di Ciro Maria Ruocco e Carmelo D’Auria – L’evolversi incessante delle dinamiche finanziarie legate allo sviluppo imprenditoriale ha determinato la necessità di utilizzare strumenti sempre differenti nel reperimento di capitali. La fattispecie del pegno su azioni delle società di capitali risulta essere nella prassi bancaria e commerciale molto diffusa ed importante. Essa viene utilizzata in svariate ipotesi.
Può essere il socio, al fine di ottenere più facilmente un prestito o per rafforzare la fiducia di un proprio creditore, a voler costituire un pegno sui propri titoli azionari. I creditori della società stessa per “ritardare” la richiesta dello stato di insolvenza possono chiedere di rafforzare il proprio credito, tutelandosi attraverso la costituzione di una garanzia reale. Soprattutto, può essere la società che per i più disparati motivi (una riorganizzazione societaria, un investimento in un nuovo mercato, la realizzazione di un piano di risanamento, di un’acquisizione, o di altre operazioni societarie) abbia la necessità di aumentare le disponibilità finanziarie richiedendo un finanziamento a medio-lungo termine[1].
È noto che nella prassi diffusa tra gli istituti di credito, i finanziamenti vengono concessi sulla base di un’accurata valutazione di diversi fattori economici, aziendali e patrimoniali, oltre che di un approfondito studio sul merito del credito e sull’affidabilità e serietà del progetto. L’analisi di questi elementi influisce in modo sensibile sull’an e sul quomodo della concessione del finanziamento, ma per prestiti di importo particolarmente rilevante, quali quelli richiesti in genere dalle società di capitali, l’istituto bancario si suole tutelare attraverso la costituzione di idonee garanzie, come fideiussioni, ipoteche volontarie e, soprattutto, pegni sulle partecipazioni azionarie della società finanziata. In pratica, è frequente che l’erogazione di capitali a favore delle società per azioni sia subordinata alla concessione in pegno delle azioni emesse dalla società finanziata, anche perché questa forma di garanzia sulle azioni consente un notevole risparmio tributario rispetto a quanto sarebbe dovuto allo Stato a titolo di imposta ipotecaria su un cespite immobiliare della società.
Non manca, invece, chi risulta piuttosto scettico sull’effettività della garanzia in esame. Le numerose difficoltà di natura tecnica, giuridica ed economica che il creditore è costretto ad affrontare se intende rivalersi sulle azioni potrebbero scoraggiare questo tipo di operazione. In particolare, viene contestato che, mentre una garanzia reale sull’immobile ha prelazione sul valore attivo totale dell’immobile stesso, il pegno ha prelazione sul valore delle quote che è dato dal valore del patrimonio netto della società, potendo quindi influire sul ricavato finale del creditore munito di garanzia. Il creditore ipotecario avrà sempre un privilegio diretto sul cespite immobiliare, mentre il creditore pignoratizio dovrà necessariamente subire la falcidia dell’intera situazione debitoria e passiva della società. Inoltre, per poter soddisfare in via giudiziale il proprio diritto, il creditore dovrà seguire il lungo iter previsto per la vendita coattiva in sede di esecuzione mobiliare[2].
L’esercizio dei diritti sociali: il diritto di voto.
Tuttavia, ciò che rileva maggiormente in caso di costituzione di pegno su azioni è il destino del complesso dei diritti sociali, di tipo patrimoniale e di tipo amministrativo, naturalmente facenti capo al socio. La riforma della disciplina delle società di capitali (d.lgs. n. 6/2003) ha inciso su questo aspetto, intervenendo direttamente sull’art. 2352 c.c., aumentandone il numero dei commi che passa da quattro a sei.
Prima della riforma, l’art. 2352 disciplinava, secondo la sua rubrica, “Pegno ed usufrutto di azioni”[3], mentre con il d.lgs. n. 6/2003 è stata introdotta nell’articolo la disciplina anche del sequestro, per cui lo stesso articolo è ora rubricato “Pegno, usufrutto e sequestro di azioni”. Infatti, la novità più appariscente è che l’ambito di applicazione dell’articolo è esteso dal campo tradizionale dei diritti reali in re aliena a quello dei sequestri[4]. Esaminiamo qui le singole disposizioni del nuovo articolo, in particolare facendo riferimento alle differenze rispetto al testo previgente.
