L’istituto della donazione in generale.
Il contratto di donazione è caratterizzato da:
- Animus donandi, rappresentato dalla volontà di arricchire una persona a titolo gratuito, sapendo di non esservi tenuto;
- Arricchimento patrimoniale del donatario. Questo incremento può avvenire in due modi: o perché il donante assume verso il donatario un’obbligazione (donazione obbligatoria), ovvero allorché si priva, in suo favore, di un diritto (donazione reale);
Come diretta conseguenza dell’arricchimento del donatario consegue l’obbligo per lo stesso di fornire gli alimenti al donante, seppur nei limiti dell’importo della donazione ricevuta.
Per poter validamente concludere un contratto di donazione la legge richiede piena capacità di disporre dei propri beni in capo al donante mentre non sono richiesti particolari requisiti in capo al ricevente. Qualora, poi, il donante, sebbene non interdetto, fosse incapace d’intende e volere al momento della donazione, la stessa è annullabile.
A pena di nullità, la donazione deve soddisfare il requisito della forma solenne, come prescritto dall’art. 782 c.c. il quale richiede che la stessa sia effettuata mediante atto pubblico. L’unica eccezione è rappresentata dalle donazioni di beni mobili di modico valore che sono valide anche se effettuate con la semplice consegna dell’oggetto.
Qualsiasi bene che si trovi nella disponibilità del donante può formare oggetto del contratto in parola ad eccezione dei beni futuri cioè quelli che non siano ancora venuti ad esistenza e, naturalmente, dei beni altrui. Non tutti i beni futuri, però, sono esclusi dall’ambito della donazione: è difatti possibile disporre dei frutti, naturali o civili, anche se non ancora separati dai beni fruttiferi da cui derivano.
Revocabilità del contratto di donazione
La donazione si perfeziona con l’accettazione da parte del donatario, così non potendosi revocare ad nutum ma solo nelle due ipotesi previste dall’art. 800 c.c.
Non è comunque recondita la possibilità che il donante si penta di aver disposto in favore di qualcuno a causa dell’irriguardoso contegno tenuto nei suoi confronti da chi è stato arricchito[1].
L’istituto della revocazione costituisce un’eccezione rispetto ai normali casi di scioglimento dei contratti: non è collegato né all’esercizio di un diritto potestativo da parte di un contraente, come nel caso di recesso, né all’avverarsi di un certo evento oggettivo, come nel caso della condizione risolutiva, né all’inadempimento delle obbligazioni dedotte in contratto, come nel caso della risoluzione, bensì ad un atteggiamento del donatario indice di profondo rancore, avversione o disistima nei confronti del donante. Garantire la possibilità per il donante di ritornare sui suoi passi è assolutamente pregnante nell’ambito della donazione, istituto per sua natura caratterizzato da una manifestazione di volontà unilaterale retta da spirito di liberalità di una parte verso l’altra.
Il codice civile prevede la possibilità di ottenere la revocazione delle donazioni in seguito ad apposita domanda giudiziale del donante o dei suoi eredi entro un breve lasso di tempo decorrente dal verificarsi di una delle cause previste dall’art. 800 c.c. che si andranno di seguito ad esaminare. Esse sono rappresentate dall’ingratitudine e dalla sopravvenienza di figli e vengono interpretate restrittivamente in quanto tassative[2]. Non è possibile rinunciare alla potestà di revoca delle donazioni, istituto volto a tutelare colui che dispone volontariamente di un proprio bene o diritto senza ottenerne alcun arricchimento in cambio se non, probabilmente, a livello morale. Non tutte le donazioni, però, possono esser successivamente revocate anche al verificarsi delle ipotesi contemplate nell’art. 800 c.c.: le donazioni rimuneratorie e quelle fatte in riguardo di matrimonio, infatti, non possono in nessun caso essere revocate ai sensi di quanto stabilito dall’art. 805 c.c.
Ingratitudine: profilo morale e patrimoniale.
