Proposte e offerte concorrenti nel concordato preventivo

in Giuricivile, 2018, 6 (ISSN 2532-201X)

Pensando al fermento riformatore degli ultimi anni, in materia di procedure concorsuali, verrà probabilmente alla mente il progetto di riforma elaborato dalla Commissione Rordorf[1]; tale progetto, però, rappresenta soltanto la più recente iniziativa volta alla modifica e al perfezionamento della disciplina della crisi d’impresa.

Fin dal 2003 la normativa di riferimento è stata aggiornata in modo molto attivo, quasi frenetico[2]. Tra le riforme più significative si ricorda quella del 2015[3], con cui legislatore ha modificato la fisionomia del concordato preventivo, introducendo, tra l’altro, le fattispecie delle proposte e delle offerte concorrenti[4].

Le proposte e le offerte concorrenti, disciplinate rispettivamente agli articoli 163 e 163 bis della Legge Fallimentare[5], introdotte con il decreto legge n. 83 del 2015, trovano applicazione nelle prime fasi del procedimento di concordato preventivo, precedenti all’omologazione da parte del tribunale. Esse rispondono alla duplice finalità, da un lato, di sottrarre alla piena ed esclusiva disponibilità del debitore – imprenditore in crisi la determinazione delle sorti dell’azienda e, dall’altro, di massimizzare la contendibilità dell’azienda, così da estrarne il massimo valore e assicurare la massima soddisfazione dei creditori.

Come chiarito nella Relazione d’accompagnamento al decreto legge n. 83 del 2015, tra i principali obiettivi perseguiti dal legislatore riformatore c’era quello di scoraggiare la predisposizione, da parte del debitore, di piani di concordato preventivo idonei a frodare i creditori; più precisamente, si affermava che l’introduzione di tali nuove fattispecie era volta ad “…offrire ai creditori strumenti per impedire al debitore di presentare proposte che non rispecchino il reale valore dell’azienda (appropriandosi del surplus di ristrutturazione)”.

È ampia la casistica relativa ai piani precompilati (anche definiti pacchetti preconfezionati d’offerta, offerte vincolate), che si caratterizzano per l’indicazione, da parte dello stesso debitore, sia del soggetto offerente (il cd. terzo pre-individuato) per l’acquisto o l’affitto d’azienda, di un suo ramo o di beni specifici che ne facciano parte, sia delle condizioni economiche a cui avverrà tale cessione. Gli interpreti hanno provato a meglio delineare la figura dei piani precompilati, definendola come quella “proposta concordataria che indica il soggetto a favore del quale sono previsti il trasferimento dell’azienda e le condizioni di vendita dei cespiti aziendali[6]. Nella prassi, utilizzando questi schemi, il debitore ha spesso beneficiato di illegittimi vantaggi[7]: tra tutti, la possibilità per gli stessi soci della società debitrice di costituire una nuova società e mediante tale veicolo offrire di prendere in affitto e poi acquistare l’azienda[8], subordinatamente all’omologazione del concordato preventivo. In questo modo il debitore, di fatto, continuerà ad esercitare l’attività d’impresa, beneficiando di una esdebitazione[9] a cui non avrebbe avuto altrimenti diritto, data la preordinazione del suo disegno al conseguimento di un vantaggio a discapito dei creditori. Difatti, spesso i piani precompilati offrono una percentuale di soddisfazione ai creditori minore di quella che avrebbero potuto ottenere mediante una più ordinata dismissione dell’azienda. D’altronde, se è dubbio che il tribunale possa dichiarare inammissibile una proposta di concordato preventivo in base alla mera considerazione che, astrattamente, con un diverso piano di concordato, si potrebbe garantire una maggiore soddisfazione per i creditori, è certo che debba essere rigettato, in quanto inammissibile, quel piano di concordato preventivo liquidatorio che non garantisca almeno una soddisfazione pari al 20 per cento dei debiti chirografari[10].

Il legislatore, nel predisporre uno strumentario coerente con le finalità perseguite, ha introdotto una puntuale disciplina delle proposte e delle offerte concorrenti.

