
La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7128/2025, depositata il 18 marzo, ha chiarito l’ambito di applicazione della nuova ipotesi di revocazione per contrarietà alla CEDU ex art. 391-quater c.p.c., introdotta dalla Riforma Cartabia.
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La revocazione per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ex art. 391-quater c.p.c.
La Riforma Cartabia (d.lgs. 149/2022) ha disciplinato una nuova ipotesi di revocazione della sentenza per contrarietà alla CEDU.
L’art. 391-quater c.p.c. prevede che le decisioni passate in giudicato il cui contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali ovvero ad uno dei suoi Protocolli, possono essere impugnate per revocazione se concorrono le seguenti condizioni:
1) la violazione accertata dalla Corte europea ha pregiudicato un diritto di stato della persona;
2) l‘equa indennità eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione non è idonea a compensare le conseguenze della violazione.
Il ricorso si propone nel termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza definitiva della Corte europea ai sensi del regolamento della Corte stessa. Si applica l’articolo 391 ter, secondo comma.
L’accoglimento della revocazione non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi di buona fede che non hanno partecipato al giudizio svoltosi innanzi alla Corte europea.
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Il caso in esame
La vicenda in esame ha origine dalla richiesta di revocazione presentata da due ricorrenti, ai sensi dell’art. 391-quater c.p.c., della sentenza della Corte di Cassazione che aveva confermato la pronuncia di rigetto della Corte d’Appello dell’istanza di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte di un loro congiunto.
La Corte europea dei diritti dell’uomo aveva dichiarato il contenuto della sentenza della Suprema Corte contrario alla CEDU. Le ricorrenti sostenevano che la violazione accertata dalla Corte europea avesse pregiudicato un loro diritto di stato della persona e che l’equa indennità accordata dalla Corte europea, ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, non fosse idonea a compensare le conseguenze della violazione stessa.
La revocazione come extrema ratio
La Suprema Corte, nell’analizzare la richiesta delle ricorrenti, ha innanzitutto chiarito che, la nuova ipotesi di revocazione per contrarietà alla CEDU, introdotta dalla Riforma Cartabia, si pone in linea con i solleciti da tempo impartiti al legislatore dalla Corte Costituzionale in tema di possibile riapertura dei processi civili, al fine di assicurare una effettiva restitutio in integrum, qualora il contenuto di una sentenza, passata in giudicato, integri una violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione EDU, accertata dalla Corte di Strasburgo, e non suscettibile di ristoro tramite tutela risarcitoria (per equivalente).
La stessa Corte Costituzionale, tuttavia, ha precisato che la revocazione deve essere intesa come una sorta di extrema ratio da riservare nei casi in cui le altre misure conformative non possono essere efficaci, in quanto non idonee e rimuovere integralmente i pregiudizi derivanti dalla violazione.
Lo scopo dell’art. 391-quater c.p.c.
Lo scopo della nuova disposizione processuale di cui all’art. 391-quater c.p.c. è quello di dare attuazione all’obbligo dello stato italiano di conformarsi alle decisioni vincolanti della Corte EDU previsto dall’art. 46 della Convenzione.
La previsione della riapertura del processo civile, come emerge dalla lettera della norma, è limitata alle ipotesi in cui:
- il pregiudizio derivante dalla violazione commessa dallo Stato e concretizzatasi in una sentenza ormai passata in giudicato, sia stato accertato dalla Corte EDU;
- la tutela risarcitoria, per equivalente, non sia idonea a rimuovere gli effetti pregiudizievoli della violazione.
Il pregiudizio a un diritto di stato della persona
La Corte di Cassazione ha, inoltre, evidenziato che il legislatore ha previsto il rimedio della revocazione per contrarietà alla CEDU per i soli casi in cui la sentenza passata in giudicato abbia pregiudicato un diritto di stato della persona.
I diritti di stato, secondo la tradizionale definizione dottrinale, sono le posizioni giuridiche fondamentali che la persona assume nell’ambito della società e del nucleo familiare, posizioni soggettive che rilevano come presupposti di diritti e doveri della persona stessa. Ad esempio, dal riconoscimento dello status di cittadino, deriva il diritto di voto; dal riconoscimento dello status di figlio, deriva il godimento di tale stato e l’esercizio dei diritti connessi.
Pertanto, non è possibile interpretare l’art. 391-quater c.p.c. nel senso per cui la nuova ipotesi di revocazione possa invocarsi in tutti i casi in cui la violazione commessa dallo Stato, mediante la sentenza passata in giudicato, il cui contenuto sia stato dichiarato contrario alla Convenzione, abbia leso, genericamente, diritti personali o diritti fondamentali non patrimoniali.
L’impossibilità di rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente
Il pregiudizio a un diritto di stato della persona non può essere riparato attraverso la tutela per equivalente.
