La risoluzione del contratto per mutuo dissenso tra forma e sostanza

in Giuricivile.it, 2022, 2 (ISSN 2532-201X)

Il mutuo dissenso può essere definito come un autonomo contratto con il quale le parti, a seguito di un differente apprezzamento dell’assetto degli interessi perseguiti e nell’esercizio della propria autonomia negoziale, ne estinguono uno precedente, eliminandone in radice tutti o solo parte degli effetti.

Esso si configura, dunque, come un negozio con funzione eliminativa, espressione di un potere dispositivo delle parti di tipo “negativo”[1].

La figura giuridica del mutuo dissenso trova il suo fondamento normativo in due disposizioni del codice civile e, segnatamente, nell’art. 1321 c.c. (“Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”) e nell’art. 1372 c.c. (“Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”).

La natura giuridica del mutuo dissenso

In ordine alla natura giuridica del mutuo dissenso si sono contrapposte, e si contrappongono tuttora, sia in dottrina che in giurisprudenza, diverse ricostruzioni.

Una prima teoria, del contrarius actus o contro-negozio, ricostruisce il mutuo dissenso come un negozio avente un contenuto uguale e contrario a quello che si scioglie, in quanto si afferma che gli effetti negoziali, una volta prodottisi, sono irreversibili.

Una vendita, in altri termini, non potrebbe essere sciolta attraverso una convenzione meramente risolutoria ma le parti, qualora volessero ripristinare la situazione giuridica pregressa, potrebbero soltanto perfezionare un altro contratto di vendita a ruoli invertiti: chi fu alienante assume il ruolo di acquirente e chi fu acquirente assume quello di alienante[2].

Si è, tuttavia, fatto notare da più autori[3] come la teoria del contro-negozio comporti delle implicazioni problematiche sotto vari profili. In primo luogo, nei contratti ad effetti solo obbligatori, un atto identico e contrario non sembra proprio possibile: per risolvere un contratto di locazione o di appalto con un contrarius actus, difatti, si dovrebbe ammettere rispettivamente che il locatore diventi locatario e che il committente diventi appaltatore, cosa evidentemente poco comprensibile.

Dubbi sono sorti pure nel caso in cui si tratti di risolvere una donazione: secondo la teoria de qua, infatti, donante e donatario dovrebbero stipulare un nuovo contratto di donazione, a posizioni invertite, nel quale non pare rinvenibile alcun animus donandi in capo al soggetto chiamato a “ritrasferire”, atteso che le parti non intendono stipulare una nuova donazione bensì soltanto porre nel nulla quella precedentemente intercorsa fra di loro.

Ci sono alcune ipotesi, in conclusione, in cui appare evidente come non risponda affatto alla volontà delle parti compiere un nuovo atto di disposizione di contenuto identico (e contrario) al precedente in quanto le parti, col mutuo dissenso, non desiderano disporre nuovamente ma solo porre nel nulla l’originario atto dispositivo[4].

Secondo una diversa ricostruzione, sostenuta recentemente, il mutuo dissenso avrebbe sì natura di negozio risolutorio ma, almeno con riferimento ai negozi traslativi, esso non sarebbe di per sé sufficiente a realizzare il ritrasferimento del bene oggetto del contratto occorrendo, a tal uopo, un ulteriore negozio traslativo definito da autorevole dottrina[5]negozio astratto di trasferimento solutionis causa”.

Il fenomeno estintivo, in altri termini, deriverebbe da una fattispecie composta da due negozi: uno obbligatorio (il vero e proprio mutuo dissenso), dal quale scaturirebbe esclusivamente l’obbligo di ritrasferire il bene da parte dell’acquirente, e un successivo atto di adempimento solutionis causa, idoneo a far rientrare il bene del patrimonio di chi fu alienante[6].

La prevalente dottrina e parte della giurisprudenza sostengono, invece, la tesi del contrarius consensus e ricostruiscono il mutuo dissenso come un negozio risolutorio con il quale i contraenti pongono nel nulla, sia per il futuro che per il passato, l’originario contratto[7]. Le caratteristiche essenziali del mutuo dissenso inteso quale contrarius consensus sono, riassuntivamente, le seguenti: a) è un negozio autonomo ed unitario esplicitamente riconosciuto dall’ordinamento in virtù di quanto previsto dagli artt. 1321 e 1372 c.c.; b) la causa tipica del mutuo dissenso consiste nella risoluzione di un precedente negozio; c) le parti riottengono quanto precedentemente dato perché, una volta risolto il negozio, le prestazioni eseguite costituiscono un indebito oggettivo che, come tale, va restituito (cfr. art. 2036 c.c. per il prezzo e art. 2037 c.c. per la cosa determinata); d) si incide direttamente sul negozio originario, elimininandone retroattivamente ogni effetto e ripristinando lo status quo ante[8].

