Responsabilità del produttore per danni da prodotto difettoso: cenni alla normativa in USA e Cina

Non è un caso che i primi due Stati del mondo per prodotto interno lordo nominale siano oggi gli Stati Uniti e la Cina, seguiti (o per alcuni addirittura affiancati) dall’Unione europea, quale terza potenza economica mondiale[1]. Per fare un esempio, la Cina è il primo Stato al mondo per importazioni e seconda per esportazioni, dietro proprio agli Stati Uniti[2].

È proprio dalla considerazione di questi presupposti economici, dall’importanza strategica che i vari Paesi assicurano alla produzione, che prende avvio un’analisi comparatistica dei profili di responsabilità del produttore per il danno cagionato al consumatore (ma non solo) da eventuali prodotti difettosi.  È doveroso sottolineare già in questi primi profili introduttivi che la discussione non riguarderà tanto l’applicazione di una determinata disciplina nazionale in materia di responsabilità del produttore, posto che l’importante tema della giurisdizione-competenza (che sicuramente meriterebbe un ampio approfondimento) è materia principalmente del diritto processuale[3]. In realtà l’intento della presente trattazione è più quello di “condurre il pensiero giuridico a constatare e a cogliere, attraverso un procedimento ordinato, metodico e progressivo di raffronto, le somiglianze, le divergenze e le cause, cioè a rivelare le relazioni esistenti tra differenti ordinamenti.”[4] Nonostante quindi la difficoltà data dalle regole processuali da applicare al caso concreto, l’interesse scientifico non viene certo meno, e l’importanza di indagare punti di connessione e profili di divergenza dei diversi istituti giuridici non perde la sua autonomia, specie in considerazione del fatto che oggi si è immersi all’interno di una global supply chain, per cui il prodotto che quotidianamente si utilizza potrebbe benissimo essere stato progettato in paesi lontani e ancor più spesso prodotto e venduto in tutto il mondo.

Analisi comparativa e disciplina armonizzata comunitaria

È comunemente noto che la comparazione giuridica comporta un’operazione logica di analisi critica di ordinamenti, istituti e categorie che consente di individuare una summa distinzione concettuale tra le “ipotesi di macro-comparazione da quelle di micro-comparazione”[5]. L’analisi in questione però, come viene spesso indicato dalla dottrina più autorevole, “ha senso soltanto se fissa un parametro di riferimento in base al quale esprimere il proprio giudizio. Questo parametro prende il nome di tertium comparationis che serve come riferimento nel raffronto fra ciò che viene comparato con ciò che si intende comparare”[6]. L’importanza di questo elemento astratto è comunemente individuata non tanto con la definizione di un determinato istituto giuridico, quanto più con la sua funzione. Per svolgere quindi una buona comparazione occorre che i diversi istituti risolvano lo stesso problema effettivo.

Nel presente contributo si è scelto di utilizzare quale modello (rectius quale parametro della comparazione) la disciplina a noi più nota, quella cioè che si applica in Italia, meglio ancora la disciplina di diretta derivazione comunitaria che trova applicazione in tutto l’ordinamento UE. È il 1985 quando la Comunità economica europea decide di dotarsi di una disciplina per favorire il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi. Prima di passare all’analisi di altri sistemi giuridici, è bene individuare la funzione che nel nostro ordinamento svolge tale disciplina. Il fine è in realtà presto individuabile nei diciannove “considerando che accompagno il testo della Direttiva 85/374/CEE. Qui di seguito si propone solamente un’analisi complessiva delle finalità, rinviando al testo completo per una maggiore esaustività e coerenza espositiva[7].

Il ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di responsabilità del produttore per i danni causati dal carattere difettoso dei suoi prodotti è un elemento significativo della storia europea, frutto della sintesi di differenti esigenze sociali, a cui la Comunità europea ha dovuto dare una prima risposta. Infatti le disparità esistenti fra le diverse legislazioni dei Paesi membri sono capaci di falsare gravemente il gioco della concorrenza e di pregiudicare la libera circolazione delle merci all’interno del mercato comune, determinando disparità nel grado di protezione del consumatore. Per prima cosa è necessario realizzare una giusta attribuzione dei rischi inerenti alla produzione tecnica, tutelando maggiormente i soggetti più deboli: i consumatori appunto. Potrebbe forse sembrare scontato rilevare che in quegli anni i diversi sistemi giuridici dei vari Stati membri, prevedono già, prima dell’entrata in vigore della direttiva, casi di diritto al risarcimento in base alla responsabilità civile propria del paese in questione (di tipo contrattuale o extracontrattuale). E non è inopportuno fare un riferimento ai primi risultati coevi della dottrina civilistica in materia di comparazione fra le diverse leggi di attuazione della direttiva[8]. Di questa differente applicazione, cioè del diverso grado di armonizzazione che nelle diverse legislazioni degli Stati membri raggiunge la direttiva 85/374/CEE, è ben conscio infatti il legislatore europeo del 1985, che nella stessa norma, oltre ad ammettere espresse deroghe, indica che l’armonizzazione non può essere totale, ma solamente volta a realizzare una maggiore uniformazione. Queste discipline nazionali in molti casi e per i primi anni rappresentano una reale alternativa a quella di stretta derivazione comunitaria, dando vita a veri e propri contrasti applicativi, risolti solo dalle più recenti pronunce della Corte del Lussemburgo[9].

Eppure fino a questo momento non si è ancora chiarito chi e che cosa protegga questa particolare disciplina, risultando questo profilo molto utile sotto il profilo della comparazione che si svolgerà in seguito. La direttiva in questione è volta a tutelare il consumatore nella sua integrità fisica e nei suoi beni. La protezione del consumatore esige, in pratica, il risarcimento dei danni risultanti dalla morte e dalle lesioni personali, nonché il risarcimento dei danni materiali, limitati agli oggetti per uso privato o per consumo privato[10].

