Sulla scorta dei decreti legislativi varati dal Governo per attuare la prima parte della Riforma fiscale, il presente elaborato intende mettere in evidenza la novità che, in maniera più incisiva rispetto alle altre, rappresenta un rafforzamento delle tutele per il contribuente, ossia l’istituzionalizzazione del contraddittorio endoprocedimentale.
Invero, la ricerca della cooperazione con il contribuente “solo” nella fase attuativa dell’imposizione fiscale ha rappresentato per lungo tempo una lacuna nel sistema tributario, la quale ha contribuito a consolidare un triplice risultato negativo: in primo luogo, l’idea di un’Amministrazione protesa a dialogare con il soggetto passivo spesso solo al fine di recuperare la maggior imposta; in secondo luogo, lo sperpero di energie da parte degli organi verificatori ed, infine, la marginalizzazione del contribuente all’interno dell’attività procedimentale tributaria, sì tale da rendere lo stesso mero destinatario del provvedimento accertativo finale.
L’innesto dell’art. 6-bis (D.lgs. n. 219/2023) all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212/2000), rubricato proprio “Principio del contraddittorio”, di contro, costituisce il tassello che mancava nel mosaico dialettico tra Amministrazione e contribuente.
Nel dettaglio, attraverso il contraddittorio preventivo, e quindi per mezzo della definizione di un momento di confronto “attivo” tra le parti (che si realizza nella fase più delicata, ossia quella che porta alla nascita dell’eventuale provvedimento accertativo futuro), non soltanto si rafforzano le istanze di “cooperative compliance”, ma si garantisce al contribuente il diritto ad una giusta imposizione, consentendogli di collaborare alla realizzazione di una pretesa tributaria più credibile perché mirata, precisa e sostenibile.
La meta a cui tende la Riforma, dunque, è ambiziosa. Essa, infatti, non si limita ad incentivare l’adempimento degli obblighi tributari, ma si prefigge l’obiettivo di rafforzare la fiducia tra Amministrazione e contribuente incentivando forme di interlocuzione costanti e sostenendo la fruizione di strumenti di cooperazione che possano condurre ad una equa distribuzione del carico fiscale tra i consociati; il tutto, nella consapevolezza che solo il mutuo sostegno di ogni contribuente, in ragione della singola capacità contributiva, è in grado di realizzare le istanze più nobili di solidarietà sociale.
La partecipazione del contribuente nel procedimento tributario prima della riforma
La legge delega[1] ricevuta dal Governo per la determinazione della Riforma fiscale 2024 ha condotto alla emanazione di nove decreti legislativi, i quali, in una prospettiva di simultaneo riordino ed aggiornamento del sistema, presentano un contenuto tanto vasto da involgere buon parte della disciplina tributaria.
Nel dettaglio, i macro interventi interessano, rispettivamente:
- Il D.lgs. n. 220/2023 “Contenzioso tributario”[2];
- Il D.lgs. n. 221/2023 “Adempimento collaborativo”[3];
- Il D.lgs. n. 219/2023 “Modifiche Statuto del contribuente”;
- Il D.lgs. n. 216/2023 “Riforma delle imposte sul reddito delle persone fisiche” (IRPEF)[4];
- Il D.lgs. n. 209/2023 “Fiscalità internazionale”[5];
- Il D.lgs. “Procedimento accertativo” (schema di decreto approvato in via preliminare);
- Il D.lgs. “Concordato preventivo biennale” (schema di decreto approvato in via preliminare);
- Il D.lgs. “Razionalizzazione e semplificazione delle norme in materia di adempimenti tributari”;
- Il D.lgs. “Assegnazione di concessioni relative ai giochi online in Italia[6].
Per quanto di interesse, rispetto alle modifiche inserite nello Statuto del contribuente, merita doverosa attenzione l’introduzione dell’art. 6-bis che positivizza l’istaurazione del contraddittorio tra contribuente e Amministrazione all’interno della fase procedimentale.
Prima di esaminare il contenuto della disposizione, tuttavia, e proprio al fine di comprenderne la portata innovativa, è doveroso conoscere le peculiarità che tipizzano il procedimento tributario, evitando analisi normative non sorrette da giuste spiegazioni di sistema.
Il problema del coinvolgimento del contribuente nel procedimento tributario parte dall’impossibilità di creare una corrispondenza aderente con i modelli partecipativi[7] che contraddistinguono il procedimento ammnistrativo.