Proposte concorrenti e interpretazione giurisprudenziale

La proposta concorrente consiste nell’articolazione, da parte di uno o più creditori, di un piano alternativo rispetto a quello predisposto dal debitore per risolvere la crisi d’impresa. Tale proposta potrà essere formulata solo successivamente alla domanda di concordato preventivo depositata dal debitore, fino a 30 giorni prima dall’adunanza dei creditori; possono presentare proposte concorrenti quei creditori che rappresentino almeno il dieci per cento della massa ammessa e, ai fini di tale conteggio, dovranno essere escluse tutte le ipotesi di controllo incrociato[11] (infatti, non concorreranno al computo di tale soglia i crediti vantati dal controllante, da altre imprese controllate o da imprese che siano soggette al comune controllo).
È discusso se un soggetto che abbia acquistato, in pendenza della procedura, crediti pari ad almeno il dieci per cento dei debiti del debitore, non risultando, però, titolare di alcun credito prima dell’apertura della procedura concordataria, possa formulare una proposta concorrente. La soluzione prevalente è orientata in senso positivo, sia perché la lettera dell’art. 163 Legge Fallimentare non sembrerebbe precludere tale possibilità, sia perché una lettura in senso contrario contrasterebbe con la ratio sottesa alla figura delle proposte concorrenti. Siffatta ricostruzione è criticata da quanti ritengono che la soglia del dieci per cento sia stata inserita quale meccanismo di tutela, volto a ad impedire agli speculatori di formulare proposte concorrenti[12]. In realtà, tale rischio è neutralizzato dalla stessa previsione, quale condizione indefettibile per la presentazione della proposta che il soggetto proponente sia titolare di crediti pari almeno al valore soglia (potrebbe esserne titolare fin dall’inizio o se ne potrebbe rendere cessionario nelle more del procedimento). In altra prospettiva, tale ricostruzione appare perfettamente coerente con un’altra delle finalità sottese alla riforma del 2015: l’incentivo alla mobilizzazione del credito ed in particolare dei cd. distressed debts[13]. Qualora, dunque, in una fase preparatoria della proposta concorrente di concordato preventivo vi siano cessioni di lotti, più o meno consistenti, di crediti (presumibilmente di non facile realizzo, essendo l’impresa in crisi) l’ordinamento non avrebbe alcuna ragione di opporsi, anzi, piuttosto dovrebbe agevolare il più possibile tali attività. Da tale premessa non può che uscire rafforzata la tesi secondo cui qualsiasi soggetto, cessionario di crediti pari almeno al valore soglia, potrà validamente formulare una proposta concorrente, a prescindere dalla circostanza che questi risultasse titolare o meno di crediti verso l’imprenditore in crisi fin dal momento della domanda originaria di concordato.

Ai creditori non saranno imposti particolari vincoli nella formulazione del piano di concordato contenuto nella proposta concorrente, se non quelli ordinariamente imposti anche al debitore che formuli la proposta originaria di concordato[14]. Anche quando la proposta originaria prevedesse la mera liquidazione dei cespiti aziendali, le proposte alternative potranno liberamente avere ad oggetto concordati in continuità o misti, potranno costituire diversamente le classi dei creditori[15] e determinare in misura diversa le percentuali di soddisfazione.

Una disciplina così chiaramente creditor oriented non manca, però, di contro-limiti: qualora il debitore abbia presentato un piano di concordato preventivo che assicuri la soddisfazione dei creditori, almeno nella misura del quaranta per cento (tale soglia scende al trenta per cento se il concordato è in continuità), e che risulti idoneo, a parere di un professionista, a garantire quantomeno tali percentuali di soddisfazione, ciò renderà inammissibile ogni eventuale proposta concorrente[16]. Secondo alcuni interpreti[17], per assicurare maggiore coerenza a tale disciplina, la soglia del trenta per cento si sarebbe dovuta applicare al solo concordato in continuità diretto e non anche a quello indiretto[18], che, di fatto, nella prospettiva dell’imprenditore in crisi, produce conseguenze analoghe al concordato liquidatorio[19].

Il legislatore ha ritenuto opportuno esentare dalla soggezione a proposte concorrenti quel debitore che abbia formulato un piano di concordato idoneo a garantire almeno determinate soglie di soddisfazione. Il debitore che sia stato corretto e virtuoso nell’elaborare il piano di concordato – predisponendo un piano fattibile, che garantisca tali percentuali di soddisfazione – potrà dormire sonni tranquilli, senza temere che possa essere presentata una proposta concorrente idonea a sconvolgere i propri piani e previsioni sul futuro dell’impresa e sulla sorte dei cespiti che compongono l’azienda.

Questa previsione normativa, che, ad una prima lettura, potrebbe sembrare di poca rilevanza, è in realtà, un forte incentivo per il debitore a redigere un buon piano concordatario, posto che, altrimenti, l’imprenditore resterebbe esposto ai rischi insiti nell’eventualità di altre proposte. Ad esempio, il terzo proponente potrebbe aver pensato ad una dismissione di assets strategici o di beni a cui l’imprenditore è particolarmente affezionato, poiché idonea a garantire un maggior ristoro ai creditori. Il debitore non avrebbe alcuno strumento per incidere su tali scelte, se non persuadere i creditori a votare il piano di concordato originario, anziché quello concorrente. È quindi chiara la centralità di tale ipotesi di inammissibilità delle proposte concorrenti, perché, più di ogni altra – con una sorta di ombrello protettivo – pone le scelte strategiche dell’imprenditore al riparo da ingerenze esterne, facendo salva, ovviamente, la necessità che tale piano venga approvato dall’adunanza dei creditori e omologato dal tribunale.