Ulteriore funzione della responsabilità civile: allocazione del rischio e profili di punibilità

Prima di passare all’analisi comparatistica della disciplina, è utile soffermarsi ancora brevemente sulla funzione oggi svolta dalla responsabilità del produttore e più ampiamente dalla responsabilità civile in generale. A tal proposito si potrebbe considerare – come spesso riduttivamente si fa – che la funzione principale della responsabilità civile consista nel solo risarcimento della vittima, ma questo è in realtà un modo piuttosto equivoco anche se talvolta utile di definire la sola funzione risarcitoria. In questa approssimazione si dimenticano però gli ulteriori profili dell’allocazione dei costi causati da eventuali danni e, in misura forse ancora più grave, si tralascia l’indubbio intento sanzionatorio-deterrente che viene svolto dalla responsabilità civile.

Su questo punto, è stato già da tempo individuato che “la funzione di risarcimento è solo secondaria, anche se il modo in cui si provvede alle vittime dopo l’incidente ha certo un’importanza cruciale; primariamente infatti dovrebbe essere considerata la funzione di riduzione del costo dei sinistri degli incidenti. Solo imputando i danni derivanti da incidenti su soggetti diversi da quelli che li hanno subiti si consegue il metodo del frazionamento del rischio.”[11] Da quanto affermato, si evince che la funzione della responsabilità civile è molto più complessa di ogni apparente semplificazione e che oggi coinvolge interessi che a prima vista potrebbero sembrare non del tutto inerenti se non addirittura antitetici, come appunto il profilo centrale dell’economicità del danno. Sempre sul tema della allocazione del rischio, è necessario considerare quanto afferma espressamente la direttiva del 1985, laddove esprime che una giusta ripartizione dei rischi tra il danneggiato e il produttore implica che quest’ultimo possa esimersi dalla responsabilità se prova l’esistenza di alcuni fatti che lo liberano. Ugualmente, nella stessa ottica si pone la direttiva del 1999 di modifica di alcune disposizioni. La direttiva 1999/34/CE ha stabilito infatti il principio per cui solo un’equa ripartizione dei rischi inerenti ad una società moderna, caratterizzata da un elevato livello di tecnicità, renda possibile giungere ad un equilibrio accettabile tra i vari interessi in causa, in particolare la protezione della salute dei consumatori, l’incoraggiamento dell’innovazione e dello sviluppo scientifico e tecnico, la garanzia di una concorrenza non falsata e l’agevolazione degli scambi commerciali in un regime di responsabilità civile armonizzata. In pratica la direttiva ha così contribuito a sensibilizzare maggiormente gli operatori economici alla sicurezza dei prodotti e all’importanza che essa merita, non mantenendo più distanziati i profili di sicurezza dei prodotti da quelli di risarcimento dei danni causati da prodotti difettosi[12].

In secondo luogo si è già preannunciato il proposito di svolgere una breve considerazione sulla possibilità che in futuro possa venirsi a delineare un ulteriore profilo della responsabilità civile: quello punitivo. Si badi che questo non è un argomento privo di connessione con quanto si dirà nel prosieguo, infatti ci si accorgerà presto quanto è fondamentale indagare alcuni istituti tipici che consentono proprio la realizzazione di un efficace sistema di prevenzione generale. A tal proposito si segnala un’apertura (seppur ancora molto cauta) nei confronti di questo profilo, attraverso l’affermazione – solamente incidentale – a cui sono recentemente giunte le Sezioni Unite al termine della nota vicenda relativa alla delibazione di una sentenza straniera comminatoria di danni punitivi: “alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione (funzione compensativo – riparatoria), poiché sono interne al sistema anche la funzione preventiva di deterrenza e quella sanzionatoria-punitiva”[13]. In vero, già da qualche anno le Sezioni Unite si esprimono in questo modo, chiarendo che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è più “incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, come una volta si riteneva, giacché negli ultimi decenni sono state introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento”. In sintesi può dirsi che, nonostante non sia ancora configurabile una funzione propriamente sanzionatoria, è emersa anche nel nostro ordinamento una natura polifunzionale della responsabilità civile che chiede di essere considerata e che dovrà ugualmente essere oggetto di indagine in un’analisi comparativa che desidera essere sufficientemente completa.

La responsabilità per danno da prodotto negli USA

È giunto il momento di concentrare l’attenzione sui profili più strettamente comparatistici della responsabilità del produttore per danni da prodotto. È conveniente partire dalla disciplina più risalente, quella cioè degli Stati Uniti d’America. In questo ordinamento i danni causati da un prodotto difettoso sono oggetto di apposita disciplina che viene comunemente chiamata “product liability”.  A favorire questo primato temporale vi sono ovviamente motivazioni economiche e sociali. Nei primi anni, la richiesta di risarcimento è riconosciuta solamente in presenza dello stato soggettivo della colpa (negligence) e nello specifico caso in cui il diritto di agire sia “subordinato alla sussistenza di un rapporto contrattuale intercorrente tra la parte danneggiata ed il produttore e/o il venditore”[14], le cose cambiano non appena mutano le esigenze sociali. In un’ottica strettamente “vittimologica”, il requisito della colpa lentamente perde la sua incisività fino al punto di essere superato. È proprio da questo momento storico, all’incirca dagli anni Sessanta del secolo scorso, che si deve concentrare la presente trattazione. Con lo sviluppo industriale e la crescita della produzione a livello nazionale e internazionale, gli Stati Uniti sentono la necessità di dotarsi di un nuovo sistema di responsabilità, una forma di “modern (or new) product liability”. Questo passaggio è segnato da una pronuncia fondamentale nel sistema statunitense, con la quale il produttore di un bene difettoso viene dichiarato “strictly liable” per i danni arrecati ai terzi: “in these cases strict liability has usually been based on the theory of an express or implied warranty running from the manufacturer to the plaintiff, the abandonment of the requirement of a contract between them, the recognition that the liability is not assumed by agreement but imposed by law[15].