Il primo comma recita “Nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all’usufruttuario. Nel caso di caso di sequestro delle azioni il voto è esercitato dal custode”. Se la prima proposizione resta uguale a quella del vecchio primo comma dell’art. 2352 c.c., restando inalterata la regolamentazione del diritto di voto nelle ipotesi di pegno e di usufrutto, prima della riforma mancava una norma che disciplinasse esplicitamente l’esercizio di voto in caso di sequestro di azioni[5] e le soluzioni adottate dagli interpreti erano varie: in caso di sequestro giudiziario, giurisprudenza e dottrina quasi unanimi ritenevano che il voto dovesse essere esercitato dal sequestratario, cioè dal soggetto cui è affidata la custodia dei titoli, seppure con l’intervento del giudice per l’individuazione dei “criteri e dei limiti dell’amministrazione delle cose sequestrate” (art. 676 c.p.c.)[6]. Più controversa era la situazione in caso di sequestro conservativo, atteso che parte della dottrina riteneva che, quantomeno in sede di assemblea ordinaria, il diritto di voto spettasse all’azionista[7]. La nuova norma, però, con un generico riferimento al “sequestro”, sembra avere appianato le divergenze, individuando un unico titolare del diritto sociale di voto indipendentemente dalla tipologia di sequestro[8]. Parte della dottrina[9] è rimasta, però, insoddisfatta dalla riforma per non avere inserito nella norma in esame una regolamentazione del diritto di voto anche nell’ipotesi di pignoramento di azioni. Infatti, abbiamo due contrapposte tesi: da un lato, viene sottolineato lo stretto nesso esistente tra proprietà e diritto di voto, “dovendosi riconoscere natura eccezionale alla norma che attribuisce il diritto di voto, anziché al proprietario del titolo, al creditore pignoratizio” [10] e, dall’altro, viene in rilievo la forte analogia tra pignoramento e sequestro conservativo, in considerazione della funzione e degli effetti di entrambi gli istituti[11]. Tenendo conto poi della convertibilità del sequestro conservativo in pignoramento ai sensi dell’art. 686 c.p.c., sembra decisamente più convincente questa seconda posizione[12], per cui, dovrebbe essere riconosciuta in capo al creditore la legittimazione ad esercitare il diritto di voto.
Il diritto di opzione
Il secondo comma anche si apre in maniera simile a quello della disciplina previgente: “Se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio ed al medesimo sono attribuite le azioni in base ad esso sottoscritte ”. È la seconda parte della proposizione ad innovare rispetto al passato, ponendo fine alla disputa dottrinale[13] circa il “destino” del diritto di opzione e delle azioni optate. Viene, tra le varie tesi[14], scelta dal legislatore quella secondo cui il socio titolare di azioni vincolate, ma anche ora sequestrate (e pignorate), non solo ha il libero esercizio del diritto di opzione, ma ha anche la titolarità delle azioni così acquistate, senza che sulle stesse si estenda il vincolo o il sequestro (o il pignoramento).
