In materia di appalti pubblici, la Stazione appaltante suddivide la prestazione richiesta al contraente privato da selezionare in molteplici e differenti voci, comprendenti tutti i servizi[1], principali e secondari, di diversa natura ed entità, che l’aggiudicatario sarà chiamato a rendere all’Amministrazione. Pertanto, il concorrente che partecipi ad una gara pubblica, in sede di offerta dovrà specularmente indicare nell’offerta tecnica i dati riguardanti il pregio qualitativo dei servizi da prestare, e nell’offerta economica i dati che riguardano i singoli costi delle diverse voci in cui si articola il servizio.
Ognuna di queste voci prevede l’attribuzione di uno specifico peso ponderale e di un relativo punteggio, che nell’offerta tecnica viene conferito in base alla qualità del servizio, mentre nell’offerta economica in base alla convenienza economica del costo di tale specifica voce di servizio.
Quanto all’offerta economica, per ciascuna voce in cui si suddivide il servizio si attribuisce il punteggio massimo[2] all’offerente che indica la cifra più vantaggiosa, mentre alle altre spetterà un punteggio minore, proporzionato in misura percentuale alla differenza di prezzo offerto. Il peso ponderale[3] di ogni voce di servizio sta a significare che, nella valutazione delle offerte economiche e nell’attribuzione del punteggio, esse vadano rapportate reciprocamente: se l’offerta più bassa ottiene il punteggio massimo previsto per la singola voce di servizio, la seconda offerta otterrà un punteggio minore, risultante dal rapporto tra la cifra offerta dall’aggiudicataria e la propria[4].
Sicché un’impresa Alfa, che abbia offerto € 0,01 per un servizio A ed € 1.000.000,00 per un servizio B prevarrà su una seconda impresa Beta, che abbia invece offerto 100,00 euro per il servizio A e 900.000,00 euro per il servizio B. Questo poiché è ragionevole supporre che il punteggio riguardante il servizio B sarà poco differente tra le due concorrenti (rapporto di 9/10), ma molto differente nel servizio A (rapporto di 1/10.000). Dunque, presumibilmente Alfa otterrà un punteggio massimo nel servizio A e un punteggio discreto nel servizio B, mentre Beta otterrà un punteggio massimo per il servizio B ma un punteggio assolutamente insignificante nel servizio A, risultando così svantaggiata.
Ciò tuttavia dipenderà anche dal numero di punti attribuiti a ciascuna voce di servizio. In effetti, è ben possibile che un’impresa ottenga dapprima un punteggio discreto nella voce principale del servizio, voce che avrà evidentemente un punteggio massimo molto alto, e successivamente un punteggio massimo mediante un’offerta di estremo ribasso in altre voci di servizio, secondari ed accessori, dove tuttavia il punteggio massimo è molto modesto. Visto che il punteggio attribuito ad un’offerta economica è rapportato a quelle delle altre concorrenti, ciò comporta che chi formula un’offerta di estremo ribasso in una singola voce di servizio non soltanto ottiene il punteggio massimo per quella determinata voce, ma in ragione del rapporto ponderale tra le offerte concorrenti fa conseguire agli altri operatori economici un punteggio prossimo allo zero.
In breve, offrendo una cifra simbolica in alcuni, selezionati servizi secondari ed una cifra discretamente competitiva per il servizio fondamentale dell’appalto pubblico, un’impresa potrà ottenere una differenza di punteggio significativa rispetto agli avversari, tale da aggiudicarsi la gara.
Si tratta di una pratica commerciale ormai molto nota tra le imprese, definita dalla giurisprudenza amministrativa come “offerta simbolica parziale”, che sfrutta il più diffuso metodo di valutazione delle offerte utilizzato dalle pubbliche amministrazioni.
Scopo del presente scritto è dunque quello di verificare se, in un appalto pubblico in cui il punteggio da attribuirsi sia suddiviso in varie voci di servizio, possa considerarsi inammissibile (meritevole di esclusione ex art. 80 d.lgs. n. 50/2016) o anomala (meritevole della c.d. verifica di congruità ex art. 97 d.lgs. n. 50/2016) l’offerta che, riguardo ad una singola voce di servizio, sia pari a zero o prossima allo zero, e sia dunque finalizzata a massimizzare il punteggio su servizi secondari, mantenendo invece redditizio il prezzo della voce principale.