Già da un primo approccio si può notare come la disciplina statunitense sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso sia il frutto della necessità quotidiana, della prassi giurisprudenziale, delle istanze sociali prima ancora che l’elaborazione della volontà del legislatore. A tal proposito occorre rilevare che molti Stati federati hanno elaborato negli anni un differente trattamento normativo in tema di product liability, modificando gli elementi da allegare, le prove da dimostrare e finanche i soggetti legittimati a ricorrere, il tutto però ispirandosi sempre a un modello uniforme: il cosiddetto Model Uniform Products Liability Act (MUPLA)[16]. Un ulteriore elemento verso una disciplina comune è dato poi da quello standard legale minimo rappresentato dal Codice Commerciale Uniforme (il c.d. UCC), al quale si farà ovviamente un ampio riferimento.

Consci delle inevitabili differenze che le legislazioni dei diversi Stati americani hanno apportato nel corso degli anni alla materia della products liability law ai fini dell’individuazione della responsabilità del produttore, generalmente si ricorre a tre diverse teorie note come (theories of recovery): a) negligence; b) strict liability; c) breach of warranty [17].

Il primo caso, anche dal punto di vista storico, è appunto quello della negligence che è rappresentato da tutte quelle applicazioni della responsabilità del produttore senza che si configuri mai un sistema di responsabilità oggettiva. Il danneggiato che chiede un risarcimento per un danno subito a seguito dell’utilizzo di prodotti difettosi deve dare prova che il produttore non è stato diligente o nella progettazione del prodotto (negligent design) o nella produzione dello stesso (negligence manufacture), oppure ancora che il fabbricante non ha fornito le necessarie adeguate informazioni circa le caratteristiche del bene in questione[18]. Ovviamente questa è la teoria più semplice: il produttore risponde solamente dei rischi prevedibili e si libera da responsabilità dando la prova di aver mantenuto “a standard of reasonable care for an expert manufacturer of such a product”. Il produttore attenendosi a una normale diligenza, ed evitando che  si verifichino danni ragionevolmente ritenuti prevedibili a priori, sarà esente da responsabilità.

Il secondo caso che occorre prendere in considerazione è quello rappresentato dalla disciplina della strict liability o più semplicemente responsabilità oggettiva. In verità si è già avuto modo di analizzare l’evento storico che ha portato a questa affermazione di responsabilità, è bene comunque ribadire che si tratta del celebre caso Greenman v. Yuba Power Products, Inc., la cui origine è strettamente giurisprudenziale. Solo in seguito troverà un proprio referente all’interno del paragrafo 402 del Restatement of Torts, un trattato pubblicato dall’American Law Institute che riassume i principi generali in tema di fatti illeciti negli Stati Uniti, noto anche come “special liability of seller of product for physical harm to user or consumer”[19]. Il testo afferma infatti che “one who sells any product in a defective condition unreasonably dangerous to the user or consumer or to his property is subject to liability for physical harm thereby caused to the ultimate user or consumer, or to his property, if a) the seller is engaged in the business of selling such a product, and b) it is expected to and does reach the user or consumer without substantial change in the condition in which it is sold.”[20] Parafrasando, i produttori che commercializzano un prodotto difettoso sono strettamente e rigorosamente responsabili (stricty liable) qualora il prodotto medesimo cagioni un danno. È chiaro che la strict liability rappresenta un pungolo neppure troppo velato alla (auto)responsabilizzazione del produttore che colloca sul mercato prodotti pericolosi, liberando allo stesso tempo il danneggiato dal difficoltoso onere di dimostrare la colpa del danneggiante. Non si può negare poi che oltre all’indubbia agevolazione dell’attore in sede processuale, un sistema fortemente basato sulla strict liability è capace di svolgere una funzione di deterrenza sicuramente più mirata ed efficace rispetto alla theory of negligence. A dire il vero però il tema della strict lability o responsabilità senza colpa non trova spiegazioni solamente dal punto di vista vittimologico, è possibile infatti individuare una connessione, neppure troppo ardita, con quanto si affermato in precedenza circa l’importanza dell’allocazione del costo degli incidenti[21]. È chiaro che in un sistema di questo tipo, produttori, distributori, fornitori, venditori, per evitare il rischio di sopportare onerosi risarcimenti, (specie se il prodotto in questione è pericoloso) saranno tutti incentivati a concludere contratti assicurativi, riversando il costo degli incidenti sulla collettività che si troverà inevitabilmente a pagare un prodotto finale con un prezzo notevolmente maggiorato.

Il terzo caso o theory of recovery di cui occorre parlare è nota invece con il nome di breach of warranty. Secondo questa disciplina che affianca fortemente la product liability fino a giungere a fondersi con essa, il compratore danneggiato da un prodotto difettoso può avvalersi delle azioni derivanti dalla violazione di obbligazioni di garanzia, che si riassumono sinteticamente nell’espressione breach of warranty. Una traduzione di questa espressione può essere “violazione della garanzia”, ma in sé esprime ancora poco il senso della disciplina. È meglio allora ricorrere a una definizione che è stata data recentemente in dottrina: “nel contesto della product liability, the law of warranty concerne gli effetti legali legati alle dichiarazioni associate con il trasferimento del prodotto per un prezzo, generalmente attraverso una vendita. Questa descrizione del prodotto può essere espressa – e quindi consistere in un’affermazione positive del produttore concernenti le caratteristiche del bene medesimo – oppure implicita nella natura della transazione”[22]. Nell’ipotesi di breach of warranty, il soggetto responsabile è sempre individuato nel “seller” anziché nel “manifacturer”; in altre parole, il soggetto passivo di tale specifica tipologia di obbligazione – paragonabile per certi aspetti alla garanzia per vizi conosciuta nella legislazione italiana – è tipicamente il venditore del prodotto. Su questo punto occorre fare riferimento alla sterminata disciplina dell’ Uniform Commercial Code[23], che dedica a questo problema tre differenti sections[24] che oggi potrebbero rappresentare a buon diritto una sorta di ‘legge sulla garanzia di responsabilità del prodotto’. Queste tre differenti sezioni sono tutte contenute nell’articolo 2 e sono: la express warranties, la implied warranty of merchantability (garanzia di commerciabilità) e la implied warranty of fitness for a particular purpose. La prima sezione in ordine progressivo è la § 2-313 che indica tutte quelle garanzie espressamente offerte dal venditore e che dunque costituiscono parte integrante dell’accordo tra le parti. La seconda section è quella subito successiva (§ 2-314) che presenta una garanzia del prodotto per un uso cosiddetto normale[25]. La terza e ultima sezione riguarda invece gli usi non normali di un determinato prodotto (se il venditore conosce o si presume che possa conoscere i fini per cui l’acquirente compra il prodotto e l’acquirente fa affidamento sulla capacità di giudizio e produttiva e commerciale del venditore per selezionare e fornire prodotti adatti a tali fini, allora il venditore deve implicitamente garantire che i prodotti siano adatti ai predetti fini[26]). Eppure è sempre in forza dell’Ariticle 2, che il venditore, mediante l’introduzione di cosiddette disclaimers (cioè delle dichiarazioni di limitazione della responsabilità), può evitare di essere dichiarato responsabile per violazione delle breach of warranty o comunque tentare di limitare l’estensione dei danni risarcibili.

