Con l’ordinanza n. 29810 del dicembre 2017 la Sezione Prima della Corte di Cassazione ha sancito per la prima volta la nullità delle fideiussioni bancarie attive rilasciate su moduli conformi alle Condizioni generali per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie[1], per violazione dell’art. 2 della legge 287 del 1990.
In particolare, è stato chiarito che la nullità dei contratti fideiussori “a valle”, ai sensi della legge cd. antitrust, discenderebbe direttamente dalla nullità comminata nei confronti dell’intesa “a monte”[2]. Per meglio comprendere la portata innovativa di questo dictum è necessario ripercorrere le principali fasi del dibattito che ha visto gli interpreti confrontarsi sul tema.
Per lungo tempo si è ritenuto che la censura dell’intesa non producesse effetti diversi dalla nullità dell’intesa stessa[3]. Ciò perché l’art. 2 comma 3 della legge antitrust afferma che le intese sono nulle ad ogni effetto, senza, peraltro, accennare alla sorte dei contratti eventualmente conclusi in attuazione dell’intesa.
Del resto, anche a parere della Commissione Europea[4] “non vi è alcuna base giuridica nel regolamento n. 17/62 per affermare che la nullità delle intese anticoncorrenziali a monte comport[i] automaticamente una nullità e per di più una nullità di diritto nazionale dei contratti, o di alcune clausole di questi, stipulati tra le imprese partecipanti all’intesa con i propri clienti in applicazione dell’intesa stessa”. In altra occasione, la Commissione Europea ha anche affermato che i contratti stipulati a seguito di un’intesa vietata “non rientrano nel campo d’applicazione dell’art 85 del Trattato (ora art. 101 TFUE) unicamente a causa dei loro collegamenti con gli accordi orizzontali restrittivi”[5].
La soluzione che riconosce il prodursi di effetti anche sul contratto a valle rende necessario determinare la natura di queste conseguenze: se siano, cioè, soltanto risarcitorie[6] o tali da determinare l’inefficacia/invalidità del contratto stipulato in attuazione dell’intesa contra legem[7]. La Cassazione ha finalmente risolto questo interrogativo.
Legittimazione all’esercizio dell’azione di nullità
Negli ultimi anni, al consumatore[8] leso dall’intesa è stata progressivamente riconosciuta una tutela sempre più estesa: anzitutto al consumatore è stata riconosciuta la legittimazione ad agire in sede civile per ottenere la repressione delle condotte antitrust, poi è stato riconosciuto il suo diritto al risarcimento del danno da illecito anticoncorrenziale e, con la pronuncia in commento, addirittura il diritto di domandare la dichiarazione di nullità del contratto attuativo dell’intesa anticoncorrenziale. Ciò si deve sia alla elaborazione dottrinale[9] sia, soprattutto, all’apporto della giurisprudenza di legittimità[10].
Ad onore del vero, neppure quest’ultimo intervento della Cassazione ha risolto tutte le problematiche che pone la materia. Per comprendere adeguatamente la forza e l’innovatività del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte bisognerà risolvere alcuni interrogativi relativi alla qualificazione della nullità che colpisce il singolo contratto di fideiussione: sul fronte della legittimazione, non è stato, infatti, chiarito se si tratti di nullità assoluta o relativa; quanto all’estensione della invalidità, si pone l’alternativa fra nullità totale o parziale. In questo dibattito si innesta la suggestiva proposta, accolta con particolare entusiasmo in dottrina, di qualificare questa invalidità come “nullità di protezione”[11].
L’applicazione di questa fattispecie troverebbe giustificazione nella eadem ratio di tutela che ispira sia la disciplina a tutela della concorrenza quanto la disciplina consumeristica. Però, secondo parte della dottrina, tale fattispecie appare difficilmente applicabile ai contratti a valle dell’intesa, in quanto all’invalidità che li colpisce dovrà applicarsi il medesimo statuto applicabile alla nullità prevista per l’intesa a monte[12].
E dunque, se è pacifico che la nullità a monte è una nullità assoluta, lo stesso dovrà dirsi della nullità del contratto a valle[13]. A questa impostazione si contrappone l’opinione di chi, considerando in modo più accorto la struttura della nullità, circoscrive l’estensione del “contagio” alle sole clausole frutto dell’intesa vietata, escludendo che l’invalidità possa travolgere integralmente il contratto a valle[14].
Inoltre, è opportuno tenere a mente che, mentre la nullità assoluta è rilevabile da chiunque ne abbia interesse, la nullità relativa[15] prevede una legittimazione limitata ad alcuni soggetti[16]. Qualificare la nullità come relativa significherebbe attribuire la valutazione sull’opportunità di esercitare l’azione di nullità nelle mani del solo garante.
Di norma, ciò che giustifica il riconoscimento della legittimazione in via generalizzata, anche in capo al giudice, all’esercizio dell’azione di nullità è l’esigenza di tutela di un interesse generale; e non c’è dubbio che il diritto alla concorrenza debba essere così qualificato. Eppure, gli interpreti sono concordi, ormai da tempo, nell’escludere che si possa qualificare come assoluta la nullità in oggetto[17]: il riconoscimento di una legittimazione generalizzata non sarebbe in linea con la ratio delle norme antitrust, ma al contrario ne frustrerebbe le finalità.
Quindi, l’unico soggetto legittimato ad agire in giudizio per domandare la dichiarazione di nullità sarà il fideiussore[18].
