L’ultima corrente di pensiero della giurisprudenza, formatasi in tema di nullità, suole ricondurre a questa figura giuridica, in principio ritenuta unitaria tanto da affiancarla, metaforicamente, a un monolito, diverse tipologie di invalidità che della nullità codicistica conservano esclusivamente il nome.
La trasformazione dell’istituto, che si sta verificando in giurisprudenza, manifesta una sempre maggiore attenzione dell’interprete alla finalità che il legislatore, tramite la nullità all’uopo prevista, intende perseguire.
È sorta, quindi, in giurisprudenza una nozione di nullità apprezzabile esclusivamente avendo riguardo all’interesse giuridico presidiato dalla norma giuridica.
Questa connessione teleologica fra nullità e bene della vita presidiato si ripercuote sul piano processuale, frammentando l’originario regime dell’istituto attraverso ipotesi di nullità che ammettono forme di convalida tacita.
Al fine di apprezzare il fenomeno della frammentazione, cui senz’altro corrisponde una valorizzazione degli interessi individuali sottesi alla norma giuridica, la cui tutela tuttavia si riflette su categorie di soggetti, occorre procedere con un’analisi attenta al dato storico.
Nullità strutturale, testuale e virtuale: la disciplina codicistica
La disciplina generale della nullità è contenuta nel codice civile, segnatamente al capo IX del libro IV, artt. 1418 c.c. e seguenti.
Il codice contempla un’unica forma di nullità, idonea a incidere sull’intero regolamento negoziale ovvero su parte di esso, determinando, in questo caso, la sostituzione automatica della clausola (art. 1419 c.c.).
La nullità codicistica, peraltro, quale che sia l’effetto che produce sul contratto, caducandolo in tutto o in parte, può essere tripartita: l’art. 1418 c.c. contempla, infatti, una nullità strutturale, una testuale e, da ultimo, una virtuale.
La nullità strutturale sanziona i regolamenti negoziali che difettano di alcuni elementi essenziali, necessari per produrre l’effetto di modificazione delle sfere giuridiche delle parti (art. 1325 c.c.).
È testuale, invece, quella forma di nullità prevista espressamente da una norma di legge; esemplificando, ipotesi di nullità testuale sono gli artt. 1342, co.2, c.c., 1349, co.2, c.c.
Infine, è virtuale la nullità che consegue alla violazione di una norma imperativa. Sono tali, a riguardo, quelle norme che pongono regole precettive di interesse generale.
Dall’esame delle tre tipologie di nullità è possibile trarre una differenza sostanziale: solo la nullità virtuale è connessa alla violazione di una norma imperativa, quindi all’interesse generale dei consociati; quella strutturale, invece, consegue a un deficit contenutistico del regolamento negoziale, mentre quella testuale sussiste solo in presenza di una norma che espressamente la commina.
La nullità virtuale, allora, è una figura peculiare atteso che per verificarsi richiede un’interpretazione basata sul rango della norma, e più nel dettaglio sulla tipologia di interesse dalla stessa presidiato.
Nonostante la presenza della nullità in forma virtuale, la cui struttura consente di apprezzarne la residualità e atipicità, il legislatore del ’42 ha elaborato una tipologia di nullità cd. statica, tesa a preservare interessi di rango ordinamentale, con lo scopo di limitare l’autonomia negoziale privata contemplata dall’art. 1322, co.2, c.c.
La staticità del sistema elaborato dal codice civile si evince dall’art. 1423 c.c. che non ammette la possibilità di convalidare il regolamento negoziale che, nella sua formazione, si sia posto in contrasto con una norma imperativa ovvero difetti di elementi strutturali ritenuti essenziali, ovvero, ancora, violi una norma di legge che espressamente è posta a tutela di interessi super-individuali, comminando, in caso di un contrasto tra essa e il negozio giuridico, la nullità di quest’ultimo.
Dal tenore letterale della disposizione in esame emerge l’intenzione del legislatore di riservare a scelte di politica legislativa il bilanciamento fra interessi dei singoli e della collettività.
