Cap. 1 Gli elementi identificativi della fattispecie
Sommario: cenni storici; la nullità parziale in senso oggettivo ed in senso soggettivo; il concetto di parte nulla del contratto; il principio di conservazione del contratto; il collegamento contrattuale; gli effetti espansivi della nullità: tesi volontaristica e obiettiva
Cap. 1. Gli elementi identificativi della fattispecie
1. Cenni storici
2. La nullità parziale in senso oggettivo ed in senso soggettivo
3. Il concetto di parte nulla nel contratto
4. Il principio di conservazione del contratto
5. Il collegamento contrattuale
6. Gli effetti espansivi della nullità: la tesi volontaristica e quella obiettivaCap. 2. La nullità parziale nei contratti di lavoro e nei contratti del consumatore
1. La sostituzione di diritto delle clausole nulle
2. La nullità parziale nei contratti di lavoro
3. Il contratto collettivo di lavoro come fonte di integrazione contrattuale
4. La nullità parziale e le clausole vessatorie
5. Il dibattito in dottrina
6. La nullità parziale nei contratti del consumatoreCap. 3. Precedenti giurisprudenziali in materia
1. Precedenti giurisprudenziali relativi alla nullità parziale ed ai contratti di lavoro
2. Precedenti giurisprudenziali in materia di clausole vessatorie e nullità parziale
3. Considerazioni conclusive
1. Cenni storici
“La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole” si legge nel I comma dell’articolo1419 del c.c. “importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità.” La disposizione appare per la prima volta, poiché mancava nel codice Pisanelli qualsiasi disciplina del fenomeno. Il legislatore italiano del 1942 ha rinunciato ad introdurre una nozione di nullità parziale pur avendola prevista. All’interprete si è dunque riservato il compito di tracciare i contenuti della nozione concernente, l’istituto. Si è rivelato come il legislatore per l’articolo 1418 del c.c. abbia eseguito un elenco dei casi da cui deriva la nullità totale del contratto e come, invece, non abbia fatto per l’articolo 1419 del c.c. Rispetto a questa norma, si è posto il problema di definire gli ambiti in cui il contratto si presenta parzialmente nullo.
La formula adottata è opposta da quella riscontrabile nel codice civile tedesco, dove la nullità dell’intero contratto è la regola generale e la nullità parziale rappresenta l’eccezione. Tuttavia la dottrina italiana ha ripreso da quella tedesca il principio dell’utile per inutile non vitiatur sviluppato nel 1800, la dottrina considerò di eliminare quelle sovrabbondanze contrattuali che si ponevano in aggiunta ad un contratto di per sé già valido, inoltre ritenne che il contratto parzialmente valido potesse essere recuperato, anche se sprovvisto delle sue parti. Si tratta di una soluzione ricorrente quando non sono presenti elementi che supportino la tesi contraria, la nullità totale è prevista quando le parti si sarebbero astenute dal concludere il contratto senza la parte viziata. Il principio è un brocardo latino la cui traduzione è: un atto valido non è viziato da una clausola invalida o letteralmente “l’utile non è inficiato dall’inutile”.
2. La nullità parziale in senso oggettivo ed in senso soggettivo
La dottrina nell’esaminare la lettera delle due disposizioni contenute nell’articolo 1419 del c.c. e nell’articolo 1420 del c.c. ha concluso per la sussistenza della nullità parziale in senso oggettivo ed in senso soggettivo.
La prima fattispecie di nullità parziale è la nullità che colpisce una parte del contenuto del contratto, cioè che rende parzialmente irrealizzabile il programma contrattuale. La seconda fattispecie è quella che nei contratti plurilaterali investe il vincolo di una delle parti.
Con riguardo ai contratti plurilaterale con comunione di scopo, le disposizioni contenute nell’articolo 1420 del c.c. e nell’articolo 1446 del c.c. attuano il principio di conservazione del contratto, mentre il II comma dell’articolo 1419 del c.c. esclude che gli effetti del contratto possano estendersi all’intero contratto quando la parte del contratto viziata è sostituita con una norma imperativa.
3. Il concetto di parte nulla del contratto
La nullità parziale si ha quando sono nulle quelle clausole, senza cui le parti avrebbero ugualmente stipulato il contratto.