L’estensione della nullità
Problema diverso è quello attinente all’estensione della nullità. La nullità totale travolge integralmente il regolamento contrattuale; la nullità parziale comporta l’eliminazione delle sole clausole viziate da una causa di invalidità, facendo salve le restanti clausole del contratto. Il testo contrattuale depurato delle clausole invalide sarà successivamente integrato in sede giudiziale, mediante inserzione automatica. Qualora ciò non risulti possibile, ne risulterà travolto l’intero contratto[19].
Secondo alcuni interpreti, nel caso di specie potrebbe invocarsi una “nullità relativa necessaria”[20]: in tal modo, si scongiurerebbe il rischio di una caducazione dell’intero regolamento contrattuale. La nullità totale produce effetti dirompenti: rilevando la nullità, il fideiussore potrebbe opporsi a decreti ingiuntivi ed esecuzioni[21] e, addirittura, avrebbe la possibilità di lucrare sul risarcimento del danno per illegittima segnalazione in Centrale dei Rischi[22].
Meno rosee sono le prospettive per gli altri soggetti coinvolti. Venendo meno la garanzia, il debitore garantito decadrebbe dal beneficio del termine[23] previsto per la restituzione delle somme dovute alla banca e sarebbe chiamato a restituire in tempi molto brevi quanto ricevuto; la banca vedrebbe sfumare il guadagno atteso dall’operazione. Tutto ciò avverrebbe nelle more della concessione di nuove garanzie in base a moduli bancari nuovi, quantomeno depurati dalle clausole contrarie alla legge 287 del 1990.
Un esercizio concertato dell’azione di nullità per tutte le fideiussioni acquisite da una determinata banca potrebbe addirittura determinarne una crisi temporanea.
In altri settori merceologici la qualificazione della nullità del contratto a valle come totale avrebbe ripercussioni ancora più gravi: si pensi ad un’impresa tessile che si trovi a ricevere indietro tutti i capi d’abbigliamento venduti e a restituirne il prezzo pagato, mettendo a repentaglio la sua stessa esistenza.
Sebbene la valutazione, nel caso concreto, sull’essenzialità della clausola invalida nello schema contrattuale spetti al giudice, è opportuno riconoscere che la conseguenza fisiologica dell’espunzione della clausola invalida consisterà nella integrazione giudiziale del contratto, applicando la disciplina codicistica della fideiussione in sostituzione delle clausole caducate.
Base giuridica dell’invalidità
La Cassazione non prende posizione su quale sia la base giuridica della nullità che ritiene integrata, lasciando spazio alle opinioni più disparate degli interpreti. La nullità derivante da violazione della disciplina a tutela della concorrenza è stata tradizionalmente ricondotta a diverse categorie: nullità per violazione di norme imperative[24] (nullità virtuale o letterale), nullità per illiceità dell’oggetto, nullità per illiceità della causa, nullità derivata. In mancanza di una norma che espressamente preveda la nullità del contratto conseguente ad un’intesa anticoncorrenziale[25] si deve sicuramente escludere che si possa parlare di una nullità letterale. Potrebbe, invece, trattarsi di una nullità virtuale, in quanto il contratto sarebbe contrario ai principi generali dell’ordinamento (ad es. la libertà di concorrenza)[26].
La tesi della illiceità della causa si fonda sulla qualificazione della causa del contratto a valle come contraria al principio della libertà di concorrenza, che è un principio afferente all’ordine pubblico economico. Altri interpreti (molto pochi per la verità) ritengono che la causa dei contratti consisterebbe nel frodare la legge e pertanto sarebbe illecita[27].
Altra soluzione che gode di scarso seguito e ad oggi si può dire superata dalla giurisprudenza della Cassazione, ritiene inefficace, anziché nullo, il contratto applicativo dell’intesa restrittiva: in tal modo verrebbero meno soltanto gli effetti del contratto, con salvezza della validità[28]. Si potrebbe addirittura prospettare, in astratto, l’applicazione della sanzione dell’annullabilità, risolvendo in radice il problema della legittimazione all’impugnazione. Ma tale soluzione non appare sostenibile, perché lascerebbe il consumatore finale-fideiussore del tutto sfornito di tutela nelle more della pronuncia della sentenza, posto che gli effetti della pronuncia di annullamento si producono soltanto ex nunc.
La soluzione più accreditata e più sostenibile consiste nel ricondurre direttamente alla nullità dei contratti a monte la nullità dei contratti a valle. Pertanto, è necessario un collegamento negoziale fra i due atti, tale da giustificare la trasmissione della invalidità. L’intesa e il contratto sono funzionalmente collegati, reciprocamente interdipendenti e dunque la nullità prevista per l’intesa travolge automaticamente anche i contratti che a questa danno attuazione[29]. Per salvare la fideiussione a valle dalla censura di invalidità dovrebbe dimostrarsi l’inesistenza di questo collegamento.
In passato, si era sostenuto che tale collegamento negoziale venisse interrotto dalla prestazione di volontà delle parti al momento della concessione della fideiussione; il che appare poco coerente con la struttura della fideiussione rilasciata su moduli bancari[30]. L’espressione della volontà del fideiussore consiste, infatti, nella mera sottoscrizione di un modulo unilateralmente predisposto dalla banca, da cui non può di certo inferirsi una piena ponderazione della dichiarazione di volontà, sufficiente a recidere ogni legame con l’intesa restrittiva.
