Recesso nei contratti a tempo determinato: il chiarimento della CGUE

La sentenza della CGUE del 20 febbraio 2024 (C-715/20) riguarda l’interpretazione della clausola 4 dell’accordo quadro in tema di recesso dal contratto di lavoro a tempo determinato  annoverato nell’allegato della direttiva 1999/70/CE. I giudici europei hanno sottolineato l’importanza del principio di non discriminazione nei contratti a tempo determinato rispetto alla forma indeterminata tanto per  il recesso anticipato che per la comunicazione dei motivi.

La questione

Il procedimento principale ruota attorno un contratto di lavoro a tempo determinato e parziale. La controversia ha avuto inizio nel 2020, quando una società polacca ha comunicato ad un lavoratore la rescissione anticipata di tale contratto, con il preavviso di solo un mese.  Inoltre, l’aggravamento della situazione dipendeva dall’omissione da parte della società dei motivi che hanno portato alla rescissione del contratto. Per questi motivi, il lavoratore ha presentato una domanda di risarcimento dei danni  presso il Tribunale circondariale di Cracovia, sostenendo che il licenziamento fosse illegittimo in base alle disposizioni del codice del lavoro polacco.
Nel  ricorso, il ricorrente ha sostenuto che errori formali nella comunicazione di licenziamento da parte della società avrebbero dovuto garantirgli un diritto al risarcimento, in conformità con le disposizioni del codice del lavoro. Ha, altresì, contestato l’omissione dei motivi di licenziamento, affermando che ciò costituisse una violazione del principio di non discriminazione sia nel diritto UE che in quello polacco. Dall’altra parte, la società ha difeso la legittimità del licenziamento, affermando di aver agito in piena conformità con la normativa vigente del diritto polacco.
Ciò ha portato il giudice del rinvio a sollevare la questione pregiudiziale riguardante l’esatta interpretazione delle disposizioni contenute nell’accordo quadro e nella direttiva 1999/70/CE,  in relazione alla disciplina nazionale riguardante il recesso dai contratti di lavoro a tempo determinato.

la Direttiva 1999/70/CE

Nell’ambito normativo dell’Unione Europea, la Direttiva 1999/70/CE traduce i principi fondamentali sanciti nell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato: tale accordo è riconosciuto come un pilastro per la regolamentazione di tale forma contrattuale. Uno tra gli aspetti principali dell’accordo è quello di garantire il rispetto del principio di non discriminazione.
L’art. 1 della menzionata direttiva, nel terzo comma, stabilisce i principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato, con l’esplicito intento di assicurare la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato e di proteggerli da discriminazioni ingiustificate.
Per quanto concerne, invece, le clausole dell’accordo quadro si evidenzia che la clausola  n. 1 è diretta a promuovere un miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato e a prevenire gli abusi.  La clausola 3 definisce i concetti di “lavoratore a tempo determinato” e “lavoratore a tempo indeterminato comparabile”.
Infine, la clausola 4  sancisce il principio di non discriminazione, vietando qualsiasi forma di trattamento meno favorevole riservato ai lavoratori a tempo determinato rispetto a i lavoratori a tempo indeterminato, a meno che ci siano ragioni obiettive giustificate.

Le argomentazioni della CGUE

La questione pregiudiziale richiede un esame dell’interpretazione dell’accordo quadro nell’ambito del diritto nazionale polacco.
Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia dell’Unione Europea, è compito della stessa fornire una risposta al giudice nazionale, anche se questo non ha formulato dettagliatamente le questioni oggetto del rinvio.
Nel caso di specie emerge che la questione ruota attorno alla conformità della normativa nazionale attinente il recesso dai contratti di lavoro a tempo determinato con le disposizioni dell’accordo quadro.
In particolare, si pone il quesito se la clausola 4 dell’accordo quadro possa essere chiamata in causa per contestare una normativa nazionale che non richiede al datore di lavoro di motivare per iscritto il recesso da un contratto di lavoro a tempo determinato, come invece previsto per i contratti a tempo indeterminato.
Secondo la giurisprudenza europea conforme, risulta evidente che la clausola 4 è chiamata a garantire il principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato.
Per l’effetto, la normativa nazionale deve essere interpretata alla luce di tali obiettivi e in conformità con il principio di non discriminazione sancito dall’accordo quadro e dal diritto UE.
Il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4  ha l’obiettivo di garantire che non vi sia alcun trattamento svantaggioso per i lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato, a meno che non esistano “ragioni oggettive” che possano giustificare tale differenza di trattamento.
Per determinare un confronto tra le due situazioni , è necessario considerare una serie di fattori, tra cui la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego.
Riguardo alla disparità di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato, emerge  che nel caso di recesso con preavviso da un contratto a tempo determinato, il datore di lavoro non è tenuto a fornire al lavoratore una comunicazione scritta dei motivi del licenziamento, come invece avviene per i lavoratori a tempo indeterminato.
Questa discrasia  di trattamento merita una valutazione oggettiva, in quanto priva il lavoratore a tempo determinato di informazioni importanti per valutare la legittimità del suo licenziamento. Inoltre, l’omessa comunicazione dei motivi si traduce in un danno per il lavoratore, che potrebbe trovarsi in una posizione svantaggiata nel valutare  le possibilità di un eventuale ricorso  contro il licenziamento.
In questo senso, i giudici europei argomentano che potrebbe essere richiesto al lavoratore di presentare argomentazioni preliminari nel ricorso senza avere accesso ai motivi specifici del licenziamento e ciò potrebbe determinare un insuccesso nella vittoria della causa contro un potenziale licenziamento illegittimo.
I giudici chiariscono che gli effetti di un contratto a tempo determinato cessano automaticamente alla scadenza del termine prestabilito, che può essere determinato da una data specifica: ciò significa che le parti coinvolte sono consapevoli della data di conclusione del contratto fin dall’inizio, riducendo così la durata del rapporto di lavoro senza bisogno di ulteriori manifestazioni di volontà dopo la stipula del contratto stesso.
Il recesso anticipato da un contratto di lavoro a tempo determinato, che può essere causato dal datore di lavoro a causa di circostanze impreviste incide sul lavoratore a tempo determinato in modo uguale al recesso da un contratto a tempo indeterminato per un lavoratore corrispondente, a causa della natura imprevista di tale azione.
Di conseguenza, una normativa nazionale di questo tipo determina una disparità di trattamento che implica un trattamento meno favorevole per i lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato, poiché questi ultimi non sono soggetti alla limitazione relativa all’informazione sui motivi del licenziamento.
Infine, per quanto riguarda la possibilità di giustificare questa differenza di trattamento tramite “ragioni oggettive”, occorre sottolineare che tale concetto richiede che la disparità sia basata su elementi concreti  che riguardano le specifiche condizioni di impiego, con l’obiettivo di verificare se tale disparità sia necessaria e proporzionata per raggiungere uno scopo legittimo.
Il governo polacco sostiene una netta differenziazione tra i contratti di lavoro a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato, giustificandola con l’obiettivo di favorire l’occupazione piena e produttiva. Secondo tale interpretazione, i contratti a tempo determinato offrono una maggiore flessibilità alle imprese, consentendo loro di adattarsi più prontamente alle variazioni dell’attività economica senza vincoli a lungo termine.
Tuttavia, l’argomentazione del governo polacco si pone in contrasto rispetto alla giurisprudenza europea. Secondo tale giurisprudenza, qualsiasi differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato deve essere giustificata da “ragioni oggettive” e non può basarsi unicamente sulla natura temporanea o permanente del contratto di lavoro. Diversamente, la disparità di trattamento deve essere supportata da elementi specifici e concreti che caratterizzano la situazione lavorativa in questione.