La dottrina, al riguardo si è soffermata sull’espressione “parte del contenuto”. La norma prevede due momenti di nullità: una prima, parziale; una successiva, totale. Quella successiva è condizionata dalla volontà delle parti, nel senso che per le altre ipotesi, come l’assenza della forma legale, la nullità si verifica indipendentemente dalla volontà delle parti, nell’ipotesi della nullità totale prevista dall’articolo 1419 del c.c. essa è subordinata a due presupposti: uno oggettivo(la nullità parziale del contratto o delle singole clausole) e uno soggettivo(ricondotto alla previsione secondo cui le parti non avrebbero concluso il contratto senza quel contenuto colpito dalla nullità).
4. Il principio di conservazione del contratto
In dottrina come in giurisprudenza è stato affermato che l’articolo 1419 del c.c. risponde al principio di conservazione di cui l’articolo 1367 del c.c. prevede che nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.
Il principio di conservazione del contratto è in primo luogo un canone ermeneutico ed è opportuno che l’interprete se ne serva applicando il ditterio utile per inutile non vitiaur dell’articolo 1419 del c.c. Esso deve essere visto come un principio di economicità, fondato sull’esigenza di presumere la serietà degli intenti di chi emette una dichiarazione di volontà, deve ritenersi che l’atto di autonomia privata sia rivolto al raggiungimento di un risultato pratico, con la conseguente necessità di mantenere i valori nel campo del diritto fin tanto che le parti mirino a realizzare interessi meritevoli di tutela.
Il principio regolatore della nullità parziale è costituito dalle limitazioni della nullità del contratto alle sole clausole che non importino anche la nullità dell’intero contratto, tenuto conto delle condizioni stabilite dalla stessa norma: la non essenzialità delle clausole invalide e la loro sostituzione di diritto.
La dottrina si è posta il problema se la non essenzialità della clausola nulla costituisse la regola o l’eccezione, l’altro interrogativo in materia: spetta a chi ha interesse a rendere nullo l’intero contratto l’onere di provare l’essenzialità della clausola? La giurisprudenza ha precisato che l’indagine deve essere condotta con un criterio oggettivo, con riferimento al perdurare dell’utilità del contratto rispetto agli interessi con esso perseguiti, l’onere della prova grava sulla parte interessata a dimostrare l’essenzialità della clausola per l’intero contratto. La determinazione dell’essenzialità della clausola è devoluta all’autonomia delle parti.
La clausola vizia secondo la Corte di Cassazione, come prevede nella sentenza 2499 del 1983, funge da condicio causam dans o sine qua non, poiché solo così la nullità parziale investe e travolge l’intero contratto.
Inoltre si è discusso se la regola del I comma dell’articolo 1419 del c.c. possa essere anche valida per l’annullamento attraverso il ricorso all’analogia. La conclusione, della dottrina, non è affermativa, nel senso che essa non abbia ritenuto automatica l’applicazione all’annullamento, tranne l’eccezione costituita dai contratti plurilaterali. L’invalidità parziale definita soggettiva, prevede un’apposita norma che regola gli effetti, l’articolo 1446 del c.c. prevede che l’annullabilità del vincolo di una sola delle parti, nei contratti plurilaterali, non importa anche l’annullamento dell’intero contratto, tranne il caso in cui la posizione della parte il cui vincolo sia stato annullato non debba anche considerarsi essenziale. La Corte di Cassazione nella sentenza 6935 del 1982 ha precisato che “pur essendo possibile l’annullamento parziale del contratto, un siffatto istituto è utilizzabile solo quando occorre invalidare una sua parte, senza di cui le parti non avrebbero egualmente raggiunto l’accordo, non pure nel caso in cui occorrerebbe procedere da parte del giudice ad adeguamenti e rettifiche delle complessive prestazioni al fine del loro riequilibrio”.
5. Il collegamento negoziale
In generale i negozi sono collegati quando è presente tra più contratti una situazione d’interdipendenza.
Ai contratti collegati si applicano pertanto le regole della nullità parziale per cui l’invalidità di un contratto può comportare l’invalidità degli altri che ad esso sono collegati.
Giurisprudenza e dottrina concordano sull’applicabilità delle regole codificate dall’articolo 1419 del c.c. ai contratti collegati. Sono contratti che pur essendo caratterizzati da un’autonoma disciplina, sono posti in essere non indipendentemente e separatamente l’uno dall’altro, ma tutti in vista del perseguimento di un fine comune, di un risultato unitario. L’unicità del fine economico ha spinto la giurisprudenza e la dottrina a ritenere alle vicende che investono l’intero contratto, il potere di ripercuotersi sull’altro.
