La gestione della crisi bancaria alla luce della nuova normativa europea: il Bail-in

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A seguito delle numerose insolvenze bancarie verificatesi nel corso della crisi finanziaria del periodo 2007 – 2009[1] e delle gravi conseguenze che ne sono derivate sui sistemi finanziari e sulle economie reali dei Paesi occidentali, la riforma dei sistemi di gestione delle crisi bancarie, insieme a quella della supervisione bancaria, è al centro degli interventi di ri-regolazione del sistema bancario, allo scopo di rimediare alle profonde carenze poste in luce da detti eventi patologici.[2]

La risposta normativo – istituzionale alle crisi bancarie e ai gravi fenomeni recessivi dell’economia che hanno interessato i paesi occidentali (soprattutto l’Europa, in cui la crisi bancaria si è associata a quella del debito sovrano in un circolo vizioso che ha prodotto danni incommensurabili alle economie) è costituita dal progetto di Unione Bancaria europea[3], concepita come parte integrante di un disegno ancor più ambizioso e complesso, quale il consolidamento dell’Unione economica e monetaria, minacciata dalle perduranti tensioni finanziarie internazionali.[4]

Invero, il dibattito e le iniziative per una riforma complessiva della regolamentazione bancaria e della gestione delle insolvenze bancarie erano iniziati ancor prima che cominciassero a manifestarsi i fenomeni di turbolenza finanziaria, essendo da tempo avvertita la dicotomia esistente tra l’internazionalizzazione degli intermediari e dei mercati e una struttura ordinamentale ancora saldamente ancorata a una dimensione nazionale. In qualche misura, il senso di quello che sarebbe potuto accadere e le conseguenti disfunzioni che ne sarebbero potute derivare sul piano della gestione delle situazioni di patologia bancaria erano stati chiaramente previsti. E così è stato con il caso della Lehman Brothers, la prima banca di dimensioni sistemiche “lasciata fallire” dalle autorità americane, con i gravi effetti distruttivi e disgregativi che tutti conosciamo.[5]

La filosofia di fondo di tale progetto è completamente opposta a quella che caratterizzava il precedente assetto istituzionale europeo: si è passati da un sistema di armonizzazione minima degli ordinamenti nazionali a un approccio di armonizzazione massima e, infine, all’accentramento a livello europeo delle fondamentali funzioni di vigilanza bancaria e della gestione della crisi. Entrando più nel dettaglio, il progetto di unificazione bancaria europea, coerentemente con l’obiettivo di pervenire alla progressiva integrazione dei mercati finanziari e ad un mercato unico bancario europeo, prevede la realizzazione di tre pilastri, logicamente collegati tra loro:

  1. Sistema unico di vigilanza europeo (Single Supervisory Mechanism);
  2. Sistema unico di risoluzione delle crisi, accompagnato da un fondo unico di risoluzione (Single Resolution Mechanism)
  3. Sistema unico di garanzia dei depositi.

Il nuovo regime delle crisi bancarie rappresenta dunque uno dei tre pilastri del complessivo processo internazionale di revisione della regolamentazione e supervisione bancaria, in risposta alle carenze rivelate dalla crisi.

Principio portante di questo nuovo regime è costituito dall’assunto che le banche in crisi debbano poter essere sottoposte a liquidazione e/o ristrutturazione senza che la stabilità finanziaria ed economica del sistema sia posta in pericolo, e senza che il costo della crisi debba essere sopportato da risorse pubbliche. Naturale portato di questo principio è che la procedura di risoluzione debba essere sostenuta in primis attraverso risorse private (azionisti, creditori, fondi mutualistici alimentati con risorse private), e solo in via eventuale e residuale con capitali pubblici.[6]

A tal fine, Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea (Ecofin) – dopo aver annunciato di aver raggiunto un accordo definitivo sul testo della Direttiva sulle procedure di composizione delle crisi in ambito bancario – hanno adottato la Direttiva BRRD (Banking Recovery and Resolution Directive, 2014/59/UE), provvedimento che appresta procedure di risoluzione dei dissesti degli istituti creditizi al fine di assicurare uniformità di regole tra gli Stati appartenenti all’UE.

La Direttiva dà attuazione in Europa a principi e criteri concordati in ambito internazionale (gli “FSB Key Attributes for Effective Resolution Regimes for Financial Institutions”, o FSB KAs, approvati dal G-20 nel novembre 2011) per definire meccanismi di risoluzione delle banche che siano capaci:

Ex ante (i.e. nella fase di going concern) di ridurre il rischio di moral hazard che la recente crisi ha dapprima rivelato e quindi rinforzato attraverso la decisione di procedere a salvataggi pubblici;

Ex post (i.e. una volta che la crisi si sia conclamata) di ridurre il “costo sociale” delle crisi bancarie.