Un’impostazione ancora più risalente affermava che, per potersi giungere alla dichiarazione di nullità del negozio accessorio non fosse sufficiente un nesso teleologico-funzionale con l’intesa anticoncorrenziale, essendo necessaria anche una specifica espressione di volontà delle parti in ordine al vincolo di subordinazione intercorrente fra i due contratti[31]. La ricostruzione adottata all’epoca, ad oggi decisamente superata, riteneva di fatto configurabile il collegamento negoziale nelle sole ipotesi di intese restrittive della concorrenza verticali[32]. D’altro canto, già allora vi era chi considerava l’intesa a monte e i contratti stipulati fra le banche e i clienti finali come “parte di un unico grande accordo anticoncorrenziale illecito e quindi direttamente nullo ex art. 85 (ora art. 101 TFUE)”[33].
Va ribadito che gli interpreti avvertivano, ormai da tempo, la necessità di riconoscere che la nullità dell’intesa producesse effetti a cascata sui singoli contratti[34], in quanto altrimenti verrebbe meno l’effettività della sanzione. A tal proposito, la Cassazione, richiamando alcuni precedenti[35], ha chiarito che i destinatari della disciplina volta a reprimere le pratiche anticoncorrenziali non sono soltanto gli imprenditori “ma anche gli altri soggetti del mercato”[36]. I contratti a valle costituiscono lo strumento con cui l’intesa entra sul mercato e sono essenziali per l’effettiva realizzazione dell’effetto limitativo della concorrenza.
Onere della prova e ruolo dell’autorità antitrust
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, ai fini del risarcimento del danno, l’accertamento effettuato dall’autorità garante della concorrenza costituisce “prova privilegiata”[37]. Più precisamente, dal provvedimento dell’autorità garante della concorrenza discenderà non soltanto la prova della condotta anticoncorrenziale[38] e dell’idoneità di questa a cagionare un pregiudizio ai consumatori, ma anche una presunzione che “tale danno sia stato concretamente arrecato ai consumatori”. Di conseguenza, l’impresa dovrà “offrir prova contraria a dimostrazione della interruzione del nesso causale tra l’illecito antitrust e il danno patito tanto dalla generalità dei consumatori quanto dal singolo”[39].
In particolare, per salvare dalla declaratoria di invalidità la fideiussione di cui risulti beneficiaria, la banca convenuta sarà tenuta a dimostrare che
- il contratto di fideiussione applicato nel caso specifico non costituisca applicazione dell’intesa illecita
- ovvero che i modelli utilizzati si discostano da quelli generalmente utilizzati nel mercato di riferimento[40].
È stato osservato che questa impostazione risentirebbe di una eccessiva semplificazione, che porrebbe le sue basi nel considerare il danno subito dalla generalità dei consumatori come una mera somma aritmetica dei danni subiti dai singoli consumatori. Si rischierebbe addirittura di riconoscere l’esistenza di un danno in re ipsa[41]. Peraltro, a livello logico, il provvedimento dell’AGCM che accerta la violazione non comporta necessariamente che un danno si sia effettivamente prodotto.
Nell’ordinanza in epigrafe, la Cassazione attribuisce la natura di prova privilegiata al provvedimento adottato dalla Banca d’Italia in qualità di autorità antitrust[42]. È necessario, però, contestualizzare questa affermazione e mettere in evidenza una specificità della controversia decisa: era fatto pacifico che il testo della fideiussione adottato riproduceva clausole che erano state oggetto del provvedimento dell’autorità antitrust. Fra i primi commentatori della pronuncia, taluni ritengono che, al di fuori di questo caso specifico, l’onere della prova della illiceità del contenuto del contratto graverebbe sull’attore[43], in modo del tutto coerente con la regola generale dell’art. 2697 c.c.
Alla luce della consolidata giurisprudenza e delle più recenti modifiche normative questa affermazione è senz’altro da respingere: le iniziative private che seguono un provvedimento dell’autorità garante della concorrenza beneficiano di una semplificazione dell’onere della prova. A tal fine, il recente D.lgs 3/2017, in attuazione della Direttiva 2014/104 UE, prevede addirittura una piena vincolatività dell’accertamento effettuato in sede amministrativa sull’esistenza dell’intesa, senza alcuna possibilità per l’impresa di darne prova contraria in sede civile. Peraltro, la Cassazione, non ha potuto richiamare tale disciplina, a causa della sua irretroattività.
La Banca d’Italia, subito dopo l’elaborazione degli schemi delle Condizioni generali per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie da parte dell’ABI e delle associazioni dei consumatori, avviò un’istruttoria volta a valutare la legittimità di questi schemi e la loro coerenza con la disciplina antimonopolistica. In particolare, si svolse una fase interlocutoria all’esito della quale l’ABI recepì le indicazioni della Banca d’Italia.
All’esito di una prima valutazione furono segnalate come contrarie alla disciplina antimonopolistica, se adottate in modo uniforme, alcune disposizioni degli schemi predisposti dall’ABI, segnatamente: la clausola di reviviscenza[44], la clausola di sopravvivenza[45] nonché la clausola di rinuncia al termine decadenziale previsto dall’art. 1957 c.c.[46] (di cui agli art. 2, 6 e 8 del testo predisposto dall’ABI e dalle associazioni dei consumatori). Tali clausole, giudicate come contrarie agli articoli 2 e 14 della legge 287 del 1990, furono prontamente eliminate dal modello ABI.
