Con la recente sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione hanno affrontato il delicato tema della trascrizione nei registri dello Stato Civile italiano del provvedimento del giudice straniero che accerta il rapporto di filiazione di un minore nato all’estero da maternità surrogata, chiarendo definitivamente se nel nostro ordinamento possa considerarsi una pratica consentita o vietata.
Il caso in esame
Nel caso di specie i ricorrenti, uniti in matrimonio contratto in Canada e produttivo di effetti nell’ordinamento italiano ai sensi della legge 76/2016, presentavano alla Corte d’Appello di Trento la richiesta di riconoscimento dell’efficacia, nell’ordinamento interno, del provvedimento emesso dalla Superior Court of Justice dell’Ontario (Canada), con cui era stata accertata la genitorialità di uno di essi nei confronti di due minori. Questi ultimi, infatti, erano stati generati mediante surrogazione di maternità eterologa, a seguito dell’intervento di una prima donna donatrice di ovociti e di una seconda disposta a portare a termine la gravidanza.
Successivamente i ricorrenti presentavano all’Ufficiale di Stato Civile italiano il predetto provvedimento giudiziale canadese. In particolare, domandavano che venisse riconosciuta la co-genitorialità di uno dei due ricorrenti e che venisse ordinata la trascrizione dell’atto di nascita da parte dell’Ufficiale di Stato Civile. A seguito del rifiuto di quest’ultimo, che riteneva la richiesta contraria all’ordine pubblico in quanto mancante del requisito del diverso genere dei genitori richiesto dalla normativa vigente, la coppia depositava presso la Corte d’Appello di Trento ricorso ex artt. 702-bis c.p.c. e 67 legge 218 n.1995, al fine di veder accolte le proprie pretese.
La Corte d’Appello di Trento, con ordinanza del 23 febbraio 2017, accoglieva la domanda, disattendendo le eccezioni sollevate dal Procuratore Generale della Repubblica e dal Ministro dell’Interno, i quali chiedevano il rigetto della stessa per contrarietà all’ordine pubblico del provvedimento del Giudice canadese e per la mancanza di relazione biologica tra un ricorrente e i minori. In primo luogo, la Corte di merito affermava che fosse escluso il contrasto con l’ordine pubblico, dovendosi, infatti, il giudice limitare a valutare il possibile contrasto dell’atto straniero con l’esigenza di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. In secondo luogo, ha ritenuto doversi attribuire rilievo, nella fattispecie in esame, alla tutela del prevalente interesse dei minori, ai quali verrebbe cagionato un pregiudizio nell’ipotesi in cui non fosse loro riconosciuto il legame familiare con entrambi i ricorrenti.
Avverso alla predetta ordinanza proponevano ricorso per cassazione il Pubblico Ministero, il Ministero dell’Interno e il Sindaco di Trento, quest’ultimo in qualità di Ufficiale di Governo.
La surrogazione di maternità in Italia
Come noto, l’art. 12, comma 6°, della legge n. 40/2004, punisce con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”.
La normativa italiana si limita pertanto a prevedere la sanzione di tale pratica, senza darne una definizione. Tale lacuna è stata, tuttavia, colmata da un’autorevole dottrina, che ha definito la maternità surrogata come la pratica tramite la quale una donna mette a disposizione l’utero per ricevere un ovocita fecondato da altri, oppure mette a disposizione, oltre all’utero, anche un proprio ovocita impegnandosi, in entrambi i casi, a cedere il bambino immediatamente dopo il parto[1].
Secondo tale definizione non sarebbe, quindi, possibile definire la surrogazione di maternità quale fenomeno unitario, in quanto si devono necessariamente distinguere due figure: la “surrogazione omologa”, nel caso in cui la madre gestazionale ospiti l’embrione formato da gameti provenienti dai genitori committenti, e la “surrogazione eterologa”, che si verifica qualora si faccia ricorso alla donazione di ovociti ed alla gestazione nell’interesse della coppia committente. Alla luce di quanto affermatosi può sostenere che, in quest’ultimo caso, da non confondere con al fecondazione eterologa, oggi ammessa dall’ordinamento giuridico italiano, vi è la combinazione di tre forme di genitorialità: il genitore genetico, il genitore sociale e la madre gestazionale.
In tutti i casi di surrogazione di maternità, e tanto più nell’ultimo caso descritto che risulta il più complesso è necessario, individuare, fra i soggetti che contribuiscono con il loro patrimonio genetico e sociale alla nascita del minore, chi possa essere considerato dalla legge italiana il genitore esercente la relativa responsabilità sullo stesso. In linea generale si può affermare che il legame tra le suddette figure e il nascituro può essere differentemente valorizzato a seconda della concezione di maternità che si intende prediligere.
Un ulteriore ostacolo incontrato dalla giurisprudenza italiana sul punto in questione è il potenziale contrasto che può insorgere tra la pratica di surrogazione di maternità e l’ordine pubblico, qualora tale pratica sia stata effettuata all’estero e si voglia riconoscere la genitorialità dei committenti in Italia. In una recente pronuncia la Corte di Cassazione ha affermato che l’ordine pubblico internazionale “è il limite che l’ordinamento nazionale pone all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri, protezione della sua coerenza interna; dunque non può ridursi ai soli valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e irrinunciabili”[2]. L’impostazione prevalente seguita dalla Corte di Cassazione, accolta anche dalla pronuncia in esame, è la configurabilità del divieto di maternità surrogata – anche in considerazione della rilevanza penale della stessa – quale principio internazionale, in quanto posto a presidio della dignità umana della gestante e in conflitto con la scelta legislativa di consentire la realizzazione di un progetto di genitorialità solo attraverso l’adozione, istituto regolato nell’interesse prevalente del minore e non dal mero accordo fra le parti.