Come noto, la L. n. 241/1990[8], in linea con i principi contenuti in Costituzione[9], ha consentito il superamento di un modello di Pa distaccata, che in modo unilaterale definiva il provvedimento di cui il cittadino rimaneva inciso, per introdurre (e continuare a migliorare) un paradigma procedimentale che tutela le garanzie e i diritti del consociato che entra in rapporto con il soggetto pubblico.
Per far ciò, l’intervento del Legislatore ha riguardato la fase in cui si esplica l’attività discrezionale della Pa protesa all’individuazione di quell’interesse che rappresenta il risultato del suo potere decisionale, ossia il procedimento amministrativo[10]. In questa dimensione, quindi, la legalità dell’azione amministrativa trova riscontro nella modalità esecutiva del procedimento che, attraverso la partecipazione dei consociati (salvo eccezioni tassativamente previste dalla legge), diventa luogo elettivo in cui si realizza la sintesi dei plurimi interessi coinvolti nell’esercizio del potere pubblico[11].
Sinteticamente, è possibile sostenere che la disciplina del procedimento amministrativo contenuta nella L. n.241/1990 riflette una tipologia di rapporto che può definirsi “rinnovato” tra Pa e cittadino, il quale presenta i seguenti caratteri:
- colma il solco che segnava la distanza tra Amministrazione e soggetto privato;
- favorisce il ricorso a strumenti consensuali in luogo dell’esercizio di poteri unilaterali, anche in proiezione di una riduzione delle controversie future;
- consente il superamento del segreto d’ufficio che rendeva indecifrabile l’operato dell’Amministrazione;
- legittima l’esercizio del potere e promuove forme di democraticità dell’intero ordinamento amministrativo.
Le considerazioni sopra espresse da sempre, tuttavia, hanno faticato ad estendersi al contesto tributario in ragione di una rigidità ordinamentale che si giustifica nel superiore interesse che lo stesso tutela, ossia la doverosità del concorso dei consociati per la sussistenza stessa dello Stato e per il finanziamento dei diritti costituzionalmente riconosciuti e tutelati.
Invero, se non è possibile affermare una autonomia totale del diritto tributario[12] (data la vigenza di elementi di raccordo con diverse discipline, quali: il diritto amministrativo, il diritto privato, il diritto processuale civile, il diritto penale, il diritto costituzionale, il diritto europeo, il diritto internazionale, la contabilità di Stato e la scienza delle finanze), è pacifico riconoscerne la specialità; peculiarità, quest’ultima, che emerge dall’approfondimento di (almeno) due prerogative che contraddistinguono questa materia.
In primo luogo, occorre guardare al tratto caratteristico che interessa il soggetto attivo del rapporto d’imposta, ossia lo Stato. Si precisa che quando si parla di Stato si guarda all’accezione dello stesso come Stato-apparato, posto che è pacifico ammettere che l’esercizio della funzione fiscale possa essere esercitata anche da altri enti impositori (come ad esempio i Comuni). Nelle collettività organizzate, infatti, l’acquisizione dei flussi finanziari da parte dello Stato garantisce la realizzazione di opere/attività/servizi pubblici a vantaggio dei membri della comunità medesima. Ne deriva, dunque, che se il soggetto attivo è lo Stato, il Legislatore tributario deve dotarlo di poteri speciali particolarmente rafforzati rispetto a quelli resi disponibili dal diritto comune al tradizionale creditore; e questo perché dall’esercizio di quei poteri passa il fondamento, e l’esistenza stessa, della vita sociale.
Il secondo elemento di specialità, a seguire, è dato dall’indisponibilità dell’obbligazione tributaria[13]. Invero, dalla riserva di legge relativa contenuta all’art. 23 Cost. discende l’assunto che sulla debenza e sull’ammontare del tributo, posto a carico dei soggetti passivi d’imposta, non è ammessa alcuna decisione discrezionale dell’Amministrazione finanziaria, considerato che l’azione amministrativa, in relazione a tali profili, è vincolata[14].
Per comprendere la portata di questo principio, che costituisce la chiave di volta a tenuta dell’intero assetto tributario, è necessario rispondere a due interrogativi:
- L’obbligazione tributaria è indisponibile a chi?
- E perché mai questo rapporto obbligatorio non si presta ad essere disciplinato secondo le regole previste dal diritto comune (art. 1173 c.c. e ss.)?
La risposta al primo interrogativo, è da individuare nell’Amministrazione finanziaria[15].