La letteratura sul sistema della product liability statunitense è estremamente sconfinata, ma per esigenze espositive non ci si sofferma qui sulle varie tipologie di danno prodotto, salvo giusto un breve cenno quando si affronterà il tema del rispetto degli standard normativi.

La responsabilità per danno da prodotto in Cina

La Cina si è dotata già da alcuni anni di un sistema di responsabilità del produttore per danni da prodotto difettoso particolarmente strutturato e che comporta importanti ricadute nel mondo del commercio.

La prima disciplina in tema di product liability in Cina è del 1986, ed è rappresentata dall’articolo 122 della General Principles of Civil Law (GPCL)[27]: in quell’anno, per la prima volta, la Cina afferma in tutto il suo territorio che il produttore è responsabile per la vendita di prodotti “sotto lo standard”. In realtà il legislatore cinese dell’epoca, così come il legislatore della Comunità europea del 1985, ignora ancora la differenza tra prodotto difettoso e dannoso, come si dimostrerà a breve.

Appena sette anni dopo, nel 1993 viene emanata una disciplina interamente incentrata sulla tutela del consumatore, la Consumer Protection Law (più comunemente nota come CPL), adottata per integrare la precedente disciplina civilistica. L’articolo 2 CPL per esempio esprime: “When a consumer purchases or uses goods or receives services for the needs of daily consumption, their rights and interests are protected by this Law.” E l’art. 62 riprendendo il concetto stabilisce “that the Consumer Protection Law should apply to peasants who purchase means of production directly for agricultural use”.[28] [29] Come si vede la definizione di “consumatore” contenuta nell’articolo 2 è ancora piuttosto vaga e può creare difficoltà in un’applicazione a situazioni di vita reale.  Come è stato indicato in dottrina, un pregio della CPL consiste però nella prima formulazione della distinzione tra danno del prodotto difettoso (consistente nel minor valore commerciale del bene e nella sua ridotta possibilità di utilizzazione) e danno da prodotto difettoso da cui sorge in senso stretto la responsabilità del produttore[30].

La disciplina del 1993 viene poi modificata negli anni duemila attraverso una New Consumer Production Law che per la definizione di difettosità del prodotto guarda direttamente alla direttiva 85/374/CEE[31].

In realtà passa meno di una decade e la responsabilità del produttore cinese viene aggiornata nuovamente, questa volta inserendola direttamente all’interno della normativa sulla responsabilità civile cinese: la Tort Law[32]. Nel Capo V è trattata la Product Liability e in essa si può evincere come “where a defective product causes any harm to another person, the manufacturer shall assume the tort liability”[33] e l’articolo successivo continua affermando che ugualmente “the seller shall assume the tort liability”[34] nel caso in cui il danno sia causato dalla colpa del venditore. Questo punto è chiarito proprio da un articolo, il numero 43 della Tort Law, che continuando afferma che se il difetto del prodotto è causato dal produttore, il venditore avrà diritto al rimborso da parte del produttore; all’opposto se il difetto del prodotto è causato dalla colpa del venditore, il produttore avrà diritto al rimborso da parte del venditore. Ma la disciplina della responsabilità aquilana cinese non si ferma qui, perché opera anche se il difetto di un prodotto mette in pericolo la sicurezza personale o patrimoniale di un’altra persona (definita qui terza): la vittima ha il diritto di richiedere al produttore o al venditore di riparare il danno, rimuovendo il pericolo creato. È importante poi sottolineare un ulteriore obbligo che incombe sul produttore o sul venditore nel caso in cui si riscontri un difetto di un prodotto dopo che è stato messo in circolazione. Tale soggetto deve infatti adottare tempestivamente misure correttive quali l’avvertimento e il richiamo, che sono misure ampiamente utilizzate anche negli altri sistemi e non da ultimo proprio in quello eurounitario. È poi opportuno, per completezza della trattazione, dare conto anche della disposizione di chiusura del capo V della Tort Law: per i casi in cui un produttore o un venditore che sia a conoscenza di un difetto di un prodotto continui a fabbricare o a vendere il prodotto e il difetto causi la morte o qualsiasi altro grave danno alla salute di un’altra persona: in tutti questi casi la vittima ha il diritto di richiedere la corrispondente “compensazione punitiva”. Come si vedrà meglio in seguito, la Cina ha introdotto nel proprio ordinamento la figura dei punitive damages.

Nonostante una visione molto avanzata in tema di responsabilità civile, la disciplina contenuta nella Tort Law è da più parti criticata per la sua poca incisività. Secondo l’Amministrazione statale dell’industria e del commercio (SAIC), che sovrintende alla protezione dei consumatori, tra il 2010 e il 2012 vengono infatti venduti 3,8 miliardi di beni difettosi o di scarsa qualità[35]. La necessità di un’ulteriore riforma legislativa è quindi dettata da una serie numerosa di frodi commerciali.