La natura giuridica riconosciuta al contratto risolutivo ha interferenze con l’eventuale regime di comunione legale dei beni della parte retrocessionaria: attribuendo efficacia retroattiva al mutuo dissenso, un bene personale, in precedenza alienato, non potrà certo essere qualificato come un acquisto della comunione ai sensi dell’art. 177, primo comma, lettera a), c.c., dovendosi esso ritenere, in seguito alla risoluzione di quel contratto, riferibile al patrimonio personale dell’originario alienante[9].

Al contrario argomentano i fautori della teoria del contrarius actus per i quali, perfezionandosi un autonomo contratto di (ri)trasferimento, il bene è inesorabilmente destinato a ricadere in comunione o meno a seconda del regime patrimoniale del retro cessionario alla data del negozio di mutuo dissenso[10].

La forma del mutuo dissenso: principio di “simmetria” o libertà di forma?

Particolarmente dibattuto è sempre stato il tema della forma del negozio di mutuo dissenso e, più in generale, della forma che devono rivestire gli atti accessori ai negozi formali, vale a dire quegli atti rivolti a preparare, integrare, modificare, risolvere ovvero estinguere un contratto per la formazione del quale la legge richieda una forma determinata. La questione deriva, invero, dalla circostanza che non esiste una norma che disciplini espressamente i profili formali del mutuo dissenso.

Per chi ritiene che il mutuo dissenso sia un contrarius actus, la forma deve essere necessariamente la medesima richiesta per l’atto presupposto, essendone identica la natura giuridica.

Per quanti, al contrario, ritengono che il mutuo dissenso sia un contratto con funzione tipicamente risolutoria occorre precisare quanto di seguito.

Autorevole dottrina[11], muovendo dal principio di libertà delle forme negoziali che governa il nostro ordinamento civile e dalla mancanza di una norma generale che sancisca il principio di simmetria, afferma che il contratto risolutorio, benché collegato a quello principale, sia a forma libera. Si afferma che, essendo nel nostro sistema la forma vincolata l’“eccezione” e non la regola, si assisterebbe all’impossibilità di una sua applicazione al di fuori dei casi espressamente previsti (stante il divieto di ricorso all’analogia e l’impossibilità di ricorso all’interpretazione estensiva ex art. 14 disp. prel. cod. civ).

Secondo altri autori[12], invece, il mutuo dissenso, quale negozio accessorio o di secondo grado, dovrebbe “mutuare” la sua forma da quella del negozio principale in forza del principio di simmetria o di strumentalità, condividendone in tal caso il requisito formale. Così, nel caso di mutuo dissenso di donazione, il contratto risolutorio dovrebbe rivestire la forma richiesta ad substantiam per il contratto di donazione (atto pubblico, alla presenza irrinunciabile di due testimoni sotto pena di nullità, così come prescritto dal combinato disposto degli artt. 782 c.c. e 48 l. not.).

Resta comunque da chiarire che, indipendentemente dalla tesi cui si voglia aderire, se le parti intendono rendere pubblico ed opponibile ai terzi un negozio che risolva un precedente contratto formale (ad esempio, una compravendita immobiliare), dovranno necessariamente adottare la forma scritta, precisamente l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata, altrimenti non potranno annotare la convenzione risolutoria in margine alla trascrizione dell’atto risolto (art. 2655 c.c.)[13].

Le parti del contratto di mutuo dissenso

All’atto di risoluzione per mutuo dissenso devono necessariamente partecipare tutte le parti del primo contratto, tali intendendosi le parti in senso sostanziale; anzi, più precisamente, quelle tra dette parti che abbiano anche mantenuto la titolarità del potere dispositivo con riguardo alle situazioni giuridiche soggettive nascenti dal contratto di primo grado; il mutuo dissenso potrà, dunque, essere posto in essere anche dagli eventuali successori mortis causa (eredi o legatari) delle parti che hanno concluso l’originario contratto giacchè, si rammenta, il successore a titolo universale o particolare subentra in tutti i rapporti del suo avente causa.

Al contrario, non si potrà addivenire al mutuo dissenso di una donazione qualora, dopo la donazione medesima, il donatario abbia trasferito a terzi la proprietà del bene, a qualunque titolo. Difatti, in tal caso, il donatario non avrebbe più alcun potere dispositivo riguardo all’originario contratto di donazione da rimuovere, non avendo più la titolarità del bene, ormai divenuto di terzi.