Le proposte di concordato saranno valutate dai creditori, in sede di adunanza dei creditori, dove prevarrà la proposta che otterrà maggior consenso; in caso di parità, sarà preferito il piano presentato dal debitore. I creditori proponenti non potranno votare, almeno che questi, nell’ambito della suddivisione dei creditori in classi, non siano tutti riuniti in una sola ed apposita classe.

Anche tale previsione è coerente con l’indirizzo generale di valorizzare e favorire le scelte effettuate dal debitore, nella misura in cui queste non appaiano in contrasto con l’interesse dei creditori. La votazione, da parte dei creditori riuniti nell’adunanza dei creditori, avente ad oggetto il piano concordatario, è preceduta da una valutazione, effettuata dal commissario giudiziale, volta ad esporre in modo imparziale le caratteristiche delle offerte pervenute, così da permettere ai creditori una piena e più agevole comparazione. Alla valutazione del professionista si aggiunge, nell’applicazione concreta giurisprudenziale, un vaglio di ammissibilità del tribunale. Tale valutazione, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità[20], non si limita ad una sola verifica formale relativa alla sussistenza degli elementi di ammissibilità, ma si estende anche ad una valutazione di merito.

Merita menzione una recente pronuncia del Tribunale di Napoli[21] che, in modo pienamente coerente con l’interpretazione desumibile dalla Relazione di accompagnamento al decreto legge n. 83 del 2015, evidenzia e valorizza le finalità perseguite con l’introduzione delle fattispecie delle proposte concorrenti. In particolare, la decisione dei giudici partenopei si segnala per l’inedita distinzione in essa operata al fine di restringere il novero dei soggetti legittimati a formulare una proposta concorrente.

A parere del Tribunale di Napoli, tra coloro che non erano titolari di crediti al momento del deposito dell’originaria domanda di concordato e che solo successivamente se ne siano resi cessionari per un importo sufficiente al superamento della soglia del dieci per cento, solo quelli che li abbiano acquistati mediante una vera e propria cessione di crediti potranno formulare una proposta ammissibile, non anche coloro che ne risultino cessionari nell’ambito di una “cessione fittizia[22]. Infatti, il Tribunale di Napoli, facendo leva sulla ratio della disciplina, ha dichiarato inammissibile la proposta concorrente presentata dai cessionari di crediti che: (i) avevano pattuito un corrispettivo meramente simbolico per l’acquisto, (ii) avevano subordinato il pagamento all’avvenuta omologazione del concordato e (iii) avevano inserito nel contratto un patto di retrovendita[23].

Agli occhi dei giudici, tutti questi elementi erano sufficienti a qualificare come fittizia, e non genuina, la cessione di crediti e dunque, in base a tale argomentazione, il Tribunale di Napoli ha dichiarato inammissibile la proposta concorrente. In realtà, già la Relazione di accompagnamento al decreto legge n. 83 del 2015 riconosceva che la funzione delle proposte concorrenti consiste nel “consentire ai creditori, o ad altri imprenditori che acquistino crediti verso l’impresa in crisi, qualora ritengano di poter gestire meglio l’attività e siano disponibili a immettere nuovi capitali” di presentare proposte alternative di concordato al ceto creditorio.

Ad ogni modo, la condotta della società neocostituita (Newco), nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Napoli, è stata considerata finalizzata alla massimizzazione del recupero del credito (originariamente) vantato dal ceto bancario e non, invece, a rilevare l’azienda per esercitare l’attività d’impresa; già questa considerazione, valorizzando fino in fondo la ratio della disciplina, secondo quando affermato in sede di Relazione di accompagnamento al decreto legge n. 83 del 2015, sarebbe sufficiente per rendere non meritevole di tutela la proposta concorrente e dunque dichiararla inammissibile.

Ad oggi, essendo l’applicazione della fattispecie delle proposte concorrenti ancora al suo stadio inziale non si è ancora formata una solida interpretazione giurisprudenziale. A fronte di una giurisprudenza molto scarna, si è sviluppata un’ampia riflessione dottrinale.

Tale interpretazione è abbastanza statica e si appiattisce su un’interpretazione letterale della disposizione.

In primo luogo, appare eccessivamente limitativa l’interpretazione che considera applicabile il meccanismo delle proposte concorrenti ai soli creditori che intendano succedere all’imprenditore. Piuttosto, sarebbe auspicabile permettere l’utilizzo di questo strumento a tutti quei creditori che ipotizzino modalità di liquidazione o prosecuzione dell’attività che siano più profittevoli ed idonee a garantire una maggiore soddisfazione il ceto creditorio. È indubbio che si pone un problema, sebbene non insuperabile, nell’ipotesi in cui la proposta concorrente preveda un piano di concordato in continuità, ai sensi del quale il proponente non si offra di assumere il controllo dell’attività. La disciplina positiva attuale già prevede che “la proposta può prevedere l’intervento di terzi[24].

