
La responsabilità dell’intermediario finanziario è un terreno di costante elaborazione giurisprudenziale, specialmente con riferimento alla portata e all’estensione degli obblighi informativi. Se la fase pre-contrattuale e quella esecutiva sono densamente regolate, maggiori incertezze permangono sui doveri post-vendita, specie nei servizi di mera negoziazione.
Con l’ordinanza n. 27473 del 14 ottobre 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), la Corte di Cassazione torna sul noto caso dei titoli Lehman Brothers per cementare il seguente principio: l’adesione volontaria dell’intermediario a codici di autoregolamentazione, come il Consorzio “Patti Chiari”, genera specifici e vincolanti obblighi negoziali. Questi patti “aggiuntivi” impongono alla banca un dovere attivo di monitoraggio e informazione sull’andamento del rischio dei titoli, anche dopo la conclusione dell’acquisto.
Il fatto
La controversia trae origine da tre distinti atti di citazione, successivamente riuniti, promossi da alcuni risparmiatori contro l’istituto di credito e due sue funzionarie. Gli attori sostenevano di essere stati indotti all’acquisto di obbligazioni Lehman Brothers, avvenuto nel febbraio 2008, sulla base di informazioni asseritamente false e fuorvianti. In particolare, lamentavano che i titoli fossero stati presentati come privi di rischio, slegati dal mercato finanziario statunitense e garantiti da un tasso fisso netto del 5,88%.
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                        Illeciti bancari, clausole abusive e frodi informatiche                    
                
                                    
                        Quali sono gli strumenti a disposizione per difendere i diritti del cliente? La contestazione degli illeciti bancari è alimentata continuamente da nuovi motivi, non solo direttamente legati alle caratteristiche del rapporto contrattuale. Tra questi si possono annoverare l’accesso abusivo alle garanzie pubbliche e la concessione di un prestito insostenibile o le clausole vessatorie nei contratti di credito. Il volume ha come obiettivo l’esame delle forme di difesa del cliente in presenza di pratiche scorrette poste a vario titolo da parte delle banche. Una particolare attenzione è stata posta alla tutela dalle frodi informatiche, in rapida evoluzione, ed alle possibili tecniche difensive per l’annullamento e il rimborso degli interessi dei contratti indicizzati Euribor. Per i principali contratti di credito, esperti professionisti hanno predisposto il “punto nave” del contenzioso recente per offrire una utile guida alle più rilevanti linee interpretative della giurisprudenza di legittimità.
Giuseppe Cassano
Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano. Avvocato cassazionista, curatore e autore di numerosi volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi. Conferenziere nazionale ed internazionale sui temi del Diritto di Famiglia, della Responsabilità civile, del Diritto dei Consumi e Diritto dell’Internet.
Stefano Chiodi
Analista tecnico e finanziario specializzato nel contenzioso bancario e finanziario, CTP e CTU per il Tribunale di Venezia e consulente per Camera Arbitrale. Specialista di corporate finance, è relatore in convegni accreditati per la formazione continua di avvocati e commercialisti. Curatore e autore di numerose pubblicazioni di diritto e contenzioso bancario e finanziario.
                    
                    
                        Leggi descrizione
                    
                            
            
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                Illeciti bancari, clausole abusive e frodi informatiche
Quali sono gli strumenti a disposizione per difendere i diritti del cliente? La contestazione degli illeciti bancari è alimentata continuamente da nuovi motivi, non solo direttamente legati alle caratteristiche del rapporto contrattuale. Tra questi si possono annoverare l’accesso abusivo alle garanzie pubbliche e la concessione di un prestito insostenibile o le clausole vessatorie nei contratti di credito. Il volume ha come obiettivo l’esame delle forme di difesa del cliente in presenza di pratiche scorrette poste a vario titolo da parte delle banche. Una particolare attenzione è stata posta alla tutela dalle frodi informatiche, in rapida evoluzione, ed alle possibili tecniche difensive per l’annullamento e il rimborso degli interessi dei contratti indicizzati Euribor. Per i principali contratti di credito, esperti professionisti hanno predisposto il “punto nave” del contenzioso recente per offrire una utile guida alle più rilevanti linee interpretative della giurisprudenza di legittimità.
