La pignorabilità della licenza amministrativa all’esercizio di un’attività commerciale

in Giuricivile, 2019, 6 (ISSN 2532-201X)

Il tema della pignorabilità della licenza all’esercizio di un’attività commerciale (nonché delle autorizzazioni amministrative in generale) non sembra godere di particolare interesse nella giurisprudenza e nella dottrina. Decisamente scarse risultano, infatti, le informazioni su questo argomento ricavabili dalle pronunce del giudice di merito o di legittimità e da lavori accademici o note a sentenza. Al fine di determinare se sia possibile sottoporre ad espropriazione forzata una licenza di esercizio del commercio, il presente articolo si baserà principalmente su pronunce e opinioni dottrinali relative a temi affini – come il sequestro conservativo della licenza o la qualificabilità della licenza taxi come bene immateriale – conducendo un ragionamento analogico verso tale specifica questione.

Come si avrà modo di vedere, sembra doversi escludere la possibilità di pignorare siffatta licenza amministrativa, principalmente in ragione della sua natura di provvedimento e per motivi legati alla giurisdizione del giudice dell’esecuzione.

Brevi cenni sul concetto di licenza amministrativa

La licenza di esercizio di un’attività commerciale si configura come una autorizzazione, ossia un provvedimento amministrativo di autorizzazione con cui la Pubblica Amministrazione rimuove un vincolo all’esercizio di un diritto astrattamente preesistente in capo al soggetto. Si tratta, perciò, di un cosiddetto provvedimento di tipo “ampliativo” perché appunto accresce l’esercizio delle posizioni giuridiche in capo ad un soggetto.

Pertanto la licenza è frutto di un procedimento autorizzatorio che prevede l’esercizio di un potere discrezionale della P.A., seppur nei fatti largamente limitato ad un semplice controllo della preesistenza dei requisiti per l’esercizio della attività di cui al provvedimento.[1]

Licenza di attività commerciale e sequestro: l’opinione nettamente sfavorevole della giurisprudenza di merito e di legittimità

La natura della autorizzazione amministrativa in esame ha portato la giurisprudenza di merito a ritenerne impossibile il sequestro conservativo o giudiziario, sulla base di argomenti che – come vedremo – ben si attagliano anche al caso del pignoramento.

In primo luogo, il giudice ordinario non avrebbe giurisdizione sul rapporto tra il soggetto titolare della licenza e la P.A. e sui poteri che la P.A. esercita nell’ambito del rapporto in questione. Pertanto, come indicato dalla giurisprudenza nel simile caso del sequestro giudiziario[2], non sarebbe possibile richiedere il sequestro della licenza perché l’ordinamento non contempla alcuna tutela cautelare per le posizioni privatistiche attinenti al trasferimento dell’atto in questione, il cui regime esula dalle attribuzioni giurisdizionali del g.o.

Tale giurisprudenza di merito è conforme all’orientamento dettato in Cass. SS. UU. 15.11.1985 n. 5596 per la quale: “Con riguardo a controversia fra privati davanti al giudice ordinario, inerente alla gestione di azienda commerciale, le domande dirette a conseguire l’autorizzazione e la convalida di sequestro (conservativo o giudiziario) della licenza amministrativa e di commercio dell’azienda medesima, sono improponibili per difetto assoluto di giurisdizione, atteso che l’ordinamento non contempla alcuna tutela cautelare per la salvaguardia delle posizioni privatistiche attinenti al trasferimento della detta licenza il cui regime esula dalle attribuzioni giurisdizionali del giudice ordinario, non potendo egli interferire sul rapporto pubblicistico fra il titolare della licenza e la p.a. e sui poteri a quest’ultima spettanti nell’ambito del rapporto stesso.

Di particolare interesse per il nostro caso è, appunto, il riconoscimento da parte delle Sezioni Unite del difetto di giurisdizione del giudice ordinario nel caso del sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c., poiché questa fattispecie è del tutto analoga all’espropriazione forzata.

Infatti, tale forma di sequestro ha lo scopo precipuo di conservare le ragioni del creditore sul patrimonio del debitore, al fine di consentire il soddisfacimento di un credito tramite una futura esecuzione forzata. In maniera similare e complementare al pignoramento, dunque, il sequestro conservativo attiene alla responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. per il quale “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”.[3]

Ancora, è lo stesso articolo 671 c.p.c. a sottolineare che sono assoggettabili a sequestro conservativo tutti i beni che possono essere oggetto di pignoramento.[4]
Infine, non può non menzionarsi che l’art. 686 c.p.c. prevede l’automatica conversione del sequestro conservativo in pignoramento “al momento in cui il creditore sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva.”