Invero, la posizione dello Stato quale soggetto attivo del rapporto di imposta, a sua volta connessa alla tutela dell’interesse pubblico generale che la legge gli attribuisce, esclude in capo all’Amministrazione finanziaria di procedere a negoziazioni del tributo dovuto, le quali si traducono in limitazioni rispetto all’esercizio di cessioni, rinuncia del credito, remissione del debito, transazioni, compensazioni, salvo espresse previsioni normative in materia. Detto in altri termini, è il Legislatore che definisce se il tributo è dovuto e quali sono gli elementi identificativi dello stesso; per converso, l’Amministrazione finanziaria dovrà, in aderenza al dettato dispositivo, procedere alle verifiche rispetto all’obbligo contributivo che grava su tutti i consociati e, in caso di mancato adempimento entro il termine previsto, attivare la procedura espropriativa forzosa attraverso l’operato dei propri agenti della riscossione.
Compreso verso chi è indisponibile il tributo, e per rispondere al secondo interrogativo, occorre capire il perché dell’esclusione di questo modello obbligatorio dal paradigma generale. La risposta si ricava dalle funzioni che svolge l’obbligazione tributaria, sussumibili in due macro categorie.
Nel dettaglio, la funzione primaria dell’obbligazione fiscale è senz’altro identificabile nel conseguimento di un flusso di entrate stabili da investire per il sostenimento delle spese della collettività, puntualmente elencate all’interno del bilancio pubblico. Questa funzione, per così dire statica dell’obbligazione tributaria, infatti, garantisce la tenuta finanziaria (in equilibrio ex art. 97 Cost.[16]) dei conti pubblici.
La funzione più dinamica dell’obbligazione tributaria, e forse più umana, invece, è percepibile nella ripartizione del carico fiscale tra i consociati secondo principi di solidarietà sociale ed equità distributiva. Se è vero, infatti, che tra i principi costituzionali la Repubblica incentiva e tutela l’iniziativa economica privata[17], la stessa, solidaristicamente, interviene per correggere la distribuzione naturale delle risorse al fine di favorire l’integrazione sociale e le pari opportunità tra i componenti della collettività.
Da quanto espresso, e dunque intuendo che la materia fiscale non solo condiziona il sistema economico-produttivo ma si atteggia a “leva” per il raggiungimento degli obiettivi macro-economici che si prefigge ogni Stato moderno, si comprende perché la partecipazione del contribuente è spesso stata esiliata a mera cooperazione nella fase accertativa-impositiva del tributo.
La bontà di quanto sostenuto trova conferma nel riferimento normativo antecedente alla Riforma fiscale, secondo il quale l’inquadramento del rapporto di imposta dentro il modello del procedimento amministrativo disciplinato dalla L. n. 241/1990 doveva distinguere, rispettivamente, tra:
- Norme che trovavano applicazione anche nel procedimento tributario: principi generali; norme in materia di responsabile del procedimento; norme in tema di efficacia/invalidità dei provvedimenti amministrativi.
- Norme che non trovavano applicazione nel procedimento tributario: norme in materia di partecipazione del cittadino al procedimento; norme in materia di accesso.
Sollecitazioni della Corte di Giustizia UE (leading cases: “Sopropé” – “Kamino”) ed applicazione del contraddittorio preventivo ai tributi armonizzati
La partecipazione del contribuente al procedimento impositivo, che pur ammessa non si sarebbe certo risolta nella veicolazione di situazioni soggettive private da rimettere alla ponderazione istruttoria del soggetto pubblico (come invece accade nel procedimento amministrativo), origina da due assunti:
- L’ 13, comma 2, L. n. 241/1990 che, per espressa previsione, esclude l’applicazione delle disposizioni che contiene il capo ai procedimenti tributari per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano.
- L’assenza, all’interno dell’ordinamento tributario, di norme in grado di positivizzare un diritto generale del contribuente al contraddittorio in fase procedimentale.
In relazione al secondo punto, infatti, il sistema prevede singole modalità partecipative distribuite lungo il corso del procedimento tributario, sussumibili in due tipologie:- forme di partecipazione a carattere collaborativo: rinvenibili all’interno dell’attività istruttoria posta in essere dall’Amministrazione, ex art. 32, D.P.R. n. 600/1973.
