Clausole anticoncorrenziali e nullità derivata dei contratti di fideiussione omnibus (Sezioni Unite)

in Giuricivile, 2022, 2 (ISSN 2532-201X)

La controversia, la cui risoluzione ha richiesto una pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, trae origine da un contratto di finanziamento, sotto forma di mutuo, stipulato tra una banca e una società, per la cui esecuzione, la prima chiedeva il rilascio di due fideiussioni.

In seguito alla risoluzione del contratto di mutuo, il fideiussore, nonché socio della parte finanziata, si opponeva alla corresponsione della somma domandata dall’istituto di credito, sostenendo che la validità della garanzia fosse inficiata dall’applicazione generalizzata dello schema giuridico adottato dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana), contenente alcune clausole dichiarate nulle dall’Autorità per la concorrenza e il mercato, in quanto contrastanti con l’art. 2, comma 2, della legge n. 287 del 1990

La richiesta della banca, accolta dal Tribunale adito con decreto ingiuntivo, è stata nuovamente disattesa dal fideiussore, il quale aveva, a sua volta, citato il creditore in dinanzi alla Corte d’Appello, quale giudice di unico grado competente, ex art. 33, l. n. 287/1990, proponendo al contempo opposizione al suddetto decreto, nei termini prescritti.

La Corte d’Appello accoglieva la domanda dell’attore, dichiarando la nullità integrale dei contratti di fideiussione e condannando la parte soccombente al risarcimento del danno non patrimoniale. Di conseguenza la banca, incaricando a tale scopo un suo procuratore, promuoveva ricorso in Cassazione.

Nel corso del giudizio sono emersi dubbi in ordine all’estensione della nullità delle clausole invalide nei confronti dei contratti di fideiussione stipulati a valle, nonché circa i rimedi esperibili dal fideiussore.

Pertanto, la Sezione incaricata alla trattazione del ricorso, ha ritenuto opportuno interpellare le Sezioni Unite, le quali, nel pervenire alla formulazione del principio di diritto, sono partite dall’analisi della natura delle suddette clausole, per poi soffermarsi sulla portata della violazione della normativa antitrust e perciò sull’efficacia caducatoria, totale o parziale, del contratto con cui sono state rilasciate le già menzionate fideiussioni.

Le clausole anticoncorrenziali

Con provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005, adottato previa consultazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, è stato sancito che, nella misura in cui vengono applicate in modo uniforme, le disposizioni contenute negli artt. 2, 6, 8 dello schema proposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (c.d. fideiussione omnibus), sono da considerarsi in contrasto con l’art. 2, comma 2, lett. a) della Legge n. 287 del 1990.

Oggetto di censura sono state, in particolare:

  • a) la “clausola di reviviscenza”, secondo cui “il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo” (art. 2);
  • b) la “clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 cod. civ.”, in virtù della quale “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i termini previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato” (art. 6);
  • c) la “clausola di sopravvivenza”, in forza della quale “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate” (art. 8).

La violazione della normativa a tutela della concorrenza è stata ravvisata nell’aggravio economico indiretto che deriva dall’applicazione delle clausole de quibus, in quanto comporterebbe una maggiore difficoltà nell’accesso al credito.

Inoltre, è stato rilevato che, in ipotesi di fideiussione a pagamento, si accrescerebbe il costo complessivo del finanziamento per il debitore, il quale dovrebbe anche remunerare il maggior rischio assunto dal fideiussore.

Secondo l’Autorità garante, le condizioni generali di contratto comunicate dall’ABI rispetto alla fideiussione, a garanzia delle operazioni bancarie, rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 2, comma 1, della legge più volte citata.

Invero, le disposizioni in oggetto sono state deliberate da un’associazione di imprese, configurandosi la fattispecie conforme a quella astrattamente prevista dalla norma surrichiamata, alla lettera della quale: sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni saltuarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari”.

Come ha sottolineato la Corte, le conclusioni a cui è pervenuta l’Authority, sono coerenti con la normativa ordinaria, costituzionale ed europea.

All’art. 41, comma 2, Cost., è disposto che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in guisa da comportare un danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

Il legislatore europeo ha inteso specificamente bilanciare il libero svolgimento attività economica privata, con la tutela del mercato concorrenziale, come indicato all’art. 101 TFUE: “sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno”.

Sempre ai sensi della stessa norma, sono da intendersi nulli di pieno diritto gli accordi o le decisioni vietati.

Nell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 si parla di nullità delle “intese” fra imprese che abbiano ad oggetto o per effetto l’impedimento, la restrizione o la falsificazione, in modo consistente, del gioco concorrenziale.

Le Sezioni Unite citando una sentenza della Cassazione del 1999, ribadiscono la volontà del legislatore di proibire il fatto della distorsione della concorrenza, quale conseguenza di un perseguito obiettivo di coordinare, nella direzione di un comune interesse, le attività economiche.