Il procedimento instaurato dalla Banca d’Italia si concluse con un provvedimento[47], che seguiva, a stretto giro, il parere reso dall’AGCM[48]. Quest’ultima sdoganò le restanti clausole previste dai moduli predisposti dall’ABI, mettendo addirittura in evidenza il loro potenziale effetto benefico per la concorrenza: l’esistenza di condizioni contrattuali, perlopiù omogenee, avrebbe permesso di confrontare in modo più semplice e immediato le condizioni economiche offerte. La Banca d’Italia, d’altra parte, precisò che questa uniformità avrebbe dovuto limitarsi alle clausole caratterizzanti il tipo contrattuale e non avrebbe dovuto avere l’effetto di restringere le opportunità accessibili ai clienti.
Di fatto, le Condizioni generali per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie sono, invece, diventate proprio uno strumento di uniformazione finalizzato ad appiattire il mercato e annullare la concorrenza in relazione alla determinazione del disciplinare giuridico del rapporto fra banca e fideiussore.
Astrattamente, non sarebbe da condannare ogni intesa volta a fissare in modo uniforme il contenuto di uno specifico tipo contrattuale. È pienamente condivisibile l’affermazione secondo cui l’utilizzo di moduli uniformi non costituisce di per sé una violazione delle regole sulla concorrenza, anzi potrebbe addirittura rappresentare un’opportunità: contratti con la medesima struttura permettono una più facile comparazione delle condizioni economiche applicate[49]. Anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia sosteneva la tesi per cui non tutte le intese vadano censurate[50].
Va segnalato che l’ABI si è sempre dimostrata collaborativa nel rimuovere prontamente dagli schemi contrattuali le clausole che venivano censurate dalla Banca d’Italia; la stessa collaborazione non è riscontrabile nel comportamento delle singole banche, che continuano a inserire quelle clausole nei contratti da loro stipulati.
Il motivo della non perfetta omogeneità fra le Condizioni generali di contratto predisposte dall’ABI e i moduli previsti da ciascuna banca è riconducibile anzitutto a questa circostanza.
La giurisprudenza, in più occasioni, e da ultimo con l’ordinanza in oggetto, ha contestato all’ABI di non avere dato adeguata pubblicità delle modifiche apportate alle Condizioni generali a seguito delle censure della Banca d’Italia.
Private enforcement e doppio binario di tutela
Sullo sfondo delle questioni affrontate si pone l’eterno dibattito sull’ammissibilità del private enforcement[51] come reazione agli illeciti antitrust. A lungo si è dibattuto in Italia sull’opportunità di fornire al privato un meccanismo sanzionatorio e punitivo (principalmente sotto forma di risarcimento del danno) nei confronti delle imprese che pongono in essere un comportamento anticoncorrenziale.
La materia di cui ci si sta occupando si caratterizza per una difficile convivenza fra private e public enforcement ed in particolare, tradizionalmente si era escluso che il privato potesse far valere alcun diritto per violazione antitrust in mancanza di una precedente pronuncia dell’autorità amministrativa preposta[52]. Siffatte difficoltà possono ormai dirsi superate a fronte del riconoscimento in capo al consumatore di un’azione volta ad ottenere la dichiarazione di nullità del contratto attuativo dell’intesa restrittiva e – in virtù del D.lgs. n. 3/2017, che recepisce la Direttiva 2014/104/UE – il risarcimento del danno subito a causa della violazione di norme sulla concorrenza.
La recente riforma non si spinge, peraltro, a disciplinare strumenti di tutela analoghi a quelli previsti, ad esempio, negli Stati Uniti dove il risarcimento del danno riconosciuto al consumatore leso è pari al triplo del danno patito (treble damages) ed è presente una specifica disciplina dell’azione di classe che incentiva le azioni dei privati. Queste peculiari caratteristiche, presenti nei sistemi nordamericani, rendono gli strumenti di tutela privata molto più attraenti per il cliente finale leso dall’intesa, che spesso, in mancanza di incentivi simili, rinuncerà ad intraprendere un processo civile e sopportarne i costi.
Un punto che la Suprema Corte ha sottolineato in modo particolare è quello della irrilevanza, ai fini della declaratoria di invalidità del contratto, del provvedimento della Banca d’Italia[53]: anche i contratti a valle frutto dell’intesa vietata, stipulati precedentemente all’intervento della Banca d’Italia, sono egualmente nulli. Ciò perché l’elemento qualificante è l’antigiuridicità sostanziale della condotta rilevata[54]. Saranno, invece, salvi quei contratti fideiussori che siano stati stipulati precedentemente alla stessa intesa, anche se il loro contenuto dovesse coincidere esattamente con quello delle Condizioni generali per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie.
Vige un principio di doppio binario[55] fra la giurisdizione civile e le pronunce dell’autorità antitrust: queste sono fra loro del tutto autonome, non alternative ma concorrenti, secondo le regole fissate dall’art. 33 della legge 287 del 1990[56]. Se il principio di piena autonomia della giurisdizione civile dal public enforcement è stato l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza per molto tempo, ad oggi potrebbe essere definitivamente messo in crisi da quanto previsto dalla D.lgs. n. 3/2017, che espressamente prevede la vincolatività[57] del provvedimento dell’autorità antitrust che dichiara anticoncorrenziale un certo comportamento, ai fini della successiva azione di danno civilistica.
Il giudice civile non potrà negare l’esistenza dell’intesa né la sua qualificazione come anticoncorrenziale, ma potrà soltanto intervenire sulla ricostruzione del nesso causale. Ne risulterà un giudice civile non pienamente autonomo, bensì imbrigliato dalla valutazione fatta in sede amministrativa[58]. Di certo, questa disciplina si applicherà ai soli procedimenti follow on e non anche a quelli stand alone, rispetto ai quali manca una precedente valutazione dell’autorità amministrativa. Nulla quaestio, invece, sulla piena legittimità di una sentenza resa dal giudice civile che riconosca una intesa come anticoncorrenziale, anche prima o in mancanza di un provvedimento dell’autorità antitrust.