L’inammissibilità dell’offerta puramente simbolica e priva di utile.
Secondo l’orientamento concorde della giurisprudenza, l’indicazione di un prezzo prossimo allo zero per uno dei servizi oggetto di gara vanifica completamente la valenza delle altre offerte formulate, che per tale voce si troveranno nell’anormale conseguimento di un mero punteggio decimale. In altri termini, essa si traduce in una distorsione che falsa la meritevolezza delle altre offerte, perché le priva di tutto il punteggio disponibile, a causa di una differenza di costo enorme che con ogni probabilità non rispecchia un significativo squilibrio tecnico-qualitativo.
Ciò si traduce, secondo detto orientamento, in un’offerta completamente viziata sotto il profilo strutturale, come tale inammissibile per mancanza di uno degli elementi essenziali imposti dalla lex specialis di gara. L’elemento mancante consisterebbe, appunto, nella stessa offerta economica, non potendosi qualificare come tale quella presentata, e ciò indipendentemente dal punteggio finale conseguito.
Anzitutto, l’orientamento in esame chiarisce quale debba considerarsi l’offerta “simbolica”.
Pur non potendosi fissare una quota di utile rigida, al di sotto della quale l’offerta del concorrente sia da considerarsi simbolica, tuttavia essa deve comunque consentire un adeguato margine di guadagno per l’offerente. In particolare, è stato precisato che la formulazione di un’offerta con un margine lordo (utile) pari a zero non può ritenersi ammissibile, neanche nel caso in cui la proposta provenga da ente privo di scopo di lucro[5]. Infatti, “in sede di valutazione dell’anomalia di un’offerta l’utile di impresa, pur esiguo, non può ridursi ad una cifra meramente simbolica, pena l’inaffidabilità dell’offerta economica (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 2 aprile 2007, n. 1398) e questo, ancorché non sussista una quota di utile rigida, al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua (C.d.S., Sez. V, 5 luglio 2007, n. 3819; peraltro, si è giudicata inattendibile l’offerta con un margine di utile al di sotto dell’1%: C.d.S., Sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 522, ed il caso ora in esame – dove l’utile è dell’1,2% – è significativamente vicino a tale limite)”[6].
E ancora, “l’utile non può ridursi ad una cifra meramente simbolica, ma deve pur sempre essere affidato ad un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per le imprese” e questo perché “le acquisizioni in perdita porterebbero inevitabilmente gli affidatari ad una negligente esecuzione, oltre che ad un probabile contenzioso (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15.4.2013 n. 2063). Le numerose voci contestate da parte ricorrente insinuano consistenti dubbi di antieconomicità dell’offerta riconosciuta migliore, adombrando l’ipotesi di un apprezzamento affetto da macroscopica irragionevolezza, arbitrarietà, irrazionalità o travisamento dei fatti, che rende il potere tecnico-discrezionale dell’amministrazione sindacabile in sede di legittimità (Consiglio di Stato, sez. V, 2/10/2014 n. 4932)”[7].
Dunque, anzitutto dovrebbe considerarsi inammissibile l’offerta economica che aprioristicamente e matematicamente esponga l’aggiudicataria prestatrice del servizio alla perdita economica, o che lo offra gratuitamente secondo logiche del tutto antieconomiche. Pertanto, è necessario offrire un costo tale da realizzare quantomeno il pareggio di conto, con la conseguenza che l’offerta può essere considerata sempre legittima quando, oltre a ripagare il costo del servizio, disponga di un apprezzabile utile d’impresa, quale garanzia di sostenibilità del servizio. Diversamente, l’aggiudicatario si troverebbe costretto ad ottenere lucro altrove, in danno della qualità del servizio prestato e dell’interesse pubblico.
Il lucro sembra così atteggiarsi ad un costo della collettività, necessario sia a garantire l’efficienza e la qualità dei servizi, sia ad assicurare l’esclusione di offerte inidonee a perseguire le finalità pubbliche. Del resto, quando il margine di utile risulta esiguo, può accadere che un qualsiasi inconveniente, anche trascurabile, nel corso dell’esecuzione del contratto trasformi l’utile irrisorio o il pareggio in una perdita. Ciò a discapito della certezza di poter garantire il servizio offerto secondo standards di qualità.