Continua la norma: “Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l’esercizio del diritto di opzione e qualora gli altri soci non si offrano di acquistarlo, questo deve essere alienato per suo conto a mezzo banca od intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati.”. Qui le novità sono due rispetto al passato: viene data la possibilità agli altri soci di acquistare il diritto di opzione e vengono sostituiti l’“agente di cambio” e l’“istituto di credito” con la “banca” e l’ “intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati”. Entrambe le innovazioni sono state oggetto di dibattito. La prima è stata criticata per la sua eccessiva brevità e semplicità: se è chiaro che impone al creditore pignoratizio di offrire il diritto di opzione agli altri soci (che avrebbero un’opzione sull’opzione)[15], restano, invece, indefiniti sia i tempi che le modalità dell’offerta. Soprattutto, però, essa pone un delicato problema di coordinamento con le norme che regolano la disciplina delle azioni di società quotate nei mercati regolamentati: infatti, non sembra derogabile[16] il terzo comma dell’art. 2441 c.c., secondo cui, “Se le azioni sono quotate in mercati regolamentati, i diritti di opzione non esercitati devono essere offerti nel mercato regolamentato dagli amministratori, per conto della società, per almeno cinque riunioni, entro il mese successivo alla scadenza del termine stabilito a norma del secondo comma, per almeno cinque sedute, salvo che i diritti di opzione siano già stati integralmente venduti”. Sembra potersi concludere che, nel caso in cui le azioni inoptate siano emesse da società quotate, esse debbano essere esclusivamente offerte sul mercato di riferimento, senza che nasca in capo agli altri soci alcun diritto[17]. La seconda innovazione, cioè la sostituzione tra le suddette locuzioni, è stata positivamente accolta dalla dottrina, in quanto tiene conto del ruolo ormai residuale dell’agente di cambio[18] e delle novità inserite nel nostro ordinamento dal T.u.b. (d.lgs. n. 385/1993)[19]. Qualche grande dubbio permane soprattutto circa l’estensione del vincolo al ricavato dell’eventuale alienazione del diritto di opzione: in questo specifico ambito la Commissione Vietti non ha preso posizione[20].
I nuovi commi terzo e quarto dell’art. 2352 c.c.
Il terzo comma dell’art. 2352 c.c. è una novità assoluta rispetto alla disciplina previgente: “Nel caso di aumento del capitale sociale ai sensi dell’articolo 2442, il pegno, l’usufrutto o il sequestro si estendono alle azioni di nuova emissione.”. Nell’ipotesi di aumento di capitale gratuito, cioè tramite l’imputazione a capitale delle riserve e degli altri fondi disponibili[21], sono previste conseguenze del tutto diverse rispetto a quelle derivanti dall’esercizio del diritto di opzione. Il legislatore ha accolto la tesi[22] di chi ritiene che, nell’aumento di capitale mediante l’utilizzazione delle riserve disponibili, non sia presente nessun nuovo apporto, ma una semplice espansione del valore nominale delle azioni, restando immutato l’ammontare del patrimonio della società. La conseguenza non può che essere l’automatica estensione del vincolo alle azioni in tal modo emesse. Unico inconveniente della nuova disposizione è che non tiene conto che le azioni possano non indicare il valore nominale (art. 2346 c.c.), per cui, nel caso di aumento di capitale gratuito non è sempre necessaria l’emissione di nuove azioni o la modifica di quelle già in circolazione.
La norma continua con due disposizioni perfettamente identiche a quelle previgenti: “Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in mancanza il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal secondo comma del presente articolo. Nel caso di usufrutto, l’usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell’usufrutto.” e “Se l’usufrutto spetta a più persone, si applica il secondo comma dell’articolo 2347.”
Gli altri diritti amministrativi: il recesso
Molto importante è l’ultimo comma del nuovo art. 2352 c.c., dal momento che esso detta una disciplina totalmente nuova sia pure di carattere residuale per tutti i diritti amministrativi diversi da quelli previsti dai commi precedenti. Il sesto comma dispone: “Salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all’usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode”. Mettendo da parte la disciplina delle fattispecie di sequestro che non sembra porre problemi di immediata evidenza[23], è necessario concentrarsi sulla duplice e disgiunta assegnazione dei diritti amministrativi al socio debitore ed al creditore pignoratizio.
Numerosi sono i diritti amministrativi, ma possono essere distinti in tre gruppi: a) tra i diritti collegati al diritto di voto abbiamo il diritto di intervenire in assemblea (art. 2370), di richiedere la convocazione dell’assemblea (art. 2367), di chiederne il rinvio (art. 2374), di impugnare le deliberazioni assembleari invalide (art. 2377) e di ottenere copia della documentazione assembleare (art. 130 T.u.f.)[24]; b) con riguardo al controllo della gestione della società, abbiamo i diritti di denunciare le irregolarità al collegio sindacale ed al tribunale (art. 2409), di impugnare le deliberazioni consiliari lesive dei diritti dei soci (art. 2388) e di esperire le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori (art. 2393 bis); c) tra i diritti di informazione, senza dubbio, ruolo preponderante ha il diritto di esaminare i libri sociali (art. 2422).
