I procedimenti disciplinari nei confronti dei pubblici dipendenti, di cui al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, si articolano attraverso un percorso caratterizzato da varie fasi, che nella loro successione necessitano di una regolamentazione temporale finalizzata a garantire la tempestività dell’azione disciplinare e ad evitare che la parte datoriale possa ritardare, a pena di decadenza, gli interventi sanzionatori.
I termini sono posti anche a tutela del lavoratore, che deve esercitare, in contraddittorio con l’Amministrazione, il proprio diritto di difesa e, nel contempo, avere la certezza della conclusione del procedimento entro tempi brevi e definiti, al fine di evitare una lunga esposizione ad accuse e colpe che possono ledere la sua serenità.
La necessità di assicurare una scansione temporale a ciascun procedimento è stata più volte ribadita anche dalla Suprema Corte di Cassazione (vedi sentenze n.7134 del 20-3-2017 e n. 28891 dell’1-12-2017) secondo la quale la scansione del procedimento disciplinare e la decadenza dell’azione disciplinare, prevista come sanzione per il mancato rispetto del termine entro il quale l’iter deve concludersi, richiedono necessariamente un’individuazione certa ed oggettiva dei termini iniziali e finali del percorso sanzionatorio.
Oltre alla giurisprudenza della Cassazione anche il legislatore ha destinato molta attenzione ai termini che regolano i procedimenti disciplinari, al fine di limitare il considerevole contenzioso che può derivare dalla loro mancata osservanza.
Le modifiche apportate dalla Riforma “Madia”
L’intervento legislativo, meglio conosciuto come riforma “Madia” (allora Ministro per la Pubblica Amministrazione), ebbe inizio con l’approvazione, da parte dell’Ufficio legislativo della Presidenza del consiglio dei ministri, dello schema del decreto legislativo recante “Modifiche ed integrazioni al Testo unico del pubblico impiego di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165…….in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” e con l’art. 13 di tale schema fu previsto l’inserimento nell’art. 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, del comma 9-ter, inerente ai termini del procedimento disciplinare.
Con siffatta novella (bozza dell’art. 9-ter) veniva stabilito che “la violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare, previste dagli artt. da 55 a 55-quater del d. lgs. n.165 del 2001, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dell’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purchè non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività” .
L’introduzione di tale norma nell’ordinamento riguardante i procedimenti disciplinari risultava fortemente innovativa perchè cancellava di fatto la perentorietà di alcuni termini fissati dalla previgente normativa e segnatamente quelli di inizio e fine dell’iter procedimentale; anche se salvaguardava il diritto di difesa del dipendente nei casi in cui fosse risultato “irrimediabilmente compromesso”.
Parere del Consiglio di Stato sulle modifiche proposte con la riforma “Madia”
La modifica sostanziale che il legislatore intendeva apportare non trovò condivisione nel parere consultivo espresso dal Consiglio di Stato dell’11-4-2017, sullo schema del decreto legislativo di cui si è detto innanzi.
La competente Commissione del Consiglio di Stato sollevò molti dubbi sul testo varato dal Consiglio dei ministri e formulò diversi rilievi, in parte qui di seguito riportati.
Innanzitutto fu detto che la previsione normativa non appare in sintonia con la legge delega (art.17, comma 1, lett.s, legge 7 agosto 2015, n. 124), “giacchè l’eliminazione totale di termini perentori rischia di mettere a repentaglio proprio il perseguimento di tali obiettivi, procrastinando sine die l’avvio e la conclusione del procedimento disciplinare ed esponendo il dipendente al rischio di un esercizio dell’azione disciplinare arbitrario o addirittura ritorsivo, anche a lunga distanza di tempo dai fatti.
L’integrale eliminazione del principio della perentorietà dei termini del procedimento disciplinare sembra aprire un vulnus nel principio di legalità dell’azione disciplinare e appare in contraddizione con la previsione di cui al comma 1, dell’art. 55, del d.lgs. n. 165 del 2001…”,
In tale ottica non possono considerarsi, ad avviso della Commissione speciale, un giusto contemperamento degli interessi in gioco, la eliminazione del principio della perentorietà dei termini del procedimento disciplinare e la dequotazione dei vizi formali del procedimento.
Il Consiglio di Stato così concludeva:
“In ragione delle rilevate criticità, la Commissione speciale è dell’avviso che la previsione del nuovo comma 9-ter andrebbe ampiamente riconsiderata, suggerendo al Governo la conservazione della natura perentoria almeno di due termini di inizio e di fine del procedimento…”.
A seguito di tale parere, molto pregnante e significativo, il legislatore condivise le preoccupazioni sollevate dal Consiglio di Stato e modificò lo schema del testo dell’articolo 55-bis aggiungendo al comma 9-ter : “Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 55-quater , commi 3-bis e 3-ter, sono da considerarsi perentori il termine per la contestazione dell’addebito e il termine per la conclusione del procedimento”.