Chiarite le evidenti affinità tra questi due istituti, un’ulteriore l’analisi della giurisprudenza ci consente di notare un secondo ostacolo alla sequestrabilità della licenza commerciale, strettamente legato al primo: non sembra infatti che la licenza possa qualificarsi come bene, essendo piuttosto un provvedimento della Pubblica Amministrazione, quindi espressione della sua discrezionalità.

Invero, giurisprudenza di merito ha sottolineato che la licenza ha carattere personale e non può essere trasmessa in virtù di un accordo tra i soggetti né può intervenire nei rapporti giuridici di carattere negoziale privato che abbiano attinenza con l’attività dell’esercizio, anche nel caso in cui la licenza venga intesa come un elemento dell’azienda. [5]
Giurisprudenza di legittimità arriva alla stessa conclusione sostenendo inoltre che la licenza non sia qualificabile come bene dell’azienda.[6]

Il suesposto principio di personalità della licenza rende pertanto nullo il negozio con cui si trasferisce tale atto alla stregua di un bene[7].

A vietare e rendere nullo ogni trasferimento della licenza è, per giunta, il diritto positivo stesso. Ai sensi dell’art. 8 del T.U.L.P.S. (testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza), infatti:

Le autorizzazioni di polizia sono personali: non possono in alcun modo essere trasmesse né dar luogo a rapporti di rappresentanza, salvi i casi espressamente preveduti dalla legge.

Nei casi in cui è consentita la rappresentanza nell’esercizio di una autorizzazione di polizia, il rappresentante deve possedere i requisiti necessari per conseguire l’autorizzazione e ottenere la approvazione dell’autorità di pubblica sicurezza che ha conceduta l’autorizzazione.”

Sul punto, giurisprudenza di legittimità chiarisce che le licenze sono comunque considerate alla stregua di autorizzazioni di polizia.[8] Il principale argomento contrario alla sequestrabilità della licenza sulla base della sua natura personale è che un provvedimento cautelare (e di conseguenza anche esecutivo) consistente nell’espropriazione della licenza avrebbe come effetto il subentro di un nuovo soggetto nella titolarità di quest’ultima, senza l’esercizio di un controllo discrezionale della P.A. sui requisiti del nuovo titolare.[9]

Sul delicato versante del cambiamento di titolarità è rinvenibile un consistente orientamento di cassazione tributaria che, relativamente a questioni fiscali – completamente diverse dal nostro caso – qualifica la licenza taxi come bene immateriale.[10]

Ex multis, si veda soprattutto Cassazione civile sez. trib., 14/07/2017, n. 17476:

Occorre premettere che la licenza per l’esercizio del servizio di taxi costituisce il bene essenziale e primario nell’ambito del complesso dei beni organizzati per l’esercizio della attività individuale di trasporto di persone (costituito dalla licenza e dall’autoveicolo avente i requisiti di legge), poichè indispensabile per l’esercizio della attività di trasporto delle persone ed avente valore commerciale di mercato, essendo legalmente consentita la trasferibilità della licenza. Essa pertanto rientra tra i “beni relativi all’impresa”, diversi dai beni-ricavi, la cui cessione a titolo oneroso realizza una plusvalenza che concorre alla formazione del reddito a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 86,comma 1. La licenza amministrativa per l’esercizio del servizio di taxi è soggetta ad una disciplina speciale stabilita dalla L. 15 gennaio 1992, n. 21, art. 9, che ne consente e regola la trasferibilità. Fermo restando la regola generale secondo cui una licenza amministrativa non può essere ceduta in virtù di un semplice accordo tra le parti, la norma in oggetto consente al titolare della specifica licenza di taxi di richiedere alla competente autorità comunale il trasferimento della licenza a persona, in possesso dei requisiti prescritti, da lui stesso designata (cosiddetta volturazione), qualora il titolare si trovi in una delle condizioni previste dalla norma … Dal tenore della disposizione si evince che, verificandosi le situazioni oggettivamente accertabili descritte dalla norma, l’ente pubblico munito della potestà di rilascio della licenza è tenuto ad operare il trasferimento richiesto con la domanda di volturazione. Il riconoscimento al titolare della licenza della sostanziale potestà di determinare il trasferimento della autorizzazione amministrativa di cui è intestatario a soggetto scelto da lui stesso, mediante una manifestazione di volontà sulla quale il controllo del Comune è di natura vincolata, si traduce nella indiretta legittimazione della prassi di negoziazione privata delle condizioni economiche alle quali il titolare della licenza si determina alla presentazione della “richiesta di trasferimento a persona da lui designata”.

