Newsletter promozionali e consenso dell’interessato: i limiti del trattamento dati ai fini commerciali

Tramite l’ordinanza n. 15881/2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), la II Sezione Civile della Corte di Cassazione affronta nuovamente il delicato equilibrio tra attività promozionali online e trattamento lecito dei dati personali. Focus della controversia, l’invio di newsletter a opera di una company operante quale aggregatore di offerte senza aver raccolto il consenso espresso degli utenti. La Suprema Corte conferma la necessità del consenso in tali ipotesi, specificando i confini operativi delle deroghe contemplate dal Codice Privacy e dell’ermeneutica restrittiva dell’art. 130 del d.lgs. n. 196/2003. Per un approfondimento su questi temi, ti segnaliamo il volume “Investigazioni e prove digitali – Blockchain e Crypto Asset”, disponibile sia su Shop Maggioli che su Amazon

Investigazioni e prove digitali

Investigazioni e prove digitali

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MARCO STELLA
Docente presso l’Accademia e la Scuola di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza nelle materie di Informatica, Open Source intelligence e investigazioni online. Autore di numerose pubblicazioni e relatore in convegni sui temi della Social Network Analysis, della Blockchain Intelligence e delle applicazioni di Intelligenza Artificiale.

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La vicenda

La fattispecie posta sotto la lente dei giudici romani origina da una ordinanza-ingiunzione emessa dal Garante per la protezione dei dati personali nel 2016, tramite la quale era stata irrogata la sanzione di € 10.000 a una società per l’invio di comunicazioni promozionali via email senza aver ottenuto il previo consenso degli interessati. Il trattamento illecito, secondo il pronunciamento, era avvenuto mediante l’invio di newsletter commerciali, così violando il disposto di cui all’art. 23 del Codice Privacy.

La società, per l’effetto, aveva impugnato il provvedimento dinanzi al Tribunale, che nel 2019, tuttavia, rigettava l’opposizione. La questione è giunta dunque sui banchi della Cassazione, dove la compagnia ha lamentato due motivi: da un lato la violazione di legge in ordine alla necessità del consenso (artt. 23, 24 e 130 del Codice), dall’altro l’omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione del regime di particolare tenuità del fatto ex art. 164-bis del Codice della privacy.

Il consenso

La Corte chiarisce con precisione i limiti legali al trattamento dei dati personali per finalità commerciali. L’art. 130 del d.lgs. n. 196/2003, che recepisce la direttiva e-privacy 2002/58/CE, impone il principio dell’opt-in: per inviare comunicazioni promozionali serve il consenso esplicito dell’interessato, salvo specifiche eccezioni.

Una di queste è prevista dal comma 4 dello stesso articolo, noto come soft spam. La norma consente di inviare email promozionali senza nuovo consenso, ma solo per prodotti o servizi analoghi a quelli già acquistati. È necessario che l’indirizzo email provenga da un contesto di vendita e che l’utente sia informato della possibilità di opporsi in qualsiasi momento.

Secondo la giurisprudenza, questa eccezione si applica solo in presenza di un rapporto contrattuale a titolo oneroso. Nel caso esaminato, la Corte ha escluso tale rapporto. La società non vendeva direttamente beni o servizi, ma si limitava a raccogliere offerte di terzi. Funzionava come un aggregatore, non come un e-commerce.

Contratto, newsletter e consenso

La società ricorrente aveva sostenuto che il rapporto con gli utenti registrati dovesse considerarsi di indole contrattuale, in considerazione della circostanza che questi ultimi, accettando di ricevere la newsletter, mettevano a disposizione un bene economicamente valutabile, cioè l’indirizzo email, ricevendo quale contropartita un servizio informativo. In subordine, aveva evocato l’applicazione dell’art. 1333 c.c., in ambito di contratto con obbligazioni del solo proponente.

Il collegio romano, tuttavia, declina ambedue le letture, valorizzando il giudizio di fatto del Tribunale capitolino, ossia che il servizio di newsletter fornito dalla società non risulta assimilabile a un contratto di compravendita, e neppure a un rapporto obbligatorio in senso stretto. In assenza di un vincolo giuridico qualificabile quale contratto a titolo oneroso, non può operare la deroga al consenso prevista dal Codice Privacy.

Il vizio di omessa pronuncia sul trattamento sanzionatorio

In merito al secondo motivo interposto dalla ricorrente, la Cassazione ne ha condiviso l’impostazione. Più precisamente è stato rilevato che il Tribunale, pur avendo menzionato l’istanza subordinata di applicazione dell’art. 164-bis comma 1 (riduzione della sanzione in caso di particolare tenuità), non si è pronunciato sul punto. La sentenza, per l’effetto, è stata cassata in parte qua, con rinvio al Tribunale di Roma per una nuova valutazione sulla misura della sanzione, tenuto conto dell’indole eventualmente lieve della violazione.

Il monito

L’ordinanza in disamina rappresenta un’ulteriore conferma del rigore con cui la giurisprudenza si orienta nelle disposizioni in materia di privacy, in particolare sull’ambito del consenso per le comunicazioni commerciali. La Corte di Cassazione ribadisce che ogni forma di profilazione o invio promozionale deve essere preceduta da un consenso specifico, informato e documentato, con rare eccezioni da interpretarsi in modo restrittivo. Un monito, dunque, per le imprese digitali, chiamate a costruire le proprie strategie di marketing nel rispetto pieno delle norme sul trattamento dei dati.

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