In base alla disciplina vigente, è pienamente ammissibile la predisposizione di “piani preconfezionati”, che individuino un soggetto terzo offerente per la prosecuzione dell’attività d’impresa, anche nell’ambito delle proposte concorrenti. Del tutto inattuabili, ad oggi, sarebbero, invece, quelle proposte concorrenti che, delineando un piano di concordato in continuità, non individuino un soggetto offerente. Tali proposte risulterebbero un mero suggerimento rivolto ai creditori e allo stesso debitore per meglio valorizzare l’azienda.

In un’ottica evolutiva della disciplina, sarebbe auspicabile combinare la proposta concorrente con un procedimento competitivo, volto ad individuare un potenziale investitore (non necessariamente il creditore proponente o una persona da questi individuata), disposto a rilevare l’azienda o una sua parte per dare attuazione alla proposta concorrente. Siffatto meccanismo garantirebbe una più ampia applicazione della figura delle proposte concorrenti e, probabilmente, accrescerebbe le percentuali di soddisfazione dei creditori dell’imprenditore in crisi. Del resto, non può essere trascurato il grande aggravio che deriverebbe al lavoro dei giudici di merito da una parentesi di questo tipo nel procedimento di concordato preventivo; a questi sarebbe attribuita la vigilanza sull’ordinato svolgimento e il buon esito del procedimento.

Questa soluzione appare ancora più appetibile se si considera che risulterebbe praticabile già alla luce della vigente legislazione, seguendo interpretazioni normative meno ancorate alla Relazione di accompagnamento al decreto legge n. 83 del 2015 – che va ricordato, non ha forza di legge, ma spesso è utilizzata dagli interpreti per indagare la ratio legis sottesa ad un intervento normativo – e tese alla valorizzazione dell’interesse ad una più ampia soddisfazione dei creditori. Una critica fondata nei confronti di tale prospettazione è che questa aprirebbe la strada a proposte predatorie e speculative, in cui al fine di conseguire una maggiore recovery dei creditori, si sacrificherebbero la produttività d’impresa e l’occupazione dei lavoratori.

È opportuno tenere a mente che la continuità aziendale rappresenta soltanto un valore-mezzo per raggiungere il migliore soddisfacimento dei creditori[25] (che costituisce un valore-fine). Pertanto, in via generale, il primo valore potrà essere sacrificato per perseguire il secondo, ma non viceversa. E’ anche vero, d’altra parte, che, a livello macroeconomico, prediligere scelte che mirino al soddisfacimento dei creditori, non tenendo conto dell’interesse alla continuità aziendale, potrebbe rivelarsi scellerato.

Va, inoltre, ribadito che le scelte imprenditoriali dell’imprenditore non sono nella disponibilità del creditore e quindi, anche qualora un terzo delineasse un business plan idoneo a far uscire l’impresa dallo stato di crisi, tale piano non sarebbe in alcun modo azionabile in executivis nei confronti dell’imprenditore[26].

Offerte concorrenti

L’art. 163 bis Legge Fallimentare disciplina le offerte concorrenti ed afferma espressamente che, quando il piano predisposto dal debitore preveda un’offerta per il trasferimento, a titolo oneroso e anche prima dell’omologazione, dell’azienda, di un suo ramo o di specifici beni, il tribunale sarà obbligato ad avviare una procedura competitiva con lo scopo di individuare eventuali altri soggetti interessati[27].

Le offerte concorrenti sono una figura introdotta con lo scopo principale di scoraggiare il ricorso a piani precompilati. Tali piani, come già ricordato, sono quelli con cui il debitore determina non solo l’identità del soggetto cessionario d’azienda, ma fissa anche il prezzo che questi dovrà pagare a fronte della cessione dell’azienda, a titolo definitivo o temporaneo. È chiaro che il debitore, a cui venga consentito di incidere in modo così profondo sulla destinazione dei beni aziendali, potrebbe effettuare un uso distorto di questi strumenti, traendo il maggior vantaggio per sé, a scapito dei suoi creditori. E così spesso avviene nella prassi.

Un possibile rimedio sarebbe stato quello di demandare, in tutto o in parte, ad un terzo la predisposizione del piano, ma come risulta chiaro, questo avrebbe determinato un aggravio di tempi e costi che poco sono compatibili con la gestione della crisi d’impresa[28]. D’altra parte, normalmente, nessun soggetto conosce l’azienda e le sue potenzialità meglio dell’imprenditore e, quindi, nessuno potrà redigere il piano di concordato meglio di lui.

Prima della riforma del 2015, la tutela del valore del compendio aziendale era meramente negativa: spettava, infatti, al commissario giudiziale rilevare eventuali abusi da parte del debitore. La rivoluzione copernicana compiuta con l’introduzione della disciplina delle offerte concorrenti consiste nell’imporre un obbligo, di contenuto positivo, in capo al tribunale, che è chiamato a predisporre e promuovere procedure competitive, al fine di individuare offerte migliorative rispetto a quanto offerto dal terzo pre-individuato.