Giuseppe Cassano
Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano. Avvocato cassazionista, curatore e autore di numerosi volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi. Conferenziere nazionale ed internazionale sui temi del Diritto di Famiglia, della Responsabilità civile, del Diritto dei Consumi e Diritto dell’Internet.
Stefano Chiodi
Analista tecnico e finanziario specializzato nel contenzioso bancario e finanziario, CTP e CTU per il Tribunale di Venezia e consulente per Camera Arbitrale. Specialista di corporate finance, è relatore in convegni accreditati per la formazione continua di avvocati e commercialisti. Curatore e autore di numerose pubblicazioni di diritto e contenzioso bancario e finanziario.
Il ruolo del Consorzio “Patti Chiari”
La contestazione si concentrava sull’inclusione dei titoli nella lista “Obbligazioni basso rischio basso rendimento” redatta dal Consorzio “Patti Chiari”, cui la banca aderiva. Gli investitori evidenziavano che, il 1° aprile 2008, le obbligazioni erano state rimosse dall’elenco a causa di un improvviso aumento del rischio e di un marcato calo del prezzo, senza che la banca li avesse informati tempestivamente. Solo pochi mesi dopo, il 15 settembre 2008, Lehman Brothers accedeva alla procedura di fallimento statunitense (Chapter 11).
Le domande degli attori
Gli investitori chiedevano la nullità dei contratti per difetto di forma o, in subordine, l’annullamento per errore o dolo. In via ulteriormente subordinata, domandavano il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi informativi e di adeguatezza previsti dalla normativa sul risparmio investito.
Le decisioni di merito
Il Tribunale di Verona rigettava integralmente le domande.
La Corte d’Appello di Venezia, investita del gravame, riformava parzialmente la decisione. I giudici di secondo grado escludevano la sussistenza di vizi del consenso e di violazioni informative al momento dell’acquisto, ma ritenevano provato l’inadempimento post-vendita da parte dell’istituto di credito.
L’obbligo informativo post-vendita
La Corte d’Appello distingueva tra obblighi legali e obblighi negoziali: pur in assenza di un dovere legale di informare sull’andamento dei titoli in un rapporto di mera negoziazione – distinto dalla gestione patrimoniale – riteneva che la banca avesse assunto un obbligo contrattuale aderendo al Regolamento “Patti Chiari”.
Tale regolamento imponeva di fornire informazioni al cliente “prima, durante e dopo le scelte d’investimento” e di comunicare l’eventuale esclusione di un titolo dall’elenco per “aumento del rischio rilevante” entro due giorni. Inoltre, una clausola specifica contenuta negli ordini di acquisto rafforzava tale obbligo.
La decisione della Corte d’Appello
Poiché la banca non dimostrava di aver adempiuto all’obbligo informativo, la Corte la condannava al risarcimento dei danni. Il risarcimento non corrispondeva al valore originario d’acquisto, ma al valore dei titoli alla data del 1° aprile 2008, momento in cui l’informazione avrebbe dovuto essere fornita e i clienti avrebbero potuto disinvestire consapevolmente.
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I motivi del ricorso
La Banca proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi principali.
- Con il primo motivo , l’istituto denunciava la violazione e falsa applicazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c. e art. 23, co. 6, D.Lgs. 58/1998) e sulla prova per presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c.). La tesi della ricorrente era che la Corte d’Appello avesse erroneamente invertito l’onere probatorio. A dire della banca, non spettava ad essa provare che la variazione del rischio non fosse stata “significativa”, ma spettava ai clienti dimostrare che tale variazione “significativa” vi fosse stata. Questo evento, infatti, rappresentava il fatto costitutivo dell’obbligo di informazione che si assumeva violato. Gravando la banca di una prova negativa, la Corte territoriale avrebbe, inoltre, errato nell’applicazione della prova presuntiva, giungendo a un’inammissibile presumptio de presumpto.
- Con il secondo motivo, la ricorrente lamentava l'”omessa e/o apparente motivazione” (in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c. ). La censura verteva sul fatto che la Corte d’Appello avesse fondato la propria decisione sull’uscita del titolo dalla lista “Patti Chiari” a causa di un “aumento significativo del livello di rischio”, senza tuttavia esplicitare le ragioni che la avevano indotta a qualificare tale aumento come “rilevante” (che implicava l’obbligo di informativa in 2 giorni) anziché “modesto” (che avrebbe richiesto un’informativa solo al successivo estratto conto). Tale omissione, secondo la banca, inficiava la logicità del ragionamento e la validità della condanna.