La successiva giurisprudenza si è orientata in senso sostanzialmente conforme alla ricostruzione appena detta. Un’importante pronuncia del Consiglio di Stato sul punto ha sancito che “nelle gare pubbliche l’esiguo utile d’impresa non denota di per sé l’anomalia dell’offerta, salvo che non si riduca ad una cifra meramente simbolica”[8], poiché i servizi devono pur sempre essere affidati “ad un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per le imprese, giacché le acquisizioni in perdita porterebbero inevitabilmente gli affidatari ad una negligente esecuzione, oltre che ad un probabile contenzioso”[9].
La presente giurisprudenza giustificava tale posizione sul presupposto che non appare “tutelabile … di per sé l’interesse dell’impresa ad eseguire un appalto al solo fine di acquisire posizioni di mercato o esperienza nel settore specifico, anche in funzione della partecipazione a futuri appalti, in quanto tale interesse deve essere comunque comparato con quello pubblico, prevalente, alla regolare ed affidabile esecuzione del contratto”. Ebbene, potrebbe non considerarsi legittima l’offerta che sia formulata al solo fine di assumere una posizione rilevante all’interno del mercato di riferimento, con vantaggi non consistenti nel lucro, da spendere in successive gare pubbliche o in contrattazioni private.
L’appalto è chiamato a soddisfare un interesse pubblica, mediante un servizio qualitativamente di livello, che può essere garantito soltanto da un certo margine di utile imprenditoriale[10], poiché “risulta ingiustificabile l’offerta che presenti un utile quasi pari a zero, atteso che … è quanto meno necessario che l’offerta presenti un utile che, anche se modesto, può comportare connessi vantaggi importanti, come nel caso di ricadute positive che possono discendere in termine di qualificazione, pubblicità e curriculum così Consiglio di Stato sez. V, 15 aprile 2013 n. 2063 e in senso conforme Cons. St., 3146/2009. Nelle gare d’appalto, la possibilità di ribassare la percentuale dell’utile è consentita pur escludendosi che un’impresa possa proporre un’offerta economica sguarnita da qualsiasi previsione di utile … assumendo invece rilievo la circostanza che l’offerta si appalesi seria, e cioè non animata dall’intenzione di trarre lucro dal futuro inadempimento delle obbligazioni contrattuali. Solo un utile pari a zero è ingiustificabile (cfr. Cons. St. n. 2444/2014; n. 5781/1… ved. anche Consiglio di Stato sez. IV, 23 luglio 2012, n. 4206; T.A.R. Toscana Firenze Sez. I, Sent., 19-05-2014, n. 865)”[11]. Così anche la più recente giurisprudenza, che equipara l’offerta pari a zero ad una mancata offerta[12].
Più recentemente, con riguardo all’offerta a ribasso formulata con riguardo a diverse voci del servizio, la giurisprudenza ha affermato che “non vi è dubbio che, offrendo un prezzo irrisorio per due dei tre servizi nei quali doveva articolarsi l’offerta, la formula matematica di cui al disciplinare di gara … ha fatto sì che l’offerta pari a zero … ha determinato la penalizzazione di tutte le offerte concorrenti, facendole conseguire, per tali servizi a costo zero, un distacco dai concorrenti non compensabile con la residua voce”[13]. Pur trattandosi, infatti, di un servizio offerto a costo zero, il principio di diritto affermato pare applicabile anche all’offerta simbolica.
Il risultato “paradossale, all’evidenza contrario al criterio di gara, nonché all’interesse della stessa stazione appaltante, che ha attribuito il miglior punteggio all’offerta economica più elevata” è quello, per l’appunto, di favorire offerte più dispendiose e, pertanto, contrarie ad interesse pubblico. Infatti “un più alto punteggio per la … offerta economica” risulta “in contrasto con la ratio del metodo di assegnazione del punteggio … (cfr. CdS III 3603/2014, ma v. anche 2400/2015)”, e “penalizza in modo illogico quelle modulazioni dell’offerta che si conformano alle modalità di calcolo predisposte dalla Stazione Appaltante”.