La stessa relazione illustrativa al d.lgs. 149/2022 (Riforma Cartabia) ha chiarito che i casi in cui il rimedio risarcitorio è tendenzialmente inidoneo a rimuovere le conseguenze della violazione convenzionale sono stati individuati attraverso il riferimento, dell’art. 391-quater c.p.c., alle violazioni di un diritto di stato della persona. Per questi diritti, infatti, il rimedio risarcitorio, in quanto finalizzato ad attribuire un’utilità economica alternativa, spesso si rivela non del tutto satisfattivo.
La violazione di qualsiasi altro diritto, al contrario, può essere ristorata attraverso il rimedio risarcitorio. Anzi, in alcuni casi, essi sono tutelabili solo per equivalente.
Applicazione dei principi al caso di specie
La richiesta risarcitoria avanzata dalle ricorrenti nel giudizio definito con la sentenza di legittimità di cui chiedevano la revocazione, aveva ad oggetto danni, sia patrimoniali che non patrimoniali, derivanti dalla perdita di un rapporto parentale. Essa era diretta, cioè, ad ottenere una compensazione di tipo economico, per equivalente, per la perdita del rapporto parentale, mentre non era direttamente in discussione il riconoscimento dei loro status personali.
La Corte EDU, inoltre, aveva rigettato la domanda di equa soddisfazione delle ricorrenti in relazione ai danni patrimoniali, ritenendoli non provati, ed aveva, invece, accolto quella relativa ai danni non patrimoniali, riconoscendo loro, a tale titolo, una somma determinata equitativamente.
I giudici di legittimità hanno, dunque, evidenziato che in relazione ai danni patrimoniali, le ricorrenti non avrebbero potuto invocare la revocazione della sentenza impugnata, in base alla decisione della Corte EDU, la quale aveva escluso, al riguardo, la sussistenza di una violazione. Inoltre, la previsione dell’art. 391-quater c.p.c. non si estende anche le violazioni che abbiano leso diritti patrimoniali: l’espressione “diritto di stato della persona”, secondo l’interpretazione dominante, non comprende i diritti risarcitori di natura patrimoniale.
Per ciò che attiene, invece, ai danni non patrimoniali, comunque non rientranti nella disciplina di cui all’art. 391-quater c.p.c., la Corte EDU aveva già riconosciuto e liquidato alle ricorrenti un’equa soddisfazione idonea a compensare le conseguenze della violazione accertata.
La decisione della Corte e il principio di diritto enunciato
La Suprema Corte, in base all’interpretazione dell’art. 391-quater c.p.c., ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha enunciato il seguente principio di diritto:
«la nuova ipotesi di “revocazione per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, prevista dall’art. 391-quater c.p.c., essendo stata introdotta in relazione alle decisioni passate in giudicato il cui contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fonda mentali ovvero ad uno dei suoi Protocolli, a condizione che la violazione accertata dalla Corte europea abbia pregiudicato un “diritto di stato della persona” e che l’equa indennità eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione non sia idonea a compensare le conseguenze della violazione, può essere invocata esclusivamente nei casi in cui la decisione nazionale abbia avuto ad oggetto una domanda incidente direttamente sul diritto al riconoscimento o alla negazione di uno status soggettivo personale e, quindi, la violazione accertata dalla Corte EDU abbia arrecato un pregiudizio che si risolve nella negazione o nel tardivo riconoscimento di uno status personale al quale si abbia diritto ovvero nell’illegittima attribuzione di uno status personale che si neghi di possedere, in quanto situazioni soggettive non suscettibili di tutela per equivalente; di conseguenza, la revocazione è, in ogni caso, esclusa quando la stessa domanda proposta nel giudizio definito con la sentenza passata in giudicato di cui si invoca la revocazione abbia avuto ad oggetto già essa stessa una tutela meramente risarcitoria o, comunque, per equivalente, e ciò anche se il diritto oggetto della sentenza sia un diritto fondamentale della persona, ma non di stato»
Conclusioni
L’istituto della revocazione della sentenza per contrarietà alla CEDU, di cui all’art. 391-quater c.p.c., ha permesso di dare attuazione all’obbligo dello stato italiano di conformarsi alle decisioni vincolanti della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
La nuova ipotesi di revocazione rappresenta uno strumento di tutela nei confronti di chi, a causa di una decisione che ha violato la Convenzione, abbia subito un pregiudizio.
Tale rimedio, tuttavia, può essere invocato solo se:
- la sentenza passata in giudicato, il cui contenuto sia stato dichiarato contrario alla CEDU dalla Corte europea, abbia pregiudicato un diritto di stato della persona;
- l’equa indennità accordata dalla corte EDU non sia idonea a compensare le conseguenze della violazione.
L’obbligo di conformarsi alle decisioni della Corte europea trova, quindi, un limite nell’esigenza di assicurare la certezza del diritto. La revocazione deve essere intesa come una sorta di extrema ratio, un rimedio al quale si può ricorrere solo in presenza di determinate condizioni.