
La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27106 del 18 ottobre 2024 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), è intervenuta con una pronuncia di rilevanza nodale in materia di diritto bancario e finanziario, prendendo posizione in maniera chiara e decisa sull’efficacia giuridica della cosiddetta clausola di salvaguardia nei contratti di mutuo e di leasing finanziario, specie in relazione alla disciplina sull’usura.
Tale clausola, largamente diffusa nella prassi contrattuale bancaria, viene solitamente predisposta con l’intento dichiarato di prevenire la nullità della pattuizione degli interessi nel caso in cui il tasso convenuto superi il limite massimo previsto dalla legge, c.d. tasso soglia, così come definito dalla legge n. 108 del 1996. Lo strumento, che si propone come meccanismo correttivo automatico, è volto ad applicare il tasso soglia in luogo di quello contrattualmente previsto, ove quest’ultimo dovesse eccedere il limite legale.
Tuttavia, dietro questa apparente funzione protettiva e conservativa del contratto, si cela una questione di maggiore profondità sistematica e dogmatica: può la clausola di salvaguardia sanare una nullità originaria della clausola sugli interessi per violazione della normativa antiusura? Oppure essa può operare solamente in riferimento a sopravvenienze che rendano il tasso pattuito usurario solo in un secondo momento, rispetto al momento genetico della stipulazione contrattuale?
La Corte di Cassazione, con la decisione in esame, risponde in modo inequivoco, delimitando con precisione l’ambito operativo della clausola in parola e riaffermando alcuni principi fondamentali dell’ordinamento civilistico, in particolare il carattere imperativo della normativa antiusura, la necessità della valutazione ex ante dell’usurarietà e l’intangibilità della nullità come sanzione civilistica.
Il caso
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte trae origine da un contratto di locazione finanziaria, concluso nel 2006 tra Unicredit Leasing S.p.A. e una società utilizzatrice. Nel contratto era previsto un tasso di interesse moratorio determinato come maggiorazione dell’Euribor a tre mesi di nove punti percentuali, corrispondente a un tasso complessivo del 12,41%. Tuttavia, all’epoca della stipula, il tasso soglia stabilito ai sensi della legge n. 108/1996 era pari all’8,97%, risultando dunque il tasso convenuto superiore a tale limite legale.
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Manipolazione del tasso Euribor e diritto al rimborso degli interessi
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Monica Mandico
Avvocato Cassazionista presso lo Studio Mandico & Partners, gestore ex art. 356 CCII, liquidatore, amministratore giudiziario. Esperta in diritto bancario e crisi d’impresa e procedure di sovraindebitamento, svolge incarichi di docenza in numerosi corsi di formazione e master di II livello presso l’Università Partenope di Napoli e l’Università di Ferrara ed è legale accreditato presso Enti no profit e Onlus. Già componente della Commissione regionale per la nomina di Esperto Indipendente presso la C.C.I.A.A. di Napoli. Coordinatrice della Commissione di studio presso il COA di Napoli su “Sovraindebitamento ed esdebitazione”. Autrice di numerose pubblicazioni su diritto bancario e finanziario, sovraindebitamento e GDPR.
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Il giudizio di primo grado si concludeva con l’accoglimento della domanda attorea e la declaratoria di nullità della clausola contenente il tasso di mora, in quanto usurario ab origine, ai sensi dell’art. 1815, comma 2, c.c. e dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, convertito con modificazioni nella legge n. 24 del 2001. In particolare, il Tribunale aveva ritenuto che la clausola relativa agli interessi moratori fosse nulla in quanto contraria a norma imperativa e che non potesse produrre alcun effetto, neppure surrogatorio, in favore della banca creditrice.
Diversamente, la Corte d’Appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, riteneva che la clausola di salvaguardia prevista nel contratto – la quale stabiliva che, ove il tasso convenzionale risultasse eccedente il tasso soglia, sarebbe stato automaticamente sostituito da quest’ultimo – fosse idonea ad assicurare la validità della pattuizione, impedendo in radice la configurabilità dell’usura e della conseguente nullità.
