I “punitive o exemplary damages”: la giurisprudenza più recente

in Giuricivile, 2018, 7 (ISSN 2532-201X)

L’istituto dei punitive o esemplary damages si è sviluppato nel solco della tradizione giuridica di common law di matrice anglo-americana, nell’alveo della responsabilità da illecito e indica, in particolare, la prestazione pecuniaria che il danneggiante è tenuto a corrispondere al danneggiato, in aggiunta al risarcimento del danno[1].

Come autorevolmente evidenziato in dottrina, in tali sistemi la responsabilità civile non svolge solo una funzione riparatoria o ripristinatoria, ma anche punitiva di stampo più spiccatamente sanzionatorio, di talché il quantum dovuto dall’autore dell’illecito non corrisponde, né risulta esattamente parametrato all’ammontare della lesione effettivamente subìta, essendo di importo decisamente superiore. Da ciò, appunto, la qualifica “esemplare”.

La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di constatare come, attualmente, anche nel nostro ordinamento giuridico si possa ravvisare la sussistenza di norme in cui l’ammontare del risarcimento prescinde dalla puntuale ed esatta determinazione del danno patito dal danneggiato[2].

Rispondendo ad una logica diversa da quella compensativa, gli exemplary damages nei sistemi di common law costituiscono oggetto di condanna vòlta a sanzionare comportamenti illeciti rientranti nell’area del tort law di particolare gravità e risultano maggiormente ispirati ad una logica di stampo penalistico essendo considerati vere e proprie pene private pecuniarie, sebbene inflitte in ambito civile[3].

Le principali questioni relative ai danni punitivi e al rilievo che essi assumono nel nostro ordinamento giuridico si sono poste con riferimento al riconoscimento di sentenze straniere di condanna a punitive damages.

Il contrasto giurisprudenziale: la conformità della condanna al pagamento di danni punitivi con il nostro ordinamento giuridico

Secondo l’impostazione giurisprudenziale più risalente, si era ritenuto che la condanna al pagamento dei danni esemplari o punitivi fosse incompatibile con il nostro sistema giuridico, la predetta caratterizzandosi per una sproporzione ingiustificata tra importo liquidato dal giudicante e danno effettivamente subìto dalla vittima dell’illecito, sulla scorta di una serie di analitiche argomentazioni[4].

In primo luogo, dal punto di vista sistematico la funzione precipua svolta dal sistema risarcitorio civilistico attiene al ristoro della sfera giuridico-patrimoniale del danneggiato reintegrando la lesione patita, con ripristino dello status quo ante alla commissione dell’illecito e al conseguente prodursi del danno, ponendo in rilievo più la posizione della vittima dell’illecito che la condotta del danneggiante[5].

Sul punto, si è a più riprese sottolineato come l’art. 2043 c.c., norma cardine in materia di responsabilità aquiliana, da un lato non tipizzi l’illecito civile, facendo riferimento per contro, a “qualunque” fatto doloso o colposo; dall’altro, pretenda che esso debba cagionare un danno ingiusto al fine di obbligare chi lo ha commesso al risarcimento del pregiudizio inferto.

Prima dell’avvento del codice civile del 1942, si riteneva che la disciplina dettata dal legislatore in tema di responsabilità extracontrattuale dovesse avere lo scopo di sanzionare la violazione di un comando, avendo principalmente riguardo alla figura del danneggiante, al profilo del dolo o della colpa della condotta da questi tenuta, configurandosi l’attributo dell’ingiustizia come riferito al fatto e non al danno[6].

La nuova formulazione di cui all’art. 2043 c.c. che riferisce, per contro, l’ingiustizia al danno sposta l’accento sulla figura del danneggiato e sull’esigenza di ristorare la sua sfera giuridico patrimoniale, in quanto vittima dell’illecito.

Da ciò se ne ricavava in radice la funzione esclusivamente riparatoria e compensativa del risarcimento, intesa come riequilibrativa e non sanzionatoria vòlta dunque non all’arricchimento del soggetto danneggiato, bensì al ripristino delle condizioni in cui il predetto si trovava prima di aver subìto un danno a cagione dell’illecito e quale diretta conseguenza dello stesso[7].

La funzione della responsabilità civile non si focalizza in un’ottica simile a quella penale, nella punizione di un comportamento rimproverabile all’autore dell’illecito e, dunque, colpevole, ma si orienta verso la riparazione di un danno ingiusto, laddove l’ingiustizia viene intesa come danno lesivo di un interesse giuridicamente rilevante, quindi, contra ius e derivante etiologicamente da una condotta non autorizzata dall’ordinamento, secondo il concetto del “non iure”[8].

Peraltro, soccorre, altresì, un’argomentazione di ordine processual- civilistico, posto che non rilevano lo stato di bisogno del danneggiato e/o le condizioni economiche del danneggiante, ma deve essere allegata e dimostrata la positiva esistenza della sofferenza determinata dall’illecito, negandosi che essa possa considerarsi in re ipsa[9].