L’ambito di applicazione risulta, quindi, molto più limitato rispetto a quello delle proposte concorrenti: le offerte concorrenti potranno incidere solo sull’identità dell’acquirente e sul prezzo da pagarsi, per tutto il resto dovrà seguirsi quanto già contenuto nell’offerta originaria del terzo pre-individuato.

Qualora, nell’ambito della procedura competitiva predisposta dal tribunale, dovessero essere formulate più offerte migliorative, ciascuna rispettosa delle caratteristiche di ammissibilità richieste, dovrà essere disposta una gara tra gli offerenti. Nell’ambito di tale gara, non verrà considerata l’offerta del primo offerente, il cd. terzo pre-individuato: l’offerta originaria dovrà essere ripresentata, in modo che anch’essa rispetti i requisiti fissati dal decreto del tribunale.

All’esito della gara, quando sarà individuata l’offerta aggiudicataria, il debitore sarà tenuto a prenderne atto e dovrà modificare il piano di concordato in modo conseguente.

In via generale, la disciplina delle offerte concorrenti è compatibile con ogni tipologia di piano concordatario, sia liquidatorio, sia in continuità. È stato invece osservato[29], che tale disciplina sarebbe strutturalmente incompatibile con la domanda di pre-concordato o con il concordato in bianco, giacché in tali ipotesi mancherebbe sia un piano di concordato, sia una proposta definitiva, che sono, invece, necessari ai fini dell’applicazione della disciplina in oggetto. Tra l’altro, ai fini dell’applicabilità della disciplina di cui all’art. 163 bis, è necessario che le offerte siano irrevocabili e comparabili. Qualora, invece, come nelle ipotesi esaminate, le offerte fossero soggette a condizione, la disciplina delle offerte concorrenti non potrebbe trovare applicazione.

Al fine di valutare se si ricada o meno nell’ambito applicativo delle offerte concorrenti e quindi se vi sia l’obbligo di dar vita ad un procedimento competitivo pare, inoltre, quanto mai opportuno procedere ad una corretta categorizzazione dell’operazione posta in essere dal debitore. Vi sono delle operazioni che possono risultare di difficile categorizzazione e, a prima lettura, sembrerebbero rimanere fuori dall’ambito applicativo dell’obbligo di procedura competitiva. Al riguardo, la giurisprudenza di merito[30] ha avuto modo di rilevare che l’assegnazione di un ramo d’azienda ad una Newco, effettuata mediante modifica statutaria non esonera dall’applicazione della disciplina delle offerte concorrente, ma piuttosto integra il presupposto oggettivo di applicabilità di questo meccanismo che è la cessione d’azienda o di una sua parte.

Affitto d’azienda

Le statistiche sono eloquenti nel rilevare che i concordati preventivi con continuità aziendale indiretti (che prevedono, quindi, che l’attività sia proseguita da un diverso imprenditore), in oltre il settanta per cento dei casi[31], prevedono che la cessione a titolo definitivo dell’azienda o di un suo ramo, sia preceduta da un affitto della stessa.

L’art. 163 bis Legge Fallimentare che disciplina le offerte concorrenti, in chiusura del primo comma, afferma espressamente che alla medesima procedura competitiva dovranno essere assoggettati anche i contratti che perseguono la finalità del trasferimento, sebbene non immediato, dell’azienda, di un suo ramo o singoli beni che ne facciano parte[32]. I contratti d’affitto d’azienda sembrano rientrare a pieno titolo in questa categoria (e questa è anche l’interpretazione adottata dalla dottrina prevalente) purché tali contratti siano finalizzati, in ultima analisi, al trasferimento dei beni. Assoggettare anche i trasferimenti a titolo temporaneo di beni a procedure competitive permette di valutare l’interesse del mercato ad effettuare tale operazione e consente, quindi, nell’ottica della migliore efficienza della procedura, di cogliere le migliori occasioni.

Si ritiene che la stessa procedura debba essere svolta nei casi di c.d. “affitto ponte”, funzionale al trasferimento d’azienda a favore dello stesso affittuario.

Non va dimenticato, però, che la continuità dell’attività risulta fondamentale per non disperdere il valore dell’azienda: si pensi ad esempio all’avviamento di un’attività commerciale che, solo dopo pochi mesi di inattività, verrebbe meno.

L’affitto d’azienda di breve periodo, con la sola finalità di non disperdere il valore dell’azienda, nelle more della definizione della procedura concordataria, sembrerebbe[33] rimanere fuori dal perimetro dell’obbligo di espletamento delle procedure competitive. In questo senso sembrerebbe deporre il dato letterale dell’art. 163 bis Legge Fallimentare che non prevede alcun obbligo di procedura competitiva per cessioni a titolo meramente temporaneo.