Solo una lettura superficiale delle pronunce appena viste potrebbe suggerire un superamento del principio di personalità e una conseguente apertura alla sequestrabilità (e alla pignorabilità) della licenza amministrativa.

Infatti, le pronunce in parola si limitano a sostenere che il negozio per il trasferimento della licenza non sia nullo dal momento in cui venga effettuata una voltura da parte del titolare della licenza verso un soggetto che abbia i requisiti per divenirne nuovo titolare.

Infatti, se è vero che il principio di personalità della licenza rende nullo il negozio con cui si trasferisce suddetto atto[11] è vero anche che è valido il patto con cui un cedente si obblighi nei confronti del cessionario a prestare il suo consenso o a compiere l’attività necessaria per consentirgli di ottenere una nuova licenza.[12]

In effetti, la licenza non può essere effettivamente venduta, ma piuttosto volturata in favore di un altro soggetto dietro corrispettivo. La voltura comporta un esercizio di potere da parte della P.A.

Si tenga inoltre presente che le pronunce in esame fanno menzione di una legge specifica sulla cessione della licenza taxi.

Nel caso della licenza commerciale, invece, l’art. 29 comma 1 della Legge 11 giugno 1971, n. 426 prevede che il trasferimento della autorizzazione avvenga con il trasferimento dell’esercizio commerciale.[13]

la Suprema Corte ha chiarito che la licenza di commercio è immediatamente operativa nei confronti del soggetto al quale sia stata ceduta l’azienda, il quale potrà esercitare l’attività commerciale fino all’ottenimento della voltura.[14]

In ogni caso, il nuovo titolare dell’esercizio commerciale è obbligato a richiedere la voltura della licenza.[15]

Quindi, anche qualora si considerasse la licenza commerciale un bene immateriale, non sembrerebbe possibile il suo pignoramento e la sua conseguente “vendita” (ossia la voltura) in favore di un acquirente che abbia i requisiti per esercitare l’attività commerciale dell’esecutato, a meno che tale soggetto non entri in proprietà di tutta l’azienda. E, come vedremo, il pignoramento dell’azienda è quasi unanimemente escluso da dottrina e giurisprudenza.

Inoltre, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario di cui si è parlato all’inizio dell’articolo non sembra subordinato al fatto che la licenza venga qualificata come provvedimento anziché come bene.

In poche parole, anche se si sostenesse che la licenza fosse un bene, essa rimarrebbe comunque espressione della volontà della P.A. su cui il G.O. non avrebbe giurisdizione in relazione a giudizi di sequestro e di pignoramento, perché andrebbero a intralciare il potere della P.A. nel suo rapporto di natura pubblicistica con il titolare della licenza.

Quanto asserito non è messo in discussione dalle pronunce di Cassazione tributaria che qualificano la licenza taxi come bene dell’azienda.

Prima di tutto, infatti, esse riguardano l’accertamento dell’IRPEF sul maggior reddito prodotto dalla cessione (voltura) della licenza, dunque non inficiano sui poteri della P.A. in relazione al rapporto con il titolare della licenza, come nel caso del sequestro.

In secondo luogo  non negano il principio di personalità e intrasferibilità della licenza, specificando che, ferma restando la nullità del negozio con cui si trasferisce a titolo oneroso la licenza senza voltura,  non è nullo il patto con cui si dispone la voltura o si trasferisce la licenza secondo quanto previsto da specifiche norme di legge, perché in tal caso è contestuale un comportamento attivo della P.A. (per quanto vincolato) nell’attribuire la titolarità della licenza ad un soggetto che abbia determinati requisiti e che sia stato designato dal titolare cedente.