Argomentazione particolarmente stringente era poi costituita dalla ritenuta contrarietà in astratto degli effetti prodotti dalle disposizioni della sentenza straniera di condanna a danni punitivi rispetto all’ordine pubblico ex art. 64 L. 218/1995, legge di riforma del diritto internazionale privato che enuncia il suindicato limite, negandosene di conseguenza il riconoscimento in Italia[10].

La Suprema Corte, con sentenza, aveva, peraltro, ritenuto infondata la censura con cui la ricorrente principale aveva sostenuto la non contrarietà all’ordine pubblico interno di sentenza statunitense di condanna a danni esemplari, poiché nel nostro ordinamento vi sarebbero istituti di matrice afflittiva e sanzionatoria, quali la clausola penale e il risarcimento del danno non patrimoniale, argomentando la Corte di Cassazione  che la prima assolve esclusivamente la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale, consistendo in un’anticipata liquidazione della prestazione risarcitoria, al punto che nel caso in cui l’autonomia privata travalichi determinati limiti, è riconosciuto al giudice il potere di ridurne equitativamente l’importo manifestamente eccessivo[11].

Quanto poi al risarcimento del danno non patrimoniale, esso sia pure nelle difficoltà di determinazione del quantum di un pregiudizio che afferisce più propriamente alla persona e non al patrimonio, corrisponde ad una lesione effettivamente subìta dal danneggiato e da questi comprovata, cui parametrare l’ammontare del risarcimento, a differenza della logica sottesa ai danni punitivi in cui non è dato riscontrare alcuna corrispondenza tra il danno effettivamente subìto e l’ammontare del risarcimento[12].

L’evoluzione del concetto di ordine pubblico

Le suesposte argomentazioni muovono da un’idea di ordine pubblico inteso come “interno”, quale insieme dei princìpi, anche tradotti in norme inderogabili o da queste desumibili che informano l’ordinamento giuridico concorrendo a caratterizzare la struttura etico- sociale della società nazionale con riguardo a un determinato contesto spazio- temporale[13].

L’ordine pubblico è stato in via pretoria qualificato alla stregua di clausola generale, che, in quanto tale, esige l’opera ermeneutica dell’interprete e consente di adeguare il principio agli aspetti multiformi della realtà in un determinato momento storico, nonché ai mutamenti della “coscienza del tempo”[14].

Così esso veniva riferito ai princìpi che caratterizzano il nostro ordinamento giuridico, con riguardo non solo alle norme imperative, ai princìpi generali, alle singole norme costituzionali, ma, complessivamente, a ciò che forma la struttura etica della convivenza, in quanto recepito dall’ordinamento stesso[15].

In considerazione della mutevolezza del concetto di ordine pubblico, più di recente la giurisprudenza lo ha progressivamente inteso in un’accezione internazionale, quale complesso dei princìpi fondamentali che caratterizzano l’ordinamento interno in un certo e dato periodo storico, ma che risultano fondati su esigenze di protezione di diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e ricavabili da sistemi di tutela predisposti a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria[16].

Questo concetto costituisce portato della supremazia del diritto europeo, con riferimento al TUE, al TFUE, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dei vincoli derivati dagli obblighi internazionali, come previsto dall’art. 117 Cost., I comma, esprimendo un atteggiamento di apertura e non più di chiusura nei confronti dei valori giuridici esterni e del loro eventuale ingresso nel nostro sistema giuridico[17].

Secondo parte della dottrina[18], la distinzione dicotomica tra ordine pubblico interno e internazionale risulterebbe ormai vetusta, forse sarebbe più appropriato trattare di un’evoluzione concettuale legata, peraltro, alla fisiologica natura mutevole del concetto che ne sta alla base.

Tuttavia, il recente modo di intenderlo ha determinato una certa apertura nei confronti di valori giuridici e istituti, come quello dei punitive damages, esterni all’ordinamento nazionale.

La giusprudenza più recente: i punitive damages non incompatibili con il nostro ordinamento giuridico

La questione che a tal punto si era posta all’attenzione concerneva l’attribuzione della qualifica di principio alla funzione esclusivamente riparatoria o compensativa della responsabilità civile.

Secondo la succitata impostazione tradizionale, la risposta affermativa al quesito poggiava sulla sussistenza di una serie di norme del codice civile, quali l’obbligo all’integrale ristoro del danno subìto dalla vittima dell’illecito ex art. 1223 c.c. il quale prescrive che il risarcimento debba ricomprendere tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, l’art. 2059 c.c. in materia di danno non patrimoniale, relativamente al quale la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che gli addebiti di carattere ultra compensativo si tradurrebbero in un ingiustificato arricchimento, sì come previsto dall’art. 2041 c.c. che impone il relativo obbligo restitutorio[19].

Ancora dal complesso delle norme che formano la disciplina del sistema risarcitorio civilistico ex artt. 1218 ss. c.c. si desume che il risarcimento del danno consegua allo scopo di ristorare i soli pregiudizi che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito, ricollegati all’evento di danno da cui causalmente scaturiscono[20].