Il primo caso dal quale discende la revocabilità della donazione ricorre quando il ricevente abbia commesso un fatto che determina indegnità a succedere, ossia quando abbia commesso, nei confronti del donante, del coniuge, dei suoi ascendenti o discendenti, uno dei fatti previsti dall’art. 463 c.c. n. 1, 2, 3 c.c. consistenti nel reato di omicidio volontario, anche tentato, o un fatto al quale la legge penale dichiara applicabili le disposizioni sull’omicidio o, ancora, delitto di calunnia o di falsa testimonianza in giudizio penale[3].
Sono considerati ingrati ai sensi dell’art. 801 c.c. anche coloro che abbiano proferito grave ingiuria nei confronti della persona del donante e non anche dei suoi familiari.
Questa causa di ingratitudine può generare problemi di applicabilità perché se un determinato comportamento può essere qualificato come ingiurioso sotto il profilo morale, non è detto che sia ritenuto tale anche dal punto di vista giuridico[4].
Per poter meglio comprendere quali comportamenti possano essere ricondotti in questa nozione è necessario prendere le mosse dal diritto penale, in cui l’ingiuria grave, ai sensi dell’art. 594 c.p. postula una lesione all’onore ed al decoro della figura dell’offeso.
La tassatività delle cause di revocabilità delle donazioni non esclude che in determinati casi, soprattutto quando si tratta di grave ingiuria, passibile di essere interpretata in vario modo, al giudice sia “devoluta una larga sfera di discrezionalità”[5].
Per poter rilevare come causa di revocabilità della donazione il comportamento del donatario deve esser attentamente valutato sotto il profilo soggettivo: dalla sua analisi deve emergere una violazione del patrimonio morale del donante che possa definirsi grave, sintomo di profonda avversione o durevole disistima, di livello tale da ripugnare la coscienza collettiva[6]. In linea generale la giurisprudenza maggioritaria qualifica il comportamento ingiurioso come grave laddove consista in un’offesa al patrimonio morale e alla dignità del donante che evochi una sentimento di “ripugnanza nella coscienza sociale”, deve denotare un senso di “profonda avversione” o“perversa animosità” nei confronti del donante tale da rendere evidente un sentimento di “durevole disistima delle qualità personali ed irrispettosità della dignità del donante”, contrastanti con il senso di riconoscenza che dovrebbe, secondo la coscienza comune, connotare i rapporti tra donante e donatario[7]. In giurisprudenza sono stati affrontati diversi casi dai quali è possibile delineare quali siano le caratteristiche che deve assumere il comportamento ingiurioso per poter integrare l’anzidetta avversione o profonda disistima nei confronti del donante.
L’adulterio è stato uno dei comportamenti su cui più frequentemente la giurisprudenza si è pronunciata. Innanzitutto, per poter assurgere a causa di revocazione della donazione, il comportamento ingiurioso del donatario non può risolversi in un singolo episodio ma deve protrarsi nel tempo, così da essere indice della reale sussistenza di disistima e mancato rispetto nei confronti del donante. Inoltre l’analisi del comportamento del donante non può limitarsi al solo profilo oggettivo ma deve, piuttosto, estendersi fino ad entrare nella sfera psicologica del donatario e misurare così la sua “potenzialità offensiva del patrimonio morale del donante”[8].
Preliminarmente è doveroso chiarire che la valutazione circa l’idoneità della condotta del donatario ad integrare gli estremi dell’ingratitudine, ove congruamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità[9].