Su questo scenario normativo del ’42 ha insistito nel 1948 la Costituzione, il cui obiettivo principale è stato quello di arricchire la tutela della persona, intesa come centro di interessi, variabili nel tempo.
La nullità di protezione
Per quanto di interesse, rileva l’art. 41 Cost. che riconosce il diritto all’iniziativa economica privata, declinandola come libera, salvo che la stessa frustri l’utilità sociale o beni di rilievo nazionale. L’iniziativa economica privata, in campo civilistico, si esplica attraverso il contratto, strumento con il quale le parti perseguono i propri interessi di natura economica.
Questa libertà economica, che si realizza attraverso il contratto, impinge nel dettato normativo dell’art. 1322, co.2, c.c., attribuendo alla disposizione un rango primario all’interno del codice civile.
La libertà negoziale, oggi, assurge a principio fondamentale del sistema civilistico, illimitabile da parte del legislatore, se non per cause ragionevoli.
Muovendo da tale concezione di libertà negoziale, si è assistito alle prime frammentazioni della nullità. Rilevante, a tal fine, è il codice del consumo, il cui art. 36, co.3, ha introdotto nel sistema del diritto civile una forma di nullità definita di protezione, ossia tesa a proteggere interessi particolari.
La nullità di protezione è, quindi, una forma di nullità che presidia un interesse particolare, quello del consumatore, ma al tempo stesso un interesse super-individuale, costituito dalla categoria sociale dei consumatori.
La natura ibrida dell’interesse sotteso alla nullità consegna agli interpreti una figura giuridica al quanto complessa; di essa, infatti, il legislatore non disciplina il regime processuale, limitandosi a evidenziare, all’art. 36, co.3, che la nullità opera nell’interesse del solo consumatore e che può essere rilevata d’ufficio.
Nonostante la precisazione normativa contenuta nella disposizione menzionata, la nullità di protezione è una forma di nullità alquanto peculiare: essa, diversamente dalla nullità codicistica, non opera a vantaggio di un interesse super-individuale, ma a favore del consumatore.
Consegue dall’inciso che l’operatività dell’istituto, quindi la sua rilevabilità d’ufficio, deve essere valutata in ordine all’interesse presidiato dalla nullità.
In ciò consiste la funzionalizzazione della nullità all’interesse dalla stessa protetto: il regime giuridico della nullità di protezione, infatti, consente, declinando l’istituto nelle forme di una eccezione in senso lato, di rimettere gli effetti alla disponibilità della parte.
Conseguentemente, un contratto, al quale accede una clausola lesiva dell’interesse del consumatore o della categoria dei consumatori, può essere portato a esecuzione, senza che la predetta clausola venga dichiarata nulla.
Rimettere alla disponibilità della parte l’eccepibilità della nullità, equivale ad autorizzare una forma di convalida tacita, in parziale deroga all’art. 1423 c.c.
Nullità di protezione e deroga alla tassatività delle ipotesi di convalida: ratio dell’intervento del legislatore
Posto questo inquadramento dell’istituto, le ragioni che hanno indotto il legislatore a regolamentare una forma siffatta di nullità, implicitamente ammettendo una deroga alla tassatività delle ipotesi di convalida, sono ravvisabili nella tipologia di interesse presidiato dalla norma di legge.
Il codice dei consumatori, infatti, tende a tutelare in massima parte il consumatore dagli abusi del professionista; nel fare ciò, il legislatore ha predisposto due regimi di tutela, uno preventivo, che pone un obbligo di informazione in capo al professionista; uno successivo, che stigmatizza la presenza di clausole vessatorie contenute nel contratto.
L’obiettivo che il legislatore si prefigge è quello di evitare che la differenza di classe sociale (consumatore e professionista) possa essere idonea e ledere il principio di utilità marginale che governa gli scambi negoziali; in quest’ultimo caso, il consumatore non potrebbe perseguire il proprio interesse, stante il deficit normativo in cui versa rispetto al professionista.