Nemmeno potrebbe ritenersi legittimato ad intervenire il terzo sub acquirente (unitamente o in sostituzione al donatario) in quanto il medesimo non avrebbe alcun potere dispositivo riguardo al contratto da risolvere, non essendone mai stato parte ed avendo acquistato la titolarità del bene in forza di un negozio del tutto autonomo e distinto dalla donazione[14].

Pubblicità immobiliare e menzioni obbligatorie

Per i sostenitori della teoria del contrarius actus, la pubblicità immobiliare non può che essere quella che riguarda il contro-negozio posto in essere e, dunque, si effettua mediante la trascrizione dell’atto nei Registri Immobiliari ex art. 2643 c.c.

Per i fautori della tesi del negozio risolutorio, invece, questo deve essere annotato a margine della trascrizione dell’atto da risolvere ai sensi dell’art. 2655 c.c., il quale dispone, al primo comma, che la risoluzione di un atto trascritto o iscritto deve essere annotata in margine alla trascrizione o all’iscrizione dell’atto stesso  e aggiunge, all’ultimo comma, che l’annotazione si opera in base alla sentenza o alla convenzione da cui risulta uno dei fatti sopraindicati, vale a dire anche in base alla convenzione da cui risulta la risoluzione.

Nel termine “convenzione” deve sicuramente ricomprendersi anche il negozio di mutuo dissenso e da tale annotazione dovrebbe scaturire l’opponibilità del mutuo dissenso nei confronti dei terzi.

Un ultimo profilo da analizzare riguarda l’applicabilità o meno al contratto di mutuo dissenso della normativa urbanistica e catastale, qualora il contratto da risolvere abbia avuto ad oggetto il trasferimento di beni immobili.

Anche con riferimento a tale quesito giova riprendere la differenza tra mutuo dissenso come contrarius actus ed il mutuo dissenso come negozio risolutorio. Accogliendo la prima natura, le menzioni e le formalità richieste dalle predette normative saranno sicuramente necessarie, a pena di nullità, trattandosi di autentico atto traslativo; accogliendo la seconda, invece, ne dovrebbe derivare, quale logico corollario, che non occorrerebbe osservare in atto alcuna delle formalità rispettivamente previste dalle citate normative, atteso che l’effetto diretto ed immediato del mutuo dissenso è solo quello di porre nel nulla il precedente negozio e non di ritrasferire la proprietà dell’immobile[15].


[1] F. Alcaro, Il mutuo dissenso, Studio CNN n. 434-2012/C.

[2] M.C. Diener, Il contratto in generale, Milano, 2015, p. 515.

[3] G.Capozzi, Il mutuo dissenso nei contratti ad effetti reali, in Studi in ricordo di Alberto Auricchio, Napoli, 1983, p. 284.

[4] M. Franzoni, Il mutuo consenso allo scioglimento del contratto, in Il contratto in generale, Tratt. di dir. priv.diretto da M. Bessone, tomo V, Torino, 2002, p. 16.

[5] F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, 2009, p. 1035.

[6] M.C. Diener, Il contratto in generale, cit., p. 516.

[7] C.M. Bianca, Il contratto, in Diritto civile, 3, Milano, 2015, p.735; G. Capozzi, Il mutuo dissenso nella pratica notarile, in Vita not., 1993, p. 635; R. Scognamiglio, Contratti in generale, in Tratt. di dir. civ., diretto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, IV, 2, Milano, 1972, p. 210; M. Franzoni, Il mutuo consenso allo scioglimento del contratto, cit. p. 16; A. Luminoso, Il mutuo dissenso, Milano, 1980, p. 499; F. Messineo, voce Contratto (dir. priv.), in Enc. del. dir., Milano, 1961, p. 815;

[8] M. Ceolin, Sul mutuo dissenso in generale e, in specie, parziale, del contratto di donazione, Studio CNN n. 52-2014/C.

[9] C. Carbone, Formulario Notarile Commentato – Notariato e atti notarili – Atti Mortis Causa – Atti tra vivi, in Manuali Notarili – Serie operativa, a cura di L. Genghini, Padova, 2020, p. 3084.

[10] A. Alamanni, Retroattività del mutuo dissenso, in Rass. dir. civ., 2013.

[11] G. Mirabelli, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., Torino, 1980, p. 290.

[12] G. Capozzi, Il mutuo dissenso nella pratica notarile, cit.; A. Luminoso, Il mutuo dissenso, cit.

[13] M.C. Diener, Il contratto in generale, cit., p. 521.

[14] D. Riva, “Mutuo dissenso”, giugno 2019, disponibile qui: https://www.federnotizie.it/mutuo-dissenso/

[15] G. Capozzi, Il mutuo dissenso nella pratica notarile, cit.

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