Al di là di queste considerazioni, non manca dottrina critica verso l’idea stessa di qualificabilità della licenza taxi come un bene. Gli argomenti a sostegno di tale critica sono quelli già visti: natura di provvedimento amministrativo (anziché di bene) in quanto espressione della discrezionalità della Pubblica Amministrazione.

La licenza taxi difetterebbe quindi della fisicità e della capacità di essere oggetto di diritto ex art. 810 c.c. Inoltre, la cessione della singola licenza non potrebbe considerarsi cessione d’azienda, necessitandosi anche il trasferimento di un altro bene giuridico che componga l’azienda.[16]

Tornando allo specifico caso della licenza commerciale, anche se si ritenesse superato l’ostacolo del difetto di giurisdizione del G.O. qualificando la licenza come un bene, comunque le regole sulla sua trasferibilità ex 29 comma 1 della Legge 11 giugno 1971, n. 426 imporrebbero di trasferire, dopo il pignoramento, anche il resto dell’azienda allo stesso soggetto.

E sul punto, neanche il pignoramento d’azienda sembra fattibile, salvo che per dottrina minoritaria.

La pignorabilità della licenza contestualmente al resto dell’azienda

Qualora si considerasse la licenza come parte dell’intera azienda, intesa come universalità di beni e rapporti giuridici, parrebbe possibile riuscire a pignorare tutta l’azienda assieme alla licenza solo aderendo a dottrina decisamente minoritaria, non suffragata da giurisprudenza.La giurisprudenza[17] tende infatti ad escludere che l’azienda, considerata come universalità, possa essere soggetta a sequestro conservativo o a pignoramento (come detto prima, il sequestro conservativo è analogo al pignoramento perché è esercitabile solo su beni pignorabili e perché si converte in pignoramento a norma dell’art. 686 cpc)

Si rinviene una posizione possibilista in dottrina minoritaria secondo cui l’azienda si potrebbe pignorare notificando l’atto di pignoramento al debitore e iscrivendolo nel registro delle imprese.[18]

Aderendo a questa interpretazione, sarebbe comunque necessario che un solo soggetto sia acquirente di tutta l’azienda pignorata, dimodoché possano operare le condizioni di trasferibilità ex art. 29 L. 11 giugno 1971 n. 426.

Tale dottrina nulla dice sulla trasferibilità della licenza a seguito di pignoramento dell’azienda, ma giurisprudenza di legittimità già analizzata[19] ha chiarito che la P.A. non ha discrezionalità nel volturare la licenza in favore di chi subentra nell’esercizio di un’impresa qualora abbia i requisiti richiesti, ossia “effettivo trasferimento dell’esercizio ed iscrizione nel registro degli esercenti il commercio del cessionario”. In tal caso la voltura è un atto dovuto.

Conclusioni

Riassumendo, sembra possibile affermare che il pignoramento della singola licenza amministrativa sia impraticabile, poiché il G.O. difetta di giurisdizione sul rapporto tra P.A. e titolare dell’autorizzazione.

Inoltre, secondo la giurisprudenza maggioritaria nonché ai sensi dell’art. 8 del TULPS, la licenza non è un bene ma un provvedimento amministrativo, pertanto è personale e non è trasferibile con atti negoziali a meno che non si rispettino norme specifiche sulla sua trasferibilità che prevedono in ogni caso una voltura dell’autorizzazione o comunque l’esercizio del potere della P.A. (anche se vincolato) nel rilasciare una nuova licenza. Nel caso specifico della licenza commerciale (art. 29 L. 11 giugno 1971 n. 426), è permesso il trasferimento della titolarità della licenza solo con il subingresso nell’attività commerciale stessa, quindi sarebbe necessario che un solo soggetto acquisti tutta l’azienda pignorata e venduta forzatamente. C’è giurisprudenza di cassazione tributaria che qualifica la licenza taxi come un bene essenziale dell’azienda. Ma queste sentenze non contestano il fatto che l’autorizzazione possa essere trasferita solo con l’esercizio della volontà della P.A. Quindi non sembra che qualificare la licenza come un bene consenta di superare il difetto di giurisdizione del G.O. o il principio di intrasferibilità.