Inoltre, il monopolio della funzione punitiva spetterebbe al legislatore penale sulla base della valutazione di opportunità politica e, dunque, della discrezionalità che gli compete e con le garanzie proprie di questo ambito[21], tenuto conto del rilievo dell’incidenza della sanzione penale in quanto tale caratterizzata da afflittività.

Sul versante opposto, si era registrato un orientamento ermeneutico in base al quale, nel nostro ordinamento giuridico, vi sarebbero diversi indici normativi che fanno comprendere come la funzione riparatoria- compensativa non sia la sola e non rivesta carattere esclusivo, con riferimento alla responsabilità civile, potendosi evincere dei risvolti di carattere sanzionatorio e deterrente.

Ciò emergerebbe con riferimento alla L. 47 dell’8.02.1948 in materia di diffamazione a mezzo stampa, alla L. 30 del 10.02.2005 in materia di proprietà industriale, all’art. 709 ter c.p.c. all’art. 96 c.p.c, da cui desumersi un risarcimento vòlto a sanzionare in vario modo la condotta del danneggiante e non strettamente connesso al ristoro del pregiudizio inflitto alla vittima dell’illecito.

Di recente la Suprema Corte chiamata nella sua composizione più autorevole a dirimere il contrasto giurisprudenziale in una materia di particolare attualità e non relativa al solo diritto “interno”,  ha evidenziatola mancanza di incompatibilità ontologica dell’istituto dei punitive o exemplary damages rispetto al nostro ordinamento giuridico, chiarendo che una certa funzione anche di deterrenza e sanzionatoria, oltre a quella di ristoro del danno effettivamente subìto dal danneggiato, si possano, ad oggi, considerare interne al sistema, verso una polifunzionalità della responsabilità civile in quanto tale, aprendo la strada alla possibilità del riconoscimento di sentenze straniere, specie di matrice statunitense, di condanna a danni punitivi, purché  si accerti che nell’ordinamento straniero esista una base normativa che li preveda e disciplini, vi sia dunque, la prevedibilità per i destinatari della norma delle possibili conseguenze giuridiche delle proprie azioni, siano indicati determinati limiti quantitativi e i casi in cui possano trovare applicazione risultino tassativi[22].

Con una recentissima ordinanza[23] la Suprema Corte ha specificato come possa costituire abuso del diritto sub specie di abuso del processo, la proposizione di un ricorso in Cassazione con cui vengono addotti motivi manifestamente incoerenti, privo di autosufficienza o che contenga una mera richiesta di rivalutazione del merito.

Ai fini della condanna per lite temeraria che assume connotazione oggettiva, non è richiesto il previo accertamento del dolo o della colpa grave, essendo tale sanzionabilità giustificata dall’esigenza di garantire l’accesso alla giustizia universalmente e la ragionevole durata del processo.


[1] Cfr. V. Zuccherino “L’ammissibilità dei punitive damages nell’ordinamento italiano: la globalizzazione del diritto preme sulle mura della responsabilità civile”in Giurisprudenza civile a cura di S. Ruscica, Giuffrè Editore, Milano, 2017, p. 351.

[2] https://giuricivile.it/la-funzione-della-responsabilita-aquiliana-levoluzione-della-giurisprudenza/ di Fabio Colamorea – 17.04.2018- in Giuricivile 2018 ISSN 2532-201X.

[3] Cfr. V. Zuccherino, op. cit., p. 351.

[4] Cfr. G. Chiné, M. Fratini, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, IX edizione, 2017-2018, Nel diritto editore, Molfetta (BA), 2017 -2018, p. 2142.

[5] Ibidem.

[6] Cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XVII edizione aggiornata e con riferimenti di dottrina e giurisprudenza, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2015, p. 716.

[7] Cfr. https://giuricivile.it/compensatio-lucri-cum-damno-sezioni-unite/ di Maria Diletta Bianco Longo – 29.01.2018 in Giuricivile 2018, 1 (ISSN 2532-201X), Nota a Cass. Civ. 22 giugno 2017 n. 15534.

[8] Cfr. V. Zuccherino, op. cit., pp. 358 ss.

[9] Cfr. . G. Chiné, M. Fratini, A. Zoppini, op. cit., p. 2142.

[10] Ibidem, p. 2143.

[11] Cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 1183 del 19.01.2007.

[12] Ibidem.

[13] Cfr. Corte di Cassazione sent. n. 3881/1969.

[14] Cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 15822/ 2002

[15] Ibidem.

[16] Cfr. V. Zuccherino, op. cit., p. 354.

[17] Ibidem.

[18] Cfr. O. Feraci, L’ordine pubblico nel diritto dell’Unione Europea, Università di Siena – Dipartimento di diritto pubblico, Collana di studi, Giuffè Editore, Milano, 2012 p. 52.

[19] Cfr. V. Zuccherino, op. cit., pp. 360 ss.

[20] Ibidem.

[21] Ibidem.

[22] Cfr. SS.UU. sent. n. 16601 del 5.07.2017.

[23] Cfr. Corte di Cassazione, III sez., ordinanza n. 15209 del 12.06.2018.

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