Rimane da chiarire se la presunzione iuris et de iure di illiceità dell’intesa, conseguente al provvedimento amministrativo, sia applicabile anche alle ipotesi in cui, in sede civile, sia chiesta la dichiarazione di nullità del contratto a valle e non solamente il risarcimento del danno cagionato dall’intesa a monte. Ragionevolmente, non potrà essere messa in discussione la valutazione dell’AGCM sull’esistenza dell’intesa, rimanendo in capo al giudice civile un’ampia discrezionalità nella valutazione sul nesso di causalità sussistente fra l’intesa a monte e il contratto a valle.
A fini di chiarezza, è necessario ricordare che queste osservazioni e, in modo particolare, il principio sostenuto dalla Cassazione con l’ordinanza in commento, secondo cui sarebbero nulli i contratti a valle di un’intesa anticoncorrenziale, hanno un ambito applicativo ben più ampio del solo settore bancario: troveranno, infatti, applicazione in ogni settore sottoposto alla disciplina antitrust.
Conclusioni
In conclusione, bisogna accogliere con grande entusiasmo la pronuncia della Suprema Corte, che ha finalmente recepito un indirizzo già condiviso in dottrina. È certamente significativo che questa ordinanza, particolarmente innovativa, abbia avuto ad oggetto i contratti bancari e specificamente le fideiussioni rilasciate su moduli bancari. In questo settore, più che altrove, si percepisce una certa etero-direzione dell’attività delle banche nella redazione dei regolamenti contrattuali. L’assunzione di una posizione così forte da parte della Cassazione ha sicuramente anche una valenza politica.
Va detto, d’altra parte, che il principio di diritto enunciato, con grande probabilità, non produrrà l’effetto di far cadere tutte le fideiussioni rilasciate a favore del ceto bancario in base a moduli uniformi, come potrebbe apparire ad una prima lettura. Seguendo l’insegnamento di quella dottrina che valorizza la ratio alla base della invalidità, si deve escludere che la nullità dei contratti di fideiussione a valle sia una nullità assoluta. La soluzione più ragionevole consiste nel considerare tale nullità come relativa, lasciando l’iniziativa per il procedimento volto alla dichiarazione di nullità del contratto in capo al solo fideiussore.
Il principio sancito da questa pronuncia avrà grande importanza nella determinazione del testo contrattuale delle fideiussioni rilasciate d’ora in poi e forse permetterà ai fideiussori attuali di rinegoziare talune clausole della garanzia prestata.
Sicuramente più aperto è il dibattito sulla determinazione dell’estensione della nullità. Qualificarla come nullità totale ne renderebbe gli effetti assai più dirompenti e metterebbe in pericolo il regolare funzionamento sistema economico, in quanto farebbe venir meno integralmente la fideiussione e, a cascata, tutti i contratti che hanno tale garanzia come presupposto. È molto intrigante la soluzione secondo cui si dovrebbe considerare la nullità del contratto a valle dell’intesa come una nullità necessariamente parziale[59], mettendo così al riparo il contratto dalle conseguenze di cui all’art. 1419 comma 1 c.c.[60].
Di fatto, nel caso di specie, la Banca d’Italia aveva considerato contrarie alla disciplina a tutela della concorrenza soltanto alcune clausole delle Condizioni generali per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie e, dunque, sarebbe perfettamente coerente con le finalità della disciplina antitrust limitarsi a depurare i contratti – stipulati dalle banche associate con i clienti finali – di tali clausole, “salvando” le altre clausole contrattuali.
[1] ABI, Circolare serie Legale Prot. LG/004231 del 26 settembre 2005. Questo schema contrattuale, erede della tradizione delle Norme bancarie uniformi, è predisposto d’intesa tra l’ABI e le associazioni rappresentative dei consumatori. La versione più recente delle condizioni generali è quella pubblicata nel 2005.
[2] Una soluzione in tal senso era già stata prospettata in dottrina, si veda Ubertazzi, Concorrenza e norme bancarie uniformi, Milano, 1985, 111 ss. Si sottolinea che questa soluzione era stata proposta proprio con riferimento ai contratti bancari, che rappresentano una delle materie in cui l’incidenza delle intese a monte sui consumatori finali è più tangibile. Più recentemente, una isolata pronuncia di merito, Trib. Venezia, 6 giugno 2016, aveva sostenuto la nullità della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. contenuta in una fideiussione bancaria, per violazione della disciplina antitrust.
[3] In passato si escludeva del tutto la possibilità che si potessero produrre effetti sul contratto a valle in seguito alla invalidità dell’intesa. Ex pluribus Trib. Alba 12 gennaio 1995; Cass. Civ., 18 settembre 1995, n. 1181; Cass. Civ., 13 aprile 2000, n. 4801.
[4] Queste osservazioni furono redatte dalla Commissione Europea nell’ambito della controversia che si concluse con la sentenza della Corte di Giustizia 21 gennaio 1999.
[5] Commissione CEE, 23 dicembre 1992, 93/50/CEE, Astra. Astrattamente gli stessi contratti a valle avrebbero assunto rilevanza ai fini della disciplina antimonopolistica solo e soltanto se in questi potevano ravvisarsi gli elementi di concertazione propri dell’intesa.