La clausola di salvaguardia tra prassi bancaria, disciplina antiusura e controllo di legalità: la decisione della Corte
Inquadramento della clausola di salvaguardia
La Suprema Corte, investita della questione, ha annullato senza rinvio la sentenza d’appello, muovendo da un inquadramento sistematico e funzionale della clausola di salvaguardia. Essa ne ha escluso categoricamente l’idoneità a sanare un vizio genetico della clausola sugli interessi, rilevando che tale clausola può esplicare efficacia esclusivamente in riferimento a vicende sopravvenute che, modificando gli indici di riferimento del tasso (come, ad esempio, l’Euribor), conducano in un secondo momento alla violazione del tasso soglia.
Funzione preventiva e presupposto di validità iniziale
In tali ipotesi, la clausola si presenta come uno strumento di contenimento e prevenzione, che consente di evitare che un tasso legittimamente pattuito divenga, in corso di rapporto, illecito. Ma tale funzione, sottolinea la Corte, presuppone la legittimità iniziale della pattuizione. Diversamente, una pattuizione affetta da nullità sin dall’origine non può essere convalidata né salvata retroattivamente da una clausola di salvaguardia, pena la sostanziale elusione della norma imperativa.
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Il rilievo centrale del momento genetico
Il cuore argomentativo della pronuncia risiede nell’affermazione per cui l’usura deve essere valutata al momento della stipulazione del contratto: ciò che rileva è il tasso pattuito originariamente, e non quello effettivamente applicato in seguito. L’elemento genetico della pattuizione assume quindi rilievo centrale, e qualsiasi clausola che pretenda di neutralizzarne gli effetti sulla base di eventi successivi si scontra con la disciplina legale.
Rischi di elusione normativa
La Corte chiarisce che, se si accettasse il contrario, si attribuirebbe alla clausola di salvaguardia una funzione che ne sovvertirebbe la natura: non più uno strumento di adeguamento tecnico rispetto a eventi sopravvenuti, ma un artificio volto a svuotare di contenuto l’art. 1815 c.c., la l. 108/1996 e le norme del d.l. 394/2000, con conseguente illegittima compressione delle garanzie di legalità e trasparenza contrattuale.
Il significato letterale e funzionale della clausola
In un passaggio particolarmente incisivo, la Corte richiama la lettera stessa della clausola e il suo significato semantico: una clausola di “salvaguardia” può operare esclusivamente a tutela di clausole valide, non certo di clausole invalide sin dall’origine. Il suo ambito applicativo deve pertanto rimanere confinato alle sole ipotesi in cui la sopravvenienza di circostanze esterne, quali l’andamento dei tassi di riferimento, minacci la validità di una clausola lecita al momento della sua formazione.
Conclusione
La decisione della Corte di Cassazione, resa con l’ordinanza n. 27106 del 2024, segna un punto fermo nell’interpretazione della clausola di salvaguardia e nel rapporto tra autonomia contrattuale e norme imperative in materia di usura. Essa afferma in modo netto che la validità delle clausole sugli interessi, tanto corrispettivi quanto moratori, deve essere verificata al momento della stipulazione, e che qualsiasi pattuizione eccedente il tasso soglia è radicalmente nulla, indipendentemente da meccanismi correttivi introdotti nel contratto.
In tale prospettiva, la clausola di salvaguardia può assolvere un ruolo utile solo come strumento tecnico di contenimento delle fluttuazioni future dei tassi, ma non può mai assumere una funzione sanante rispetto a un vizio genetico del contratto. L’ordinanza si colloca quindi in una linea di continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale che valorizza la funzione di protezione del contraente debole, specialmente in ambito bancario e finanziario, riaffermando l’irrinunciabilità dei principi di legalità, trasparenza, buona fede e correttezza nella formazione e nell’esecuzione dei contratti.
Per la prassi bancaria, si tratta di un monito chiaro: l’inserimento di clausole di salvaguardia non può essere utilizzato come escamotage per aggirare i limiti di legge. È quindi auspicabile che gli operatori del credito, nell’elaborazione dei loro schemi contrattuali, si adeguino a quanto affermato dalla Suprema Corte, assicurando che la pattuizione degli interessi avvenga nel pieno rispetto della normativa antiusura fin dalla fase genetica del contratto, senza confidare in meccanismi correttivi successivi. Per il giurista, per il giudice e per il legislatore, la pronuncia in commento rappresenta un’utile occasione di riflessione sul ruolo delle clausole contrattuali nella costruzione di un diritto civile coerente con i principi dell’ordinamento e immune da tentazioni elusorie.