- forme di partecipazione a carattere difensivo: spesso collocate nella fase procedimentale della decisione, ovvero dopo l’emanazione dell’atto finale. Il riferimento involge, a titolo esemplificativo, la richiesta di chiarimenti, la richiesta di chiarimenti in applicazione della disposizione generale antielusiva, l’invito a comparire per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico, la comunicazione di osservazioni e richieste entro 60 gg. dal pvc di chiusura delle operazioni da parte degli organi verificatori, solo per citare alcuni casi.
In sostanza, e prima della Riforma, pur in assenza di una disposizione a carattere generale l’ordinamento tributario rispondeva con la previsione di singoli strumenti partecipativi riferiti a specifiche fattispecie di imposta, comunque in grado di garantire l’osservanza del principio del giusto procedimento[18] quale meta-principio a presidio dell’azione amministrativa.
La conclusione parcellizzata a cui perveniva il nostro ordinamento, tuttavia, non trovava riscontro nella dimensione europea, in cui la partecipazione del privato al procedimento costituisce principio-cardine dell’attività amministrativa e corollario del principio di buona amministrazione[19].
Invero, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce in maniera espressa, all’art. 41, il diritto ad una buona amministrazione quale principio generale a garanzia delle posizioni private coinvolte nell’esercizio del potere pubblico, preoccupandosi di specificare ai consociati le modalità attuative del principio riconosciuto.
Sulla scorta del dato dispositivo, inoltre, la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue, attraverso la sentenza del 18 dicembre 2008, C-349/07 “Sopropé” e la sentenza del 3 luglio 2014, cause riunite C-129 e C-130/2013 “Kamino”, si orientava a favore dell’esistenza di un principio generale, valevole anche in ambito tributario, che garantisse la partecipazione del contribuente nell’ottica del giusto procedimento.
Nel dettaglio, attraverso la sentenza “Sopropé” i giudici di Strasburgo intervenivano per affermare il principio secondo il quale i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi nelle condizioni di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi su cui l’Amministrazione intende fondare la sua decisione, garantendo, in un tempo congruo,e sufficiente, l’esercizio del diritto di difesa. La Corte, inoltre, proseguiva specificando che i termini per esercitare i diritti della difesa vanno individuati all’interno dell’ordinamento nazionale, a condizione che, da un lato, siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano altri soggetti in situazioni di diritto nazionale comparabili e, dall’altro, che non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti di difesa conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario[20].
Con la sentenza “Kamino”, invece, la Corte di Giustizia Ue esplicitava che il diritto al contraddittorio è da intendere in senso sostanziale e non meramente formale[21], nel senso che la sua violazione dovrà essere in grado di comportare “l’annullamento della decisione di cui trattasi soltanto quando, senza tale violazione, il procedimento avrebbe potuto condurre ad un risultato differente[22]”.Ricostruita la dimensione normativa e giurisprudenziale euro-unitaria risulta necessario volgere lo sguardo all’orientamento (si premette articolato e cangiante) della giurisprudenza di legittimità nazionale in tema di diritto al contraddittorio, al fine di provare a ricomporre i tasselli che hanno condotto alla virata normativa realizzatasi con l’avvento dell’art. 6-bis.Nel dettaglio, a fronte di un tradizionale indirizzo tendenzialmente poco incline a riconoscere un generale diritto al contraddittorio (che la Cassazione riteneva sufficientemente tutelato in sede processuale), sulla scorta dell’art.12, comma 7, L. n. 212/2000, la giurisprudenza di legittimità ha successivamente accolto un indirizzo diametralmente opposto sostenendo che il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile, anche in assenza di una espressa previsione normativa, del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa[23].L’interpretazione pro contraddittorio, ancora, pareva aver raggiunto il suo apice con due sentenze (Cass. SS.UU. n.19667 – n.19668/2014, in materia di iscrizione ipotecaria), dove le Sezioni Unite avevano elevato il contraddittorio procedimentale a “principio fondamentale nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una specifica previsione normativa”, quale espressione siadegli artt. 24 e 97 Cost., sia degli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[24].
Pur a fronte di quanto espresso, tuttavia, si registravano in seno alla medesima giurisprudenza di legittimità orientamenti di segno opposto riluttanti nel riconoscere la portata espansiva del contraddittorio procedimentale. Nel dettaglio, le argomentazioni a contrario si reggevano, tra l’altro: sull’art. 13 della L. n. 241/1990, sulla differenza tra contraddittorio nel processo e nel procedimento e, più in generale, sulla rigidità di un procedimento, quello tributario, funzionale all’esercizio di un potere altrettanto tipico e formale.