Si giunge così alle riforme del 2014 del New Consumer Protection Law, motivate da una parte dall’obiettivo della Cina di aumentare i consumi interni, attraverso un aumento della fiducia dei consumatori, e soprattutto dei consumi esterni, minacciati da tutta quella serie di scandali. La nuova disciplina legislativa è infatti tesa soprattutto a inasprire il trattamento sanzionatorio, per cui: “penalties for fraud and false advertising have been increased; class-action lawsuits against retailer malfeasance have been made easier to file (though limited to state Consumer Associations and their local branches)[36]”. Allo stesso modo però viene accresciuta la tutela del consumatore in caso di acquisti “retailers are now required to accept goods for return within 7 days of purchase unless agreed otherwise; for online and other types of delivery purchases, consumers are not required to provide a reason for returns”[37].

Il rispetto degli standard normativi (brevi cenni)

Non è più possibile svolgere un’analisi della responsabilità del produttore senza prendere in considerazione la conformità di un prodotto agli standard di sicurezza stabiliti dal legislatore. Oggi infatti non sono più equivalenti le definizioni di ‘prodotto dannoso’ e di ‘prodotto difettoso’: il primo comprende genericamente tutti quei danni che un soggetto può ricevere dall’utilizzo o dal semplice impiego di un determinato prodotto; il secondo indica esclusivamente quei prodotti che si pongono in contrasto rispetto i caratteri previsti da norme tecniche armonizzate o comunque rispetto un livello considerato accettabile come ‘stato dell’arte’. Ecco allora che “la distinzione tra il danno cagionato da un prodotto difettoso e quello derivante da un prodotto conforme (cioè non difettoso) ma inevitabilmente dannoso, dimostra che le due categorie coincidono solo occasionalmente: il prodotto non conforme può sicuramente assumere caratteri dannosi, ma potrebbe anche essere privo di rischi; al tempo stesso il prodotto conforme potrebbe conservare significativi margini di dannosità”[38].

Come il sistema della responsabilità del produttore approda negli Stati Uniti in periodi alquanto risalenti rispetto agli altri paesi, così anche la prima definizione uniforme di regole tecniche si può individuare in anni molto addietro, dettata dalla necessità di evitare che un numero ormai sconfinato di prodotti di serie presenti “an unreasonable risks of injury”[39] qualora messo in commercio.

Attraverso un atto dell’organo legislativo del governo federale degli Stati Uniti d’America, gli USA per la prima volta già nel 1972 si dotano di una disciplina generale in tema di sicurezza dei prodotti. Si tratta del Consumer Product Safety Act (CPSA) definito dalla stessa Consumer Product Safety Commission come il loro “umbrella statute”. L’atto nasce con il preciso intento di: “(1) to protect the public against unreasonable risks of injury associated with consumer products; (2) to assist consumers in evaluating the comparative safety of consumer products; (3) to develop uniform safety standards for consumer products and to minimize conflicting State and local regulations; and (4) to promote research and investigation into the causes and prevention of product-related deaths, illnesses, and injuries”[40]. Sarà proprio da questi espressi principi di cautela e di protezione del consumatore che negli anni si diffonderà tutto un sistema federale di sicurezza del prodotto, attraverso la redazione di specifici standard affidata a determinati enti governativi che prendono il nome di Agencies. Il rispetto di tali standard è un vincolo superiore alla stessa legge degli Stati, per un’espressa previsione che può essere ricondotta addirittura alla stessa Costituzione statunitense[41], la prima carta costituzionale al mondo.

Allo stesso modo anche la Repubblica Popolare Cinese ha negli anni elaborato e adottato un sistema di standard uniforme per i propri prodotti. Si tratta degli standard Guobiao o semplicemente GB emessi dalla Standardization Administration of China (SAC). Attraverso queste norme nazionali vengono infatti definiti e ciclicamente aggiornati i requisiti relativi alla sicurezza ed alla qualità dei vari prodotti.

Della difficoltà di elaborare standard specifici è conscio lo stesso legislatore comunitario, che nei ‘considerando’ della Direttiva 2001/95/CE riconosce tutta la difficoltà di adottare una legislazione uniforme per ogni prodotto esistente o creato in futuro. Si arriva così a stabilire a livello comunitario un obbligo generale di sicurezza per tutti i prodotti immessi sul mercato, o altrimenti forniti o resi disponibili ai consumatori, destinati ai consumatori o suscettibili, in condizioni ragionevolmente prevedibili, di essere utilizzati dai consumatori anche se non a loro specificamente destinati[42]. Da questo punto fermo, quale livello imprescindibile di sicurezza, scaturiscono poi tutte le discipline relative ai più svariati beni e prodotti che, dagli anni duemila ad oggi, vanno a formare i dettagliati standards tecnici a cui attenersi. 

L’applicazione dei punitive damages

L’ultimo profilo che occorre considerare è quello dei punitive damages, nel nostro ordinamento  tradotti spesso riduttivamente con l’espressione ‘danni punitivi’[43]. Questa figura di risarcimento è certamente uno dei caratteri più peculiari della responsabilità civile statunitense, e nello specifico proprio della responsabilità del produttore, laddove viene concesso al danneggiato di domandare non solo il risarcimento dei cosiddetti compensatory damages, bensì anche il risarcimento extra dei punitive damages. In pratica l’attore che conviene in giudizio un determinato soggetto (che sia produttore, ma non solo) può chiedere che gli sia risarcito oltre a una somma di denaro che costituisce il ristoro per il danno-conseguenza sofferto, anche un’ulteriore somma quale forma di sanzione per il danneggiante che ha mantenuto una condotta reprensibile, cioè che ha causato in maniera intenzionale o comunque gravemente colposa un danno che altrimenti si sarebbe potuto evitare.