Va premesso che le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, possono dare vita con un solo atto a diversi e distinti contratti che pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale e pur rimanendo sottoposti alla relativa disciplina possono tuttavia risultare collegati fra loro, funzionalmente e con rapporto di reciproca dipendenza, in modo che le vicende dell’uno si ripercuotano sugli altri, condizionandone la validità e l’esecuzione.(Corte di Cassazione 1537 1981)
6. Gli effetti espansivi della nullità: la tesi volontaristica e quella obiettiva
In dottrina si è opinato sugli effetti espansivi della nullità di specifiche parti, all’intero negozio. In particolare si è sostenuto che la dilazione della nullità presupporrebbe una validità originaria dello stesso, rispetto alla situazione sopraggiunta in cui una specifica parte di esso è colpita da invalidità e l’invalidità s’estende all’intero rapporto contrattuale.
Una parte della dottrina ha invece ritenuto valutare che il contratto nasca valido o invalido. È stato osservato che la clausola secondaria può assumere un rilievo determinante rispetto all’interesse concreto che le parti perseguono, per cui elementi accidentali, ma essenziali per le parti, che siano dichiarati nulli possono determinare la nullità dell’intero negozio cui ineriscono.
Sulla volizione del negozio giuridico, una parte della dottrina rammenta come si sia ritenuta impraticabile una valutazione dell’elemento piscologico, non essendo possibile l’accertamento dell’effettivo volere delle parti, in relazione all’ipotesi di una successiva invalidità del contratto da esse stipulato, sia pure limitatamente ad una specifica parte di questo. L’interprete dovrebbe, invece, prendere in considerazione l’ipotetica intensione dei contraenti risultante dall’interpretazione del contratto condotta con i canoni ermeneutici. La valutazione deve rapportarsi al momento della conclusione del contratto e non a quello del giudizio, in quanto la nullità totale è l’effetto dell’accertamento di un “originario” difetto di volontà dei contraenti in ordine al regolamento negoziale che residua dall’eliminazione della parte invalida. A illustrazione della “volontà ipotetica” si è affermato che quando i contraenti in sede di stipulazione non abbiamo esplicitamente disposto per il caso che il negozio dovesse risultare parzialmente nullo, la soluzione dipenderà dalla presumibile intenzione del dichiarante o dei contraenti.
La dottrina ha anche formulato la tesi, secondo cui la parte residua del contratto sarebbe viziata da errore, in quanto se i contraenti miravano a tutti gli effetti insieme, ma si avveravano solo alcuni, si sono sbagliati. Naturalmente è una teoria che richiama l’atteggiamento psichico delle parti.
Alle tesi volontaristiche, si sono contrapposti i criteri oggettivi per l’interpretazione dei contratti parzialmente nulli. Si è rilevato, al riguardo, che una decisione riguardante la conservazione del negozio non possa prescindere dalla sua fisionomia, in cui la parte nulla del contratto possedeva un ruolo solo marginale, rispetto a quello che le parti intendevano regolare, prendendo in considerazione la volontà delle parti, ma sfuggendo dal riferimento dei dati psichici ritenuti facilmente equivoci.
Occorre stabilire se il contratto così ridotto sia compatibile con il fine perseguito dalle parti contraenti, in relazione all’assetto complessivo degli interessi in gioco, servendosi dei consueti mezzi interpretativi. È stata prospettata la necessità di ricorrere al criterio generale della buona fede come tecnica di controllo dell’economia contrattuale per garantire una corretta gestione sull’ipotesi di nullità parziale, pur senza perdere di vista il risultato giuridico-economico perseguito dall’autonomia privata.
La Corte di Cassazione con la sentenza 2411 del 1982 ha ritenuto che l’indagine va condotta con un criterio oggettivo, con riferimento alla perdurante utilità del contratto rispetto agli interessi con esso perseguiti. Peraltro l’inettitudine del contratto a perseguire gli interessi che le parti con esso hanno previsto di regolare è rilevabile anche attraverso le dichiarazioni espresse, rese dagli stipulanti nel contratto.
L’ordinamento giuridico italiano offre un criterio oggettivo di valutazione, in materia di esatto adempimento della prestazione contrattuale, si tratta della diligenza, il principio è ricavabile dal II comma dell’articolo 1176 del c.c. in combinato disposto con l’articolo 2236 del c.c. e con il criterio ottenuto, al fine di valutare l’esattezza dell’adempimento della parte, ricorre ad una valutazione della bontà dell’attività realizzata, nell’ambito dell’esecuzione dell’obbligazione contrattuale e non ad una valutazione della bontà del risultato perseguito. È comunque onere della parte interessata alla dichiarazione della nullità dell’intero contratto, far valere il carattere essenziale della clausola invalida: in quanto l’estensione all’intero contratto costituisce un’eccezione e non potrebbe essere rilevata d’ufficio.
