Non costituisce un interesse giuridicamente tutelabile quello a proporre un’impugnazione infondata, con la conseguenza che la tardiva proposizione, da parte dell’avvocato, di un appello privo di ragionevoli probabilità di accoglimento, non costituisce per il cliente un danno risarcibile, e non fa sorgere per l’avvocato un obbligo risarcitorio, nemmeno sotto il profilo della perdita della chance della mera partecipazione al giudizio di impugnazione. Lo ha stabilito la III Sezione Civile della Corte di Cassazione nell’Ordinanza n. 24670/2024, aderendo a precedenti orientamenti.
Vicenda
Il Tribunale ingiunse a un uomo di pagare all’avvocato l’importo di poco superiore a Euro diecimila a titolo di compensi professionali maturati per l’attività prestata durante un procedimento giudiziario promosso contro lo stesso ingiunto che giunse fino alla cassazione. Lo stesso uomo si era opposto a un decreto ingiuntivo proponendo, contestualmente, domanda riconvenzionale volta a ottenere il risarcimento del danno per responsabilità professionale dell’avvocato, adducendo che il legale aveva predisposto con negligenza e imperizia il ricorso per cassazione rigettato. Il Tribunale, con sentenza, resa nel contraddittorio con il legale e la compagnia, chiamata in causa dall’opposto a titolo di manleva, confermava il decreto ingiuntivo e rigettava la domanda riconvenzionale dell’opponente, reputando insussistente il nesso causale tra la condotta professionale e l’asserito pregiudizio patrimoniale patito dall’uomo, non avendo quest’ultimo fornito prova che “un’impugnazione diversamente articolata e scevra di pretesi errori giuridici ed omissioni avrebbe avuto un’elevata probabilità di accoglimento in sede di giudizio di legittimità”. La questione approda in Cassazione, che tuttavia rigetta il ricorso interposto dall’uomo.
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Orientamento della giurisprudenza di legittimità
La responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del legale, se un danno vi sia stato effettivamente e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, e l’esito derivatone (ex multis, Cass. n. 2109/2024). A detto fine, si è distinto pure tra “l’omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l’evento dannoso, dall’omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio“; mentre nella prima ipotesi “l’evento dannoso si è effettivamente verificato, quale conseguenza dell’omissione“, nella seconda “il danno deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato“. La seconda ipotesi è quella che attiene alla responsabilità professionale dell’avvocato per omessa impugnazione del provvedimento sfavorevole, che ricorre nella vicenda de qua, vertendo sull’omessa formulazione di un motivo di ricorso per cassazione che la parte ritiene come decisivo per l’invalidazione della sentenza impugnata. In siffatta ipotesi l’esito del giudizio, il cui svolgimento è stato precluso dall’omissione del legale, “non può essere accertato in via diretta, ma solo in via presuntiva e prognostica” – in base alla regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” -, per cui l’affermazione della responsabilità risarcitoria “implica una valutazione prognostica positiva” circa la ragionevole probabilità che l’azione giudiziale, che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita, abbia un esito favorevole (Cass. n. 10320/2018).
Obbligazione di mezzi
Il collegio argomenta che le ragioni che inducono ad aderire all’orientamento e a escludere che la “mera” perdita della possibilità di partecipare a un giudizio, per effetto dell’inadempimento dell’avvocato all’obbligazione professionale (omessa impugnazione, in tutto o in parte, del provvedimento giudiziario sfavorevole) possa costituire un danno, di per sé, risarcibile, a prescindere da una correlazione col risultato “utile” cui mira il giudizio, muovono dalla considerazione della natura di detta obbligazione, che la Corte (Cass. n. 21953/2023), ha ritenuto essere “di mezzi e non di risultato” poiché il legale si fa carico non già dell’obbligo di realizzare il risultato cui il cliente aspira, ma dell’obbligo di esercitare diligentemente la propria professione, che a quel risultato deve pur sempre essere finalizzata.