All’inammissibilità dell’offerta simbolica o priva di utile conseguirebbe la sanzione della necessaria esclusione ex art. 80 d.lgs. n. 50/2016, poiché oltre a vanificare le altre offerte rende la proposta contrattuale “inaffidabile e inattendibile”[14], e come tale, “equivale a mancata offerta economica e … pur in mancanza di preclusione espressa nella lex specialis di gara, in conformità al disposto dell’art. 46, co. 1-bis, del codice dei contratti … realizza il difetto non già di una voce di prezzo, ma di un elemento essenziale dell’offerta economica per come strutturata dalla stazione appaltante, la cui essenzialità è resa specificamente manifesta proprio dall’approntamento della formula matematica di valutazione”[15].
Tale posizione ha trovato una recente conferma, per cui “Un utile pari a zero o un’offerta in perdita rendono di per sé inattendibile l’offerta economica e il consentire la presentazione di offerte senza adeguato utile finisce con incidere anche sul sistema della libera concorrenza del mercato”, vulnerando altresì l’interesse pubblico a che il soggetto aggiudicatario sia in grado di svolgere adeguatamente la prestazione oggetto del contratto, e “d’altra parte, lo stesso principio di tassatività delle cause di esclusione va inteso nel senso che l’esclusione dalla gara va disposta anche nel caso in cui siano imposti adempimenti doverosi pur senza prevedere espressamente l’esclusione ovvero l’offerta del concorrente non sia conforme alle specifiche tecniche fissate dalla lex specialis o che, comunque, presuppongono o comportano che lo svolgimento del servizio venga svolto in maniera non corrispondente a quanto stabilito dalla legge di gara”[16]. Ipotesi in cui, rientrandovi appieno la mancanza degli elementi essenziali dell’offerta economica, va compresa quella dell’offerta con utile zero, che dunque va esclusa pur in assenza di una previsione normativa di cui all’art. 80 d.lgs. n. 50/2016.
Va infine precisato che le ipotesi prese in considerazione dalla giurisprudenza appena vista riguardavano casi in cui l’offerta era integralmente prossima allo zero, con riguardo cioè a tutto il servizio o a gran parte delle voci in cui il servizio era suddiviso.
Il contrasto giurisprudenziale in tema di offerta simbolica su singoli servizi.
Tutto ciò premesso con riguardo all’offerta priva di utile o simbolica “integrale”, rimane il quesito se tali principi possano valere anche per l’offerta simbolica parziale, in cui soltanto limitate voci di servizio, o anche una sola voce, siano accompagnate da un prezzo simbolico, per ottenerne il relativo punteggio massimo. Sul punto, si è registrato un vivace dibattito e un contrasto giurisprudenziale.
Secondo un primo orientamento, non sussisterebbe alcuna differenza tra offerta simbolica integrale, o priva di utile, e offerta simbolica parziale. Infatti, sarebbe inammissibile anche l’offerta economica in cui soltanto alcune voci economiche siano prossime allo zero, considerandole alla stregua di una “mancata offerta” non conforme a legge di gara: “la formula di valutazione utilizzata nelle gare presuppone un valore positivo per ciascuna voce e sub voce, ossia che per quanto bassissima, l’offerta sia, comunque, superiore allo zero, e che il fatto che la lex specialis non preclusa espressamente di formulare una siffatta offerta, è irrilevante, considerato che l’esclusione per tale ipotesi è conforme al disposto dell’art. 46 … ove menziona il difetto di un elemento essenziale dell’offerta economica”[17]. Si dovrebbe dunque ritenere doverosa l’indicazione di un costo per ciascuna voce di servizio, nessuna esclusa.
È pur vero infatti che una fondamentale differenza sussiste tra l’offerta priva di utile e quella simbolica su talune voci di servizio. Soltanto la prima è priva di utile, soltanto nella prima l’imprenditore formula un’offerta economica obiettivamente insostenibile dal punto di vista economico, irrealizzabile e dunque potenzialmente pericolosa per il perseguimento dell’interesse pubblico. La seconda invece non reca prezzi irrisori, né espone agli stessi rischi.
Semmai, l’offerta simbolica di alcune voci di servizio presenta un diverso rischio, ossia è finalizzata sia ad ottenere un incremento di punteggio relativamente alla voce secondaria al ribasso, cui comunque sono di regola attribuiti pochi punti, sia a sottrarre punti alle offerte concorrenti, alterandole, azzerandole la convenienza economica in senso primariamente dannoso per la posizione altrui, quasi “emulativo”.