Cap. 2. La sostituzione automatica delle clausole
Sommario: la sostituzione di diritto delle clausole nulle; la nullità parziale nei contratti di lavoro; il contratto collettivo ed il contratto-tipo come fonte di integrazione contrattuale; il dibattito in dottrina sulla nullità parziale e le clausole vessatorie; la nullità parziale nei contratti del consumatore
1. La sostituzione di diritto delle clausole nulle
L’articolo 1419 del c.c. prevede che la nullità di singole clausole non comporta la nullità dell’intero contratto quando le clausole sono sostituite di diritto da norme imperative. A questo riguardo si parla di sostituzione automatica delle clausole invalide con clausole imposte dalla legge, l’articolo 1339 del c.c. regola il fenomeno in via generale: le clausole, i prezzi di beni e di servizi imposti dalla legge sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti. In siffatte ipotesi, la nullità della clausola non può travolgere l’intero negozio, giacché il contenuto della clausola difforme dalla norma imperativa è sostituito, di diritto, con il contenuto previsto da una norma. È presente una restrizione all’autonomia contrattuale, che trova giustificazione nell’esigenza di protezione di interessi reputati prevalenti nell’ordinamento giuridico, ad esempio fissare dei termini di determinati rapporti contrattuali per evitare dei vincoli di lunga durata.
2. La nullità parziale nei contratti di lavoro
Nell’ambito del contratto di lavoro emergono vari aspetti da considerare.
In primo luogo, è da ricordare che la posizione del prestatore è quella tipica del soggetto economicamente debole. La natura di contraente debole, ha giustificato l’intervento legislativo a carattere protettivo derogatorio della disciplina comune dei contratti.
La Corte Costituzionale, dal canto suo, ha affermato che nel diritto del lavoro, la nullità parziale, dovuta ad una clausola invalida perché posta in contrasto con norme e imperative dettate a tutela del lavoratore non si estende all’intero contratto. In secondo luogo, la figura del prestatore di lavoro emerge come soggetto sottoposto al potere direttivo, sia organizzativo sia disciplinare del datore di lavoro. Da tale soggezione deriva quindi una limitazione della libertà del prestatore stesso che può essere collegata alla sua insostituibilità nello svolgimento dell’attività lavorativa e dell’infungibilità di tale attività. Si è però ritenuta l’inapplicabilità delle norme sull’adempimento del terzo e sull’esecuzione forzata.
La tutela del lavoratore viene realizzata con la diretta sostituzione della regola dettata dalla norma violata alla clausola perché in contrasto con la stessa. Il medesimo risultato viene conseguito talvolta con l’integrazione, disposta dalla legge e operata dal giudice, del contenuto del contratto. Così la mancanza della clausola contenete la retribuzione non comporta la nullità del contratto di lavoro perché la retribuzione viene determinata dal giudice secondo equità.
Un significativo esempio, in materia d’interventi legislativi a scopo di correzione dell’ordinamento generale, è offerto dalle disposizioni che richiedono la sussistenza nel lavoratore di una capacità giuridica speciale, come presupposto per la costituzione valida del rapporto di lavoro. La nozione di capacità giuridica speciale è ricondotta all’attitudine ad obbligarsi a prestare lavoro. Il difetto della capacità giuridica richiesta dal tipo di lavoro comporta un’impossibilità della prestazione, il rapporto costituito è nullo.
L’articolo 2126 del c.c. prevede che nel caso in cui il contratto di lavoro è nullo, il lavoratore percepisce la retribuzione precedente a tale nullità. Il giudice di merito ha evidenziato il carattere della specialità del regime disciplinare previsto in materia di contratto di lavoro, in specie con riguardo alle prestazioni già eseguite.
Il principio della conservazione del contratto tende ad assumere nel diritto del lavoro una valenza maggiore rispetto al diritto comune: da una parte, risponde ad un’istanza di tutela del lavoratore, nell’ipotesi di nullità del contratto, si vedrebbe privato della propria retribuzione, mezzo necessario per consentirgli un’esistenza libera e dignitosa, dall’altra parte, il lavoratore non incontra quei limiti di operatività che sono strettamente collegati all’identificazione nel contratto della fonte primaria del regolamento negoziale, come accade nella diritto comune.