La relazione extraconiugale del coniuge donatario è suscettibile di rilevare quale motivo di revocabilità della donazione per ingiuria grave solo laddove connotata da un comportamento altamente lesivo della dignità del donante, tale da evidenziare una profonda disistima nei suoi confronti. La Cassazione, con sent. n. 25890 del 15 dicembre 2016 ha ritenuto tale il caso del coniuge donatario che intratteneva una relazione extraconiugale all’interno delle mura domestiche, in presenza sia di soggetti terzi che del marito donante, così oltraggiando la dignità di quest’ultimo in maniera inaccettabile e palesando nei suoi confronti un senso di avversione, disprezzo e risentimento. Ciò che è stato ritenuto rilevante ai fini della configurabilità della grave ingiuria è che il comportamento fosse indirizzato a ridicolizzare ed offendere la persona del marito donante senza mostrare alcun ritegno. Atteggiamenti che presuppongono simili sentimenti collidono chiaramente col senso di rispetto e riconoscenza che il donatario dovrebbe provare nei confronti del donante[10].
Per quanto riguarda i rapporti tra genitori e figli non è stato ritenuto sussumibile nella fattispecie dell’ingratitudine il comportamento della figlia che abbia intimato al padre di lasciare l’immobile di sua proprietà adibito a casa familiare durante la separazione con addebito dalla madre poichè l’origine di tale comportamento non veniva ravvisata nella volontà di offendere la dignità del padre bensì nella presa d’atto da parte della figlia della rottura definitiva del rapporto fra i genitori donanti e quindi dell’impossibilità degli stessi di continuare a convivere nell’abitazione acquistata coi denari ricevuti[11].
In materia societaria la Corte ha giudicato non offensivo della dignità e del decoro del donante, amministratore unico di una s.r.l., il voler recedere dalla società ed ottenere la liquidazione della propria quota di partecipazione al capitale sociale da parte della figlia donataria in quanto diritto totalmente legittimo nel caso in cui la società abbia durata equiparabile alla lunghezza della vita del socio e quando vi siano dei contrasti in merito alla gestione aziendale[12]. Qualora, infatti, il socio donatario non si trovi d’accordo con scelte di gestione della società ha il diritto di far presente il proprio dissenso e, se lo ritiene opportuno, di recedere dalla società.
L’indice di offensività varia in relazione ai costumi sociali dell’epoca che si prende in considerazione, potendo sembrare ai nostri occhi “esagerato” il giudizio su un determinato comportamento ingiurioso, tipico di tempi addietro.
Il discrimen tra comportamenti che possono integrare l’ingiuria grave, motivo di revocabilità della donazione e quelli che non determinano tale effetto è quindi riservato al giudice, che lo ricerca caso per caso, avendo riguardo alle circostanze di tempo, di luogo, all’istruzione, al temperamento, all’educazione delle parti ed alle modalità oggettive ed intenzionali del donatario. Si delinea, così, un alto grado di discrezionalità del potere del giudice, la cui valutazione è censurabile solo in quanto non congruamente motivata[13].
Anche l’indebito rifiuto di alimenti in presenza di un vincolo familiare col donante comporta ingratitudine. Lo stesso dicasi per il soggetto che causi un grave pregiudizio doloso al patrimonio del donante, tale da diminuire sensibilmente o addirittura azzerare le risorse di cui quest’ultimo può disporre per far fronte ai propri bisogni[14][15].
Ai sensi dell’art. 802 c.c. la legittimazione ad agire in giudizio per chiedere la revocazione della donazione per ingratitudine spetta al donante ed ai suoi eredi, che possono farla valere, contro il donatario o i suoi eredi, entro 1 anno dalla scoperta della causa che dà luogo a revocazione. Il secondo comma specifica che in caso di omicidio volontario del donante o quando il donatario gli abbia dolosamente impedito di revocare l’atto di liberalità, il termine per proporre la domanda di revocazione inizia a decorrere da quando gli eredi abbiano avuto notizia del fatto. Nel caso di ingiuria grave, invece, il termine di decadenza comincia a decorrere da quando le offese siano divenute di entità o quantità tali da non poter più essere ragionevolmente tollerate da una persona di buon senso[16][17]
Sopravvenienza di figli
Il secondo caso che comporta possibilità di chiedere ed ottenere la revocazione della donazione è previsto dall’art. 803 c.c. ed è rappresentato dalla sopravvenuta nascita o conoscenza dell’esistenza di figli da parte del donante.
