La Suprema Corte è di recente intervenuta a più riprese sulla responsabilità degli intermediari finanziari, focalizzando l’attenzione sul loro obbligo di fornire tutte le dovute informazioni agli investitori, e, soprattutto, sull’onere di provare il nesso causale.
Ecco, di seguito, una rassegna della più recente giurisprudenza in materia.
Cass. Ordinanza n. 4727 del 28/02/2018
Un investitore aveva citato in giudizio la propria Banca per ottenere il risarcimento di un ingente danno subito a causa di un investimento finito male, sostenendo la violazione da parte della convenuta degli obblighi informativi previsti dalla normativa di riferimento (art. 21 TUF[1] e regolamento intermediari 11522/1998).
Mentre in primo grado il Tribunale aveva accolto la domanda attorea, in appello la Corte aveva deciso per la non sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento lamentato, ossia per non aver ricevuto tutte le informazioni dovute, ed il danno patrimoniale subito dall’investitore. Tale soluzione si fondava sul presupposto che la mancanza di una corretta informazione non avesse in alcun modo condizionato la volontà dell’investitore.
Dinnanzi alla Suprema Corte il ricorso è stato articolato su tre motivi. Il primo era fondato sulla presunta violazione degli obblighi di informazione in capo agli intermediari ai sensi degli artt. 21 e 23 d.lgs. n. 58/1998, e 26,28,29 del Reg. Consob n. 11522 del 1998[2]. A tal proposito il ricorrente eccepiva che la Corte d’Appello avesse mal valutato la relazione tra la condotta omissiva della Banca e la decisione di investire del cliente, dal momento che aveva del tutto escluso che i due fatti potessero essere connessi.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente eccepiva la violazione degli artt. 28 e 30 Reg. Consob n. 11522/1998, specificamente inerenti agli obblighi di informazione sui rischi delle operazioni finanziarie, mentre da ultimo veniva dedotto anche un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c[3].
Nell’accogliere il ricorso, la Corte di Cassazione ha enunciato una serie di importanti regole da seguire in merito al nesso causale. In primis ha affermato che l’intermediario finanziario ha l’obbligo inderogabile di informare adeguatamente il proprio cliente, con informazioni ad hoc per il caso di specie. Di tale obbligo non sono liberati gli intermediari nel caso in cui dimostrino di non aver tenuto una condotta negligente, bensì devono dare una prova positiva della correttezza del proprio operato.
D’altro lato la Corte afferma che è sull’investitore che grava l’onere di provare ed allegare l’effettiva sussistenza, ed il preciso ammontare, del danno patrimoniale subito a causa della condotta omissiva, mentre l’onere della prova vero e proprio, consistente nella dimostrazione di aver adempiuto a tutti gli obblighi ai sensi dell’art. 21 TUF, è a totale carico dell’intermediario[4].
Cass. Ordinanza n. 6920 del 20/03/2018
L’anzidetta soluzione della Corte ha trovato conferma in una pronuncia di poco successiva della sez. I, sempre incentrata sul nesso di causalità in un caso di mancata informazione da parte dell’intermediario, questa volta inerente alle società di intermediazione mobiliare (SIM).
Il caso riguardava una richiesta di risarcimento danni da parte di due risparmiatori-investitori nei confronti della Banca in seguito ad un investimento mobiliare. A detta degli attori la convenuta si era macchiata della colpa di averli fatti investire nel contesto del grey-market[5], senza aver fornito tutte le dovute informazioni sulla natura dell’investimento.
I due lamentavano in particolare la mancata ricezione dell’informazione relativa alla non sussistenza di un’offerta pubblica di vendita autorizzata dalla Consob, per cui le uniche domande ammesse erano quelle provenienti dal pubblico, senza la sollecitazione di intermediari. A causa di ciò, i due investitori avrebbero riportato gravi danni. In primo grado la domanda attorea era stata accolta, mentre la Corte d’Appello aveva fornito ben altra soluzione.
In tale sentenza si legge, infatti, una duplice argomentazione a sostegno di questa tesi: da un lato la Corte d’Appello aveva affermato che la non corretta informativa fornita in merito alle caratteristiche del prodotto non fosse causa di nullità dell’intera operazione, ma dal più che potesse ingenerare una responsabilità di tipo contrattuale in capo all’intermediario. Dall’altra veniva affermata il non assolvimento dell’onere della prova, relativamente al più volte citato nesso causale, da parte dei due investitori, sostenendo che, pure in caso di adeguate informazioni, avrebbero comunque posto in essere l’operazione finanziaria finita male.