Il contrasto sopradescritto aveva così condotto i giudici di legittimità- con particolare riferimento agli accertamenti cd. “a tavolino”[25] – a rimettere nuovamente la questione alle Sezioni Unite[26].
La questione[27], tuttavia, veniva risolta dal Supremo Collegio attraverso un cambio di orientamento drastico che circoscriveva l’esistenza della clausola generale, avente ad oggetto il contraddittorio endo-procedimentale, solo con riferimento ai tributi armonizzati.
Più nello specifico, le Sezioni Unite con sentenza n. 24823/2015[28], dopo aver premesso che la statuizione contenuta nelle precedenti sentenze (nn. 19667-19668/2014) fosse dettata dalla particolarità della fattispecie concreta, escludono la previsione di un obbligo generalizzato di contraddittorio procedimentale per i tributi non armonizzati; obbligo di contraddittorio preventivo, invece, che sussiste per i tributi armonizzati e che discende direttamente dalla disciplina dell’Unione alla luce dell’interpretazione resa dalla Corte di Giustizia Ue (appunto, leading cases: Sopropé e Kamino). Ancora, per gli accertamenti che riguardano tali tributi, proseguono le Sezioni Unite, esiste un obbligo di contraddittorio preventivo legato all’esigenza di consentire anticipatamente al contribuente di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la propria decisione; obbligo che se violato comporta l’invalidità dell’atto, fatta salva la vigenza della cd. “prova di resistenza” resa dal contribuente medesimo.
Nel dettaglio, la possibilità di ottenere l’invalidità dell’atto accertativo emesso dall’Amministrazione (si ripete, solo per i tributi armonizzati), in difetto della costituzione preventiva del contraddittorio endo-procedimentale, è legata al superamento della “prova di resistenza” da parte del contribuente, il quale è gravato dall’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato regolarmente attivato dall’Ufficio e che avrebbero comportato un risultato diverso del procedimento amministrativo. La prova di resistenza, concludono le Sezioni Unite, va misurata in termini di effettività, nel senso che l’opposizione delle ragioni del contribuente non deve essere pretestuosa ma tale da configurare, in relazione ai canoni generali di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo[29] rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale. La soluzione a cui perveniva il Supremo Consesso, tuttavia, non ha esitato a ricevere forti resistenze. Nello specifico, la Consulta, con sentenza n. 47/2023, chiamata a decidere rispetto alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Giustizia di II grado della Regione Toscana rispetto all’art. 12 comma 7, della L. n. 212/2000, nella parte in cui non prevede il contraddittorio endo-procedimentale negli accertamenti “a tavolino” posti in essere dall’Agenzia delle entrate, pur rilevando un’oggettiva disparità di trattamento, quindi una inadeguatezza normativa corroborata da indirizzi interpretativi altrettanto sperequati, dichiarava l’inammissibilità della questione sollecitando, ad ogni modo, un tempestivo intervento del Legislatore in materia[30].
Contraddittorio preventivo ex art. 6-bis: un rafforzamento della cooperazione tra contribuente e Amministrazione finanziaria
La soluzione che riporta il sistema ad equilibrio giunge attraverso l’innesto dell’art. 6-bis all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente, ad opera del Decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 219 “Modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente”.
In merito, l’intervento che involge il contraddittorio endo-procedimentale si comprende solo volgendo lo sguardo alla preventiva opera di ampliamento dei principi di riferimento realizzata dal Legislatore delegato.
L’art. 1 “Principi generali”, infatti, nel sostituire il riferimento all’adempimento dei soli principi contenuti negli artt. 3, 23, 53 e 97 della Cost, con quelli più ampi che inglobano anche i principi dell’Unione e della Cedu[31] apre la strada alla istituzionalizzazione espressa del principio del contraddittorio di derivazione euro-unitaria.
Si giunge così all’esame del nuovo art. 6-bis, alla lettera del quale:
- Salvo quanto previsto dal comma 2, tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria sono preceduti da un contraddittorio informato ed effettivo;
- La mancata istaurazione del contraddittorio da parte dell’Amministrazione rende l’atto annullabile;
- Non è previsto il diritto al contraddittorio per gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, nonche’ per i casi motivati di fondato pericolo per la riscossione;
- Per consentire il contradditorio, l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente, con modalità idonee a garantirne la conoscibilità, lo schema dell’atto che intende adottare, assegnando successivamente un termine, non inferiore a 60 gg., per consentire al contribuente la proposizione di eventuali controdeduzioni ovvero, su richiesta, per accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo;
- Si prevede l’impossibilità di adottare l’atto nei confronti del contribuente prima che sia avvenuta la scadenza del termine utile per presentare eventuali controdeduzioni, ovvero accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo.