Nell’ambito di questa cornice, la BRRD distingue tre fasi:

  1. Una fase preparatoria;
  2. Una fase di intervento precoce;
  3. Una fase risolutiva.

Questa distinzione viene effettuata in linea con l’ordine cronologico degli eventi che conducono la banca verso la risoluzione (anche se non necessariamente quest’ultima si verifica.

Si ritiene opportuno precisare che la fase risolutiva non è una fase in cui la banca in crisi entra automaticamente.

Infatti, perché ciò accada, occorre che l’autorità di risoluzione verifichi se siano integrati i tre criteri di risoluzione di cui all’articolo 32 BRRD.

La prima condizione, nel determinare se la banca è in crisi, si riferisce alla situazione finanziaria della stessa. Una banca è in crisi quando, a causa della sua situazione finanziaria risulta troppo indebitata, illiquida o quando necessità del sostegno finanziario pubblico.

La seconda condizione richiede che il fallimento della banca non possa essere impedito entro un lasso di tempo ragionevole con misure alternative, compresi i poteri disponibili in fase di intervento precoce.

La terza condizione richiede all’autorità di risoluzione di stabilire se un’azione di risoluzione è necessaria nell’interesse pubblico.

Per fare ciò, essa deve valutare se, in sostanza, l’applicazione della risoluzione consentirebbe un più efficace raggiungimento degli obiettivi rispetto all’ordinaria procedura di insolvenza.

Questo terzo criterio dimostra che la risoluzione è un’alternativa alla procedura ordinaria di insolvenza.

Una volta che la risoluzione è determinata, l’autorità di risoluzione ha a disposizione un gamma di strumenti di risoluzione. La Direttiva, infatti, in linea con gli FSB KAs, individua e impone l’introduzione in ciascuno Stato membro di (almeno)[7] quattro strumenti per la risoluzione delle banche: sale of assets (vendita dell’attività di impresa o delle azioni dell’ente), bridge bank (costituzione di un ente – ponte), asset separation tool (separazione delle attività in sofferenza da quelle non deteriorate) ed infine il c.d. bail – in.[8]

Proprio di quest’ultimo strumento, considerato il più incisivo e controverso, ci si occuperà nella presente trattazione, inquadrando dapprima il tessuto normativo entro cui si inserisce per poi tentare di delinearne gli aspetti essenziali ed i suoi rapporti con l’ordinamento italiano, nonché tentando di affrontare alcune problematicità ad esso legate.


[1] La crisi finanziaria globale ha interessato gli Stati Uniti (e segnatamente, la asset class dei mutui ipotecari) nel biennio 2007 – 2008 e successivamente si è estesa ad altri sistemi finanziari del mondo occidentale.

[2] Così, G. BOCCUZZI, op. cit., p. 9.

[3] Il punto di svolta dell’azione pubblica di riforma si può individuare nella seconda ondata di crisi verificatasi a metà del 2011, che ha dato luogo a un intreccio tra rischio sovrano e rischio bancario, soprattutto in quei Paesi con bilanci pubblici caratterizzati da deficit strutturali ed elevato indebitamento. Questi ultimi sono andati in default e sono stati salvati con misure di sostegno internazionali, concesse a determinate condizioni di aggiustamento dei bilanci pubblici. Così, G. BOCCUZZI, ibidem.

[4] La proposta di istituire un “quadro finanziario integrato” per l’Europa (la cd. Unione bancaria europea), nell’ottica di un consolidamento dell’Unione economica e monetaria, è stata formalizzata dal documento usualmente denominato Rapporto Van Rompuy, redatto dal Presidente del Consiglio europeo in stretta collaborazione con i Presidenti della Commissione, dell’Eurogruppo e della BCE. Così, F. CIRAOLO, Il single Resolution Mechanism (Regolamento UE n. 806/2014). Lineamenti generali e problemi di fondo, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 3/2015, p. 358.

[5] E destinata a portare con sé i numerosi interrogativi sollevati in questi anni sul perché sia stata l’unica realtà insolvente abbandonata al proprio destino, in un contesto di generalizzato ricorso ai salvataggi bancari realizzati con denaro dei contribuenti. Così, G. BOCCUZZI, op. cit., p. 9.

[6] Così, CAPIZZI – CAPPIELLO, Prime considerazioni sullo strumento del bail – in: la conversione forzosa di debito in capitale, in Atti del convegno orizzonti del diritto commerciale, 2014, p. 2.

[7] Gli Stati possono prevedere strumenti ulteriori nella misura in cui essi non confliggano con l’operatività dei quattro previsti dalla direttiva e, quindi, non condizionino la funzionalità delle risoluzioni transfrontaliere.

[8] Così, CAPIZZI – CAPPIELLO, op. cit., p. 1.v

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