La decisione
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso principale, ritenendo il primo motivo infondato e il secondo inammissibile.
L’infondatezza del primo motivo: la natura negoziale dell’obbligo e l’onere della prova
Il fulcro della decisione della Cassazione risiede nella corretta qualificazione giuridica degli obblighi derivanti dall’adesione al Consorzio “Patti Chiari”. I giudici di legittimità, confermando l’impianto della sentenza d’appello, chiariscono che l’obbligo di informazione post-vendita non aveva fonte legale, ma fonte negoziale.
Richiamando propri precedenti (in particolare Cass. 15936/2018 e Cass. 15668/2025), la Corte ribadisce che l’adesione a tale protocollo determina l’insorgere di “uno specifico vincolo pattizio”. Tale vincolo non è mera pubblicità, ma costituisce un plusvalore per l’investitore, il quale ripone un legittimo affidamento non solo sulla (presunta) bassa rischiosità dei titoli in elenco, ma anche sulle specifiche obbligazioni assunte dall’intermediario.
Queste obbligazioni, precisa la Corte, si sostanziano in un dovere di “costante monitoraggio dell’andamento del singolo titolo” e, di riflesso, in un obbligo di “tempestiva informazione” sulle variazioni che ne determinano l’esclusione dalla lista.
Cruciale è il passaggio in cui la Corte afferma che l’obbligo di monitoraggio “insorge immediatamente al momento della negoziazione del titolo” e costituisce il “presupposto e fondamento dell’attivazione” del successivo obbligo informativo. Sulla base di questa ricostruzione, la Cassazione smonta la tesi della banca sull’onere della prova. Applicando il principio consolidato espresso dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U, 13533/2001), la Corte afferma che spetta al debitore (la banca) provare l’esatto adempimento della propria obbligazione.
L’argomento della banca, secondo cui i clienti avrebbero dovuto provare il “fatto costitutivo” (l’aumento “significativo” del rischio), è fallace. L’obbligazione primaria della banca, infatti, era proprio quella di monitorare il titolo. Di conseguenza, era onere della banca fornire la “prova positiva” di aver correttamente attuato tale monitoraggio e di aver informato i clienti, oppure (come prova liberatoria) dimostrare l’andamento del titolo, l’entità della variazione del rischio e le ragioni della sua (eventuale) non significatività o della sua persistente permanenza nella lista. Tale onere probatorio, conclude la Corte, è peraltro perfettamente allineato al “principio di vicinanza della prova”, essendo l’intermediario il soggetto professionalmente qualificato e in possesso di tutti i dati necessari per tale dimostrazione.
L’inammissibilità del secondo motivo per difetto di interesse
Una volta stabilita la correttezza della ratio decidendi principale – ossia la mancata prova da parte della banca dell’adempimento del proprio obbligo negoziale di monitoraggio e informazione – il secondo motivo di ricorso, relativo al vizio di motivazione sulla “significatività” del rischio, diventa irrilevante.
La Corte applica il principio consolidato secondo cui, qualora una decisione sia sorretta da una pluralità di ragioni autonome, la tenuta di una sola di esse è sufficiente a rigettare il ricorso. Poiché la condanna si fondava validamente sulla mancata prova dell’adempimento da parte della banca, diventava superfluo (“sopravvenuto difetto di interesse“) indagare se la Corte d’Appello avesse o meno motivato adeguatamente sulla differenza tra rischio “modesto” e “rilevante”.
Osservazioni conclusive
La pronuncia in esame consolida un orientamento di fondamentale importanza per la tutela dei risparmiatori. Essa chiarisce che l’adesione di un intermediario a codici di autoregolamentazione, quali “Patti Chiari”, non ha un valore meramente etico o pubblicitario, ma si traduce in obbligazioni contrattuali specifiche, esigibili e vincolanti.
L’aspetto più significativo è l’aver identificato un dovere di monitoraggio proattivo che sorge ex contractu, capace di integrare la disciplina legale. Anche in un servizio di mera negoziazione (cd. execution only), dove gli obblighi informativi post-vendita legali sono attenuati, la banca può essere tenuta a un’attività di sorveglianza e informazione successiva, se ciò è previsto dai patti negoziali che ha volontariamente sottoscritto.