In secondo luogo, Il pignoramento dell’intera azienda con licenza annessa sembrerebbe fattibile solo aderendo a dottrina minoritaria sulla pignorabilità dell’azienda e comunque partendo dal presupposto che tutta l’azienda venga venduta o assegnata al medesimo soggetto. Solo così si rispetterebbero le condizioni di trasferibilità della licenza commerciale secondo quanto previsto dall’art. 29 L. 11 giugno 1971 n. 426. In seguito alla vendita forzata, anche assumendo che la licenza di per sé non sia trasferibile, il soggetto potrebbe ottenere una nuova licenza in ragione del fatto che gli è stata trasferita l’azienda e ha i requisiti per esercitare l’attività[20].


[1] M. D’Alberti, Lezioni di diritto amministrativo, Giappichelli, 2013, pagg. 266-270

[2] Trib. Larino 08.02.2007;
Conforme: Trib. Monza, 29.01.2001: “Questo giudice deve preliminarmente osservare come la richiesta cautelare sia palesemente inammissibile con riferimento … all’autorizzazione amministrativa all’esercizio del commercio, che costituisce un provvedimento amministrativo rientrante nella sfera di attribuzioni della P.A., per cui il G.O. non è ammesso a svolgere alcun intervento attivo sulla stessa (arg. ex art. 4 l. aboliz. cont.)

[3] M. Mazzei, Il sequestro conservativo ex art 671 c.p.c., su Diritto.it, 21.12.17, https://www.diritto.it/sequestro-conservativo-ex-art-671-c-p-c/

[4] L’art. 671 c.p.c. così recita: “Il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento.”
Sul tema, vedi anche L. Nagero, Il sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c., in Giuricivile, 2018,10: https://giuricivile.it/sequestro-conservativo-ex-art-671-cpc/, il quale definisce l’istituto in esame come “una sorta di pignoramento anticipato”.

[5] Trib. Trento sent. 647 del 17.06.2016

[6] Cass. civ., sez. III, 10-10-2014, n. 21417; Cass. 6.2.04, n. 2240

[7] Cass. n. 5600/86; Trib. Trento 17.06.2016 n. 647.

[8]Cass. civ., sez. II, 17-03-2009, n. 6482: “Il  R.D.  18 giugno 1931, n. 773, art. 8 t.u.l.p.s., dispone che le “autorizzazioni di polizia” sono personali e non possono dar luogo a rapporti di rappresentanza, se non nei casi espressamente preveduti dalla legge e  che,  in tal caso, il rappresentante  deve  ottenere l’approvazione dell’autorità di pubblica sicurezza. Nella specie non v’è  dubbio che trovava applicazione la disposizione del citato art. 8,  perchè  ai  sensi  dell’art. 14 del  medesimo  t.u.  cit.,  sono considerate, tra le altre, autorizzazioni di polizia “le  licenze”  e le  “iscrizioni in appositi registri”, sicchè anche l’autorizzazione di  cui era in possesso la CAMST per somministrazione al pubblico  di alimenti e bevande va qualificata in tal senso.”

[9] Trib. Larino 08.02.2007, per il quale, inoltre: “valutata la natura e di tipo di azione da esercitarsi nel futuro giudizio di merito e, quindi, la tutelabilità e la fondatezza -in termini probabilistici -della pretesa che intende avanzare il ricorrente nell’ambito del futuro giudizio ordinario di cognizione (con riferimento alla azione di accertamento della titolarità di “un provvedimento di natura amministrativa”, che non sembra potersi fare rientrare nel novero dei beni indicati nell’art. 670 n. 1 c.p.c.), evidenziata la verosimile non fondatezza di tale pretesa, le domande avanzate dal ricorrente in questa sede devono essere rigettate.”

[10] Cassazione civile sez. trib., 14/07/2017, n. 17476; Cassazione civile, sez. trib.09/03/2018 , n. 5724; Cassazione civile , sez. trib. , 09/03/2018 , n. 5722; Cassazione civile sez. trib. , 02/03/2018 , n. 4945; Cassazione civile , sez. trib. , 02/03/2018 , n. 4944; Cassazione civile , sez. trib. , 13/10/2017 , n. 24101; Cassazione civile , sez. trib. , 04/10/2017 , n. 23143; Cassazione civile, sez. trib. , 13/10/2017 , n. 24101 in particolare definisce la licenza “bene strumentale di natura immateriale, presupposto strutturale ed elemento qualificante dell’esercizio dell’attività”.