Infatti, anche solo un servizio di fatto gratuito conduce a che si falsino le regole di gara, comportando sia l’inefficienza per l’impresa aggiudicataria, che dovrà recuperare le perdite o il mancato guadagno in altre porzioni dell’appalto, con evidente aggravio dei costi e dei ritardi, sia quella per le altre imprese, che non riceveranno una valutazione sana e veritiera delle proprie offerte, alterate dallo sproporzionato rapporto con il valore indicato dall’aggiudicataria. Con l’aggravarsi di questi effetti ove vi fosse anche l’aggiudicazione dell’appalto dell’offerente al ribasso, così vanificando o distorcendo il principio di concorrenza.
Secondo una lucida ricostruzione di una risalente giurisprudenza, nei bandi di gara in cui il servizio è suddiviso in voci e distinti punteggi, “deve ritenersi illegittimo il provvedimento con il quale la stazione appaltante ha aggiudicato la gara in favore di una ditta che, per uno dei servizi da appaltare, ha presentato un’offerta recante un prezzo meramente simbolico e, in particolare, il prezzo di 0,01 centesimi di euro l’anno”. Tale prezzo, infatti, non consente, nella sua valenza infinitesimale, di attribuire un punteggio che possa essere “ragionevolmente rapportato al valore concretamente indicato”. Con la conseguenza che, in tal caso, “va disposta l’esclusione dalla gara di tale offerta”[18].
In altri termini, l’indicazione di un prezzo prossimo allo zero per uno dei servizi oggetto di gara vanifica completamente la valenza delle altre offerte formulate, che per tale voce si troveranno nell’anormale conseguimento di un mero punteggio decimale. Ciò permette di parlare di offerta viziata sotto il profilo strutturale, inammissibile per mancanza di uno dei suoi elementi essenziali, e dunque da escludere.
Per un altro orientamento, più recente e ormai maggioritario, una singola voce, anche pari a zero e pur comportando i già illustrati rischi di distorsione della concorrenza, non può comportare di per sé alcuna esclusione dalla gara e, di conseguenza, non può rendere illegittima l’offerta. Piuttosto, detta offerta potrà essere oggetto della verifica di congruità ex art. 97 d.lgs. n. 50/2016 ove sorgano dubbi di anormalità, ossia quando, complessivamente considerata in tutte le sue voci, appaia eccessivamente a ribasso, del tutto non credibile e non sostenibile economicamente.
Ma anche in questo caso, secondo la giurisprudenza di merito più attenta, “il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta non mira ad individuare specifiche e singole inesattezze nella sua formulazione ma, piuttosto, ad accertare in concreto che la proposta economica risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; e al di fuori dei casi in cui il margine positivo [integrale] risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala”.
Del resto, il livello di approfondimento richiesto alla Stazione appaltante in sede di valutazione di non anomalia, rispetto alle singole voci di costo presentate, “varia in funzione delle caratteristiche dell’offerta e della plausibilità delle giustificazioni già rese rispetto alle singole voci, venendo in considerazione un giudizio discrezionale, in ordine alla complessiva affidabilità dell’offerta, su cui il giudice effettua un sindacato ab estrinseco”. Non a caso il giudizio che conclude il subprocedimento di verifica delle offerte anomale (di per sé insindacabile, salva l’ipotesi in cui le valutazioni ad esso sottese non risultino abnormi o manifestamente illogiche o affette da errori di fatto), ha “natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme”[19].
A conferma di ciò, ritiene il Consiglio di Stato che, “se deve ritenersi che l’offerta economica zero equivale a mancata offerta economica, nel caso di un’offerta economica composta da più voci e che non sia pari a zero, è necessario ponderare, per comprendere se ci si trovi di fronte ad un’offerta affidabile e seria, l’offerta nel suo complesso. In questo senso la stazione appaltante deve, da un lato, accertarsi che l’indicazione di un valore zero di un componente dell’offerta non impedisca la valutazione dell’offerta stessa o delle altre offerte presentate dai concorrenti, ad esempio, determinando la sostanziale inapplicabilità della formula matematica per il computo del relativo punteggio”. In altri termini, la stazione appaltante dovrà verificare se la voce prossima allo zero sia in grado, da sola, di evidenziare una sintomatica mancanza di serietà e sostenibilità economica dell’offerta complessivamente presentata dall’impresa, in tal caso procedendo alla verifica sull’anomalia, rientrando nella sua ampia discrezionalità tecnica la valutazione dell’incidenza della voce resa gratuitamente rispetto al servizio complessivo.