Per non cadere in una facile semplificazione occorre però considerare che il sistema statunitense non prevede una tipologia unica di punitive damages e che le leggi dei vari stati federati hanno una grande libertà nell’ammettere forme più o meno ampie di risarcimento. Solo attraverso un’analisi puntuale di micro-comparazione si potrebbe dare conto di questo fenomeno e delle sue possibili estrinsecazioni nei cinquanta differenti Stati. Nonostante questo limite, si può comunque ammettere in via generale che “la grande maggioranza dei casi di responsabilità da prodotto negli U.S.A., viene decisa, in primo grado, da una giuria popolare, mentre i giudici esercitano solo una funzione di revisione e di controllo sul risarcimento danni stabilito dalla prima”[44].

Occorre segnalare come il risarcimento dei danni punitivi vada sempre a favore dell’attore danneggiato, tranne nel caso in cui determinate leggi statali prevedano che una percentuale dell’importo sia pagata allo stato o a qualche fondazione statale[45]. Allo stesso tempo però sia le regole proprie dei singoli stati, sia la prassi giurisprudenziale fissano requisiti stringenti per l’attore che domanda il risarcimento dei punitive damages, non bastando il lamentare un semplice danno. E infatti le statistiche dei tribunali statunitensi[46] mostrano che il numero di casi in cui viene riconosciuta la condanna ai danni punitivi si aggira sulle tre o quattro unità percentuali rispetto al totale delle cause civili di ogni tipo (di queste poi soltanto una minoranza sono cause per responsabilità da prodotto). Questo basso livello di riconoscimento dei punitive damages è forse dovuto a quella soglia comportamentale gravemente reprensibile del convenuto che l’attore deve sempre essere in grado di dimostrare in giudizio. È stato infatti sottolineato che  “se un’impresa che fabbrica un prodotto, un componente o una parte, non agisce in maniera dolosa, fraudolenta, e temeraria con simile reprensibilità, in relazione alla progettazione, alla fabbricazione, al controllo di qualità, agli avvertimenti circa pericoli noti o sospetti, alle istruzioni per l’uso, alla distribuzione ed al controllo post-vendita degli articoli, il suo rischio di essere condannata al risarcimento dei danni punitivi è basso. Lo stesso vale per un venditore non-produttore di questi articoli o per un altro soggetto della catena distributiva sempre che non abbia agito in modo ‘reprensibile’. Nascondere un rischio noto o sospetto oppure non richiamare dal mercato articoli che si sanno o si sospettano essere difettosi sono esempi di condotta potenzialmente reprensibile.”[47] Come si è visto è proprio questa difficile prova che incombe sull’attore che riduce sensibilmente il rischio di condanna ai punitive damages nel caso di una qualche responsabilità da prodotto, una scelta ben precisa, bilanciata e frutto del necessario contemperamento con altri interessi, come per esempio la necessità di non diminuire l’attrattività per investimenti ed affari commerciali.

Osservato il funzionamento del fenomeno dei punitive damages nel sistema statunitense, occorre ora ricercare come viene disciplinato il medesimo fenomeno negli altri ordinamenti.

In un paese come la Cina, che conta probabilmente il maggior numero di prodotti realizzati ed esportati in tutto il mondo (ovviamente con annessi i possibili difetti e i numerosi danni che conseguono a questi grandi numeri), può fare riflettere la presenza di un sistema che prevede la figura dei punitive damages. Eppure tale fenomeno oggi è disciplinato, come già si è indicato in precedenza, dall’attuale Article 47 of the new Chinese Tort Law che, come si è detto, prevede “whereany producer or seller knowingly produces or sells defective products, causing death or serious damage to the health of others, the injured party may request appropriate punitive damages.[48] La legge in questione è in vigore dal 2010 e come viene comunemente ritenuto “it allows for punitive damages to be awarded in a narrow range of case[49].

Sebbene la Cina abbia seguito l’approccio del diritto civile europeo continentale nello sviluppo delle sue leggi, la presenza dei danni punitivi nella Chinese Tort Law è un significativo allontanamento da uno dei principi fondamentali del diritto civile europeo, dove lo scopo della responsabilità civile è prettamente (ma oggi non solo) quello di risarcire una vittima per la sua perdita effettiva. Il riconoscimento da parte della Cina dei danni punitivi è stato un punto importantissimo, proprio per sottolineare la necessità di riconsiderare la responsabilità civile. Occorre rilevare che gli studiosi hanno ipotizzato che l’inclusione nella Chinese Tort Law di una norma di risarcimento danni connessa alla responsabilità dei prodotti sia una risposta legislativa a tutti quei recenti scandali che hanno causato un abbondante richiamo di prodotti cinesi a livello mondiale, prima ancora della necessità di considerare una diversa funzione della responsabilità civile.

A tal proposito è interessante anche fare riferimento all’Article 1 of the Chinese Tort Law che dispone: “in order to protect the legitimate rights and interests of parties in civil relationships, clarify the tort liability, prevent and punish tortious conduct, and promote the social harmony and stability, this Law is formulated.[50] che condensa in poche righe tutti i caratteri di quella che oggi si può senza alcun dubbio definire la polifunzionalità della responsabilità civile.

Se è vero che attraverso questo istituto, nel sistema cinese, l’attore tendenzialmente si aspetta di ottenere (e in alcuni casi ottiene) un risarcimento superiore rispetto a quanto avviene oggi nel contesto italiano, occorre capire qual è l’importanza che ne risulta per i Paesi che ancora non ammettono la condannabilità ai danni punitivi.

Come si è già avuto modo di osservare, la previsione dell’istituto dei punitive damages all’interno di altri paesi ha condotto al superamento degli ostacoli che il nostro ordinamento si era da tempo trovato ad affrontare circa la delibazione delle sentenze straniere che accordano ingenti somme a titolo di punitive damages. La domanda che ci si potrebbe a questo punto porre (e che in effetti è stata posta anche in dottrina[51]) è se sia possibile applicare anche nel nostro ordinamento il sistema dei punitive damages.  De iure condito la risposta non può che essere negativa[52]: non si può infatti dimenticare quanto già affermato circa l’arricchimento ingiustificato del danneggiato[53]. I punitive damages realizzano difatti una overcompensation del soggetto offeso che difficilmente sarà accettata nel nostro ordinamento, ancora basato sul principio dell’integrale riparazione del danno[54].