[6] Il diritto al risarcimento del danno era ormai da anni riconosciuto. Si poneva, però, il problema di individuare la base normativa su cui fondare il diritto a tale risarcimento: le soluzioni che hanno riscosso maggiore favore riconducevano il risarcimento del danno alla responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.), al dolo incidente (art. 1440 c.c.) o alla responsabilità precontrattuale sorgente dall’obbligo di comunicare alla controparte l’esistenza di possibili cause di invalidità del contratto (art. 1338 c.c.).
[7] TAR Lazio, I, 10 marzo 2003, n. 1790, Gemeaz e altri c. AGCM.
[8] Per le finalità antitrust, come consumatore si intende colui che chiude la filiera iniziata con la produzione del bene.
[9] Zorzi, Galgano, Sull’invalidità del contratto a valle di una pratica commerciale scorretta, in Contratto e Impr., 2011, 4, 921.
[10] Un importante arresto giurisprudenziale sul tema è rappresentato dalla pronuncia Cass. Civ., S.U., 4 febbraio 2005, n. 2207.
[11] Come nullità di protezione si intende quella species di invalidità disciplinata all’art. 36 del Codice del Consumo. In tale fattispecie ricorrono congiuntamente le caratteristiche di nullità parziale e con legittimazione relativa. Inoltre, il contratto le cui clausole sono colpite dalla nullità di protezione sfugge al meccanismo di sostituzione automatica di clausole previsto dall’art. 1419 comma 2.
[12] La ragione per cui si dovrebbe qualificare la nullità ricorrente in relazione al contratto a monte e al contratto a valle nel medesimo modo risiede nella circostanza che, secondo l’orientamento maggioritario, la nullità del contratto concluso in esecuzione dell’intesa restrittiva andrebbe ricondotta alla categoria della nullità derivata.
[13] Falcone, Ancora sull’invalidità dei contratti “a valle” per contrasto delle “norme bancarie uniformi” con la disciplina antitrust, in BBTC, 1, 2001, 87.
[14] Soltanto alcune clausole sono frutto dell’intesa vietata. Se si colpissero anche le clausole diverse da quelle che rendono l’intesa vietata, si finirebbe per conferire un’estensione ingiustificata alla nullità che colpisce il contratto a valle. In particolare, con riferimento agli schemi delle Condizioni generali per la fideiussione bancaria, sono state censurate soltanto le clausole degli artt. 2, 6 e 8 (clausola di reviviscenza, clausola di sopravvivenza e clausola di deroga all’art. 1957 c.c.).
[15] Bertolotti, Illegittimità di norme bancarie uniformi (NBU), per contrasto con regole antitrust ed effetti sui contratti a valle: un’ipotesi di soluzione di un problema dibattuto, in Giur. It., 1997, IV, 345 in particolare, l’autore sostiene che la nullità del contratto a valle debba considerarsi relativa e pertanto il giudice non potrà rilevarla ex officio senza violare il principio della domanda. Nello stesso senso Parrella, Disciplina antitrust e disciplina nazionale e comunitaria, nullità sopravvenuta, nullità derivata e nullità virtuale dei contratti a valle, in Dir. Banc., 1996, I, 507.
[16] Nella nullità relativa, solo il titolare della situazione giuridica lesa è legittimato ad esercitare l’azione di nullità. L’art. 1421 c.c. afferma che in mancanza di indicazioni normative diverse, la nullità è assoluta. Pertanto, sarà legittimato a domandarne la dichiarazione chiunque ne abbia interesse e anche il giudice potrà rilevarla officiosamente. Parte della dottrina ritiene che, anche in mancanza di una espressa indicazione normativa, la nullità potrà essere considerata relativa qualora ciò sia dettato dalla ratio di tale invalidità. La disciplina a tutela della concorrenza è funzionale a permettere il migliore funzionamento del mercato, quindi il riconoscere una legittimazione generalizzata che potrebbe mettere in pericolo il normale funzionamento del mercato è contrario alle finalità della disciplina antitrust.
[17] TAR Lazio, I, 10 marzo 2003, n. 1790, Gemeaz e altri c. AGCM.
[18] Ovviamente, nel caso di fideiussione plurisoggettiva ciascun garante sarà legittimato a domandare la dichiarazione di nullità.
[19] La valutazione sulla possibilità di sostituire le clausole invalide è effettuata, caso per caso, dal giudice, in base alla valutazione prognostica, in punto di fatto, se le parti avrebbero ugualmente concluso il contratto anche in mancanza della clausola frutto dell’intesa.
[20] Secondo questo meccanismo, a seguito dell’espunzione della clausola invalida, non potrebbe mai conseguire la caducazione dell’intero contratto come invece previsto dall’art. 1419 c.c.
[21] Sganzerla, Pisciotta, Nullità delle fideiussioni predisposte sullo schema ABI, in Diritto24, 2017.
[22] La segnalazione effettuata a seguito del mancato pagamento del fideiussore al debitore principale sarebbe del tutto ingiustificata, in quanto la dichiarazione di nullità fa venir meno ab origine la fideiussione, come se questa non fosse mai esistita. In forza di ciò, la segnalazione in Centrale dei Rischi non sarebbe giustificata da alcun titolo.
[23] Art. 1186 c.c. “Decadenza del termine”: Quantunque il termine sia stabilito a favore del debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva date o non ha dato le garanzie che aveva promesse.
[24] Passagnoli, Nullità speciali, Milano, 1995, 48 ss.