Le maggiori difficoltà circa un esercizio disgiunto del diritto amministrativo riguardavano quei diritti preordinati all’esercizio del voto, ma il legislatore ha scelto la soluzione, già elaborata da risalente dottrina, di attribuirli sia al titolare del diritto reale frazionario che al socio[25]. Discorso a parte merita il diritto di recesso, di volta in volta qualificato come riconducibile ai diritti patrimoniali[26], ai diritti amministrativi[27], ovvero a nessuna delle due categorie, sicché occorre chiedersi se la duplice legittimazione fondata sull’ultimo comma dell’art. 2352 possa o meno essere applicata anche all’esercizio del diritto di recesso. La dottrina dominante ha negato sia riguardo all’usufrutto che al pegno la possibilità che il recesso possa spettare all’usufruttuario o al creditore pignoratizio, in quanto una simile soluzione sarebbe nettamente in contrasto con l’art. 981, primo comma, c.c., che obbliga l’usufruttuario a rispettare la destinazione economica del bene, e con l’art. 2792, primo comma, c.c., che fa divieto al creditore pignoratizio di usare la cosa oggetto di pegno tranne nei casi in cui ciò sia necessario per la sua conservazione[28]. Anche la Cassazione ha negato che il creditore pignoratizio possa esercitare il diritto di recesso, “configurandosi questo come un atto di disposizione in ordine alla partecipazione societaria, di esclusiva spettanza del socio, essendo la tutela del creditore pignoratizio affidata, in presenza di una diminuzione del valore delle azioni conseguente ai deliberati mutamenti societari, all’istituto della vendita anticipata ex art. 2795 ”[29]. Alla luce di tutto ciò sembra irragionevole riconoscere il diritto di recesso non in via esclusiva al socio, ma anche al titolare del diritto reale parziario.
Il confronto tra la dottrina dominicale e societaria
Appare chiaro come la novellazione dell’art. 2352 non abbia sovvertito l’impianto previgente, ma si sia limitata a completarlo, risolvendo alcune questioni poste dalla dottrina in base al testo previgente. Tale articolo non si occupa degli effetti della costituzione del vincolo in relazione a tutte le posizioni soggettive incorporate dall’azione ed anche rispetto ai diritti sociali considerati lascia aperte alcune questioni interpretative, anche se in misura minore rispetto al passato. Gli interpreti che si sono occupati in modo approfondito della disciplina del pegno, soprattutto in relazione alla spettanza dei diritti sociali amministrativi e del voto in particolare, possono essere ricondotti in modo schematico a due[30] principali metodologie di approccio all’istituto[31]: la dottrina tradizionale, sulla base anche degli approdi raggiunti dalla Suprema Corte di Cassazione nella vigenza del Codice del Commercio del 1882, ha adottato una posizione “dominicale”[32], mentre una metodologia più recente può essere definita “societaria”[33]. La prima posizione è sostenuta dagli Autori[34] che trovano la giustificazione dell’attribuzione dei diritti sociali al creditore pignoratizio (o all’usufruttuario) nelle ordinarie facoltà attribuite al titolare del diritto reale di garanzia (o di godimento): secondo questi autori, le lacune dell’art 2352 andrebbero colmate ed i suoi problemi interpretativi andrebbero risolti mediante l’utilizzazione esclusiva o assolutamente prevalente delle norme del libro VI ,in tema di facoltà pignoratizie, del codice civile (o del libro III in tema di usufrutto). Questa lettura dominicale è stata accolta anche dalla giurisprudenza di merito[35] e di legittimità[36] successiva all’emanazione del Codice Civile del 1942.
