Revocabilità della donazione per ingratitudine nella convivenza

La Corte di Cassazione ha affrontato il tema della revocabilità della donazione per ingratitudine ai sensi dell’art. 801 c.c. La decisione, pone l’accento sulla convivenza more uxorio e sull’impatto delle dinamiche relazionali nella determinazione della lesione della dignità del donante. La vicenda ha origine da una donazione immobiliare effettuata da un uomo a favore della propria compagna convivente, poi revocata in seguito alla scoperta di un comportamento ingrato della beneficiaria.

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Corte di Cassazione-Sez. II civ.- sent. n. 32682 del 16-12-2024

I fatti della controversia

La fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte trae origine da una relazione sentimentale, iniziata nel 2008 e culminata, nel marzo del 2016, con la donazione di un immobile adibito a casa comune. Tuttavia, pochi giorni dopo l’atto di liberalità, il donante scopre che la compagna aveva già intrapreso una relazione extraconiugale con un altro uomo. Tale circostanza, oltre a gettare ombre sulla sincerità della beneficiaria, viene ulteriormente aggravata dalla successiva ostentazione della nuova relazione, inclusa la coabitazione con il nuovo compagno proprio nell’immobile oggetto della donazione. Il Tribunale in primo grado aveva respinto la domanda di revoca, ma la Corte d’Appello di Genova, con sentenza n. 717/2022, ha ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, la condotta della beneficiaria ha integrato gli estremi della grave ingiuria prevista dall’art. 801 c.c., giustificando la revoca della donazione.

La grave ingiuria come presupposto per la revocazione

L’art. 801 c.c. stabilisce che il donante può chiedere la revocazione della donazione quando il donatario si è reso colpevole di ingiuria grave nei suoi confronti. Tale concetto, seppur mutuato dal diritto penale, assume una connotazione peculiare in ambito civile. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che l’ingiuria grave consiste in una offesa all’onore e alla dignità del donante, che deve risultare palese e oggettiva. Non si tratta, dunque, di una semplice mancanza di rispetto, ma di un comportamento tale da ledere profondamente il senso di riconoscenza che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra donante e donatario. Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha ritenuto che la condotta della beneficiaria fosse idonea a ledere la dignità del donante, non tanto per la relazione extraconiugale in sé, quanto per le modalità con cui tale relazione è stata ostentata. La donna, infatti, aveva taciuto l’esistenza della nuova relazione al donante, inducendolo a compiere un atto di liberalità che si fondava sulla presunta solidità del loro rapporto affettivo. La successiva ostentazione della nuova convivenza nell’immobile oggetto della donazione è stata giudicata una circostanza irrispettosa e ingiuriosa, che ha leso il decoro e la dignità del donante.

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Riccardo Mazzon
Avvocato Cassazionista del Foro di Venezia. Ha svolto funzioni di vice-procuratore onorario presso la Procura di Venezia negli anni dal 1994 al 1996. È stato docente in lezioni accademiche presso l’Università di Trieste, in corsi approfonditi di temi e scritture giuridiche indirizzati alla preparazione per i Concorsi Pubblici. Autore di numerose pubblicazioni giuridiche.

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I principi affermati dalla Corte di Cassazione

Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della beneficiaria, confermando la decisione della Corte d’Appello. I principi affermati dalla Suprema Corte sono di particolare rilievo e delineano  i contorni applicativi dell’art. 801 c.c.

In particolare, l’assenza di un vincolo matrimoniale non esclude la rilevanza della convivenza more uxorio. La stabilità della relazione affettiva e la coabitazione possono comunque comportare dei doveri morali e sociali reciproci, la cui violazione può integrare gli estremi della grave ingiuria; la valutazione della condotta deve essere complessiva. La Suprema Corte ha sottolineato che il comportamento del donatario non può essere valutato in modo frammentario, ma deve essere esaminato nella sua globalità. Nel caso di specie, la Corte ha evidenziato come la combinazione di più fattori – la tacita esistenza della relazione extraconiugale, la rapidità con cui la nuova convivenza è stata instaurata e la pubblica ostentazione della stessa – abbia reso evidente la lesione della dignità del donante; l‘ingiuria non coincide con la mera infedeltà. La Cassazione ribadisce che l’infedeltà, di per sé, non è sufficiente a integrare la grave ingiuria. Ciò che rileva è l’“essere della condotta offensiva e irrispettosa nei confronti del donante”, in violazione del senso di riconoscenza che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra le parti; la rilevanza delle modalità esterne. La Corte ha valorizzato il fatto che la beneficiaria aveva ostentato la nuova relazione con il nuovo compagno proprio nell’immobile oggetto della donazione. Tale condotta, a detta dei giudici, è risultata irrispettosa e preordinata, in quanto la donna aveva già manifestato la volontà di porre fine alla relazione con il donante prima dell’atto di liberalità.

Il valore dei beni mobili e l’esclusione della donazione d’uso

Un ulteriore aspetto affrontato dalla Suprema Corte riguarda la proprietà dei beni mobili presenti nell’immobile donato. La beneficiaria aveva sostenuto che tali beni fossero stati oggetto di una donazione d’uso ai sensi dell’art. 770 c.c., in quanto acquistati dal donante a beneficio della convivenza. Tuttavia, sia la Corte d’Appello che la Cassazione hanno rigettato tale tesi, evidenziando come:

  • I beni fossero stati acquistati esclusivamente con denaro del donante.
  • Non fosse stata fornita alcuna prova circa l’esistenza di una liberalità d’uso o circa i servizi resi dalla beneficiaria che potessero giustificare tale donazione.

Di conseguenza, i giudici hanno dichiarato che i beni mobili dovevano essere restituiti al donante, non essendo configurabile una donazione di modico valore o un atto di liberalità d’uso.

Conclusioni

L’ordinanza chiarisce che la revocazione per ingratitudine non può essere ancorata a una mera infedeltà o alla cessazione della convivenza, bensì alla modalità con cui tali eventi vengono vissuti e manifestati. La dignità del donante, nel caso di specie, è stata violata non tanto dalla nuova relazione, quanto dalla sua ostentazione all’interno di un immobile che, nell’intento originario del donante, avrebbe dovuto rappresentare il progetto di vita comune.

 

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