Con la sentenza n. 6907 pubblicata in data 11 marzo 2019, la Corte di Cassazione ha fatto chiarezza in merito alla portata dell’art. 1417 del codice civile. Nello specifico, la Corte si è pronunciata sulla ammissibilità della prova presuntiva al fine di far dichiarare la nullità (per simulazione assoluta) di contratti stipulati tra il de cuius ed uno solo degli eredi pochi anni prima del decesso del dante causa. In particolare, l’art. 1417 c.c. stabilisce che “la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi e, qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche se è proposta dalle parti”.
Il caso in esame
La vicenda alla base della decisione della Corte di Cassazione può essere sintetizzata come segue.
In data 18.11.1999 decedeva in Lucca, senza lasciare testamento. L.P., il quale aveva in vita accumulato un ingente patrimonio, comprendente beni immobili di rilevante valore commerciale e cospicui depositi bancari, di cui era rimasto esclusivo titolare sino al 1995/1996, epoca in cui aveva ceduto tutti gli immobili ed estinto tutti i conto correnti bancari.
In particolare, il de cuius aveva venduto al figlio P.M. in data 27.03.1996 un fondo commerciale ad un prezzo irrisorio rispetto al valore reale ed aveva venduto gli altri immobili (un appartamento, un magazzino, uno studio professionale e un appartamento con mansarda) ad un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato alla Società Srl, i cui soci erano la moglie ed il figlio di P.M.
Con citazione del 07.09.2000, dunque, i fratelli di P.M., ovvero P.P. e G.P. convenivano in giudizio il fratello e una società, al fine di accertare la simulazione assoluta degli atti di vendita. Chiedevano in subordine di accertare la natura di donazione indiretta del primo contratto e dunque conferire in collazione il bene oggetto del trasferimento, e di accertare la natura di donazione del secondo contratto per il quale si chiedeva la nullità stante la mancanza dei requisiti formali e sostanziali. Si costituivano P.M. e la Società Srl.
Il Tribunale di Lucca, ritenendo inammissibili le prove, rigettava le domande attoree. Avverso tale sentenza proponevano appello G.P. e gli eredi di P.P., nelle more deceduta. La Corte d’Appello di Firenze, ammessa ed espletata la prova ex art. 210 c.p.c., dichiarava la nullità per simulazione degli atti impugnati, basando il proprio convincimento sul fatto che l’erede che agisca in collazione sia “terzo” rispetto al contratto simulato e pertanto in tale ipotesi non trovino applicazione i limiti probatori individuati dall’art. 1417 c.c.
La simulazione del contratto: brevi cenni sulla disciplina normativa
La simulazione si verifica nell’ipotesi in cui le parti, di comune accordo, dichiarano di voler porre in essere un contratto ma in realtà entrambe non ne vogliono nessuno (simulazione assoluta) ovvero ne vogliono uno diverso rispetto a quello apparente (simulazione relativa). Al fine di configurare la fattispecie della simulazione, è necessaria la sussistenza di un accordo simulatorio, il quale deve essere necessariamente bilaterale, oppure di una simulata dichiarazione recettizia di volontà[1].
L’accordo simulatorio deve preesistere o quantomeno coesistere al momento della stipula del negozio simulato[2]. La controdichiarazione, invece, è un atto di riconoscimento dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato nel caso di simulazione assoluta o dell’esistenza di un contratto diverso da quello realmente voluto, in caso di simulazione relativa: tale atto ha essenzialmente natura probatoria (acquista infatti natura di confessione che fa prova contro chi la rilascia, anche se successiva alla stipula del contratto)[3].
Infine, l’individuazione della causa simulandi, cioè del motivo concreto per il quale le parti abbiano posto in essere un contratto in realtà non voluto, resta rilevante solo per fornire indizi rivelatori dell’accordo simulatorio, ma non è indispensabile ai fini della pronuncia di accertamento della simulazione medesima.