Un altro ambito da prendere in considerazione riguarda il contratto a tempo parziale. Il contratto deve indicare la durata della prestazione lavorativa e la collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno. La mancata o indeterminata indicazione di detti riferimenti non importa la nullità dell’intero contratto, tuttavia, nel caso in cui l’omissione, riguardi la durata del rapporto di lavoro, a richiesta del lavoratore, potrà essere dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno che decorre dalla data dell’accertamento giudiziale. Diversa conseguenza è prevista nel caso in cui l’omissione riguardi la mancata indicazione della collocazione temporale dell’orario di lavoro, il giudice deciderà con i riferimento offerti dal contratto collettivo nazionale di lavoro, in difetto, in via equitativa. Del giudice di merito è anche la pronuncia che afferma la nullità del contratto di lavoro a tempo parziale, tale nullità poi non determina la conversione del contratto in un contratto a tempo pieno, ma comporta che il lavoratore per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, ha diritto alla retribuzione per l’attività lavorativa effettivamente svolta.
Rispetto alla disciplina generale dei contratti, quella dettata per il contratto di lavoro parzialmente nullo presente particolarità che non si limitano alla diffusa presenza di norme sostitutive. Le reazione dell’ordinamento giuridico non si esauriscono nel trattamento delineato dall’articolo 1419 del c.c. come avvieni in altri contratti. Per quanto riguarda la tutela riservata al lavoratore subordinato, essa non si riduce all’alternativa tra la tutela condizionata e la tutela piena, ma giunge in alcuni casi ad una tutela che va oltre la mera conservazione del contratto di lavoro e può essere chiamata rafforzata, mira ad atteggiare il rapporto di lavoro nella maniera maggiormente favorevole al lavoratore subordinato.
3. Il contratto collettivo di lavoro come fonte di integrazione contrattuale
Le norme integrative del contratto possono assumere il carattere dell’inderogabilità quando esse tutelano un interesse generale prevalente su quello delle parti o anche l’interesse preminente di una delle parti contro la preminente forza dell’altra. In generale, le disposizioni imperative si applicano direttamente al rapporto contrattuale nonostante la diversa previsione delle parti, realizzante un’integrazione cogente del contratto.
Le clausole contrattuali eventualmente contrarie alle determinazioni legali inderogabili sono colpita da nullità in quanto contrarie a norme imperative. Consegue pertanto la nullità parziale del contratto, una nullità che non coinvolge l’intero contratto, poiché le clausole invalide sono sostituite con clausole imposte dalla legge.
Un’importante fonte d’integrazione del contratto è costituita dai contratti collettivi. Si tratta di un contratto normativo stipulato dalle contrapposte associazioni sindacali per disciplinare uniformemente i rapporti di lavoro della categoria. Nell’ambito sono emerse delle diverse teorie proposte per giustificare l’attitudine del contratto collettivo a vincolare le singole parti. Secondo l’orientamento tradizionale il regolamento collettivo è in grado di vincolare le parti del rapporto di lavoro perché è disposto da un contratto che stabilisce una relazione diretta ed immediata tra di esse.
Il contratto collettivo di lavoro non produce altro effetto che un obbligo a carico degli associati di conformarsi, nella stipulazione di futuri contratti particolari, alle clausole previste nella contrattazione collettiva. Quindi è uno strumento non solo di predisposizione, ma anche di imposizione di una disciplina contrattuale uniforme nel settore economico di riferimento, la cui violazione comporta la sostituzione delle clausole difformi con quelle del contratto collettivo.
4. Il dibattito in dottrina sulla previsione dell’articolo 1341 del c.c. e la nullità parziale
Le clausole vessatorie secondo l’articolo 1341 del c.c. non hanno effetto se non sottoscritte dall’aderente le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.
La previsione dell’articolo 1341 del c.c. pone un problema di coordinamento con la norma dell’I comma dell’articolo 1419 del c.c. sulla nullità parziale.
L’argomento è stato affrontato della nullità della clausola vessatoria a cui corrisponde la nullità dell’intero contratto è stato affrontato dalla stessa dottrina che è giunta ad una soluzione opposta.
La dottrina in considerazione portò due distinti argomenti, uno di natura classificatoria, uno di carattere interpretativo e sistematico.
Secondo una prima tesi, non si potrebbe far luogo all’applicazione della norma per due motivi. Innanzi tutto, perché la formula prevista dal II comma dell’articolo 1341 del c.c. appartiene alla particolare categoria delle forme integrative che non sono essenziali per la validità del contratto, ma per la produzione di alcuni suoi effetti. Perciò difettando di questa forma, il contratto da cui sia stata eliminata la clausola nulla, per la restante parte è valido ed efficacie. A soluzione analoga si è giunti a
partire dalla constatazione che nel caso di specie non ci si trova di fronte a clausole invalide, ma a clausole che prive della specifica sottoscrizione, non sono entrate nel regolamento negoziale.