La pubblica amministrazione dovrà, infatti, “sulla scorta dell’importanza della voce dell’offerta per la quale è stato indicato un valore zero, accertare che ciò non sia sintomatico della scarsa serietà dell’offerta nel suo complesso”, altresì indagando “se il concorrente tragga comunque un utile dalla propria offerta complessiva” e valutando quindi “l’offerta nel suo complesso; l’offerta presenta le necessarie garanzie di serietà ove le voci sottostimate siano compensate da altre sovrastimate, in modo da renderla nel complesso congrua. Infatti, il giudizio di congruità delle offerte che appaiono prima facie anormalmente basse, non mira a ricercare specifiche inesattezze di ogni elemento dell’offerta, bensì a valutare se, globalmente considerata, l’offerta stessa sia seria ed attendibile, e se i prezzi offerti trovino rispondenza nella realtà, sia di mercato che aziendale, cioè se gli stessi siano verosimili in relazione alle modalità con cui si svolge il lavoro, alle dimensioni dell’azienda, alla capacità di effettuare acquisti convenienti o di realizzare particolari economie, anche di scala”.
Ciò vale anche per quei ribassi, puramente simbolici, finalizzati a frazionare l’altrui punteggio in decimali. Continua la pronuncia sostenendo che “La formulazione di una offerta pari ad € 0,01 in relazione solo ad alcune voci di prezzo dell’appalto, peraltro del tutto marginali rispetto al servizio nel complesso, non comporta ex se l’esclusione dell’offerta, alla luce degli orientamenti della giurisprudenza sopra richiamata. … La verifica della congruità di un’offerta potenzialmente anomala ha natura globale e sintetica, vertendo sulla serietà (o meno) dell’offerta nel suo insieme, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2016, n. 13)”[20].
Tale posizione si è poi definitivamente consolidata nella giurisprudenza più recente. Fermo restando che “L’offerta economica zero equivale alla mancata offerta economica, nel caso di un’offerta economica composta da più voci e che, non sia pari a zero è necessario ponderare, per comprendere se ci si trovi difronte ad un’offerta affidabile e seria, l’offerta nel suo complesso”[21], si puntualizza che anche i criteri di valutazione delle offerte economiche possono essere adattati al bisogno proprio per evitare derive simili, da parte delle Amministrazioni. Infatti, “Le stazioni appaltanti godono di ampia discrezionalità nel determinare le formule, anche matematiche, in base alle quali attribuire il punteggio per la valutazione dell’offerta economica presentata”[22]. Del resto, non può ritenersi che l’unico legittimo criterio di attribuzione del punteggio economico sia quello che assegna il punteggio massimo al maggiore ribasso e un punteggio pari a zero al minore ribasso, poiché a volte l’adesione a tale criterio, determinerebbe l’effetto di produrre ingiustificate ed estreme valorizzazioni delle offerte economiche, anche laddove il minimo ribasso e quello massimo si differenziassero, in ipotesi, per pochi punti percentuali.
In ogni caso, “nel caso di un’offerta economica composta da più voci e che non sia pari a zero, è necessario ponderare per comprendere se ci si trovi di fronte ad un’offerta affidabile e seria, l’offerta nel suo complesso”[23], sicché “la serietà e l’attendibilità dell’offerta del singolo concorrente devono essere valutate in modo sintetico e globale in modo tale che anche qualora per qualche voce di costo l’offerta economica risulti pari a zero, questo dato non può essere isolatamente considerato al fine di desumerne la scarsa affidabilità complessiva dell’offerta. Al riguardo, infatti, si deve tenere conto, per un verso, dell’eventuale marginalità del servizio cui il costo è riferito, per altro verso, dell’utile che il concorrente ritrae dalla propria offerta complessivamente considerata”[24].
Pertanto, alla luce di tutte le considerazioni suesposte, si può ritenere che l’indicazione di un prezzo prossimo allo zero in una sola tra le numerose voci indicate dall’offerente, che da sola sia inidonea a far ritenere l’offerta nel suo complesso insostenibile, irrealizzabile, non seria, allora tale voce potrà ritenersi ininfluente.
