Responsabilità aggravata ex art 96 cpc se l’esecutato agisce solo per allungare i tempi del pignoramento

Se l’esecutato agisce in giudizio al solo fine di allungare i tempi del pignoramento, deve essere condannato al risarcimento per responsabilità aggravata ex art. 96 comma 1 c.p.c.

In particolare, la responsabilità aggravata sussiste se la parte ricorrente abbia completamente omesso di individuare i riferimenti normativi che avrebbero giustificato la propria azione e, di conseguenza, la tutelabilità della propria pretesa.

Lo hanno chiarito le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 21544 del 18 settembre 2017.

La responsabilità aggravata ex art 96 cpc

Come noto, ai sensi dell’art. 96 comma I c.p.c., se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, può condannarla oltre che alle spese al risarcimento dei danni per cd. responsabilità aggravata.

Il II comma prevede altresì il risarcimento dei danni a carico dell’attore o del creditore procedente qualora venga accertata l’inesistenza del diritto per cui ha proceduto giudizialmente senza la normale prudenza.

In ogni caso, secondo quanto disposto dal III comma, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91 c.p.c., il giudice anche d’ufficio può condannare la parte soccombente al pagamento a favore della controparte di una somma equitativamente determinata.

La ratio di tale disposizione è sanzionare le parti e scongiurare i casi in cui la richiesta di esercizio della giurisdizione sia formulata al solo fine di prolungare inutilmente la durata del processo.

I presupposti: azione in giudizio con dolo o la colpa grave

Le Sezioni Unite hanno in primo luogo chiarito quali sono i presupposti per la condanna al risarcimento ex art. 96 c.p.c.: l’espressione “in ogni caso”, con cui esordisce il terzo comma dell’art. 96 c.p.c., è da intendere nel senso che si prescinda dall’esistenza di un danno, necessaria invece nell’ipotesi di cui al primo comma dello stesso art. 96.

Tuttavia non può prescindersi dal presupposto dell’avere la parte agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave, sempre richiesto dal primo comma della norma.

Il terzo comma è infatti compreso in una norma che, essendo rubricata “responsabilità aggravata”, sottende come presupposto necessario sempre l’esistenza di un comportamento addebitabile alla parte, cioè ad essa in quanto normalmente rappresentata in giudizio dal difensore.

Il caso in esame: il ricorso per motivi attinenti la giurisdizione senza l’individuazione dei riferimenti normativi

Nella fattispecie, l’esecutato aveva proposto un ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione contro una sentenza del giudice speciale declinatoria della giurisdizione.

Aveva infatti imputato a quel giudice di non avere esercitato la sua giurisdizione, nella specie quella amministrativa, con l’adozione di una specifica forma di tutela, consistente nel prescrivere ad un’amministrazione la tenuta di un comportamento processuale davanti alla giurisdizione ordinaria in un processo pendente.

A fronte di una così particolare richiesta di tutela, la parte esecutata ha tuttavia completamente omesso di individuare i riferimenti normativi che l’avrebbero giustificata e ne avrebbero giustificato la tutelabilità dinanzi a quella giurisdizione.

E tale comportamento implica, secondo la Corte, l’esistenza di un agire in giudizio con colpa grave: una prospettazione così singolare rende infatti del tutto ingiustificata la totale pretermissione delle possibili norme che avrebbero giustificato, sebbene nella prospettazione del ricorrente, quella tutelabilità.

Ne consegue che il comportamento assunto appare affetto da colpa grave e volto solo a procrastinare il processo.

Alla luce di quanto rilevato, la parte soccombente è stata pertanto condannata al pagamento in favore del resistente della ulteriore somma di euro 4.100 a titolo di responsabilità aggravata ex art 96 c.p.c.

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