La seconda metodologia critica il richiamo e l’utilizzazione della disciplina dominicale per la ricostruzione della disciplina del pegno e dell’usufrutto di azioni, definendo un tale approccio “aprioristico”[37] e “semplicistico”[38]. I sostenitori dell’approccio societario ritengono che il creditore pignoratizio (o l’usufruttuario) vada avvicinato o addirittura equiparato al socio, per cui i problemi interpretativi dovrebbero essere risolti alla luce del delle norme del sottosistema del diritto societario.
Riflessioni conclusive
Entrambe le metodologie di approccio peccano di uno stesso difetto, quello della parziarietà. La lettura dominicale, se è accettabile in relazione all’individuazione dell’interesse che muove il creditore pignoratizio (o l’usufruttuario) delle azioni nell’esercizio dei diritti sociali, non sembra tenere in debito conto l’interazione tra il rapporto bilaterale e quello associativo ed in particolare non considera i limiti di matrice societaria all’esercizio delle facoltà pignoratizie. Invece, la lettura societaria ha il merito di evidenziare che, poiché l’interesse del creditore pignoratizio (e dell’usufruttuario) coinvolge la partecipazione sociale incorporata nel titolo, anche egli viene inserito nell’organizzazione societaria, dovendosi attenere alle sue regole di funzionamento.
Tuttavia, questa lettura si rivela non convincente quando viene ad assimilare il titolare del diritto reale al socio, negando l’utilizzabilità delle discipline generali di pegno ed usufrutto, rifiutando, quindi, il principio di tipicità di contenuto che è una delle caratteristiche di tutti i diritti reali limitati. Questo principio implica la riserva di legge, non solo in relazione all’individuazione dei diversi diritti a rilevanza reale (il cosiddetto numerus clausus), ma anche con riferimento al contenuto degli stessi, in particolare, alla specificazione del tipo di utilità che ogni posizione soggettiva riserva al suo titolare. La giusta lettura per la ricostruzione delle fonti di integrazione e di interpretazione dell’art. 2352 sembra, pertanto, quella che tenga in considerazione entrambe le componenti funzionali, quella dominicale e quella societaria, che si intersecano negli istituti regolamentati da tale articolo. In particolare, la determinazione del contenuto e della portata della partecipazione del creditore pignoratizio all’organizzazione societaria non sembra possa essere condotta mediante il richiamo a norme pensate e formulate in relazione a una partecipazione uti socius, poiché al creditore pignoratizio è riconosciuta rilevanza all’interno della società , in quanto questa è strumentale alla tutela di un interesse diverso, quello qualificato dalla disciplina generale del pegno.
Insomma, si può dire che la ricostruzione storica e l’interpretazione letterale e logica dell’art. 2352 c.c. non possano portare a considerare tale articolo come in grado di incidere sul profilo funzionale del diritto di pegno, limitandosi semplicemente a regolarne le situazioni strumentali, cioè le facoltà pignoratizie, adattandole alle peculiarità dell’oggetto del pegno. La conclusione che l’interesse del creditore resti di matrice pignoratizia e vada qualificato e precisato in base alle norme del libro VI del Codice Civile non ci deve portare a credere che siano irrilevanti le orme di diritto societario rispetto all’istituto in esame: esse serviranno quali criterio di interpretazioni delle norme dominicali e, soprattutto, sono idonee a regolare e limitare l’esercizio dei diritti sociali da parte del titolare del vincolo. In definitiva, la disciplina societaria, sia legale che convenzionale, opera sia come strumento interpretativo di adattamento delle facoltà del titolare del diritto reale limitato al peculiare oggetto del vincolo, sia quale limite alla rilevanza dell’interesse di tale soggetto all’interno dell’organizzazione dell’emittente[39].
