Pensione di reversibilità all’ex coniuge divorziato: i criteri di determinazione della quota

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5839/2025, depositata il 5 marzo (trovi il testo della sentenza qui), ha chiarito quali sono i criteri di determinazione della quota di pensione di reversibilità spettante all’ex coniuge divorziato. In particolare, la Suprema Corte si è pronunciata sulla possibilità, per il giudice, di tenere conto dell’importo dell’assegno divorzile ai fini della determinazione del quantum. Per un approfondimento, ti consigliamo il volume “I nuovi procedimenti di famiglia”, aggiornato alle ultime novità normative e giurisprudenziali. 

Il caso

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un’ex coniuge che, in seguito al decesso del suo ex marito, conveniva in giudizio la seconda moglie e l’INPS ai fini del riconoscimento, ai sensi dell’art. 9, comma 3, L. n. 898 del 1970, di una quota maggioritaria della pensione di reversibilità, in ragione della lunga durata del loro matrimonio.

L’attuale coniuge del defunto si opponeva alla richiesta, sostenendo di avere diritto a una quota maggiore, considerando la propria situazione di indigenza e la convivenza prematrimoniale con il marito prima del matrimonio.

Il Tribunale attribuiva il 70% della pensione di reversibilità all’ex moglie e il restante 30% alla coniuge superstite. La Corte d’Appello confermava la decisione ritenendo equa la suddivisione in base alla durata dei rispettivi matrimoni e alle condizioni economiche delle parti. Contro tale pronuncia, la coniuge superstite proponeva ricorso per cassazione.

Le ragioni del ricorso

La ricorrente, col il primo e unico motivo di ricorso, ha contestato la decisione della Corte d’Appello, con riferimento all’art. 9 L. n. 898 del 1970 e alla luce dei criteri correttivi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999. In particolare, la coniuge superstite riteneva che la quota di pensione di reversibilità riconosciutale fosse inadeguata alle più elementari esigenze di vita. Inoltre, asseriva che il maggiore importo riconosciuto, invece, all’ex moglie fosse sproporzionato rispetto all’assegno di divorzio in precedenza goduto e non conforme ai principi di equità che regolano l’istituto della pensione di reversibilità.

L’interpretazione dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970 e il principio solidaristico

La Suprema Corte, nel decidere il ricorso, ha richiamato i criteri previsti dall’art. 9, comma 3, della L. n. 898/1970, secondo cui la pensione di reversibilità deve essere ripartita tenendo conto della durata del matrimonio e della titolarità dell’assegno divorzile. Tuttavia, la giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha chiarito che tale criterio temporale non può essere applicato in maniera rigida e automatica. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 419 del 1999, ha infatti precisato che il giudice deve considerare ulteriori elementi, quali la situazione economica delle parti e l’eventuale convivenza prematrimoniale.

Il ruolo dell’assegno divorzile nella determinazione della quota

La Cassazione ha evidenziato che l’entità dell’assegno divorzile non costituisce un limite fisso alla quota spettante all’ex coniuge, ma deve comunque essere valutata per garantire un’equa distribuzione della pensione di reversibilità. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva riconosciuto all’ex moglie un importo mensile di pensione di reversibilità (1.200 euro) notevolmente superiore all’assegno divorzile precedentemente percepito (357 euro). Tuttavia, la Corte ha ritenuto che l’assenza di un’adeguata valutazione della sproporzione tra l’assegno divorzile e la quota di pensione assegnata potesse pregiudicare la funzione solidaristica dell’istituto.

La valutazione delle condizioni economiche e della convivenza prematrimoniale

I giudici di legittimità hanno evidenziato come la distribuzione della pensione di reversibilità non possa fondarsi esclusivamente sulla durata del matrimonio, ma deve tenere conto delle effettive condizioni economiche delle parti. Nel caso di specie, l’ex moglie percepiva già una pensione personale, mentre la seconda moglie risultava priva di redditi e in condizioni di bisogno, avendo anche richiesto il reddito di cittadinanza. Inoltre, la coniuge superstite aveva convissuto con il defunto per alcuni anni prima del matrimonio, un elemento che, secondo la giurisprudenza, può influire nella determinazione della quota spettante.

Il principio di diritto enunciato

Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della coniuge superstite, sancendo il seguente principio di diritto:

“In tema di determinazione della quota di pensione di reversibilità all’ex coniuge divorziato ai sensi dell’art. 9, comma 3, L. n. 898 del 1970, la quota spettante a quest’ultimo non deve necessariamente corrispondere all’importo dell’assegno divorzile, né tale quota di pensione ha in detto importo un tetto massimo non superabile, ma, in conformità all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’istituto, tra gli elementi da valutare, senza alcun automatismo, deve essere compresa anche l’entità dell’assegno divorzile, in modo tale che l’attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell’istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto in favore di tutti gli aventi diritto.”

La Corte ha, dunque, cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte d’Appello, in diversa composizione, affinché riesamini la questione alla luce del principio di diritto enunciato.

Conclusioni

La decisione della Cassazione, alla luce del principio solidaristico che ispira l’istituto della pensione di reversibilità, ribadisce l’importanza di un approccio non rigido nella determinazione della quota spettante all’ex coniuge. Sebbene la durata del matrimonio rappresenti un criterio fondamentale, il giudice deve valutare anche altri fattori quali le condizioni economiche delle parti, la convivenza prematrimoniale e l’entità dell’assegno divorzile.

La Corte conferma che l’assegno divorzile non può costituire un limite assoluto alla quota di pensione spettante all’ex coniuge, ma deve essere considerato nel bilanciamento complessivo degli interessi.

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Ida Grimaldi,
Avvocato cassazionista, esperta in materia di diritto di famiglia e tutela dei minori, lavoro e discriminazioni di genere. È docente e relatrice in numerosi convegni nazionali, dibattiti e corsi di formazione. Autrice e curatrice di diverse opere in materia di diritto di famiglia e minorile, lavoro e pari opportunità, scrive per numerose riviste giuridiche ed è componente del Comitato Scientifico della rivista “La Previdenza Forense”, quadrimestrale della Cassa di Assistenza e Previdenza Forense.

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