La tutela giurisdizionale

Per quanto riguarda il ruolo del giudice nazionale egli deve garantire che i singoli godano della tutela giurisdizionale derivante dal diritto europeo e ne assicurino la piena efficacia: ciò implica che il giudice debba interpretare le norme nazionali alla luce della direttiva corrispondente e adottare una soluzione conforme agli obiettivi di quest’ultima.
Nel caso specifico, spetta al giudice del rinvio valutare se la disposizione nazionale in questione, ossia l’articolo 30, par. 4, del codice del lavoro, possa essere interpretata in conformità con la clausola 4 dell’accordo quadro. Tuttavia, se un’interpretazione conforme non è possibile, il principio del primato del diritto dell’Unione richiede al giudice nazionale di non applicare alcuna disposizione del diritto nazionale che contrasti con le disposizioni del diritto dell’Unione aventi effetto diretto.
Se, invece, una disposizione di una direttiva non soddisfa questi criteri e non ha efficacia diretta, il giudice nazionale non è obbligato a disapplicare una norma del diritto nazionale che le sia contraria.
Tuttavia, il giudice nazionale ha la facoltà, e anche l’autorità, di non applicare le disposizioni del diritto nazionale contrarie con le disposizioni del diritto Ue, anche se queste ultime non hanno efficacia diretta.
L’efficacia diretta della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro è stata chiarita dalla CGUE, che ha stabilito che tale disposizione è chiara, precisa e incondizionata, consentendo quindi di invocarla dinanzi a un giudice nazionale contro lo Stato. Pertanto, quando uno Stato membro adotta una legislazione che regola in dettaglio le condizioni di impiego contemplate dalla clausola 4 dell’accordo quadro, esso agisce nell’ambito del diritto dell’Unione e deve garantire il rispetto dei diritti fondamentali, incluso il diritto a un ricorso effettivo  sancito dall’articolo 47 della Carta di Nizza.
Inoltre, la normativa nazionale polacca che consente al datore di lavoro di licenziare un dipendente a tempo determinato senza dover fornire  una motivazione scritta, limita l’accesso a un ricorso giurisdizionale per il lavoratore a tempo determinato, il cui diritto a un’informazione adeguata è fondamentale per valutare la legittimità del licenziamento.
Alla luce di queste considerazioni, appare inequivocabilmente che la disparità di trattamento introdotta dal diritto polacco costituisca una violazione del diritto fondamentale a un ricorso effettivo garantito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Tale disparità priva il lavoratore a tempo determinato della possibilità, accordata invece al lavoratore a tempo indeterminato, di valutare l’accesso alla giustizia contro la decisione di recesso dal suo contratto di lavoro e di contestare specificamente i motivi di tale recesso.
I giudici europei hanno chiarito che l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali è  norma autosufficiente e non richiede ultronee precisazioni attraverso disposizioni del diritto unionale o del diritto nazionale.
Di conseguenza, il giudice nazionale ha il dovere di assicurare la protezione giurisdizionale derivante per i singoli dall’art. 47 della Carta di Nizza in combinato disposto con la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro.
Dunque, la clausola 4 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale che non impone al datore di lavoro l’obbligo di motivare per iscritto il recesso con preavviso da un contratto di lavoro a tempo determinato, mentre lo impone in caso di recesso da un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Conclusioni

In conclusione, la Corte riunita nella Grande Sezione stabilisce che la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, come allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, deve essere interpretata nel senso che essa vieta l’applicazione di una normativa nazionale che non impone al datore di lavoro l’obbligo di motivare per iscritto il recesso con preavviso da un contratto di lavoro a tempo determinato, mentre lo richiede in caso di recesso da un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

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