Questa prospettiva, emersa nella vigenza del vecchio art. 2352 c.c., senza dubbio deve essere mantenuta anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 6/2003: dalle novità apportate dalla Commissione Vietti non è possibile desumere una modifica alla lettura complessiva degli istituti in esame, essendo stata effettuata la novellazione nel segno della continuità con la disciplina previgente. Il nuovo testo dell’articolo, infatti, si limita a continuare quel percorso già iniziato nel 1942 di contestualizzazione delle facoltà del titolare del diritto reale parziario al peculiare oggetto del vincolo, inserendo nella regolamentazione anche i sequestri. Esso mantiene le sue caratteristiche di fondo, cioè la sostanziale “indifferenza” verso la società che non viene citata e resta sullo sfondo, mentre vengono regolati in maniera più approfondita i rapporti tra il socio ed il suo creditore pignoratizio (o usufruttuario).
In conclusione si può fare una riflessione sul nuovo sesto comma che deroga ad importanti principi azionari, primo tra tutti quello di inscindibilità[40], prevedendo uno Spaltung[41] della partecipazione sociale[42]. Non può questa norma essere considerata come eccezionale e, quindi, insuscettibile di applicazione analogica, poiché esiste allo scopo di adattare allo speciale oggetto del diritto reale di garanzia (o di godimento) le norme dominicali contenute nel libro VI (o nel libro III). Resta solo da valutare allora quali siano le ipotesi di estensione applicativa dei nuovi precetti. A prima vista, potrebbe sembrare che non siano presenti nell’ordinamento situazioni simili a quelle in esame, soprattutto dopo che anche il sequestro di azioni è stato esplicitamente disciplinato.
Resta dubbia, come era prima della riforma, l’applicabilità dell’art. 2352 all’ipotesi di leasing di azioni[43], mentre un nuovo ambito di applicazione analogica è stato sicuramente introdotto dal d.lgs. n. 6/2003 ed il riferimento è agli strumenti finanziari partecipativi che la società può emettere ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 2346[44]: ammessa la possibilità di un pegno, un usufrutto o un sequestro su questi nuovi titoli, si pone il problema dell’incidenza del vincolo sui diritti sociali che esso incorpori. In assenza di diverse previsioni sul titolo o nello statuto, si ritiene applicabile l’art. 2352, essendo l’assetto di interessi del pegno (o dell’usufrutto) di strumenti finanziari partecipativi, sul piano bilaterale, identico a quello del pegno (o dell’usufrutto) di azioni. Anzi, a fortiori, se la Spaltung viene prevista per la un titolo che incorpora l’intero elenco dei diritti sociali, analoga soluzione va necessariamente ammessa in relazione ad un titolo che incorpori solo alcuni dei diritti sociali[45]. Non sembra, invece, analogicamente applicabile la norma in esame al vincolo costituito sulla quota di società personali. Benché l’analogia sia astrattamente possibile, viene a mancare il requisito in concreto dell’eadem ratio: le caratteristiche proprie della società di persone, in particolare la mancanza di un’organizzazione corporativa che curi l’attività economica comune e dell’autonomia patrimoniale perfetta mutano il contesto e le conseguenze dell’eventuale partecipazione alla società del titolare del vincolo, per cui non è possibile estendere a questo ambito le norme in tema di diritti sociali emanate in materia di pegno, usufrutto e sequestro di azioni[46].
[1] Per la rassegna di alcuni importanti casi di utilizzazione del pegno nella realizzazione di complesse operazioni societarie: cfr. F. BONELLI, Nuove esperienze nella soluzione stragiudiziale della crisi delle imprese, in Giur. Comm., 1997, I, 488; F. CARBONETTI, Acquisto del pegno sulle proprie azioni per effetto di fusione, in Riv. Soc., 1995, 575.
[2]D. FAZZALARI – R. CALISSE, Il pegno su quote di società: un simulacro di garanzia reale, in Dir. fall., 1998, I, 338.
[3] Art. 2352 c.c., testo previgente:
- Nel caso di pegno o di usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all’usufruttuario.
- Se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio. Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l’esercizio del diritto di opzione, questo deve essere alienato per conto del socio medesimo a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito.
- Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in mancanza, il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal comma precedente. Nel caso di usufrutto, l’usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell’usufrutto.
- Se l’usufrutto spetta a più persone, si applica il secondo comma dell’Articolo 2347.