- Se la scadenza di tale termine e’ successiva a quella del termine di decadenza per l’adozione dell’atto conclusivo, ovvero se fra la scadenza del termine assegnato per l’esercizio del contraddittorio e il predetto termine di decadenza decorrono meno di centoventi giorni, tale ultimo termine e’ posticipato al centoventesimo giorno successivo alla data di scadenza del termine di esercizio del contraddittorio;
- Si prevede, infine, che l’atto adottato al termine del contraddittorio debba tenere conto delle osservazioni del contribuente e debba essere motivato con riferimento a quelle che l’Amministrazione ritiene di non accogliere.
Concludendo, lo schema tradizionale che ha condizionato il rapporto tra Amministrazione e contribuente, per il quale la prima era chiamata a vigilare ex post sul corretto assolvimento degli obblighi tributari del secondo, oggi cede il passo ad un modello che mira ad emancipare il sistema tributario tout court, al fine realizzare forme di adempimento spontaneo sorrette da cooperazione sinergica; il tutto, nella consapevolezza che la condivisione partecipata delle regole, spesso, rende superflue le imposizioni e consente di raggiungere obiettivi più ampi.
[1] Legge n.111/2023 “Delega al Governo per la Riforma fiscale”, pubblicata in GU il 14.08.2023.
[2] Le Riforma fiscale passa, doverosamente, anche dal contenzioso tributario. Nello specifico, alcuni provvedimenti entreranno in vigore già dal mese di Gennaio 2024, mentre per altri si prevede la produzione di effetti differita al mese di Settembre 2024. Tra le novità introdotte nel decreto si richiamano: l’abolizione del reclamo, la previsione di litisconsortio necessario, l’integrale informatizzazione del processo, l’ammissione della prova testimoniale scritta, le modifiche inerenti alla casistica per cui si procede a compensazione delle spese di giudizio, l’impugnabilità sull’istanza di autotutela, la semplificazione della forma della sentenza, lo svolgimento dell’udienza a distanza, ed infine la produzione di nuovi documenti in appello.
[3] Le novità involgono, tra l’altro, i compiti, i pareri ed i requisiti richiesti ai professionisti per il rilascio della tax control framework (TCF). Nel dettaglio, si tratta di innovazioni che intervengono per rafforzare la cooperazione tra tutti i soggetti coinvolti nell’adempimento dell’obbligazione tributaria, in conformità al modello di “Cooperative compliance” che rappresenta, simultaneamente, lo strumento e la meta a cui tende il nostro Paese.
[4] Il decreto stabilisce che dal I° Gennaio 2024, e per il momento solo per un anno, le aliquote Irpef si riducano da quattro a tre, prevedendo l’estensione dell’aliquota al 23% a copertura anche dell’attuale secondo scaglione di reddito; il tutto, con l’obiettivo di migliorare la condizione di chi possiede un reddito medio-basso.
[5] Il testo introduce norme volte: al recepimento della direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio del 14 dicembre 2022 (intesa a garantire un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell’Unione – cd. “global minimum tax”), alla previsione di una normativa antielusiva per i soggetti controllati non residenti che realizzano proventi (per oltre 1/3) derivanti da passive income, all’introduzione di vantaggi per gli operatori economici che realizzano reshoring in Italia, alla revisione del concetto di residenza fiscale, in funzione di una corretta determinazione della capacità impositiva.
[6] In considerazione del fatto che nell’anno 2024 buona parte delle concessioni emesse dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli scadranno, il decreto si preoccupa di definire termini e modalità per le nuove concessioni, messe a gara, sul gambling online in Italia. Più in particolare, le novità più significative riguardano: l’incremento del canone di concessione (pari al 3% del margine di guadagna netto del concessionario) e la definizione di canoni più severi per il rilascio dell’idoneità alla concessione. In sostanza, l’obiettivo dichiarato del Governo è quello di garantire, per un verso, il rispetto delle norme che disciplinano la concorrenza degli operatori nelle dinamiche di mercato e, per altro verso, selezionare concessionari in brado di generare un ritorno considerevole per l’Erario.
[7]Art. 9, L. n. 241/1990: “Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento”.
[8] L. n. 241/90 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”
[9] Art. 97 Cost. “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.