Esaminiamo adesso, sia pure sommariamente, l’articolazione di un procedimento disciplinare, destinando, però, attenzione ai termini, che nella loro successione devono garantire la tempestività dell’azione disciplinare ed evitare che la parte datoriale possa ritardare, a pena di decadenza, gli interventi punitivi di propria competenza, ma nel contempo assicurare, in contraddittorio, il diritto di difesa al soggetto incolpato.
L’iter sanzionatorio passa attraverso tre momenti significativi che rappresentano le fasi di un procedimento disciplinare:
- fase della contestazione di addebito;
- fase dell’istruttoria;
- fase dell’adozione del provvedimento.
Prima di dare avvio alla contestazione di addebito vi è un’attività prodromica che ha inizio nel momento in cui il responsabile della struttura viene a conoscenza di un comportamento identificabile in un’ipotesi di illecito disciplinare.
La conoscenza di tale violazione può essere diretta, perchè il responsabile della struttura ha assistito personalmente al fatto, oppure può averne avuto conoscenza indiretta attraverso segnalazioni di altri dipendenti, denunzie di terzi, esposti e quant’altro.
A tal proposito il Consiglio di Stato, in data 21 aprile 2017, ha affermato che deve farsi riferimento “non a una mera notizia o una vaga o incompleta informazione, ma a un’esatta percezione di tutti gli elementi che possono integrare un’ipotesi di illecito disciplinare”
Questo momento è senza dubbio molto pregnante perchè il responsabile della struttura deve valutare le prime informazioni di cui dispone e stabilire se esse – tra l’altro anche in assenza di contraddittorio – possano aver determinato una violazione comportamentale di modesta rilevanza e, quindi, sanzionabile con un semplice “rimprovero verbale” di competenza dello stesso responsabile della struttura, ovvero trattasi di violazioni di maggiore gravità da sottoporre ad un apposito organo disciplinare denominato Ufficio Procedimenti Disciplinari (U.P.D.).
Queste attività hanno una specifica scansione temporale, fissata dall’art. 55-bis del d. lgs. 165/2001, così come modificato dal d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75 (riforma Madia), il quale al comma 4 stabilisce che “ per le infrazioni per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale , il responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente, segnala immediatamente, e comunque entro dieci giorni , all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbia avuto conoscenza.”
Questo termine di dieci giorni assegnato al responsabile della struttura non è perentorio, in quanto, come opportunamente specificato dal legislatore al comma 9-ter dell’art. 55-bis del d. lgs. 165/2001, “ Fatto salvo quanto previsto dall’art. 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, sono da considerarsi perentori il termine per la contestazione dell’addebito e il termine per la conclusione del procedimento”.
E’ evidente, quindi, che i dieci giorni assegnati per inviare gli atti all’UPD sono da considerarsi ordinatori, ma, pur trattandosi di un termine la cui violazione non inficia il procedimento disciplinare, occorre procedere con sollecitudine alla cura dei necessari adempimenti, in quanto eventuali ritardi potrebbero determinare comportamenti omissivi, in capo al responsabile della struttura, per mancata “immediata segnalazione”.
Perentorietà dei termini di 30 giorni per la contestazione di addebito e 120 giorni per la conclusione del procedimento
L’art. 55-bis del d. lgs. 165/2001, nel disciplinare la fase successiva, stabilisce che l’UPD, entro trenta giorni decorrenti dal ricevimento della segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, deve procedere alla formale contestazione degli addebiti al dipendente. Tale atto dovrà contenere anche la convocazione dell’incolpato innanzi all’organo di disciplina procedente con un preavviso di almeno venti giorni per l’audizione in contraddittorio.
Per la Suprema Corte di Cassazione l’immediatezza della contestazione deve essere considerata non in relazione al materiale accadimento del fatto addebitato, ma deve tener conto del momento in cui il datore di lavoro abbia avuto conoscenza di tale fatto (Cass. Sez. Lav. 21 febbraio 2017, n. 4447; Cass. Sez. Lav. 27 giugno 2017, n. 15966), sicchè da allora si fissa l’adempimento temporale da osservare.
Questo termine di trenta giorni è perentorio e rappresenta il dies a quo dal quale far decorrere l’avvio del procedimento disciplinare, che dovrà concludersi con l’irrogazione della sanzione disciplinare, ovvero con l’archiviazione, entro centoventi giorni dal suo inizio.
Nell’intero iter procedimentale inerente alle responsabilità disciplinari dei dipendenti pubblici questi due termini (cioè trenta e centoventi) sono gli unici di natura perentoria, fatto salvo quanto previsto dall’art. 55-quater, commi 3-bis e 3-ter .
Una diversa valutazione deve farsi nei casi previsti dall’art. 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, relativi al licenziamento disciplinare dei cosiddetti “furbetti del cartellino”, i quali si sono resi colpevoli di falsa attestazione della presenza in servizio mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento, ecc.