[4] S. POLI, Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, I, CEDAM, 2005, 217
[5] R. BOCCA, Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Zanichelli, Bologna, 2004, 339
[6] In giurisprudenza: Trib. Aosta, 19 settembre 1995, in Soc., 1996, 201; App. Milano, 9 giugno 1987, in Giur. It., 1988, I, 2, 591; Cass. 21 giugno 1961, n. 1483, in Foro pad., 1961, 1091; Cass., 22 febbraio 1952, n. 481. In dottrina: G. COTTINO, Diritto commerciale, I, Le società, Padova, 1999, 300; G. FERRI, Le società, in Tratt. Vassalli, Torino, 1987, 598.
[7] Cfr. G. FRE’ – G. SBISA’, Società per azioni, I, in Comm. c.c. Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 1997, 269 ss.; U. MORERA, Contributo allo studio del sequestro di azioni e quote di società, in Banca Borsa, 1986, I, 492 ss.; Cass., 11 luglio 1962, n. 1835, in Foro it., 1962, I, 1925; Trib. Cosenza, 24 marzo 1992, in Riv. Dir. comm., 1993, II, 251. Proponeva, invece, una soluzione analoga a quella per il sequestro giudiziario S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, Milano, 1959
[8] D. U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, Giuffrè, 2003, 86; F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Galgano (diretto da), Tratt. Dir. comm. e dir. pubbl. XXIX, Padova, Cedam, 2006, 41
[9] Da ultimo F. BRIOLINI, L’attuazione del pignoramento e dei sequestri di azioni nominative in Banca Borsa, 2001, I, 180 ss
[10] F. GALGANO, Op. loc. cit.
[11] D. U. SANTOSUOSSO, Op. loc. cit.
[12]G. PARTESOTTI, Le operazioni sulle azioni, in G. E. Colombo – G. B. Portale (diretto da), Trattato delle s.p.a., II, Torino, 1991, 356
[13] Per una rassegna delle varie posizioni dottrinarie, v. R. CAVALLO BORGIA, Azioni e obbligazioni di società, Padova, CEDAM, 1988, 246 ss
[14] Per tutti: G. COTTINO, Op. cit. 298-299, G. FRE’ – G, SBISA’, Op. cit., 281, G. PARTESOTTI, Op. cit., 303
[15] S. PESCATORE, Le società per azioni, in Buonocore (a cura di), La riforma del diritto societario, Torino, 2003, 39
[16] F. ZABBAN, L’incidenza della riforma del diritto societario sulle società quotate, in www.federnotizie.org/riforma/Zabban
[17] R. BOCCA, Op. cit., 342
[18] F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, Giappichelli, 2001, 87
[19] L’art. 1, primo comma, lettera b) del T.u.b. definisce la “banca” come “l’impresa autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria”. L’intermediario autorizzato, invece, è il soggetto iscritto in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 106, primo comma, T.u.b.
[20] S. POLI, Il nuovo diritto delle società, op. cit., 218
[21] M. CERA , Il passaggio di riserve a capitale, Milano, Giuffrè, 1988; B. QUATRARO – S. D’AMORA, Le operazioni sul capitale, Milano, Giuffrè, 1994, 2 voll., 220 ss
[22] G. COTTINO, Op. cit. 299; G. PARTESOTTI, Op. cit., 329-331
[23] R. BOCCA, Op. cit., 344
[24] Per R. BOCCA, Op. cit., 345, nota 40, non pare che quest’ultimo diritto debba essere ricondotto ai cosiddetti diritti di informazione, bensì a quelli connessi al voto, atteso che si tratta di un potere nitidamente preordinato a fornire a chi eserciterà il diritto di voto gli strumenti di conoscenza necessari a partecipare con consapevolezza al processo decisionale della società; ed, in effetti, la norma si riferisce ad assemblee “già convocate”, ma non ancora tenutesi.
