitivamente anni di decisione controverse, non potrà che essere in prima battuta la Regione. Ciò in quanto preposta, tramite le competenze normative, le principali competenze amministrative (di programmazione, coordinamento e controllo), nonché i connessi poteri sostitutivi, per la tutela e la gestione della fauna selvatica. Essa, infatti, rappresenta il soggetto che utilizza la fauna in questione allo scopo di realizzare il fine di utilità collettiva della protezione dell’ambiente e dell’ecosistema e, quindi, che risponde nei confronti dei terzi dei danni eventualmente causati dagli animali selvatici, ai sensi dell’art. 2052 c.c..

Tale ente potrà liberarsi dalla responsabilità del danno cagionato dalla condotta dell’animale selvatico invocando il caso fortuito. La Regione dovrà, in questo senso, dimostrare che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo (ossia come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno), e che, in altre parole, anche mediante l’adozione delle più adeguate e scrupolose misure di controllo della fauna concretamente esigibili7, la produzione dell’evento lesivo sarebbe di fatto stata inevitabile.

Inoltre, la stessa Regione, laddove non ritenga di essere concretamente responsabile del sinistro, potrà eventualmente rivalersi nei confronti di diversi enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati dall’ente regionale o direttamente investiti di tale compito dalla legge statale.

Decisione della Cassazione e relativo principio di diritto.

Alla luce di quanto offerto, ed effettuato tale excurcus, la Suprema Corte di Cassazione ha concluso rigettando il ricorso presentato dalla Regione sulla scorta del seguente principio di diritto:

“(…) ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della L. n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che “si serve”, in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità”.

In questo modo gli Ermellini hanno contemperato – tramite il delineato sistema – sia le esigenze della parte pubblica responsabile (Regione o ente pubblico differente eventualmente chiamato in causa dalla prima ai fini di rivalsa) che l’effettiva tutela dei diritti del danneggiato, la quale risulterà uniforme su tutto il territorio della Repubblica in tema di individuazione dell’ente pubblico responsabile del danno causato da specie protette rientranti nel patrimonio indisponibile dello stato.


1 Con la L. n. 968/1977 la fauna selvatica è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato e tutelata nell’interesse della comunità nazionale con relative funzioni assegnate alle Regioni. Successivamente, la L. n. 157/1992 ha specificato che la predetta tutela avviene nell’interesse della comunità internazionale e che, inoltre, le Regioni sul piano delle competenze provvedono “(…) ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica” (art. 1). Infine, il D. Lgs. n. 267/2000, cha ha sostituito la precedente L. n. 142/1990, ha disposto che alle Province spettano “le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale” nei settori della “protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali”, nonché della “caccia e pesca nelle acque interne”.

2 Si notino le molteplici pronunce avallanti questo orientamento: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8788 del 12/08/1991; Sez. 3, Sentenza n. 2192 del 15/03/1996; Sez. 3, Sentenza n. 1638 del 14/02/2000; Sez. 3, Sentenza n. 10737 del 23/07/2002; Sentenza n. 10008 del 24/06/2003; Sez. 3, Sentenza n. 7080 del 28/03/2006; Sez. 3, Sentenza n. 27673 del 21/11/2008; Sez. 1, Sentenza n. 9276 del 24/04/2014; Sez. 3 -, Ordinanza n. 5722 del 27/02/2019.

3 Tale indirizzo ha anche superato il vaglio della Corte Costituzionale, la quale si è espressa sul punto con Ordinanza in data 4 gennaio 2001 n. 4.

4 Cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8470 del 01/08/1991; Sez. 3, Sentenza n. 8788 del 12/08/1991; Sez. 3, Sentenza n. 13956 del 13/12/1999; Sez. 3, Sentenza n. 10737 del 23/07/2002; Sez. 3, Sentenza n. 13907 del 24/09/2002; Sez. 3, Sentenza n. 16008 del 24/10/2003; Sez. 3, Sentenza n. 24895 del 25/11/2005; Sez. 3, Sentenza n. 8953 del 07/04/2008; Sez. 3, Sentenza n. 23095 del 16/11/2010; Sez. 3, Sentenza n. 467 del 13/01/2009; Sez. 3, Sentenza n. 4202 del 21/02/2011.

5 Cfr., ad es., Cass., Sez. 3, Sentenza n. 80 del 08/01/2010; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 21395 del 10/10/2014; Sez. 3, Sentenza n. 12727 del 21/06/2016; Sez. 3 -, Ordinanza n. 18952 del 31/07/2017; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23151 del 17/09/2019.

6 Così letteralmente esposto dalla Corte di Legittimità nella sentenza in commento.

7 Cfr. ad es., tra le più recenti: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 16295 del 18/06/2019; Sez. 3, Sentenza n. 6326 del 05/03/2019; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1725 del 23/01/2019; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6703 del 19/03/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7805 del 27/03/2017; per la analitica sistemazione delle problematiche relative agli oneri probatori implicati dall’art. 2051 c.c., si vedano anche: Cass., Sez. 3, Ordinanze nn. 2478, 2480 e 2482 del 01/02/2018; per quelle di cui all’art. 2049 c.c., si veda: Cass., Sez. U, Sentenza n. 13246 del 16/05/2019.

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