Questa ipotesi è direttamente collegata agli obblighi di mantenimento, cura, istruzione ed educazione che incombono sui genitori in quanto consente al donante di provvedere agli stessi facendo affidamento sulle sostanze di cui si era privato con la donazione, salvaguardando così la sua presunta volontà. Col recupero di quanto donato, infatti, egli può assolvere agli oneri genitoriali che al tempo della donazione non poteva aver considerato essendo presupposto imprescindibile per l’esercizio di tale facoltà quello di non avere o non saper di avere figli all’epoca della donazione[18].
Altro scopo dell’istituto in parola si ravvisa, seppur in via mediata, nell’esigenza di tutelare gli interessi patrimoniali dei figli del donante, a discapito di quelli di soggetti estranei.
Anche il successivo riconoscimento di un figlio è da ricomprendere nelle ipotesi che possono dar luogo alla revocabilità dell’atto liberale purché prima della donazione il donante non fosse a conoscenza dell’esistenza del discendente. Difatti qualora lo stesso fosse consapevole dell’esistenza del figlio non può poi approfittare del riconoscimento per incidere sulla donazione. Se era conscio dell’esistenza della prole prima di effettuare la donazione significa che ha potuto valutare con quali sostanze provvedere ai propri obblighi di genitore pertanto non può non aver disposto dell’atto di liberalità con piena capacità d’intendere e volere.
Ulteriore caso che comporta la possibilità di ottenere revocazione della donazione ai sensi dell’art. 803 c.c. è rappresentato dall’azione promossa dal figlio, la cui esistenza fosse ignorata dal donante, tesa a far dichiarare lo stato di filiazione naturale Anche in questo caso lo stato di figlio si forma dopo la pronuncia giudiziale pertanto è suscettibile di rilevare, con riferimento all’atto di liberalità, allo stesso modo in cui rileva la successiva nascita del discendente. Viene così assicurata tutela al figlio di cui il donante ignorava l’esistenza, facendo sì che le precedenti disposizioni possano esser poste nel nulla qualora contrastino col dovere del genitore di prendersi cura della crescita del figlio assicurandone il mantenimento, l’istruzione, la cura e l’educazione.
Tutte le ipotesi di revocazione per sopravvenienza di figli ut supra prese in considerazione non si estendono al coniuge del donante. Pertanto, qualora la nascita di un figlio o il suo riconoscimento riguardi esclusivamente il coniuge del donante, la donazione effettuata dall’altro componente della famiglia non potrà essere posta in discussione[19].
L’azione di revocazione della donazione per sopravvenienza di figli è sottoposta ad un termine di decadenza, ai sensi dell’art. 804 c.c., di 5 anni dalla nascita dell’ultimo figlio all’interno del matrimonio o dell’ultimo discendente legittimo ovvero dalla notizia dell’esistenza del figlio o ancora dall’avvenuto riconoscimento. È quindi possibile far valere l’azione di revocazione anche se all’epoca della donazione c’erano già altri figli e ne sopravvengano poi altri. Il termine, infatti, ad ogni nuova nascita si sposta in avanti, iniziando a decorrere da quando si verificano tali eventi[20].
Sopravvenienza di figli nelle donazioni e nel testamento: differenze.
Anche il testamento può essere oggetto di revocazione se il testatore, al momento della sua redazione, non aveva figli o ignorava la loro esistenza ai sensi dell’art. 687 c.c. In questi casi in dottrina si parla di “caducità” del testamento in quanto l’effetto revocatorio si produce automaticamente per effetto dei succitati eventi. La revocazione delle donazioni di cui all’art. 803 c.c. si distingue dalla norma di cui all’art. 687 c.c. quanto a legittimità, presupposti, effetti e termini per agire, così delineando le due fattispecie, finalità ben distinte.