Possono distinguersi tre figure di simulazione: simulazione assoluta, simulazione relativa oggettiva e simulazione relativa soggettiva. Ricorre la prima quando le parti non vogliono porre in essere alcun negozio tra di loro, ma lo fanno allo scopo di farlo apparire nei confronti dei terzi. La simulazione relativa oggettiva si verifica quando le parti hanno posto in essere un contratto diverso da quello apparente: tra di esse ha effetto il contratto dissimulato purchè ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma, come stabilito dall’art. 1414 c.c. Infine, si configura la simulazione relativa soggettiva nel caso in cui vi sia interposizione fittizia di persona, ovvero si nasconde la reale identità della persona con la quale si vuole contrattare. In tale circostanza, il contratto produrrà i propri effetti tra le parti reali.
La simulazione nei confronti dei terzi
L’art. 1415 c.c. sancisce che la simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione. I terzi possono far valere la simulazione i confronto delle parti, quando essa pregiudica i loro diritti. La questione fondamentale, a tal proposito, riguarda l’individuazione dei terzi: in generale, per terzi si intendono coloro che non sono stati parti del negozio simulato. Si distingue, così, tra terzi che in buona fede hanno fatto affidamento sul contratto simulato, terzi che sono stati danneggiati dalla simulazione e creditori delle parti, la cui tutela è prevista nell’art. 1416 c.c.
Prova della simulazione: la decisione della Corte di Cassazione
Ai sensi dell’art. 1417 c.c., la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi e, qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche se è proposta dalle parti.
Le limitazioni alla facoltà di prova della simulazione previste per i contraenti dall’art. 2722 c.c., infatti, non operano nei confronti dei terzi e dei creditori, i quali, non avendo accesso alla controdichiarazione, possono provare l’esistenza di un accordo simulato con qualsiasi mezzo, comprese le presunzioni, che possono fondarsi anche sul contratto impugnato di simulazione. Il relativo accertamento è rimesso al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità per insufficienza o per erroneità logico-giuridica della motivazione.
Secondo il consolidato indirizzo della Corte di Cassazione, in tema di prova per presunzioni della simulazione assoluta di un contratto, spetta dunque al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che devono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro globalità, all’esito di un giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico[4].
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto provata la simulazione assoluta dei negozi oggetto di impugnazione, sulla base di elementi indiziari connotati da gravità, univocità e concordanza.
In particolare, la Corte d’Appello ha basato il proprio giudizio sui seguenti elementi: il fatto che il de cuius all’età di ottanta anni abbia alienato, nel giro di un mese, il suo intero patrimonio immobiliare a favore del figlio e a prezzi assai inferiori a quelli di mercato; la mancanza di un’adeguata giustificazione economica dell’operazione; la circostanza che il pagamento fosse già avvenuto per intero prima della stipula dell’atto notarile; la circostanza che gli assegni prodotti quali mezzi di pagamento del corrispettivo risultassero versati su un conto cointestato tra padre e figlio, senza la certezza dell’effettivo incasso da parte del de cuius.
A fronte di tali indizi e della motivazione logico-giuridica posta alla base della decisione di gravame, la Corte di Cassazione ha applicato il principio di cui sopra, ritenendo non censurabile la prova per presunzioni che ha condotto all’accertamento della simulazione. Pertanto, la valutazione complessiva ha fatto emergere fattori con un’oggettiva portata indiziante la cui combinazione è stata in grado di fornire una valida prova presuntiva.
[1] Cfr. Cass. n. 1678 del 11 giugno 1973.
[2] L’accordo simulatorio va distinto dall’errore ostativo, che si configura come divergenza involontaria tra voluto e dichiarato e che, sulla base di determinati presupposti, può condurre all’annullamento del negozio. Inoltre, l’accordo simulatorio va distinto anche dalla riserva mentale, circostanza in cui la divergenza tra voluto e dichiarato, sebbene volontaria, resti nella sfera psicologica interna di uno solo dei contraenti, mancando dunque l’accordo tra le parti. Cfr. M.C. Diener, Il contratto in generale, Giuffrè Editore, pag. 544.
[3] “In tema di simulazione, la controdichiarazione costituisce atto di accertamento o di riconoscimento scritto che non ha carattere negoziale e non si inserisce come elemento essenziale nel procedimento simulatorio” Cass. n. 14590 del 30 gennaio 2013).
[4] Cfr. Corte di Cass. 22801 del 28.10.2014.