Interesse strumentale e primario
Si è precisato (Cass. n. 28992/2019) che nelle obbligazioni di “diligenza professionale” occorre distinguere tra un interesse strumentale, affidato alla cura della prestazione oggetto di obbligazione (art. 1174 c.c.), e un interesse primario, o presupposto, del creditore:
- l’interesse strumentale è quello che connota la prestazione oggetto dell’obbligazione, ossia il rispetto delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore;
- l’interesse primario o presupposto non è dedotto in obbligazione, ma è intimamente connesso a quello strumentale “già sul piano della programmazione negoziale e dunque del motivo comune rilevante al livello della causa del contratto”.
Nel caso dell’obbligazione di diligenza professionale dell’avvocato l’interesse primario del cliente/creditore è la “vittoria della causa”, così come nell’obbligazione del medico tale interesse è la “guarigione dalla malattia”; sicché, “(n)on c’è obbligazione di diligenza professionale del medico o dell’avvocato se non in vista, per entrambe le parti, del risultato della guarigione dalla malattia o della vittoria della causa”. Consegue che il “danno evento nelle obbligazioni di diligenza professionale riguarda… non l’interesse corrispondente alla prestazione ma l’interesse presupposto”, per cui l’inadempimento della prestazione dedotta in obbligazione comporterà certamente la lesione dell’interesse strumentale, ma non necessariamente di quello primario/presupposto, ponendosi, dunque, l’esigenza di dimostrare che la condotta contraria alle leges artis abbia determinato, eziologicamente, la lesione dell’interesse primario/presupposto e, dunque, il danno evento. La responsabilità risarcitoria dell’avvocato non può, infatti, sussistere in ragione soltanto dell’inadempimento all’incarico professionale e, dunque, come conseguenza unicamente della lesione dell’interesse strumentale dedotto in obbligazione. L’inadempimento potrà costituire il presupposto della domanda di restituzione del compenso che il cliente abbia corrisposto al legale o per consentire al primo di opporsi utilmente alla richiesta in tal senso avanzata da quest’ultimo (avvalendosi dell’eccezione ex art. 1460 c.c.); e nel perimetro dell’inadempimento, e quindi della lesione dell’interesse strumentale, si collocherà la condotta imperita/negligente dell’avvocato che abbia cagionato la perdita della possibilità di partecipare a un giudizio.
La prova del nesso causale
Per il risarcimento del danno occorre la prova del nesso eziologico tra la condotta del legale e il risultato che ne è derivato, ovvero che si sia determinata, in termini di giudizio prognostico, la lesione dell’interesse primario del cliente e cioè la mancata “vittoria della causa” o il mancato “riconoscimento delle proprie ragioni” nella sede giudiziaria. Contrariamente, in assenza di quest’ultimo interesse non potrà esserci danno risarcibile. Non potrà esserci danno risarcibile se si confonde l’interesse primario del cliente, che vale a connotare causalmente il contratto di patrocinio in giudizio concluso con l’avvocato, con quello alla “mera partecipazione” a un giudizio, affatto sganciato dal “bene della vita” cui tende il giudizio. Non è la “mera partecipazione a un giudizio” l’interesse tutelato dall’ordinamento, che è, invece, finalizzato al “riconoscimento delle proprie ragioni”, ossia dei diritti/interessi legittimi per i quali soltanto è garantita dall’ordinamento il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.).
La perdita della possibilità di una “mera partecipazione” a un giudizio
Quando deriva da omessa impugnazione del provvedimento giudiziario sfavorevole, non vale a integrare, di per sé, un danno risarcibile, in quanto un tale danno è configurabile solo ove sussista la lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento, che, nel caso, va rinvenuto nell’interesse al “bene della vita” del cliente per il cui soddisfacimento è solo diretto l’adempimento dell’obbligazione di diligenza professionale forense e cioè l’interesse a “vincere la causa”, a vedersi riconosciute le “proprie ragioni” e, quindi, a ottenere tutela dei propri diritti/interessi legittimi.
Il principio di diritto
“Non costituisce un interesse giuridicamente tutelabile quello a proporre una impugnazione infondata; ne consegue che la tardiva proposizione, da parte dell’avvocato, di un appello privo di ragionevoli probabilità di accoglimento non costituisce per il cliente un danno risarcibile, e non fa sorgere per l’avvocato un obbligo risarcitorio, nemmeno sotto il profilo della perdita della chance della mera partecipazione al giudizio di impugnazione”.
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