La revocazione del testamento, infatti, è più propriamente collegata al profilo oggettivo, operando di diritto e non essendovi un vero e proprio termine per farla valere in quanto può essere sollevata anche dopo il decesso del de cuius. L’eccezione rappresentata dalla conoscenza, da parte del testatore, dell’esistenza di figli o discendenti al momento di redazione del testamento non preclude la possibilità di chiederne la revocazione[21]. Risulta, pertanto, evidente la prevalenza accordata, in questi casi, all’interesse del figlio sopravvenuto[22]. La tutela della volontà del testatore viene comunque assicurata in quanto l’effetto revocatorio è suscettibile di operare solo laddove il testatore non abbia disposto espressamente per il caso di sopravvenuta esistenza di discendenti.
L’azione di cui all’art. 803 c.c., invece, è soggetta alla specifica iniziativa individuale del donante o dei suoi eredi e deve essere rilevata entro un breve termine di decadenza. I beni oggetto di donazione revocata, inoltre, ricadono nella sfera patrimoniale del donante, che ne potrà disporre a suo piacimento. Oltre a ciò, la consapevolezza dell’esistenza del rapporto di filiazione al momento della donazione ne impedisce la revoca. Qui è l’esigenza di certezza nei rapporti giuridici a prevalere.
Effetti della sentenza di revoca della donazione.
La sentenza con la quale il giudice dichiara la revoca dell’atto dispositivo ha l’effetto di condannare il donatario alla restituzione di quanto ricevuto. Egli sarà, quindi, tenuto alla restituzione del bene riscosso, se possibile in natura, e dei relativi frutti a partire dal giorno della domanda giudiziale. L’effetto è quindi quello di reintegrare il patrimonio del donante in seguito all’avverarsi delle cause di revocabilità di cui agli artt. 801 e 803 c.c.
Sono fatti salvi i diritti acquistati da terzi in buona fede che siano stati validamente trascritti in epoca anteriore alla pronuncia: in questo caso il donatario sarà tenuto a restituire in danaro il valore del bene ricevuto al tempo della domanda giudiziale.
[1]Dalla prassi è nata così l’esigenza di prevedere normativamente appositi istituti giuridici tesi a tutelare la persona del donante in caso si verifichino determinati comportamenti del donatario.
[2]TORRENTE, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da CICU e MESSINEO, XXII, Milano, 1956, pag. 558 ss.e in giurisprudenza, per tutte, Cass. Sent. n. 5310 del 29 maggio 1998 con riferimento all’ipotesi di ingratitudine per ingiuria grave, in cui si afferma che “stante la tassatività dell’elencazione contenuta nella norma di cui all’art. 801 c.c., l’esame del giudice di merito deve essere particolarmente rigoroso soprattutto nel caso in cui, escluse le cause di indegnità espressamente previste dall’art. 463 c.c. , possa essere configurata l’ipotesi dell’ingiuria grave”.
[3]Incorre in una causa di indegnità colui che abbia denunciato il donante o un suo familiare per un reato punito con la pena dell’ergastolo o con la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a tre anni se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale. Lo stesso vale per colui che abbia testimoniato in un giudizio in cui era imputato il donante o i suoi familiari per un delitto punito nella stessa misura se la testimonianza è stata dichiarata falsa.
[4]G.MUSOLINO, La revocazione della donazione per ingiuria grave, in Rivista del notariato, fasc. 2, 2017, pag. 350
[5]BIONDI, Le donazioni, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Vassalli, XII, t.4, Torino, 1961, p.1055
[6]Cass. Civ. Sez. II, sent. 25890 del 15 dicembre 2016
[7]Tribunale Ascoli Piceno, sez.I, sent. n. 779 del 18 ottobre 2019;
[8]Cass. Civ., sez.II, sent. n. 24965 del 10 ottobre 2018 la quale, in un caso in cui la relazione extraconiugale della donataria era iniziata in un periodo in cui i coniugi erano di fatto già separati e a causa della grande risonanza mediatica che aveva accompagnato tale relazione, non ritenne un simile comportamento, seppur riprovevole e rilevante nel giudizio sull’addebito della separazione, integrante quel disprezzo tale da ripugnare la coscienza collettiva richiesto ai fini della revocabilità dell’atto di donazione fatto dal marito per grave ingiuria.