Sicché, non di rado può accadere che la presenza di alcune clausole parzialmente squilibranti, se da un lato riducono l’esposizione del professionista in punto di responsabilità, dall’altro lato potrebbero essere bilanciate con clausole, di natura economica, poste a favore del consumatore, e di suo interesse.
Conseguentemente, il consumatore potrebbe non avere interesse a eccepire la nullità di protezione, nonostante sia abilitato a eccepirla.
Tuttavia, una siffatta impostazione si espone a critica nella misura in cui non tiene in considerazione le situazioni in cui il consumatore, parte debole del contratto, non sia in grado di riconoscere la clausola lesiva.
Soccorre sul punto la Corte di giustizia europea, che in relazione ai poteri del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di protezione, ha evidenziato che in caso di silenzio delle parti, il giudice sia abilitato a rilevarla, fermo restando il diritto del consumatore di rinunciarvi.
Dall’esame del dato normativo, interpretato alla luce della pronuncia della Corte di giustizia europea, consegue l’intimo legame tra nullità e interesse presidiato; legame che giustifica una deroga al regime ordinario della nullità, improntato a logiche di staticità, incompatibili con la disciplina del consumatore.
La recente sentenza delle Sezioni Unite in materia di nullità
Continuando l’analisi della frammentazione delle nullità, e del legame sempre più stringente tra nullità e interesse, sovviene la recente pronuncia giurisprudenziale a sezioni unite, emanata in tema di contratti di locazione.
In riferimento al tema oggetto di indagine, rileva l’obbligo di registrazione del contratto di locazione, cui consegue, in caso di inadempimento, la nullità del negozio giuridico (art. 1, co. 346, l. n. 311/04).
Tuttavia, l’art. 38 del dpr 131/1986 non dispensa la parte che non abbia registrato il contratto, e che quindi sia divenuto nullo, dall’obbligo di richiedere la nullità.
Tanto è vero che l’art. 76, co.5, del dpr 131/1986 consente la registrazione tardiva del contratto di locazione.
Il variegato dato normativo ha indotto la giurisprudenza a interrogarsi sulla forma di nullità contemplata dalla legge, in relazione alla mancata registrazione del contratto.
In particolare, occorre evidenziare che questa tipologia di nullità differisce tanto da quella codicistica quanto da quella di protezione.
Queste ultime, infatti, seppure distinte in parte fra loro, muovono dal medesimo presupposto: la nullità del contratto o di una clausola di esso è un fenomeno originario, in quanto attesta il contrasto tra il regolamento negoziale e un interesse dell’ordinamento.
Viceversa, la nullità contemplata dal legislatore in relazione alla mancata registrazione del contratto di locazione è atipica, in quanto la norma tributaria consente la registrazione del contratto entro il termine di trenta giorni dalla stipula.
Si tratta, quindi, di una nullità soggetta a condizione sospensiva: essa acceda al negozio soltanto se le parti non lo registrino entro il termine di scadenza.
Questo regime peculiare, peraltro, si ripercuote sull’efficacia del contratto: questo produce effetti fino al trentesimo giorno, termine ultimo per la registrazione, per poi, successivamente all’intervento della nullità, cessare di produrre effetti ex tunc.
Quest’ultimo punto, attenzionando il dpr 131/1986, si pone come dubbio: la nullità, in linea generale, produce effetti ex tunc; tuttavia, detti effetti sembrano incompatibili con l’obbligo, imposto dalla legge, di registrare il contratto anche dopo la scadenza del termine ultimo di registrazione.
Proprio sulla base di questa incompatibilità, la giurisprudenza ha inteso la nullità in esame come “impropria”.
Sarebbe impropria quella nullità che deroga con maggiore intensità al regime ordinario della nullità codicistica, tanto da poterla accostare a una forma di annullabilità peculiare, in quanto priva del tratto caratteristico della nullità: l’operatività degli effetti fin dall’origine stante il contrasto con un interesse super-individuale.