Pur ammettendo che tale obbligo non operi con riferimento ad affitti d’azienda meramente provvisori, è chiaro che l’applicabilità delle previsioni dell’art. 163 bis Legge Fallimentare a tutti gli altri affitti d’azienda, da sottoscriversi nell’ambito del concordato preventivo, renderebbe più complessi gli adempimenti prodromici alla cessione, anche temporanea, dell’azienda o dei beni che la compongono, riducendo l’attrattività del contratto d’affitto nelle more della risoluzione della crisi d’impresa.

L’intento legislativo di garantire la corretta valorizzazione dei cespiti aziendali è sicuramente lodevole e un intervento simile appariva necessario per colpire comportamenti disdicevoli e lesivi per il mercato e per i creditori. Il rovescio della medaglia è l’appesantimento procedurale in cui si è incorsi, che rende assai più complesso allestire agili operazioni volte a garantire la continuità aziendale, in un’ottica di continuità della produzione e di un successivo subentro dell’offerente all’imprenditore in crisi[34].

Conclusioni

L’introduzione delle fattispecie delle proposte e delle offerte concorrenti costituisce un indubbio passo in avanti nella direzione dell’efficientamento delle procedure di gestione e risoluzione della crisi d’impresa.

Se, da una parte, l’apertura a logiche concorrenziali di mercato, anche nel fronteggiare la crisi d’impresa, produce un miglioramento dei risultati economici raggiunti in sede di liquidazione o ristrutturazione aziendale, d’altra parte, per rendere necessario tutto ciò si rendono necessari oneri pubblicitari sempre più pesanti e le tempistiche del procedimento si dilatano in modo inevitabile.

Nonostante, ad oggi, l’ordinamento preveda la possibilità anche per i creditori di incidere sul contenuto del concordato preventivo o presentare piani di concordato del tutto nuovi, va ricordato che la domanda originaria di concordato potrà essere presentata solo e soltanto dal debitore: solo questi potrà dare avvio alla procedura di concordato preventivo.

Il progetto di riforma elaborato dalla Commissione Rordorf riconosce il pregio delle figure delle offerte e delle proposte concorrenti, ritenendo però opportuni degli adeguamenti e aggiornamenti, alla luce dei primi riscontri offerti dall’applicazione pratica. In tale proposta di riforma, si intende anzitutto riformare la fisionomia del concordato preventivo riconoscendo “la legittimazione del terzo a promuovere il procedimento nei confronti del debitore che versi in stato di insolvenza, nel rispetto del principio del contraddittorio e con adozione di adeguati strumenti di tutela del debitore medesimo, nonché di misure dirette a prevenire condotte abusive”. D’altra parte, nel tentativo di ampliare la platea dei potenziali proponenti, il progetto di riforma prevede l’eliminazione di ogni soglia relativa alla titolarità di un dato ammontare di crediti quale presupposto per la presentazione di proposte concorrenti.

Inoltre, all’art. 6, comma 1 del progetto di riforma elaborato dalla Commissione Rordorf, viene delimitato l’ambito applicativo delle proposte concorrenti, limitando “l’ammissibilità di proposte esclusivamente liquidatorie solo in caso di apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori”, in modo da limitare le proposte meramente predatorie.

Si possono anche avere delle riserve sui suggerimenti formulati nel progetto di riforma che possono essere condivisi o meno, ma è certamente apprezzabile che, nell’ambito di tale organica revisione del complesso delle procedure concorsuali, sia stata dedicata attenzione all’adeguamento e ad un primo check-up di una disciplina così recente.


[1] I lavori della commissione ministeriale guidata da Renato Rordorf, Presidente aggiunto della Corte di Cassazione, hanno portato all’approvazione della Legge delega, 19 ottobre 2017, n. 155, con oggetto “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza“, pubblicata in G.U. il 30 ottobre 2017.

[2] Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo alla luce della miniriforma del 2015, in Dir. fall., 2015, 359. Le principali riforme, precedenti a quelle del 2015, che hanno interessato la disciplina del concordato preventivo sono: 1) il decreto legge 35/2005, che ha inciso sulla procedura concordataria, ampliandone i presupposti d’accesso e semplificando il giudizio di omologazione; 2) il decreto legge 83/2012, che ha inciso sulla gestione dell’impresa in crisi, prevedendo strumenti tali da garantirne una maggiore duttilità e compatibilità con nuovi finanziamenti.

[3] Decreto legge 27 giugno 2015, n.83, convertito in legge 6 agosto 2015, n. 132.

[4] Lo stesso decreto legge n. 83 del 2015 aveva introdotto altre figure di particolare rilievo, tra queste spiccano i cd. accordi di moratoria.

[5] Regio Decreto 267/1942.

[6]Tedeschi, Proposte e offerte concorrenti di concordato preventivo, in Dir. Fall., 2016, 6, 1389

[7] È chiaro il conflitto d’interessi del debitore che redige tale piano, che spesso si traduce in una inadeguata valorizzazione degli asstets aziendali e una recovery dei creditori minore di quella potenzialmente ottenibile.