[25] A. ASQUINI, Usufrutto di quote sociali ed azioni, in Riv. Dir. comm., 1947, I, 25; G. C. M. RIVOLTA, Pegno e usufrutto di quote di società a responsabilità limitata e diritto di voto, in Riv. Dir. comm., 1961, I, 225
[26] F. GALGANO, Op. cit., 125
[27] G. PARTESOTTI, Op. cit., 325
[28] G. PARTESOTTI, Op. loc. cit., G. M. G. PRESTI, Questioni in tema di recesso nelle società di capitali, in Giur. Comm., 1982, I, 105; A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1963, 271, T. ASCARELLI, Riflessioni in tema di titoli azionari e società tra società, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955, 225 e 230; A. ASQUINI, Usufrutto di quote sociali ed azioni, in Riv. Dir. comm., 1947, I, 26 ss
[29] Cass. Civ., 12 luglio 2002, n. 10144, in Dir. fall., 2002, II,570.
[30] Una terza tesi, definita “cartolare”, secondo la quale le scelte effettuate nell’ art. 2352 del Codice Civile sono state basate su esigenze pragmatiche di attribuire di norma il diritto al soggetto che è nel possesso del titolo, è stata proposta da G. C. M. RIVOLTA, Op. cit., 210 ss. Tuttavia tale tesi è stata ritenuta inidonea a risolvere questioni interpretative, pur individuando esattamente le ragioni che portarono il legislatore del 1942 alla scelta del creditore pignoratizio e dell’usufruttuario come titolare del diritto di voto.
[31] S. POLI, Il pegno di azioni, Milano, 2000, 44 ss
[32] S. POLI, Il nuovo diritto delle società, op. cit., 219
[33] Ivi, 220
[34] A. ASQUINI, Usufrutto di quote sociali ed azioni, in Riv. Dir. comm., 1947, I, 12; G. SANTINI, Cessione di credito garantito da pegno di azioni e diritto di voto, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1954, 283 ss
[35] Trib. Roma, 3 aprile 1953, in Banca, borsa e titoli di credito, 1959, II, 83 ss; Trib. Genova, 23 gennaio 1963 in Giur. It., 1964, I, 2, 348
[36] Cass. Civ., 19 agosto 1996, n. 7614 in Giur. Comm., 1997, II, 520 ss.
[37] C. ANGELICI, Le azioni, Giuffrè, 1992, 198
[38] G. PARTESOTTI, Usufrutto e pegno di azioni, in G. E. Colombo – G. B. Portale (diretto da), Trattato delle s.p.a., II, Torino, 1991, 316
[39] S. POLI, Il nuovo diritto delle società, op. cit., 221 ss
[40] Per l’approfondimento del principio di inscindibilità delle azioni, C. ANGELICI, Sulla “inscindibilità” della partecipazione azionaria, Riv. Dir. comm., 1985, 123 ss
[41] Letteralmente: “sfaldamento”
[42] Il percorso di progressiva attenuazione del principio di inscindibilità della partecipazione nelle società di capitali era già iniziato nella legislazione speciale sul modello di ordinamenti stranieri. Sul tema : C. ANGELICI, Op. cit.,132; M. BIONE, Le azioni in G. E. Colombo – G. B. Portale (diretto da), Trattato delle s.p.a., II, Torino, 1991, 35, nota 119; G. CASELLI, Dissociazione tra titolarità delle azioni e titolarità del diritto di voto nella disciplina delle forme pensionistiche complementari, Giur. Comm., 1997, I, 324
[43] Sull’applicabilità analogica del’art. 2352 al leasing azionario P. ANELLO, S. RIZZINI BISINELLI, Il leasing di titoli azionari, Società, 1995, 1535. Per una critica a tale interpretazione S. POLI, Il pegno di azioni, op. cit., 200, nota 126
[44] M. LAMANDINI, Autonomia negoziale e vincoli di sistema nella emissione di strumenti finanziari da parte delle società per azioni e delle cooperative per azioni, Relazione tenuta al Convegno di studi organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura su “La riforma del diritto societario”, Roma, Villa Carpegna, 24 – 26 febbraio 2003, p. 19 del dattiloscritto messo a disposizione dall’Autore
[45] S. POLI, Il nuovo diritto delle società, op. cit.,230
[46] S. POLI, Il pegno di azioni, op. cit., 180 ss