[11]Cass. n. 5600/86.

[12]Cass. 1789/81, cfr. le sentenze di Cassazione tributaria di cui a nota n.9.

[13] “ Il trasferimento della gestione o della titolarità di un esercizio di vendita per atto tra vivi o a causa di morte comporta il trasferimento dell’autorizzazione, sempre che sia provato l’effettivo trapasso dell’esercizio e il subentrante sia iscritto nel registro previsto dal capo I della presente legge.”

[14]Vedasi Cassazione civile sez. II, 28/03/1981, n.1789: “Gli art. 29 della l. 11 giugno 1971 n. 426, sulla disciplina del commercio, e 58 del relativo regolamento, di cui al d.m. 14 gennaio 1972, prevedono con immediata operatività la trasferibilità della licenza di commercio come effetto del trasferimento, anche “inter vivos”, dell’esercizio commerciale cui si riferisce, nonché la facoltà del subentrante di esercitare la relativa attività in pendenza del procedimento diretto a conseguire in proprio la prescritta autorizzazione amministrativa. Pertanto, in forza e nel concorso delle condizioni fissate dalle citate norme, a chi abbia acquistato un esercizio commerciale deve riconoscersi il diritto di detenere e così usufruire interinalmente del documento contenente la licenza di commercio concessa al suo dante causa, per il periodo necessario a conseguire la nuova autorizzazione amministrativa a proprio nome.
Inoltre, la stessa sentenza chiarisce che la P.A. non ha un potere discrezionale nel rilascio della autorizzazione al subentrato qualora abbia i requisiti previsti dalla legge.
Gli art. 29 della l. 11 giugno 1971 n. 426, sulla disciplina del commercio, e 58 del relativo regolamento, di cui al d.m. 14 gennaio 1972, prevedono con immediata operatività la trasferibilità della licenza di commercio come effetto del trasferimento, anche “inter vivos”, dell’esercizio commerciale cui si riferisce, nonché la facoltà del subentrante di esercitare la relativa attività in pendenza del procedimento diretto a conseguire in proprio la prescritta autorizzazione amministrativa. Pertanto, in forza e nel concorso delle condizioni fissate dalle citate norme, a chi abbia acquistato un esercizio commerciale deve riconoscersi il diritto di detenere e così usufruire interinalmente del documento contenente la licenza di commercio concessa al suo dante causa, per il periodo necessario a conseguire la nuova autorizzazione amministrativa a proprio nome.”

[15]Cass. Civ. 30.12.04 n. 24184

[16] J. Lorenzi, La difficile qualificazione giuridica, ai fini fiscali, della fattispecie cessione licenza taxi, nota a Cass. civ. sez. trib. 04/10/2017 n. 23143, su Iltributario.it.         

[17] Trib. Milano, 09.09.2015: “la misura cautelare richiesta, negli espressi ed esclusivi termini di sequestro conservativo (del ramo) di azienda …, non pare ammissibile, dovendosi aderire a quella preponderante opinione (dottrinale e giurisprudenziale) secondo cui, alla luce della sequestrabilità in via conservativa dei soli beni assoggettabili al pignoramento in cui il sequestro si converte ipso iure all’atto della condanna giudiziale esecutiva (art. 686 c.p.c.), non è pignorabile -né quindi sequestrabile ex art. 671 c.p.c.- l’universitas rerum costituita dal complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, comprensivo altresì ed in quanto tale di contratti e di valori ed utilità anche personali ed immateriali, per il quale l’ordinamento processuale non prevede infatti -al di fuori delle ipotesi di liquidazione concorsuale ed universale previste dalla legge fallimentare e salve le leggi speciali in materia tributaria- l’esecuzione forzata per espropriazione cui il pignoramento è finalizzato” (cfr. Trib. Milano 13.03.2016; Trib. Civitavecchia 18.07.2008)

[18] M. Cirulli, Il Pignoramento dell’Azienda in Il Nuovo Diritto delle Società, 11/2017.

[19] Cassazione civile sez. II, 28/03/1981, n.1789.

[20] Ibid.

Avvocato Del foro di Roma con attività prevalente nel diritto civile e di famiglia. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma "La Sapienza" con tesi in Diritto Pubblico Comparato su “La tutela dei diritti fondamentali dinnanzi alla minaccia del terrorismo internazionale.”

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