[9]Cass. Sent. n. 754 del 1973
[10]Cass. Civ., sez. II, sent. n. 20722 del 13 agosto 2018 che ravvisa quell’astio e quell’irriconoscenza tali da integrare l’ingratitudine di cui all’art. 801 c.c. nell’atteggiamento di due donatari che, nonostante l’età avanzata e lo stato di solitudine ed isolamento affettivo in cui si trovava la donante e la fiducia che ella riponeva nei loro confronti, non si sono fatti scrupoli nell’intimarle di lasciare libero l’immobile ricevuto con una lettera formale senza neanche prima avere un confronto personale con lei.
[11]Cass. Sent. n. 7487 del 2011
[12]D.GALLO, Revoca della donazione per ingratitudine e recesso del socio, nota a Trib. Roma, sez. specializzata impresa, sent. n. 21224 del 22 ottobre 2015 in Rivista Il Societario del 10 marzo 2016
[13]R.MARINI, nota a Cass. Civ., sez. II, sent. n.17188 del 24 giugno 2008, in Gist. Civ., fasc.1, 2009, pag.148 secondo cui devolvere una simile distinzione al giudice evidenzierebbe una grossa genericità di valutazione.
[14]Cass. Sent. n. 754 del 1973
[15]Trib. Perugia, sent. n. 108 del 23 gennaio 2019 che ha rilevato dolosa diminuzione del patrimonio della donante da parte del tutore-donatario. Quest’ultimo, difatti, approfittando dell’instabilità psichiatrica e della fragilità emotiva e vulnerabilità della donante dapprima la faceva interdire, dopodichè, una volta conquistata la fiducia della stessa e di tutti i suoi parenti, la induceva a donarle l’unico immobile di sua proprietà e operava ingenti ritenute patrimoniali, per le più disparate ragioni, a suo favore.
[16]Cass. Civ., sez. II, sent. n. 21010 del 18 ottobre 2016
[17]P.DI MICHELE, nota a Cass. Civ., Sez.II, Sent. n. 21020 del 18 ottobre 2016 in Diritto & Giustizia, fasc. 69, 2016, pag.21
[18]D. ACHILLE, Revocazione della donazione per sopravvenienza di figli: l’interesse tutelato è quello del donante, nota a Cass. Civ. Sez.II, sent. n. 5345 del 2 marzo 2017, in Diritto & Giustizia, fasc. 41, 2017, pag. 6
[19] Cass. Sent. n. 2106 del 2018
[20]Cass. Civ. Sez.II, sent. n. 5345 del 2 marzo 2017 la quale chiarisce che anche in caso di decorrenza del termine quinquennale, la donazione può esser revocata qualora il donante diventi nuovamente genitore, “di guisa che la donazione raggiunge la sua irrevocabilità soltanto con la morte del donante”.
[21]In giurisprudenza ci si è interrogati circa la possibilità di ottenere la revoca del testamento per sopravvenuta dichiarazione giudiziale di paternità anche nel caso in cui il disponente in vita fosse stato consapevole dell’esistenza dei posteri. Con sent. n. 169 del 5 gennaio 2018 la Suprema Corte è giunta alla conclusione che non riconoscere effetto revocatorio alla pronuncia dichiarativa di paternità intervenuta dopo la morte del donante, contrasta col principio dell’unicità dello status di figlio in quanto crea irragionevoli disparità di trattamento tra figli riconosciuti e non riconosciuti.
[22]In seguito alla sentenza di revocazione testamentaria, il testatore, deceduto, non avrà più modo di modificare le sue ultime volontà pertanto opererà la successione legittima con l’effetto di favorire l’erede sopravvenuto.