La conclusione a cui è giunto l’esame condotto dalla dottrina, è che la nullità della clausola vessatoria non sottoscritta può sia essere rilevata di ufficio dal giudice, sia essere oggetto di specifica eccezione da ambo le parti, mentre, la nullità della clausola in questione, non si propaga all’intero contratto che rimane valido, sostituendosi alla clausola vessatoria nulla la norma corrispondente tratta dallo ius dispotivum, la dottrina ha inteso in tal modo evitare che la caducazione dell’intero contratto mettesse in difficoltà maggiori il contraente debole,
Il rimedio sarebbe stato peggiore del male. Si deve constatare che tale interpretazione è risultata in linea con le scelte operate dal legislatore comunitario in materia di tutela contrattuale del consumatore.
5. La nullità parziale nei contratti dei consumatori
La disciplina della nullità parziale, come articolata nell’articolo 1419 del c.c. ha subito delle innovazioni. In conseguenza delle recenti profonde modifiche del sistema giuridico, tra cui le continue incursioni della legislazione derivazione comunitaria. È agevole constatare che nella legislazione di protezione, il legislatore comunitario prima, quello nazionale poi, tendono a far sì che dalla declaratoria di nullità del patto o della clausola pregiudizievole per il soggetto destinatario della disciplina di protezione, non debba far seguito l’invalidazione dell’intero contratto; il fine è quello di evitare che questo sia stretto tra due alternative pregiudizievoli date o dall’esecuzione del contratto compreso della parte gravosa o rinunciare all’intero affare.
Il legislatore per sottrarre il soggetto protetto dalla riferita rigida alternativa tra due scelte propende per conformare la nullità, modificando la relativa disciplina: da un lato negando l’applicazione alle nullità di protezione la regola dell’I comma dell’articolo 1419 del c.c. in modo che la sanzione non impedisca la conservazione del valore impegnativo dell’atto a prescindere dallo stralcio che debba farsi di una parte del suo contenuto, dall’altro lato circoscrivere l’azione di nullità al solo contraente destinatario della norma di protezione.
L’approdo a tale peculiare disciplina è, con ogni probabilità, conseguenza della maturata consapevolezza nel legislatore attuale della sostanziale inadeguatezza della regola contenuta prevista sulla nullità parziale, decisamente segnata da riflessi volontaristici, di marzio la nullità del contratto a trovare applicazione nella contrattazione diseguale, dove già nel contesto classico dell’articolo 1341 del c.c. appariva del tutto evidente l’assenza di un reale processo formativo del volere delle parti inteso come risultante di un raggiunto equilibrio tra prestazioni contrapposte all’esito di una negoziazione in termini di contratto. Non vi è dubbio che il riferimento alla volontà dei contraenti, specie se inteso come riferimento alla volontà dell’una o dell’altra parte del contratto, legittimerebbe il predisponente a provare che non avrebbe affatto voluto la negoziazione qualora essa venga privata della clausola vessatoria. La volontà del predisponente è frutto di un calcolo di interessi analiticamente ponderato e che potrebbe facilmente essere travolto dalla inoperatività di uno o più precetti contrattuali.
L’articolo 36 del Codice del consumo con la previsione “il contratto rimane valido per il resto” mira a risolvere radicalmente il problema delle ripercussioni sulle sorti dell’intero contratto causate dalla rimozione di clausole vessatorie. La nullità parziale diventa necessaria e spazza via il campo, nettamente , da ogni valutazione ed indagine, in chiave oggettiva e soggettiva, da parte dell’interprete sulla tenuta del contratto deprivato da una o più clausole vessatorie.
L’articolo 143 del Codice del consumo prevede che i diritti attribuiti al consumatore sono irrinunciabili ed è nulla ogni pattuizione in contrasto con le relative disposizioni. Ebbene, è evidente che se la clausola di nullità totale fosse ritenuta valida, essa sarebbe idonea a “mortificare” se non elidere del tutto il diritto a far valere la nullità della clausola vessatoria, da ciò deriverebbe la nullità dell’intero contratto, quindi verrebbe privato del bene o del servizio oggetto di esso, esito che il legislatore ha voluto eliminare proprio con la previsione della parziarietà necessaria della nullità.