[10] Cfr. GALLO, La partecipazione al procedimento, in ALBERTI-AZZARITI-CANVESIO-GALLO-QUAGLIA, Lezioni sul procedimento amministrativo, Torino, 1992, p. 52 ss., nonché MARIUZZO, Commento all’art. 7, in Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti, a cura di ITALIA-BASSANI, Milano, 1995, p. 145 ss.
[11] Cons. St, sez. VI, sentenza n.4896/2013: “Le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo di cui agli artt. 7 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241 non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua, con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell’azione amministrativa, quando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono all’apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti”. E ancora, Cons. St., sez. V, sentenza n. 4532/2013: “La comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della legge n. 241/90 è da ritenersi superflua, riprendendo rilievo i principi di economicità e di speditezza dai quali è retta l’attività amministrativa, quando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che, per loro natura, conducono necessariamente all’adozione di provvedimenti obbligati; le garanzie partecipative, infatti, debbono essere assicurate nella sostanza e non già nella mera forma, con la conseguenza che ogni qualvolta l’interessato sia stato informato dell’esistenza di un procedimento diretto ad incidere sulla propria sfera giuridica e sia stato messo in condizione di utilmente rappresentare le sue deduzioni, così da integrare la nozione di partecipazione, non può ritenersi violato alcun canone del giusto procedimento”.
[12] La giurisprudenza è incline, infatti, ad applicare i principi generali del procedimento amministrativo anche al diritto tributario. Ad esempio, Cass. sentenza n.1236/2006 secondo la quale “i principi generali dell’attività amministrativa stabiliti dalla L. 7 agosto 1990, n.241…si applicano, salva la specialità, anche per il procedimento amministrativo tributario”.
[13] Art. 23 Cost. “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
[14] In altri termini, l’indisponibilità dell’obbligazione tributaria trova spiegazione nel fatto che il credito erariale ha il suo fondamento nella legge. Ne deriva che, una volta definito l’an e il quantum del tributo, all’Amministrazione non resta che procedere alle attività di verifica e, eventualmente, di riscossione coatta, data l’assenza di margini per ponderare discrezionalmente la prevalenza, ovvero il sacrificio, dei vari interessi in gioco.
[15] Per tale, intendendo tutte le strutture amministrative (centrali e decentrate) che si occupano della gestione delle entrate dello Stato: dal Ministero dell’Economia e delle Finanze fino alla GdF, passando per le Agenzie fiscali: delle Entrate e delle Entrate-Riscossione.
[16] Art. 97 Cost. “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico […]”. L’incipit di questo articolo è stato modificato ad opera della Legge costituzionale n. 1/2012 mettendo in evidenza che le PP.AA., in conformità con l’ordinamento dell’Ue, assicurano l’equilibrio del bilancio e la sostenibilità del debito. Questo significa che la premessa del buon andamento e dell’imparzialità dell’Amministrazione pubblica è la salubrità del bilancio e la gestione sana della contabilità pubblica.
[17] Art. 41 Cost. “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
[18] Il principio del giusto procedimento, infatti, comprende una pluralità di principi più specifici: la pretesa dei destinatari dell’azione amministrativa di essere ascoltati, la pretesa a un comportamento corretto, equo ed imparziale da parte dei pubblici poteri, la pretesa di conoscere le ragioni della decisione finale, la pretesa ad una buona amministrazione. Detto in altri termini, il giusto procedimento trasforma la procedura amministrativa da sequenza di atti in sequenza di atti partecipata, capace di accogliere la ponderazione di tutti gli interessi in gioco.
[19] Art. 41 – Diritto ad una buona amministrazione -, Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea: “Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione. Tale diritto comprende in particolare: a) il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio; b) il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale e commerciale; c) l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni. Ogni persona ha diritto al risarcimento da parte dell’Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni, conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri. Ogni persona può rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue dei trattati e deve ricevere una risposta nella stessa lingua.
[20] In particolare “il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo”. (Corte di Giustizia Ue, 18 dicembre 2008, C-349/07 “Sopropé”).
