Omofobia: discriminazione sessuale e violazione della privacy

Con la sentenza n. 1126 del 22 gennaio 2015, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema dell’omofobia, in relazione ad un comportamento della pubblica amministrazione considerato discriminatorio per l’orientamento sessuale.

La questione riguardava la notifica da parte della motorizzazione di un avviso con il quale si prescriveva un nuovo accertamento volto alla verifica del possesso dei requisiti psicofisici necessari alla guida degli automezzi nei confronti di un soggetto che, nel corso della prima visita medica sostenuta presso l’ospedale militare, aveva dichiarato di essere omosessuale.

L’interessato, ritenendo tale comunicazione avente finalità sostanzialmente discriminatoria, ha impugnato l’atto e richiesto risarcimento all’amministrazione per aver la stessa leso il diritto alla libertà di espressione della propria identità sessuale e per aver divulgato dati sensibili, in violazione del diritto alla privacy.

In primo grado il ricorrente otteneva il riconoscimento di una cospicua somma risarcitoria. Tuttavia la sentenza veniva riformata in appello, con ingente riduzione dell’importo dovuto dalla pubblica amministrazione a titolo di risarcimento del danno, poiché “l’illegittima diffusione dei dati afferenti all’identità sessuale sarebbe rimasta circoscritta in ambito assai ristretto”.

Ebbene, secondo la Corte di legittimità, il comportamento delle amministrazioni interessate ha gravemente offeso e oltraggiato la personalità del ricorrente in uno dei suoi aspetti più sensibili, inducendo nello stesso un grave sentimento di sfiducia nei confronti dello Stato, percepito come vessatorio, nell’esprimere e realizzare la sua personalità nel mondo esterno.

La libera espressione della propria identità sessuale è, infatti, un diritto costituzionalmente tutelato e ascritto al novero dei diritti inviolabili della persona di cui all’art. 2 Cost., quale essenziale forma di realizzazione della propria personalità (Cass. 16417/2007). La sentenza ricorda, inoltre, che il diritto al proprio orientamento sessuale, cristallizzato nelle sue tre componenti della condotta, dell’inclinazione e della comunicazione (cd. coming out) è oggetto di specifica e indiscussa tutela da parte della stessa Corte europea dei diritti dell’uomo fin dalla sentenza Dudgeon/Regno unito del 1981.

Nonostante il tentativo di sminuire la gravità dei fatti da parte del giudice di secondo grado, la Corte Suprema di Cassazione ha dunque ritenuto indubbio che la parte lesa sia stata vittima di un vero e proprio (oltre che intollerabilmente reiterato) comportamento di omofobia, con conseguente sensibile gravità dell’offesa.

Quanto al diritto di privacy e alla pretesa circoscrivibilità dell’effetto espansivo del danno, la stessa instaurazione di un procedimento civile e la conseguente conoscenza e conoscibilità pubblica della vicenda smentisce in radice tale assunto. In seguito a tale divulgazione, è stata perciò riconosciuta la tutela risarcitoria per la violazione del diritto alla privacy dell’orientamento sessuale, ritenuto certamente dato sensibile.

(Cassazione civile, sezione terza, sentenza n. 1126 del 22 Gennaio 2015)

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