[8] L’offerta d’acquisto è nella maggior parte dei casi subordinata all’omologazione del concordato preventivo.

[9] L’esdebitazione è espressamente disciplinata dall’art. 142 della Legge Fallimentare che ne pone anche i presupposti. Ai fini dell’applicazione della esdebitazione, l’art. 142 della Legge Fallimentare richiede che il debitore 1) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni; 2) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura; 3) non abbia violato le disposizioni di cui all’articolo 48 della Legge Fallimentare; 4) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta; 5) non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; 6) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all’esito di quello penale.

[10] La giurisprudenza di legittimità, fin dalla sentenza Cass., SU, 1521/2013, aveva sostenuto la possibilità di valutare la causa concreta del concordato, prescindendo da soglie oggettive e fisse. Ad oggi, con l’introduzione della soglia di soddisfazione minima del venti per cento dei creditori chirografari, ciò non è più possibile. Il legislatore ha ritenuto che al di sotto di tale soglia di soddisfazione, il debitore debba essere assoggettato al fallimento.

[11] La fissazione di tali limiti soggettivi, nelle intenzioni del legislatore, “dovrebbe svolgere una prima funzione di filtro di iniziative non rilevanti, che finirebbero solo per rischiare di appesantire la procedura”.

[12] Non è un argine agli speculatori in genere, ma preclude la possibilità che soggetti che non abbiano alcun interesse patrimoniale nella vicenda, in quanto non sono titolari di alcun credito verso l’impresa in crisi, possano formulare proposte concorrenti. Il rischio più concreto è che la proposta da questi formulata potrebbe essere animata da interesse estranei alla procedura. Esempio lampante è rappresentato dalla proposta presentata da un concorrente, con lo scopo primario di eliminare l’impresa dal mercato, così da trarne un diretto vantaggio.

[13] Il decreto del Trib. Napoli 2 febbraio 2018 afferma espressamente che “tale ratio è raffigurata nella relazione al disegno di legge per la conversione del decreto legge n. 83 del 2015, ove è spiegato che uno degli obiettivi del legislatore è quello di creare i presupposti per la nascita anche in Italia, di un mercato dei distressed debts, già da tempo sviluppatesi negli altri Paesi, in modo da consentirne un significativo smobilizzo”.

[14] Sul punto la disciplina del concordato preventivo ha subito una forte evoluzione negli anni, con l’inserimento del limite di soddisfazione minima dei creditori chirografari nella misura del venti per cento. La considerazione sottesa a questo requisito della proposta concordataria è che, sotto certe soglie di soddisfazione per i creditori, risulti più aderente ai principi dell’ordinamento, e forse anche all’interesse dei creditori, aprire la procedura concorsuale fallimentare, anziché una proposta negoziale quale è il concordato preventivo.

[15] La formazione delle classi di creditori non è un’attività libera da disciplina. Infatti, è espressamente previsto che tali classi debbano essere omogenee, e, dunque, le discriminazioni effettuate tra creditori dovranno fondarsi su ragioni oggettive.

[16] L’inammissibilità delle proposte concorrenti discenderebbe direttamente dalla valutazione positiva del professionista in ordine all’idoneità del piano di concordato originario a soddisfare i creditori almeno nella misura del 40 per cento (o trenta per cento), senza che sia necessaria alcuna valutazione di merito.

[17] Campione, Molteni, Proposte concorrenti di concordato, in Il fallimentarista, 2018.

[18] Secondo tale impostazione sarebbe stato più coerente applicar la soglia del quaranta per cento al concordato con continuità aziendale indiretto. Ciò perché in tale modalità di concordato l’imprenditore si disfa dell’azienda, similmente a quanto avviene nel concordato liquidatorio. È opportuno notare che nel concordato con continuità, a prescindere che sia diretto o indiretto, viene preservata, in tutto o in parte, l’occupazione dei dipendenti e questa circostanza assume rilievo nell’ottica del legislatore – e dunque potrebbe essere la ragione della parificazione delle due tipologie di concordato in continuità.

[19] Ad ogni modo, nel concordato in continuità, a prescindere che questo sia diretto o indiretto, l’ordinamento esprime un maggiore favore, in quanto accanto all’interesse patrimoniale dei creditori, viene tutelato, in tutto o in parte, anche l’interesse all’impiego dei dipendenti. Come emerge dalla previsione della figura dell’amministrazione straordinaria, nella gestione della crisi dell’impresa, il profilo occupazionale non è del tutto secondario.