Cap. 3 Precedenti giurisprudenziali e considerazioni conclusive
Sommario: precedenti giurisprudenziali relativi alla nullità parziale ed ai contratti di lavoro; precedenti giurisprudenziale in materia di clausole vessatorie e nullità parziale; considerazioni conclusive: la sostituzione come strumento complementare alla nullità parziale per la tutela del contraente debole.
1. Precedenti giurisprudenziali relative alla nullità parziale e contratti di lavoro
In Sicilia la Codacons ha dato seguito a numerose sentenze che dichiarano l’illegittimità dei contratti a tempo determinato. Numerosi Tribunali in Italia hanno accolto i ricorsi dei docenti che da anni sono inseriti nelle graduatorie ad esaurimento senza essere immessi in ruolo, dichiarando illegittime le sequenze dei contratti a tempo determinato stipulati con il Ministero della pubblica istruzione e condannando il Ministero stesso a risarcire, nei limiti della prescrizione, il danno subito nella misura della differenza tra quanto percepito e quanto avrebbero dovuto percepire se fossero stati subito assunti con contratto a tempo indeterminato. A questo proposito il Codacons ha lanciato una class action, un tipico strumento di origine americane dotato di proprie connotazioni peculiari e predisposto per svolgere, non solo, funzione meramente risarcitoria, ma altresì e in special modo di prevenzione generale, dunque, deterrente contro il compimento di atti illeciti. Una Direttiva comunitaria aveva previsto che gli Stati membri dell’Unione Europea sono tenuti ad introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali norme idonee a prevenire ed a sanzionare l’abuso nella successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Sulla base di tale principio comunitario i tribunali italiani hanno emesso sentenze che danno pienamente ragione ai precari. In particolare il Tribunale di Siena ha dichiarato: la nullità parziale dei contratti stipulati tra le parti, e dichiara pertanto che il primo contratto stipulato dalla parte si è convertito in contratto di lavoro a tempo indeterminato e condanna pertanto il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a reinserire in servizio la parte ricorrente nel posto di lavoro per lo svolgimento delle medesime mansioni, oltre al risarcimento del danno subito dalla parte ricorrente per l’illegittima apposizione del termine di durata al rapporto di lavoro, da commisurarsi alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data di messa in mora presentata contestualmente alla comunicazione della richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione in atti, sino all’effettiva ripresa dell’attività lavorativa, oltre interessi legali. Forte di tali sentenze il Codacons ha proposto a tutti i precari siciliani della scuola una class action gratuita contro il ministero dell’Istruzione per l’adozione degli atti amministrativi generali necessari ad ottenere la definitiva immissione in ruolo degli insegnanti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento, e la conseguente conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato.
2. Precedenti giurisprudenziali in materia di clausole vessatorie e nullità parziale
L’ambito di tutela formale
È emerso dall’esame giurisprudenziale della materia, la questione legata all’estendibilità della nullità della clausola vessatoria all’insieme del vincolo contrattuale in cui essa è inclusa.
La giurisprudenza di merito, al riguardo, ha affermato la nullità del contratto, nel caso in cui la parte non si fosse determinata a concludere il contratto stesso senza la clausola nulla. In specie, ha sostenuto, il Tribunale veronese, la clausola di rinuncia alla liberazione del fideiussore è nulla ai sensi del II comma dell’articolo 1956 del c.c. che prevede la liberazione del fideiussore su un’obbligazione futura qualora il creditore, senza avere preventivamente ottenuto dallo stesso la richiesta di autorizzazione, abbia disposto la concessione di un credito a favore del debitore, pur consapevole delle condizioni economiche di questi, divenute tali da rendere difficile il soddisfacimento del credito. Infine la norma precisa l’invalidità della rinuncia del fideiussore ad avvalersi della prevista liberazione. La nullità della clausola, ha fatto concludere i giudici di prima istanza, nel senso di ritenere nulla l’intera fideiussione. In tal modo si è annesso valore di essenzialità alla clausola nulla.
La pronuncia in commento ha quindi ritenuto che per il caso in cui la clausola di rinuncia alla liberazione della fideiussione, non fosse ritenuta nulla, essa sarebbe da ritenere vessatoria, con l’obbligo della sua approvazione per iscritto.
Secondo le valutazioni espresse il Tribunale di Verona ha affermato che la clausola di rinuncia del fideiussore alla liberazione è nulla. Tale nullità comporta la nullità dell’intera fideiussione bancaria, giacché il complesso delle pattuizioni fa emergere che la banca non avrebbe concluso il contratto senza detta clausola. La clausola di rinuncia quando non è considerata nulla è sempre vessatoria e deve essere approvata per iscritto.