Come tale, è ragionevole ritenere che tale prassi imprenditoriale, pur nella serietà dei rischi distorsivi cui si espone, non comporti alcuna conseguenza né sulla legittimità dell’offerta o dell’eventuale aggiudicazione in favore dell’offerente, ma può comportare, a giudizio discrezionale della Stazione appaltante, il sospetto di anomalia dell’offerta, con conseguente sottoposizione alla verifica di congruità. In ogni caso l’offerta, seria, credibile e completa, dovrà essere dotata di un apprezzabile utile di impresa.
[1] Evidentemente, il termine servizio è utilizzato in questa sede in senso atecnico, ricomprendendovi non soltanto le prestazioni di servizi, ma anche di lavori e di forniture.
[2] Ciò vale sia per le gare da aggiudicarsi secondo il criterio del prezzo più basso, sia per quelle che seguono il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Infatti, anche nei secondi, maggiormente ponderati fra prezzo e standard qualitativi, il profilo economico dell’offerta viene comunque valutato ed è oggetto di una parte consistente del punteggio attribuito.
[3] Quantificato evidentemente dal punteggio attribuito.
[4] Ad es., se A offre 1 euro, e B offre 100 euro per la medesima voce di servizio, A ottiene il punteggio massimo, ad esempio i 10 punti disponibili per tale servizio, e B ottiene punteggio pari ad 1/100, ossia 0,1 punti dei 10 punti massimi disponibili.
[5] In tal senso, in materia di Onlus, Cons. Stato V, 17.11.2014, n. 5614; T.A.R. Puglia – Bari II, n. 347/2014; T.A.R. Puglia – Bari I, n. 781/2013.
[6] T.A.R. Lazio – Latina I, 14.3.2014, n. 203; conf. T.A.R. Puglia – Lecce I, 31.7.2014, n. 2047; T.A.R. Puglia – Lecce II, 2.4. 2007, n. 1398. Cfr. anche le citate Cons. Stato V, 5.7.2007, n. 3819; Cons. Stato VI, 8.2.2007, n. 522.
[7] T.A.R. Puglia – Bari I, 9.7.2015, n. 983; conf. a Cons. Stato V, 2.10.2014 n. 4932.
[8] Cons. Stato V, 25.1.2016 n. 242, conferma della sent. T.A.R. Toscana n. 538/2015.
[9] T.A.R. Campania – Salerno I, 5.2.2014, n. 332; conf. T.A.R. Lazio – Roma III-ter, 14.4.2016, n. 4430.
[10] T.A.R. Puglia – Lecce II, 2.4.2007, n. 1398.
[11] T.A.R. Lazio – Roma II-quater, 19.6.2014, n. 6531.
[12] Cons. Stato V, n. 1090/2016; Cons. Stato V, 25.1.2016, n. 242; Cons. Stato III, 2.3.2015, n. 1019; T.A.R. Lombardia – Brescia II, 21.11.2017, n. 1364.
[13] T.A.R. Lazio – Roma III-ter, 26.5.2016, n. 6152.
[14] T.A.R. Veneto I, 11.9.2014, n. 1200.
[15] Cons. Stato III, n. 2400/2015; cfr. anche Cons. Stato III, 15.1.2013, n. 177; Cons. Stato V, 16.7.2010, n. 4624; T.A.R. Lazio – Roma III-quarter, n. 3850/2014.
[16] T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 23/08/2019, n. 1211.
[17] Cons. Stato III, n. 1307/2016.
[18] T.A.R.Veneto I, 11.9.2014, n. 1200.
[19] T.A.R. Valle d’Aosta sez. I – Aosta, 14/05/2018, n. 33; v. T.A.R. Lazio sez. III – Roma, 21/12/2018, n. 12484; T.A.R. Puglia sez. I – Lecce, 10/01/2019, n. 29.
[20] Cons. Stato sez. V – 03/04/2018, n. 2053; Cons. Stato sez. V – 17/01/2018, n. 269.
[21] Cons. Stato Sez. V, 03/04/2018, n. 2053.
[22] T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, 09/12/2019, n. 1215.
[23] T.A.R. Puglia Bari Sez. III, 17/01/2020, n. 56; T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, 10/01/2019, n. 29; T.A.R. Lazio Roma Sez. III, 06/11/2018, n. 10686.
[24] Cons. Stato Sez. V, 31/05/2019, n. 3672.