(*)Le fonti anglofone sono citate sono citate nella lingua originale, opportunamente tradotte con nota a piè di pagina.

[1] Report for Selected Countries and Subjects, International Monetary Fund, Report for Selected Countries and Subjects, in www.imf.org, 02/2020.

[2] Nel 2018 le importazioni della Cina sono state pari a 2.631 miliardi di dollari con quasi circa mille miliardi di dollari in più degli Stati Uniti. Per quanto riguarda le esportazioni invece la Cina è seconda, con un totale di 1.876 miliardi di dollari. Importazioni ed esportazioni nel 2018, in www.agi.it, 11/02/2020.

[3] A. Carratta, C. Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, Giappichelli, Torino, 2019, p. 124-125.

[4] J. Constantinesco Leontin,  Il metodo comparativo, Giappichelli, Torino, 2000, p. 42.

[5] F. Galgano, Atlante di diritto privato comparato, Zanichelli, Bologna, 2011, p. 5.

[6] G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, Cedam, Padova, 2013, p. 90.

[7] Gazzetta ufficiale delle Comunità europee,7/8/85, N. L 210/30.

[8] G. Alpa, L’attuazione della direttiva comunitaria sulla responsabilità del produttore. Tecniche e modelli a confronto, in Contratto e impresa, 1988, p. 573.

[9] Tra le tante pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si considerino: Corte di Giustizia CE, 25 aprile 2002, C-52/00, C-154/00, C -183/00. La corte di giustizia ha poi recentemente precisato che l’armonizzazione globale riguarda solamente gli aspetti specificamente disciplinati dalla direttiva stessa e che pertanto la direttiva non osta all’interpretazione di un diritto nazionale ovvero all’applicazione di una giurisprudenza interna consolidata secondo cui il danneggiato può chiedere il risarcimento del danno cagionato da una cosa destinata ad uso professionale e utilizzate in tal senso qualora detto danneggiato fornisca solamente la prova del danno, del difetto del prodotto e del nesso causale tra il suddetto difetto e il danno. Per tutte vedasi CGUE C-285/08.

[10] Il riferimento è al IX considerando della Direttiva 85/374/CEE.

[11] G. Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, Giuffrè, 1975, p. 51-52.

[12] Gazzetta ufficiale delle Comunità europee  del 4. 6. 1999, N. L. 141/20.

[13] Cass. Sez. Un., 5 luglio 2017, n. 16601.

[14] A.A.V.V., Come operare nel mercato USA, Camera di commercio, in www.camcom.it, consultato il 15/04/2020.

[15] “in questi casi la responsabilità oggettiva è generalmente basata sulla teoria di una garanzia espressa o implicita che va dal produttore all’attore, l’abbandono del requisito di un contratto tra loro, il riconoscimento che la responsabilità non è assunta per accordo ma imposta per legge.” Greenman v. Yuba Power Products, Inc. (1963) available on www.law.justia.com.

[16] F. Warren. Commentary: model uniform product liability act, The Forum (Section of Insurance, Negligence and Compensation Law, American Bar Association) 15, no. 4 (1980). “The thrust of the Model Uniform Product Liability Act is to ensure that persons injured by unreasonably unsafe products promptly receive reasonable compensation, to ensure the availability of adequate product liability insurance, and to place the incentive for loss prevention on the party best able to refund”.

[17] C. Magli, La sicurezza alimentare tra norme preventive, obblighi risarcitori ed autoresponsabilità del consumatore: sistema italiano e modello statunitense a confronto, Bologna, D.U.press, 2013, pp. 231-244.

[18] C. Magli, op cit.

[19] “responsabilità speciale del produttore per danni fisici all’utente o al consumatore”

[20] “chi vende qualsiasi prodotto in una condizione difettosa irragionevolmente pericoloso per l’utente o il consumatore o per la sua proprietà è soggetto a responsabilità per danni fisici causati all’utente finale o al consumatore, o alla sua proprietà, se a) il venditore è impegnato nella vendita di tale prodotto e b) si prevede che raggiunga l’utente o il consumatore senza cambiamenti sostanziali nelle condizioni in cui viene venduto.”

[21] qui si fa riferimento a quanto esposto al paragrafo 4, cfr G. Calabresi, op. cit.

[22] C. Magli, La sicurezza alimentare tra norme preventive, obblighi risarcitori ed autoresponsabilità del consumatore:  sistema italiano e modello statunitense a confronto, Bologna, D.U.press, 2013, p. 245.

[23] L’Uniform commercial code (UCC) pubblicato per la prima volta nel 1952, è uno dei numerosi “Uniform Acts” che sono stati istituiti come legge con l’obiettivo di armonizzare le leggi delle vendite e di altre transazioni commerciali negli Stati Uniti. Funzione che si è sviluppata grazie all’adozione dell’UCC da parte di tutti i 50 stati.

[24] A.A.V.V., Come operare nel mercato USA, Camera di commercio, in www.camcom.it, consultato il 15/04/2020.

[25] AA.VV., Usa, responsabilità per la qualità del prodotto: product liability, Smaff associates, in http://www.smaf-legal.com/, consultato il 24/04/2020.

[26] A.A.V.V., Come operare nel mercato USA, op cit.

[27] Nello specifico la GPCL è una legge della RPC che è stata promulgata il 12 aprile 1986 ed è entrata in vigore il 1 ° gennaio 1987. Presenta una disciplina fortemente influenzata dal codice civile tedesco, ed è la principale fonte di diritto civile nella RPC. W. M. Hesselink, The General Principles of Civil Law: Their Nature, Roles and Legitimacy, Amsterdam Law School Research Paper No. 2011-35, p. 8.

[28] Art. 2: “quando un consumatore acquista o utilizza beni o riceve servizi per le esigenze del consumo quotidiano, i suoi diritti e interessi sono tutelati da questa legge”. Art. 62 “la legge sulla protezione dei consumatori dovrebbe applicarsi ai contadini che acquistano direttamente i mezzi di produzione per uso agricolo.”