Il giudice di merito, in specie, non ha ritenuto in una particolare circostanza che l’eventuale presenza di clausole inefficaci potesse giustificare la nullità dell’intero contratto.
La Corte di Cassazione nella sentenza 3508 del 1974 ha affermato che la nullità della clausola vessatoria può importare la nullità dell’intero contratto.
L’ambito di tutela sostanziale
il legislatore degli ultimi decenni prevede la nullità del singolo patto o clausola, ma dispone che il contratto rimane valido per il resto.
L’importanza dei casi disciplinati porta ad escludere che si tratti di evasioni sporadiche alla disciplina generale. In effetti, si è delineata una nuova figura di nullità parziale. Essa, tuttavia, non si pone come terza rispetto a quella generale. Infatti non si colloca in una posizione di equidistanza. Vale a tutti gli effetti come limite all’applicazione del giudizio di nullità parziale.
La nuova figura di nullità diviene lo strumento ideale per perseguire l’innovativa funzione di protezione della parte debole, strumento lontano dalla nullità classica.
È evidente che nella concezione classica della nullità, la nullità parziale assume quasi dei connotati eccezionali, alla luce delle risultanze della giurisprudenza europea, la parzialità si pone piuttosto come regola, l’attività ermeneutica del giudice è diretta alla conservazione del contratto.
Tali principi sono stati enunciati anche in diverse sentenze, ad esempio, con la sentenza Mostanza Claro, Lo Corte di Giustizia ha introdotto dati significativi relativi alla rilevabilità d’ufficio della clausola abusiva.
Con la sentenza Pannon la Corte europea ha precisato che il giudice non dovrà disapplicare la clausola se il consumatore, dopo essere stato avvisato, afferma che non intende invocare la sua natura abusiva.
Con la sentenza Martin viene precisato che il giudice nazionale, in base alla direttiva comunitaria, deve chiarire d’ufficio la nullità, anche quando non sia stata fatta valere dal consumatore dinanzi ai giudici nazionali competenti. Ad ogni modo l’intervento del giudice, non potrà prescindere dall’eventuale volontà del contraente debole di non avvalersi della nullità del contratto e di concludere il contratto con o senza la clausola.
La Corte di Giustina con la sentenza 15 marzo 2012 resa nella causa C-453/10 ha fissato il principio per cui agli Stati membri è concessa la possibilità di garantire un livello più elevato di tutela di quello previsto dalla direttiva 93/13/CEE in particolare dell’I comma dell’articolo 6 che prevede: gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionale, il contratto resta vincolante, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive.
Per i giudici di Lussemburgo l’articolo deve essere interpretato nel senso che il contratto contente clausola abusive rimane valido per il resto, la disciplina prevede la nullità della sola clausola, ma i singoli Stati membri possono prevedere la caducazione dell’intero contratto se la misura risulta più favorevole al consumatore.
3. Considerazioni conclusive: la sostituzione come strumento complementare alla nullità parziale per la tutela del contraente debole
Oltre la previsione introdotta con il Codice del consumo relativa alla conservazione del contratto per la tutela del consumatore, il nuovo diritto dei contratti, in modo esplicito, utilizza, in combinazione al rimedio della nullità legalmente o necessariamente parziale, lo strumento della sostituzione della clausola nulla con la norma imperativa con finalità protettiva. Così nella disciplina dei contratti fuori dai locali commerciali è da riscontrare l’operatività delle clausole nulle perché contrastanti con le regole inderogabili previste a tutela della posizione del consumatore, con le stesse disposizioni imperative, giusta il combinato disposto dell’articolo 1339 del c.c. e del II comma dell’articolo 1419 del c.c. analoghe considerazione possono svolgersi in relazione alla disciplina dei contratti conclusi a distanza.
La sostituzione in particolare assume generale rilevanza in ogni ipotesi di inadeguatezza del compenso imposto al contraente debole dal contraente in condizioni di predominio economico. Nei contratti con contenuto imposto da un contraente forte alla parte svantaggiata deve ritenersi operante la regola dell’equità, non deve essere presente uno squilibrio tra i diritti ed i doveri, il vizio presente nel contratto è purgato dalla nullità parziale combinata con la sostituzione della clausola. Dalla considerazione emerge un nuovo rimedio alle situazioni di squilibrio strutturale tra i contraenti.