[20] Cass. Civ., 5 febbraio 2018, n. 2729 riconosce il potere del giudice di merito di valutare anche, fin dalla fase del deposito, la reale fattibilità e sostenibilità economica del piano. Questa pronuncia si inserisce in un dibattito radicato: la Corte App. Firenze, 29 settembre 2015, aveva affermato che il tribunale, in sede di omologazione, può valutare non solo la fattibilità giuridica, ma anche quella economica del piano concordatario; la Cass. Civ., 3 luglio 2017, n. 16327 affermava che il giudice di merito non può effettuare alcun controllo sulla fattibilità economica del piano, ma soltanto valutare la possibilità del piano di valutare gli obiettivi prefissati.

[21]Decreto Tribunale Napoli, 2 febbraio 2018, Ruolo Fallimentare 18/2017.

[22] L’art. 163 Legge Fallimentare permette di presentare la proposta concorrente non soltanto a coloro che risultino creditori al momento della domanda di concordato depositata dal debitore, ma anche a coloro che, successivamente, si rendano cessionari o in ogni caso risultino titolari di crediti nei confronti del debitore, per un valore che superi la soglia del dieci per cento del complesso dei crediti vantati nei confronti dell’impresa

[23] La vicenda a cui ci si riferisce è quella relativa al procedimento di concordato preventivo di una società di navigazione, nel corso del quale è stata effettuata una proposta concorrente da parte di una società maltese, neocostituita con la finalità di rendersi cessionaria di crediti, per poi effettuare la proposta concorrente. La proposta della Newco, concorrente rispetto a quella presentata dalla stessa società di navigazione, con l’appoggio di un fondo comune di investimento, prevedeva, secondo quanto pubblicato dalla stampa quotidiana fra cui Sanzo, Concordato, i primi passi delle proposte concorrenti, in Sole24Ore, 11 aprile 2018, il rimborso, in via prioritaria, dei creditori finanziari, che erano gli stessi soggetti i cui crediti erano stati ceduti alla Newco.

[24] La stessa disposizione continua affermando “e, se il debitore ha la forma di società per azioni o a responsabilità limitata, può prevedere un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d’opzione”. Questa ultima rappresenta una peculiare tipologia di proposta concorrente, mediante l’acquisizione di una partecipazione di capitale nell’impresa debitrice. Non sono mancate voci molto critiche nei confronti di tale previsione, poiché rappresenta uno strumento per il creditore per entrare nelle vicende gestorie e proprietarie dell’impresa, senza che i soci originari possano opporsi. Va ricordato, però, che tale meccanismo troverà applicazione con riferimento alle sole società di capitali. L’aspetto rivoluzionario di tale previsione è che si permette al creditore di incidere non soltanto sul patrimoio della società, ma anche sulla compagine sociale.

[25] Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in www.ilcaso.it, 9 dicembre 2016; Patti, L’evoluzione normativa dell’affitto d’azienda a rischio depotenziamento competitivo, in Fallimento, 2017, 5, 513.

[26] Non esiste, nell’ordinamento italiano, uno strumento per costringere un soggetto a porre in essere determinate scelte imprenditoriali, rientrando queste ultime nel dominio esclusivo dell’imprenditore.

[27] Le modalità di cessione dell’azienda o di suoi rami sono presidiate da un controllo giurisdizionale poiché l’interesse alla massimizzazione del valore dell’azienda non è di natura esclusivamente privatistica, bensì anche pubblicistica.

[28] Il rimedio approntato dal legislatore, per far fronte alla patologia dei piani precompilati, consiste nell’obbligare il tribunale a predisporre una procedura competitiva, volta a sollecitare offerte di soggetti terzi interessati all’acquisto dell’azienda o di un suo ramo ed individuare così il migliore offerente.

[29] Arato, Il concordato preventivo con riserva, Torino, 2013, 3464.

[30] Tribunale Catania, 14 luglio 2016.

[31] Danovi, Riva, Azzola, Alcune osservazioni empiriche sui c.p. del Trib. Milano, in Giur. Comm., 2016, 837.

[32] L’art. 163-bis, comma 1 Legge Fallimentare afferma espressamente che “le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il debitore ha stipulato un contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato dell’azienda, del ramo d’azienda o di specifici beni”. Si espone l’offerente pre-individuato ad offerte concorrenti, anche per l’affitto d’azienda o di ramo d’azienda che siano finalizzati al trasferimento del bene, così da garantire la possibilità ad altri soggetti interessati di formulare la propria offerta e scoraggiare il debitore dal presentare piani precompilati che prevedano prezzi e condizioni non allineate a quelli di mercato.

[33] Della Tommasina, Offerte concorrenti per l’acquisto di specifici beni e contratti preliminari pendenti nel concordato preventivo, in Giur. Comm., 2017, 939.

[34] Patti, L’evoluzione normativa dell’affitto d’azienda a rischio di depotenziamento competitivo, in Fallimento, 2017, 5, 513. Si sostiene che, alla luce del mutato contesto normativo di riferimento, l’impiego del contratto di affitto d’azienda, nelle more della conclusione del procedimento concordatario, subirà una drastica diminuzione.

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