[29] K. Thomas, Analysing the Notion of Consumerin Chinas Consumer Protection Law, The Chinese Journal of Comparative Law, Volume 6, Issue 2, December 2018, Pages 294–318.

[30] G. Naronte, La normativa cinese sulla responsabilità de produttore per danni da prodotto difettoso, Diritto del commercio internazionale, FASC. 02, 2013, p. 619 – 622.

[31] G. Naronte, op cit.

[32] La maggior parte della disciplina in tema di responsabilità aquiliana è contenuta in questa legge, così come le prime definizioni giuridiche di concetti prima sconosciuti nel sistema cinese. Va infatti sottolineato come tale disciplina sia stata fortemente influenzata da sistemi giuridici stranieri, visto che lo stesso concetto di fatto illecito non esisteva nella RPC prima degli anni ’80. cfr. W. Chang,  Inside China’s legal system, Chandos Publishing, 2013, pp. 151–154.

[33] “se un prodotto difettoso provoca danni a un’altra persona, il produttore ne assume la responsabilità civile”.

[34] “ il venditore si assume la responsabilità civile”.

[35] China Introduces New Consumer Protection Law, China briefing, in https://www.china-briefing.com/, consultato il 26/04/2020.

[36] “sono state aumentate le pene per frode e falsa pubblicità; sono state rese più semplici le azioni legali contro azioni illegali dei rivenditori (sebbene limitate alle Associazioni dei consumatori statali e alle loro sezioni locali)”.

[37] “i rivenditori sono ora tenuti ad accettare la merce per la restituzione entro 7 giorni dall’acquisto, salvo diverso accordo; per gli acquisti online e altri tipi di acquisti con consegna, i consumatori non sono tenuti a fornire un motivo per i resi”.

[38] E. Al Mureden, La sicurezza dei prodotti e la responsabilità del produttore, casi e materiali, Giappichelli, Torino, 2017, p. 17.

[39] “un irragionevole rischio di lesioni”.

[40] “gli scopi di questa legge sono (1) proteggere il pubblico da rischi irragionevoli di lesioni associate a prodotti di consumo; (2) assistere i consumatori nella valutazione della sicurezza comparativa dei prodotti di consumo; (3) sviluppare standard di sicurezza uniformi per i prodotti di consumo e ridurre al minimo le normative nazionali e locali in conflitto; e (4) promuovere la ricerca e l’indagine sulle cause e la prevenzione di decessi, malattie e lesioni correlati al prodotto”. CONSUMER PRODUCT SAFETY ACT, (Codified at 15 U.S.C. §§ 2051−2089), available on www.cpsc.gov, consultato il 26/04/2020.

[41] Ai sensi dell’art. IV, sez. II della Costituzione americana, la legge federale (o le regole previste dalle Agenzie federali ) prevalgono sulla normative proprie dei singoli Stati. In altre parole, si può affermare che la “Preemption” si verifica quando lo Stato federale, in virtù della clausola di supremazia espressa in costituzione, mantiene la regolamentazione di una determinata area di interesse preclude la regolamentazione statale della stessa area e allo stesso modo il giudice che si trova a giudicare il singolo caso è fortemente condizionato a non discostarsi dalle previsioni del legislatore.

[42] Qui si fa riferimento al sesto considerando della direttiva.

[43] C. M. Bianca, Qualche necessaria parola di commento all’ultima sentenza in tema di danni punitivi, Giustizia Civile, ISSN 2420-9651, n. 1/2018, p.3. Per Bianca è più corretto tradurre “punitive damages” con l’espressione risarcimenti punitivi.

[44] A. N. Wise and P. Paulon, La responsabilità da prodotto negli Stati Uniti d’America, 2007, p. 7.

[45] cfr. E. Al Mureden, I punitive damages tra limiti del diritto interno e apertura delle Sezioni Unite, in I fatti illeciti – casi e materiali, Giappichelli, Torino, 2018, p. 397.

[46] Tra i più noti: Rand Institute for Civil Justice 1985-1995.

[47] A. N. Wise and P. Paulon, La responsabilità da prodotto negli Stati Uniti d’America, 2007, p. 9.

[48] “Laddove il produttore o il venditore producano o vendano consapevolmente prodotti difettosi, causando morte o gravi danni alla salute di terzi, la parte lesa può richiedere adeguati danni punitivi” Johnson, Vincent, Punitive Damages, Chinese Tort Law, and the American Experience, Frontiers of Law in China, Vol. 9, No. 3, 2014, p. 25.

[49] “consente il risarcimento del danno punitivo in un ristretto numero di casi”.

[50] L’articolo 1 afferma: “Al fine di proteggere i diritti e gli interessi legittimi delle parti nelle relazioni civili, chiarire la responsabilità civile, prevenire e punire comportamenti illeciti e promuovere l’armonia e la stabilità sociale, questa Legge è formulata “

[51] C. Masieri, Le sanzioni civili pecuniarie” come possibile testa di ponte” per la delibazione di sentenze straniere che accordano punitive damages, DPC, Milano, 2016, p. 12 ss..

[52] Al riguardo occorre piuttosto mettere in chiaro che: la responsabilità civile ha certamente funzione deterrente  e può anche avere funzione sanzionatoria, ma che ciò non implica che i nostri giudici possano legittimamente condannare ad una pena sotto forma di risarcimento di danno. cfr. C. M. Bianca, op. cit.

[53] E. Al Mureden, I punitive damages tra limiti del diritto interno e apertura delle Sezioni Unite, in I fatti illeciti – casi e materiali, Giappichelli, Torino, 2018, p. 397.

[54] G. Ponzanelli, Gli attacchi al principio di integrale riparazione del danno, Responsabilità civile e previdenza, 2012, pp. 1415-1420. Sullo stesso tema, più recentemente C. Castronovo, Responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2018, p. 148 s.

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