A questa conclusione, peraltro, dovrebbe conseguire una diversa tipologia di sentenza che ne accerta l’esistenza: la sentenza che accerta e dichiara la nullità, intesa secondo il regime codicistico, ha efficacia dichiarativa, in quanto l’invalidità opera a prescindere dal pronunciamento del giudice, che assolve alla funzione di riallineare la situazione fattuale con quella giuridica.
Viceversa, la nullità impropria, così come anche quella di protezione secondo una certa corrente di pensiero, si connoterebbe per la natura costitutiva della sentenza, emessa a valle del giudizio da parte del giudice.
La natura costitutiva della sentenza, in particolare, deriverebbe, nel caso della nullità di protezione, dall’assunto che, essendo rimessa alla disponibilità di parte, il contratto deve ritenersi produttivo di effettivi, altrimenti opinando si giungerebbe a conclusioni irragionevoli, quali per esempio che il contratto produca effetti solo nei confronti del professionista, legittimando, in fatto, il consumatore a non eseguire la propria prestazione.
Invece, con riguardo alla nullità impropria, l’efficacia costitutiva della sentenza deriverebbe dall’assunto per cui, imponendo la legge la registrazione tardiva del contratto di locazione, la stessa deve senz’altro riconoscere come produttivo di effetti il contratto non registrato, altrimenti opinando si giungerebbe a conclusioni, altrettanto irragionevoli, quali per esempio quella che il conduttore o il locatore possano registrare un negozio che, avendo cessato di produrre effetti, non rileva più per il diritto.
La nullità impropria, quindi, manifesta un’ulteriore frammentazione della nullità, ancor più radicale.
Ancora Sezioni Unite sulla nullità dei negozi aventi per oggetto immobili sprovvisti di titoli abilitativi all’edificazione
L’ultima tappa evolutiva da segnalarsi è oggetto di una recente remissione alle sezioni unite.
L’art. 40, co.2, della legge 47/85 commina una forma di nullità ai negozi giuridici, aventi a oggetto trasferimenti immobiliari, sprovvisti di titoli abilitativi all’edificazione.
Sul punto la giurisprudenza discute in merito alla natura della nullità: una prima tesi ritiene che il legislatore abbia introdotto una nullità di tipo formale, poiché sotteso è l’interesse alla regolarità amministrativa della documentazione.
Sarebbero nulli soltanto i negozi ivi contemplati in cui non si faccia menzione del titolo edificatorio.
A questa interpretazione consegue l’atipicità della nullità, in particolare la sua possibile sanatoria alla luce dell’art. 40, co.3 che ammette l’indicazione del titolo edilizio con un negozio successivo.
Questa tesi si espone ad alcune critiche; in particolare, si sostiene che così opinando, ossia ritenendo che la nullità in esame sia una forma di nullità testuale formale, si rischierebbe di frustrare la ratio della norma, legittimando trasferimenti di immobili abusivi con strumenti negoziali differenti, non espressamente menzionati nella disposizione normativa.
Sicché, si evidenzia che l’interesse sotteso alla norma di legge è di natura sostanziale, in particolare trattasi dell’interesse del legislatore a stigmatizzare l’abusivismo edilizio, vietandone il traffico negoziale.
Così opinando, la norma contemplerebbe una forma di nullità sostanziale, virtuale, non sanabile.
La questione è peculiare stante gli effetti che potrebbero derivare dalla pronuncia a sezioni unite: da un lato, la giurisprudenza, accogliendo la tesi della nullità formale, si opererebbe una frammentazione della nullità ancora più intensa; dall’altro lato, accogliendo la tesi sostanziale, si effettuerebbe un ritorno al passato, verso una categoria unitaria, eccezionalmente derogata da parte del legislatore.
Le Sezioni Unite della Cassazione, n. 8230/2019, aderiscono alla tesi della natura formale, sostenendo che: “La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile.– In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”.