Non necessariamente tale comportamento deve essere attuato tramite un contratto, bensì potrebbe rilevare una qualsiasi condotta di mercato che coinvolga la partecipazione di almeno due imprese, come altrettanto situazioni tipo in cui il meccanismo di intesa rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente unilaterali[1].

Nel caso di specie, le clausole dichiarate invalide sono state formulate da un’associazione rappresentativa di più imprese (l’ABI), le quali hanno, mediante intesa, adottato uno schema giuridico parzialmente nullo e la cui uniforme applicazione, incide sulle sorti del contratto di fideiussione.

L’invalidità derivata del contratto di fideiussione

La nullità derivata del contratto di fideiussione a valle è un tema su cui la dottrina e la giurisprudenza si sono espresse in modo non univoco.

Rispetto a tale questione si distinguono due principali filoni interpretativi: uno che propende per la nullità integrale del contratto a valle e un altro, invece, per la nullità parziale.

La tesi estensiva della nullità delle clausole anticoncorrenziali

Secondo una prima impostazione teorica, la nullità delle intese anticoncorrenziali di cui agli art. 2, 6 e 8, dello schema adottato dall’ABI, comporta l’integrale nullità delle fideiussioni, a causa del rapporto strumentale intercorrente tra la garanzia in oggetto e l’intesa originaria.

Invero, si tratterebbe di una fattispecie di collegamento funzionale, id est un’unica operazione economica alla cui realizzazione concorrono i due schemi negoziali in esame. Dovrà pertanto applicarsi il principio simul stabunt, simul cadent. Come affermato dalle Sezioni Unite: “i due accordi sarebbero, in altri termini, parte di una pratica “complessivamente illecita”, sicché la nullità prevista per l’intesa si trasmetterebbe tout court anche ai contratti che a questa danno attuazione”[2].

Tenuto conto che l’attuazione della fideiussione, con l’applicazione delle disposizioni derogative censurate, comporterebbe la produzione di un effetto distorsivo della concorrenza, secondo alcuni autori vi sarebbe un difetto nella causa della stessa garanzia.

In particolare, si tratterebbe di un caso di illiceità della causa, vista la contrarietà a norme imperative, risolvendosi perciò la questione con l’applicazione dell’art. 1418 cod. civ.

A quest’ultima norma fa riferimento anche una terza corrente di pensiero, che tuttavia preferisce enfatizzare l’illiceità dell’oggetto, invocando dunque l’art. 1346 cod. civ.

In fine, secondo una diversa linea di pensiero una linea pensiero,  la nullità, riguardante il caso di specie,  sarebbe virtuale, in quanto derivante dalla violazione diretta di norme imperative anticoncorrenziali.

Si sostiene, al riguardo, che le previsioni di cui agli artt. 1941, 1939, 1957 cod. civ., sarebbero derogabili singolarmente, ma qualora venissero derogate in modo cumulativo, si rivelerebbero foriere di un effetto distorsivo della competizione di mercato, collidendo con la norma imperativa di cui all’art. 2, comma 2, lett. a).

In tutte ipotesi descritte si parlerebbe, comunque, di nullità assoluta estesa ai contratti di fideiussione.

La tesi della nullità parziale

Le Sezioni Unite, dopo aver elencato le varie teorie che sostengono la tesi della nullità integrale dei contratti a valle, ricordano che nel sistema del codice civile la regola generale è la conservazione del contratto.

Ai sensi dell’art. 1419 cod. civ., “la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”. È altresì disposto al comma 2 che: “la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”.

Similmente, all’art. 1424 cod. civ., è prevista la conversione del contratto nullo, come altresì è previsto all’art. 1339 cod. civ., che, pur di scongiurare la caducazione dell’intero contratto, le pattuizioni difformi dalle clausole stabilite in modo cogente dal legislatore, vengono automaticamente sostituite dalle seconde.

Una delle maggiori estrinsecazioni del principio de quo, è poi contenuta nell’art. 1367 cod. civ., a mente del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.

Il giudice sarà tenuto, pertanto, nell’applicazione dei criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 cod. civ., a valutare se, dall’accordo sottoscritto dalle parti, emerga la volontà delle stesse di restare vincolati alle obbligazioni assunte, mentre, di converso, non potrà d’ufficio estendere la nullità del contratto a monte all’accordo a valle.

Come affermato in una sentenza della Cassazione, citata dalle Sezioni Unite, in considerazione del principio utile per inutile non vitiatur, l’efficacia caducatoria dell’intero contratto sarà conseguibile “solo ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità”[3].

La risposta delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, nel fornire una soluzione alle questioni ad essa sottoposte, hanno accolto la seconda delle tesi proposte.