[25] L’art. 2 della legge 287/1990 prevede espressamente la nullità dell’intesa, ma non fa alcun accenno all’eventuale nullità del contratto concluso a valle dell’intesa. La nullità del contratto stipulato a valle dell’intesa non è prevista espressamente in alcuna fonte normativa. Anche l’art. 101 del Trattato sul Funzionamento UE si limita a sancire la nullità dell’intesa lesiva della concorrenza, senza prevedere espressamente alcuna conseguenza per i contratti stipulati in attuazione dell’intesa.
[26] Lo Surdo, Il diritto della concorrenza tra vecchie e nuove nullità, in BBTC, 2, 2004, 175.
[27] Scalisi, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Europa e dir. priv., 2001, 492. La Cass. Civ., 24 ottobre 1983, n.6239, in Mass. Giur. It., 1983, 1613 affermava che mancando una disciplina generale della nullità per frode della legge, tale fattispecie potrà essere invocata soltanto quando una norma espressamente la preveda.
[28] Tommasini, Invalidità, in Enc. Dir., XXII, Milano, 1972, 593.
[29] In materia di tutela della concorrenza, anche in altri ordinamenti europei è diffuso il concetto di collegamento negoziale. In Germania si parla di atti strumentali all’accordo anticoncorrenziale (Ausführungsvertrage) quando questi sono posti in essere secondo un modello di “concorso esterno” al comportamento anticoncorrenziale. A seguito del riconoscimento del ricorrere del collegamento negoziale, sarà applicabile il principio del simul stabunt simul cadent, secondo il quale, a seguito della declaratoria di invalidità dell’intesa, lo stesso destino sarà riservato anche ai contratti stipulati in esecuzione di questa.
[30] Sacco, De Nova, Il Contratto, in Tratt. Dir. civ., diretto da Sacco, Torino 1993, II, 465. Si escludeva del tutto che in relazione ai contratti stipulati sul modello delle norme bancarie uniformi ricorresse un collegamento negoziale
[31] Ex pluribus Cass. Civ., 18 marzo 1975, n. 1042, in Giur. It., 1976, I, 1, 1190; Cass. Civ., 17 giugno 1961, n. 1423, in Giur. It., 1962, I, 1, 168.
[32] La figura delle intese verticali rimane al centro dell’attenzione della giurisprudenza comunitaria, che recentemente ne ha richiamato i tratti essenziali. Tale tipologia d’intesa ricorre quando patti limitativi della concorrenza vengano conclusi fra imprese poste a diversi livelli della catena distributiva. Ad esempio, un produttore di prodotti cosmetici che conclude accordi con i suoi distributori affinché questi possano vendere solo entro una determinata zona territoriale e in tale zona beneficino di un diritto di esclusiva. Sul punto Pardolesi, Prodotti di lusso, distribuzione selettiva e piattaforme per l’E-commerce (Nota a Corte di giust. 6 dicembre 2017, causa C-230/16), in Foro. It., 2018, IV, 11.
[33] Rossi, Effetti della violazione di norme antitrust sui contratti tra imprese e clienti: un caso relativo alle “norme bancarie uniformi”, in Giur. It., 1996, 10.
[34] Gallo, Il contratto, Giappichelli, Torino, 2017, 890.
[35] Cass. Civ., S.U., 4 febbraio 2005, n. 2207. Nel caso di specie il Supremo Collegio si era pronunciato sulla illiceità delle pratiche anticoncorrenziali in materia di polizze RCA. Tale importante arresto giurisprudenziale ebbe il merito di riconoscere anche in capo al cliente finale la legittimazione ad agire in sede civile per ottenere il risarcimento del danno derivante da illecito antitrust.
[36]Castronovo, Antitrust e abuso di responsabilità civile, in Danno e Responsabilità, 2004, 469 ss.; Libertini, Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust, in Danno e Responsabilità, 2004, 933 ss. La disciplina antitrust tutela non soltanto gli imprenditori, ma ogni operatore del mercato, in quanto ciascuno di questi potrebbe subire pregiudizio da un’intesa restrittiva della concorrenza. La sent. Cass. Civ., S.U., 4 febbraio 2005, n. 2207 affermava che “la legge antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato”.
[37] Era ormai orientamento consolidato nei giudizi risarcitori per violazione delle norme a tutela della concorrenza di fronte al giudice civile quello di considerare l’accertamento dell’autorità antitrust come prova privilegiata. Ex pluribus Cass. Civ., 13 febbraio 2009, n. 3640; Cass. Civ. 20 giugno 2011, n.13486; Cass. Civ., 22 maggio 2013, n. 12551. Alcuni autori, fra cui Frignani, La difesa disarmata nelle cause follow on per danno antitrust- La Cassazione in guerra con sé stessa, in Foro It., 2013, 441 sostengono che la categoria di prova privilegiata mancherebbe di appigli normativi e non potrebbe in alcun modo distinguersi dalla prova legale.
[38] Come si dirà più avanti, il D.lgs. di conversione della Direttiva 2014/104 UE prevede una vera e propria vincolatività del provvedimento dell’autorità antitrust che accerta la violazione anche nel giudizio civile. Perciò tale provvedimento avrà ben più di una “forte attitudine probatoria”.
[39] Cass. Civ., Sez. I, 28 maggio 2014, n. 11904.
[40] Mager, Sono nulle le fideiussioni omnibus conformi allo schema predisposto dall’ABI, in Contratti e garanzie, in Dir. banc., 2017.
[41] Pardolesi, Danno antitrust e (svuotamento dell’) onere probatorio a carico del consumatore, in Foro It., 2014, I, 1735.