L’iter argomentativo delle Sezioni Unite e i principi di diritto
In primo luogo, le Sezioni Unite hanno risolto due questioni di carattere processuale, dichiarando l’ammissibilità dei ricorsi proposti dal Sindaco e dal Ministero dell’Interno e l’inammissibilità del ricorso del Pubblico Ministero.
«Il rifiuto di procedere alla trascrizione nei registri dello stato civile di un provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero ed un cittadino italiano, se non determinato da vizi formali, dà luogo ad una controversia di stato, da risolversi mediante il procedimento disciplinato dall’art. 67 della legge n.218 del 1995, in contraddittorio con il Sindaco, in qualità di ufficiale dello stato civile, ed eventualmente con il Ministero dell’Interno, legittimato a spiegare intervento nel giudizio, in qualità di titolare della competenza in materia di tenuta dei registri dello stato civile, nonché ad impugnare la relativa decisione».
«Nel giudizio avente ad oggetto il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero ed un cittadino italiano, il Pubblico Ministero riveste la qualità di litisconsorte necessario, ai sensi dello art. 70, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., ma è privo della legittimazione ad impugnare la relativa decisione, non essendo titolare del potere di azione, neppure ai fini dell’osservanza delle leggi di ordine pubblico».
Da un punto di vista sostanziale, poi, la Corte di Cassazione ha inteso ripercorrere gli approdi giurisprudenziali più recenti attinenti alla nozione di ordine pubblico.
Le Sezioni Unite smentiscono, anzitutto, le argomentazioni della Corte di merito, secondo la quale il divieto posto dalla legge n. 40/2004 non preclude il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione tra i minori generati attraverso la surrogazione di maternità ed il genitore intenzionale, trattandosi di disposizioni che non costituiscono espressione di principi vincolanti per il legislatore ordinario, ma dell’ampio margine di apprezzamento di cui quest’ultimo gode nella regolamentazione di una materia in ordine alla quale non vi è consenso a livello europeo, per i delicati interrogativi di ordine etico che la stessa suscita. La Corte di merito, inoltre, afferma che l’ordinamento italiano non prevede un modello di genitorialità fondato esclusivamente sul legame biologico tra genitore e nascituro, e che bisogna quindi conferire rilievo non solo all’interesse superiore del minore, individuato nel diritto a conservare lo status filiationis riconosciuto da un atto validamente formato all’estero, ma anche alla decisione consapevole di accudirli ed allevarli nell’ambito di un progetto familiare avviato da due persone.
L’iter argomentativo della Suprema Corte prende avvio con la considerazione che la contrarietà dell’atto estero all’ordine pubblico internazionale deve essere valutata alla stregua non solo dei principi della nostra Costituzione, ma anche, di quelli sanciti nella Dichiarazione ONU dei Diritti dell’Uomo, nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nei Trattati Fondativi e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché, tenendo conto della Dichiarazione ONU dei diritti del Fanciullo, della Convenzione ONU dei Diritti del Fanciullo e della Convenzione Europea di Strasburgo sui diritti processuali del minore.
Da tali premesse si comprende l’apertura a cui si è assistito negli ultimi anni da parte del nostro ordinamento nei confronti dei principi del diritto sovranazionale, grazie a cui si è giunti a una interpretazione estensiva del concetto di ordine pubblico, caratterizzato da un sempre più marcato riferimento ai valori giuridici condivisi dalla comunità internazionale e alla tutela dei diritti dell’uomo. Questi ultimi, pertanto, devono essere individuati, in primo luogo, nella nostra Costituzione e, successivamente, in quelle regole che pur non trovando in essa collocazione, rispondono a un’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo. A sostegno di tale tesi, la Corte di Cassazione richiama una recente sentenza sul punto, che afferma la necessaria compatibilità e l’indispensabile confronto dell’ordinamento nazionale con i principi statuiti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[3].
Le predette statuizioni non sono state adeguatamente prese in considerazione dall’ordinanza impugnata, che si è limitata al richiamo di alcuni principi di diritto affermati precedentemente dal giudice di legittimità, senza tuttavia considerare la particolarità della fattispecie in esame. La Corte, richiamando la sentenza della Cass., Sez, I, 11/11/2014, n. 24001, ha ritenuto pacifica l’applicabilità del divieto della surrogazione di maternità risultante dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, osservando che tale disposizione è indubbiamente di ordine pubblico, come suggerisce già la previsione della sanzione penale, posta, di regola, a presidio di beni fondamentali. Ha inoltre precisato che “vengono qui in rilievo la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto, perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato”.
Infine, le Sezioni Unite hanno escluso che tale divieto si ponga in contrasto con l’interesse superiore del minore (cd. best interest of the child principle), tutelato, tra gli altri, dall’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, ritenendolo espressione di una scelta non irragionevole, compiuta dal legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità, e volta a far sì “che tale interesse si realizzi proprio attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando […] all’istituto dell’adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo delle parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico”[4].
«In tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico».
«Il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983».
[1] Losappio, Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di procreazione assistita, commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di Palazzo e Paliero, Cedam, 2007, sub art. 12, 2062
[2] Cass. Sez. I civ. n. 24001/2014
[3] Cass., Sez. I, 30/09/2016, n. 19599
[4] Cass., Sez, I, 11/11/2014, n. 24001