Infine, la netta posizione sull’onere della prova rafforza il ruolo del principio di vicinanza probatoria nel contenzioso finanziario. Non è il cliente a dover provare i dettagli tecnici di un inadempimento (come la “significatività” di una variazione di rating), ma è l’intermediario, in quanto soggetto professionale e detentore delle informazioni, a dover dimostrare positivamente di aver agito con la diligenza richiesta, adempiendo a tutti gli obblighi – legali e negoziali – assunti.
L’ordinanza in sintesi
Cosa stabilisce l’ordinanza della Cassazione n. 27473 del 2025 sul caso Lehman Brothers?
La Corte di Cassazione ha affermato che l’adesione di una banca al Consorzio “Patti Chiari” comporta l’assunzione di specifici obblighi negoziali verso i clienti. Tali obblighi comprendono un dovere di monitoraggio costante dei titoli e un obbligo di tempestiva informazione in caso di variazione del rischio. La mancata comunicazione dell’uscita di un titolo dall’elenco delle “obbligazioni a basso rischio” costituisce inadempimento contrattuale risarcibile.
L’obbligo di informazione post-vendita ha una base legale o contrattuale?
Secondo la Cassazione, non esiste un obbligo legale generale di informazione post-vendita nei rapporti di mera negoziazione. Tuttavia, se l’intermediario aderisce volontariamente a un codice di condotta o a un protocollo di autoregolamentazione (come “Patti Chiari”), nasce un obbligo di fonte contrattuale. Questo vincolo ha forza cogente e vincola la banca come parte del rapporto negoziale.
Qual è la differenza tra obblighi legali e obblighi negoziali della banca?
Gli obblighi legali derivano direttamente dalla normativa di settore (TUF, Regolamento Intermediari, MiFID) e si applicano indipendentemente da patti specifici.
Gli obblighi negoziali, invece, nascono da accordi o adesioni volontarie a codici di autoregolamentazione. Nel caso “Patti Chiari”, la banca si impegna espressamente a fornire al cliente informazioni prima, durante e dopo l’investimento, e a comunicare entro due giorni l’eventuale aumento rilevante del rischio.
Chi deve provare l’adempimento dell’obbligo informativo: la banca o il cliente?
La Cassazione ha ribadito che spetta alla banca dimostrare di aver adempiuto correttamente ai propri obblighi. Si applica infatti il principio di vicinanza della prova, secondo cui l’onere probatorio grava sul soggetto che, per competenza e disponibilità dei dati, è in grado di fornire la prova. Il cliente, quindi, non deve provare l’aumento del rischio o l’inadempimento, ma può limitarsi ad allegarlo; è la banca che deve fornire la prova positiva dell’avvenuto monitoraggio e della tempestiva informazione.
Quali conseguenze derivano dall’inadempimento dell’obbligo di informazione post-vendita?
L’inadempimento comporta la responsabilità contrattuale dell’intermediario e il diritto del cliente al risarcimento del danno. Nel caso deciso dalla Cassazione, la banca è stata condannata a risarcire i risparmiatori nella misura del valore dei titoli alla data in cui avrebbe dovuto comunicare l’aumento del rischio, non all’intero valore originario d’acquisto. Il risarcimento, quindi, è stato commisurato alla perdita evitabile se l’obbligo informativo fosse stato adempiuto correttamente.
Il principio espresso vale solo per “Patti Chiari” o anche per altri codici di condotta?
Il principio ha portata generale. Ogni adesione volontaria a codici di condotta, protocolli interbancari o standard di autoregolamentazione può generare obblighi contrattuali specifici nei confronti della clientela. L’intermediario che pubblicizza tali adesioni crea un legittimo affidamento nel cliente, assumendo la responsabilità di rispettare le regole e gli impegni contenuti nel codice.
Cosa cambia per i servizi di mera negoziazione (“execution only”)?
Anche nei servizi di mera negoziazione, dove la legge prevede obblighi informativi attenuati, la banca può essere tenuta a un controllo post-vendita se ciò deriva da un impegno contrattuale. In tal caso, il cliente può far valere l’inadempimento dell’obbligo di monitoraggio come violazione negoziale autonoma, distinta dalle regole legali del TUF.
 
		 
				