[42] Dal 1990 fino alla approvazione della legge 262 del 2005 gli intermediari bancari furono sottoposti alle norme della legge a tutela della concorrenza, ma il ruolo di autorità garante fu attribuito alla Banca d’Italia. Successivamente, l’AGCM esercitò tali funzioni.
[43] Morgante, Nullità del contratto da condotta anticoncorrenziale: è tutto nullo (e fonti di obblighi risarcitori) ciò che è anticoncorrenziale?, in Diritto24, 2018.
[44]In forza della clausola di reviviscenza, originariamente prevista all’art. 2 delle Condizioni generali per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie, il fideiussore è tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”.
[45] L’art. 8 delle Condizioni generali per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie disciplina la clausola di sopravvivenza, secondo la quale garanzia è insensibile agli eventuali vizi dell’obbligazione principale, affermando che “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.
[46] L’art. 6 delle Condizioni generali per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie, in una prima formulazione prevedeva che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato”. Problema diverso, che si pone al di fuori del diritto della concorrenza, e ampiamente approfondito nel Capitolo II è relativo alla legittimità della deroga ai termini previsti dall’art. 1957 c.c., anche in una prospettiva di singolo rapporto contrattuale.
[47] Provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 “ABI – Condizioni generali di contratto per la Fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”.
[48] Provvedimento AGCM, n. 14251, 20 aprile 2005.
[49] Tale ragionamento sottende la stessa ratio che è alla base della previsione di cui al comma 8 dell’art. 117 TUB.
[50] CGUE, 11 settembre 2014, causa C-67/13 P, Groupement des cartes bancaires ha sostenuto che “nel caso in cui l’analisi di un tipo di coordinamento tra imprese non presenti un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, occorrerà, per contro, esaminarne gli effetti e, per vietarlo, dovranno sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo significativo”.
[51] Palmieri, Pardolesi, L’antitrust per il benessere (e il risarcimento del danno) dei consumatori, in Foro it., 2005, 1, 1015. In passato la Cassazione aveva escluso che il private enforcement fosse possibile in materia di concorrenza Cass. Civ., 9 dicembre 2002, n. 17475, in Foro It., 2003, I, 1121.
[52] Si è soliti distinguere le azioni del privato in due diverse categorie: stand alone e follow on, a seconda che tali azioni siano precedute o meno da una pronuncia dell’autorità antitrust.
[53] Il provv. n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia ha censurato gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI nel 2003. La Banca d’Italia, operando come Autorità indipendente, in vigilanza della disciplina antitrust, pone prescrizioni direttamente indirizzate alla sola Associazione delle banche e non ai singoli associati.
[54] Una storica pronuncia della Suprema Corte, Cass. Civ., 1 febbraio 1999, n. 827 aveva riconosciuto come contra legem anche le intese precedenti all’entrata in vigore della legge antitrust, purché fossero ancora produttive di effetti dopo l’introduzione della disciplina a tutela della concorrenza.
[55] La tesi della complementarità fra giurisdizione civile e decisioni dell’autorità antitrust è sostenuta dalla maggior parte degli interpreti. Fra questi Chieppa, Il potenziamento del public enforcement e la sua complementarità rispetto all’azione dell’Autorità antitrust, in Giust. Civ., 2014; Marquis, Perchance to dream: well integrated public and private antitrust enforcement in the European Union, in Integrating public and private enforcement of Competition Law- Implications for courts and agencies, Oxford, 2014; Casoria, Pardolesi, Disciplina della concorrenza, private enforcement e attivismo giudiziale: dopo la dottrina, il diritto delle corti?, in Foro It., 2015, I, 2752.
[56] Va segnalato che, a seguito della modifica normativa intervenuta nel 2010, la cognizione sulle questioni attinenti alla anti-concorrenzialità delle intese, in sede civile, è attribuita al Tribunale delle Imprese e non più alla Corte d’Appello. Ciò garantisce, anche in questa materia, tre gradi di giudizio. La controversia trattata nella pronuncia in epigrafe, fu conosciuta in primo grado dalla Corte d’Appello, in quanto proposta prima dell’entrata in vigore della riforma.
La sentenza Cass. Civ., Sez. I, 28 ottobre 2005, n. 21081 aveva affermato l’innovativo principio secondo cui “legittimazione attiva all’esercizio dell’azione prevista dall’art. 33 [andava riconosciuta] non solo agli imprenditori ma anche agli altri soggetti del mercato che abbiano interesse alla conservazione del suo carattere competitivo, e quindi, anche al consumatore finale che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per effetto di una collusione fra imprenditori del settore”.
[57] La vincolatività del provvedimento di public enforcement è prevista anche negli Stati Uniti, in forza della regola dell’offensive collateral estoppel.
[58] Villa, L’attuazione della Direttiva sul risarcimento del danno per violazione delle norme sulla concorrenza, in Corriere Giur., 2017, 4, 441.
[59] Non vi sono particolari controindicazioni nel considerare la nullità del contratto a valle come una nullità necessariamente parziale. Va però segnalato che manca del tutto una fonte normativa a supporto di questa qualificazione. La valutazione sull’essenzialità della clausola invalida ai fini dell’esistenza del contratto è una valutazione di fatto attribuita al giudice.
[60] A seguito della nullità parziale è previsto un meccanismo di sostituzione di clausole mediante inserzione automatica. Qualora ciò non sia possibile, il contratto sarà integralmente travolto, ai sensi dell’art 1419 comma 1.