Avverso a tale sentenza i due ricorrevano dinnanzi alla Suprema Corte, la quale ha in definitiva deciso per la cassazione della sentenza di secondo grado proprio nella parte in cui richiedeva ai due risparmiatori di provare il nesso causale tra le perdite subite e la mancanza di adeguata informazione da parte della SIM, ponendosi in perfetta continuità con la pronuncia sopracitata e di poco precedente.
Evoluzione
Il tema preso in esame ha visto contrapporsi per lungo tempo, fino all’intervento delle Sezioni Unite nel 2007, due diversi schieramenti.
Da un lato vi era la tesi a sostegno della nullità delle operazioni finanziare concluse in assenza di un’adeguata informativa da parte degli intermediari (ai sensi del più volte menzionato art. 21 TUF), basata sul fatto che tale disposizione si ponesse in diretta attuazione dell’art. 47 Cost.[6]. La violazione del predetto articolo avrebbe generato, quindi, il mancato rispetto di una norma imperativa.
D’altro lato vi era l’orientamento, fatto proprio dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 26725/2007, che interpretava il caso dell’inadeguata informativa a opera degli intermediari nella fattispecie della responsabilità contrattuale, con la conseguenza di applicare le regole inerenti alla responsabilità contrattuale anche all’onere della prova. Quest’ultimo sarebbe gravato, pertanto, sul soggetto richiedente il risarcimento del danno causato dall’inadempimento contrattuale, con la conseguenza di dover dimostrare anche la sussistenza del nesso causale tra il danno patito e l’inadempimento informativo.
L’ultimo orientamento preso dalla Corte di Cassazione, invece, vede applicarsi tutta un’altra soluzione. Per quanto riguarda la generale portata degli obblighi informativi gravanti sugli intermediari finanziari è ormai indubbio il principio per cui tale obbligo vale per tutti i tipi di investimento, e si concretizza nell’obbligo di fornire informazioni specifiche e “su misura” rispetto al caso concreto. Mentre ormai si esclude l’ipotesi che l’omissione di tali informazioni non possa incidere sulla formazione delle scelte d’investimento dei clienti, comportando un indubbio obbligo di risarcimento in capo agli intermediari[7].
Tanto premesso ne consegue un’immagine dell’investitore-risparmiatore ampiamente garantita, esonerata anche dal provare il nesso di causalità tra il danno subito e l’omissione-mala informazione ricevuta. Sembrerebbe non rilevare nemmeno a questo proposito il grado di esperienza dell’investitore, né tantomeno la sua predisposizione al “rischio”, componente comunque imprescindibile negli investimenti finanziari.
In capo agli investitori rimane quale unico onere quello di allegare puntualmente il danno riportato (soprattutto per quanto riguarda la quantificazione pecuniaria), rimanendo, questo, un adempimento non certo gravoso quale è quello di una vera e propria prova, e che, magari, spingerà la categoria degli investitori a sentirsi più motivati a chiedere giudizialmente il risarcimento delle perdite subite.
[1] Art. 21 TUF relativo al dovere di diligenza, correttezza e trasparenza imposto all’intermediario finanziario nei contratti di intermediazione finanziaria.
[2]Al seguente link è possibile consultare il Regolamento in questione http://www.consob.it/web/area-pubblica/storico-modifiche-intermediari1.
[3] Si tratta dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
[4] Così stabilendo, la Cassazione si è discostata di molto da un precedente abbastanza recente, ossia la pronuncia n. 25335/2017, in occasione della quale era invece stato affermato che la prova del nesso causale poteva considerarsi adempiuta dalla prova del fatto che la mancanza di adeguate informazioni non abbia influenzato le scelte dell’investitore, né dall’ inclinazione di quest’ultimo al rischio.
[5] La Borsa Italiana fornisce la seguente definizione di grey market: “mercato non ufficiale, non soggetto a controllo da parte delle Autorità di Vigilanza dei mercati, in cui si scambiano titoli non ancora ammessi a quotazione, nell’intervallo di tempo intercorrente tra collocamento presso il pubblico dei sottoscrittori e data di inizio delle negoziazioni sul mercato di borsa. Le contrattazioni del mercato grigio sono seguite con interesse dalla società emittente, in quanto forniscono un’approssimazione circa l’appetibilità dell’offerta ed il possibile prezzo di mercato dello strumento finanziario una volta avvenuta la quotazione. Il mercato grigio è caratterizzato da liquidità molto variabile e da rischi di forti escursioni di prezzo”.
[6] Art. 47 Costituzione: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”.
[7] Sul punto si veda anche Cassazione Civile, sez. I, 16.02.2018, n. 3914.