E’ stato sottolineato che, malgrado l’applicazione delle clausole nulle e oggetto di censura abbia comportato, in capo al fideiussore, un eccessivo aggravamento dei propri obblighi, a fronte dell’assenza di un corrispondente diritto, lo stesso avrebbe in ogni caso prestato la garanzia, al fine di far ottenere alla società il finanziamento erogato dalla banca.

Pertanto, salva la rigorosa allegazione e prova del contrario, la nullità dell’intesa non potrà che determinare, per la corte suprema, la nullità del contratto di fideiussione a valle, ma limitatamente alle clausole costituenti pedissequa applicazione delle predette disposizioni censurate.

A supporto di dette considerazioni, i giudici si sono altresì soffermati sulla natura giuridica della nullità contrattuale.

Essi hanno ricordato come la previsione del rimedio caducatorio in esame, sia stata dal legislatore concepita per la salvaguardia di interessi sovraindividuali, quali ad esempio la concorrenza e l’accessibilità al mercato, o talvolta di soggetti specifici, sempre in funzione, tuttavia, di un corretto attuarsi dei traffici commerciali, come nel caso della protezione del contraente debole.

Coerentemente con questa affermazione, al fine di preservare un altro valore ultra-individuale, quale il libero svolgimento dell’iniziativa economica privata, l’ambito applicativo della nullità dovrà essere limitato, laddove si rinvengano i presupposti indicati dal legislatore per la conservazione del contratto.

Alla qualificazione del vizio in questione, come nullità parziale, consegue l’imprescrittibilità dell’azione, nonché la proponibilità dell’azione dell’indebito ex art. 2033 cod. civ., ricorrendone i relativi presupposti, nonché della domanda per il risarcimento dei danni subiti. Rispetto a quest’ultimo strumento, la giurisprudenza in analisi ha svolto ulteriori considerazioni.

Oltre la tutela reale

Le Sezioni Unite si sono domandate, se, nel caso di specie, oltre alla tutela reale si possa invocare una tutela risarcitoria, ex artt. 2043 cod. civ. e 33 legge n. 287/1990, per i danni cagionati dall’applicazione uniforme delle clausole ut supra descritte e deliberate dall’ABI.

Per un orientamento, ritenuto dalla corte non accoglibile, il rimedio dovrebbe essere esclusivamente quello risarcitorio, in quanto, nel rapporto tra l’intesa originaria e la fideiussione a valle, mancherebbe una vera libertà di autodeterminazione a contrarre in capo al contraente-cliente della banca. Ciò “a fronte della predisposizione di un modello contrattuale che non gli consente possibilità alternative, neppure rivolgendosi ad altri imprenditori bancari, stante il generalizzato recepimento dello schema ABI[4], si legge nella sentenza in commento.

In accordo a questa impostazione teorica, il modello di tutela si rinverrebbe nell’art. 1440 cod. civ. (dolo incidente), tramite il quale è possibile reagire a comportamenti in mala fede del contraente forte, il quale faccia abuso della propria posizione in presenza di un’anomalia di mercato, e che egli stesso abbia concorso a ingenerare e perpetuare.

Se il rimedio risarcitorio non può ritenersi, da solo, idoneo a realizzare gli obiettivi della normativa antitrust, esso costituirà senz’altro uno strumento utile a garantire l’efficacia della disciplina menzionata, come enunciato dalle Sezioni Unite, riportando un passaggio della direttiva enfocerment n. 104/2014/UE, in cui si legge quanto segue: “a norma del principio di efficacia, gli stati membri provvedono affinché tutte le norme e le procedure nazionali relative all’esercizio del diritto di chiedere il risarcimento del danno siano concepite e applicate in modo da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto, conferito dall’Unione, al pieno risarcimento per il danno causato da una violazione del diritto alla concorrenza”.

L’azione de qua è altresì contemplata dal legislatore nazionale, nell’art. 33, legge n. 287 del 1990, congiuntamente alla tutela reale.

Si denota pertanto il fine di garantire la non applicabilità di clausole contrastanti con le norme imperative e l’ordine pubblico economico, come puntualizzato dalle Sezioni Unite, assicurando al contempo alla parte lesa dal comportamento anticoncorrenziale della banca, la possibilità di ottenere, in primis, la restituzione di quanto eventualmente ed indebitamente corrisposto, nonché una riparazione del danno subito, purché di quest’ultimo sia offerta la prova.

Il principio di diritto

In virtù di quanto esposto, in data 23/11/2021, le Sezioni Unite sono pervenute alla formulazione del principio di diritto: “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”[5].


[1] Cass. Civ., 01/02/1999, n. 827

[2] Cass., Sez. Un. 23/11/2021 n. 41994

[3] Cass. Civ. 05/02/2016, n. 2314

[4] Cass. Civ. Sez. Un.  n. 41994/2021

[5] Idem

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