[21] Il principio del rispetto dei diritti della difesa e, segnatamente, il diritto di ogni persona di essere sentita prima dell’adozione di un provvedimento individuale lesivo, devono essere interpretati nel senso che, quando il destinatario di un’intimazione di pagamento adottata a titolo di un procedimento di recupero a posteriori di dazi doganali all’importazione, in applicazione del regolamento n. 2913/92, come modificato dal regolamento n. 2700/2000, non è stato sentito dall’amministrazione prima dell’adozione di tale decisione, i suoi diritti della difesa sono violati quand’anche abbia la possibilità di fare valere la sua posizione nel corso di una fase di reclamo amministrativo ulteriore, se la normativa nazionale non consente ai destinatari di siffatte intimazioni, in mancanza di una previa audizione, di ottenere la sospensione della loro esecuzione fino alla loro eventuale riforma. È quanto avviene, in ogni caso, se la procedura amministrativa nazionale che attua l’articolo 244, secondo comma, del regolamento n. 2913/92, come modificato dal regolamento n. 2700/2000, limita la concessione di siffatta sospensione allorché vi sono motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata alla normativa doganale, o si debba temere un danno irreparabile per l’interessato.
[22] Corte di Giustizia Ue, 3 Luglio 2014, C-129 e C-130/2013, punto 80.
[23] Cass. SS.UU. n. 26635/2009, punto 3.4. “Questa interpretazione rappresenta una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni della legge istitutiva dell’accertamento sulla base di parametri, in quanto: a) da un lato, il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa; b) dall’altro, esso è il mezzo più efficace per consentire un necessario adeguamento della elaborazione parametrica – che, essendo una estrapolazione statistica a campione di una platea omogenea di contribuenti, soffre delle incertezze da approssimazione dei risultati proprie di ogni strumento statistico- alla concreta realtà reddituale oggetto dell’accertamento nei confronti di un singolo contribuente”.
[24] G. MELIS, Manuale di diritto tributario, Giappichelli editore – Torino 2023, pag.268.
[25] Vengono definiti tali gli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio.
[26] Cass. ordinanza n. 527/2015
[27] Concernente il se le garanzie, di carattere procedimentale, predisposte dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (formazione di un verbale di chiusura delle operazioni; rilascio di copia del medesimo al contribuente; facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste e corrispondente dovere dell’Ufficio di valutarle; divieto per l’Ufficio di emettere avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata urgenza) si applichino soltanto agli accertamenti emessi in esito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ovvero se esse – in quanto espressione di un generalizzato obbligo di contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo di formazione dell’atto fiscale, eventualmente riferibile a dati normativi aliunde desumibili nell’ordinamento nazionale o in quello dell’Unione Europea – operino pure in relazione agli accertamenti conseguenti ad ogni altro tipo di verifica fiscale e, in particolare, in relazione agli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (c.d. “verifiche a tavolino”).
[28] In forza di questa sentenza, invero, giudici di legittimità giungendo a conclusioni totalmente differenti, stabiliscono che non esiste nel nostro ordinamento un diritto generalizzato al contraddittorio preventivo, salvo non sia espressamente previsto per legge. Ciò, perché trattasi di un principio di derivazione comunitaria e, pertanto, applicabile solo ai tributi “armonizzati”, laddove avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endo-procedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cd. prova di resistenza).
[29] Ex artt. 24 Costituzione e 48 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
[30] Corte Cost., sentenza n. 47/2023: “Secondo il giudice rimettente, il sistema tributario sarebbe infatti caratterizzato da un’ingiustificata disparità di trattamento tra le cosiddette verifiche precedute da accessi in loco, che si svolgono nei locali dei contribuenti, e le cosiddette verifiche “a tavolino”, che si svolgono, invece, presso gli uffici dell’amministrazione, con i dati di cui quest’ultima ha la disponibilità. La Corte costituzionale con la sentenza n. 47, depositata oggi, pur rilevando l’inadeguatezza dell’attuale normativa sul contraddittorio endo-procedimentale, ha dichiarato l’inammissibilità della questione, in quanto il superamento del rilevato dubbio di legittimità esige un intervento di sistema che spetta unicamente al legislatore. Tenuto conto, infatti, della pluralità delle soluzioni possibili in ordine all’individuazione dei meccanismi con cui assicurare la formazione partecipata dell’atto impositivo, che ne modulino ampiezza, tempi e forme, è solo il Parlamento che, con un tempestivo intervento normativo, può colmare la lacuna evidenziata, garantendo l’estensione del contraddittorio nei procedimenti di imposizione tributaria”.
[31]Art. 1, comma 1, L. 212/2000: “Le disposizioni della presente legge, in attuazione delle norme della Costituzione, dei principi dell’ordinamento dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario, criteri di interpretazione della legislazione tributaria e si applicano a tutti i soggetti del rapporto tributario. Le medesime disposizioni possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. […]”.