La previsione dell’articolo 55-quater, integrato dalla novella del d.lgs.20 giugno 2016, n.116, introduce nella nostra legislazione un iter accelerato e stabilisce che, quando la falsa attestazione della presenza in servizio sia accertata in flagranza, ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, il responsabile della struttura (o l’Ufficio Procedimenti Disciplinari, nel caso ne sia venuto a conoscenza ancor prima del responsabile della struttura) deve disporre, con provvedimento motivato, entro 48 ore da quando ne sia venuto a conoscenza, la sospensione cautelare senza stipendio (fatto salvo l’assegno alimentare) del dipendente .
Siffatto provvedimento deve essere immediato (comunque entro 48 ore) e non richiede l’obbligo di preventiva audizione dell’interessato.
Riguardo al termine delle 48 ore va precisato che trattasi di un termine ordinatorio e non perentorio, sicchè il suo sforamento non comporta la decadenza dell’azione disciplinare, né l’inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva, però, l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile.
In merito, poi, all’emanazione del provvedimento senza preventiva audizione dell’interessato, va detto che trattasi di un provvedimento urgente e che l’obbligo di motivazione del provvedimento stesso costituisce adeguata previsione di garanzia. Inoltre, la sospensione non può essere equiparata ad una misura disciplinare sanzionatoria, in quanto è finalizzata unicamente ad allontanare il dipendente “imbroglione” che pregiudica l’immagine dell’amministrazione.
In ogni caso il contraddittorio è unicamente differito a un momento successivo, giacchè, come previsto dal comma 3-ter dell’art. 55-quater, del d.lgs. 165/2001, il dipendente è convocato per il contraddittorio con un preavviso di almeno 15 giorni e può farsi assistere da un procuratore, ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato.
Il dipendente convocato può inviare una memoria scritta e, in caso di assoluto impedimento, può chiedere un rinvio massimo di 5 giorni per l’esercizio della sua difesa.
Con il provvedimento di sospensione cautelare, che deve essere emesso dal responsabile della struttura (o U.P.D. a seconda di chi ne sia venuto prima a conoscenza), si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell’addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all’Ufficio Procedimenti Disciplinari (U.P.D.).
Termine ordinatorio di 30 giorni per la conclusione del procedimento accelerato riservato ai “furbetti del cartellino”
L’intero procedimento accelerato deve concludersi entro trenta giorni (termine ordinatorio) dalla ricezione da parte del dipendente della contestazione dell’addebito e la violazione di tale adempimento, fatta salva la responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non comporta la decadenza dell’azione disciplinare, né l’invalidità della sanzione irrogata, semprechè, però, non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il limite massimo perentorio di centoventi giorni.
Questo termine di centoventi giorni, previsto sia nei casi di procedimento ordinario, sia nei casi di procedimento accelerato (per i “furbetti cartellino”), è stato fissato per circoscrivere l’ambito temporale assegnato alla parte datoriale per completare l’intero procedimento e per evitare che il lavoratore resti assoggettato all’iniziativa disciplinare oltre un periodo ritenuto congruo.
Il termine di centoventi giorni si identifica con l’adozione del provvedimento (irrogazione della sanzione o archiviazione) e l’attività successiva della comunicazione del provvedimento stesso al dipendente, anche se essenziale perchè trattasi di atto recettizio, non viene contemplata nel computo dei giorni per la conclusione del procedimento.
In esecuzione a quanto previsto dal comma 4 dell’art. 5-bis d.lgs. 165/2001, gli atti di avvio e conclusione del procedimento disciplinare (ivi compreso il “rimprovero verbale”, nonché l’eventuale provvedimento di “sospensione cautelare del dipendente”) devono essere comunicati in via telematica (mediante il sistema integrato “PERLA”) all’Ispettorato per la funzione pubblica, entro venti giorni dalla loro adozione. Al fine della riservatezza del dipendente, il suo nominativo deve essere sostituito da un codice identificativo che ne rende possibile l’anonimato.
Il comma 9-bis dell’art. 55-bis fa rilevare che sono nulle le disposizioni di regolamento, le clausole contrattuali o le disposizioni interne, comunque qualificate, che prevedano, per l’irrogazioni di sanzioni disciplinari, requisiti formali o procedurali ulteriori rispetto a quelli indicati nello stesso art. 55-bis o che comunque aggravino il procedimento disciplinare.
In tutti i termini riportati nel presente scritto si computano anche i giorni festivi intermedi, così come previsto dall’art. 155 c.p.c. per i termini processuali nel lavoro privato.
Per rendere più agevole una tempestiva ricerca e conoscenza dei termini che regolano le varie fasi di un percorso sanzionatorio si riporta, qui di seguito, un prospetto riepilogativo di immediata lettura.
Termini procedimento disciplinare
SEGNALAZIONE ALL’UFFICIO PROCEDIMENTI DISCIPLINARI |
Il responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente deve segnalare immediatamente, e comunque entro 10 giorni, all’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari (U.P.D.) i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbia avuto conoscenza.
Questo termine decorre dal momento in cui il responsabile della struttura viene a conoscenza di un comportamento da sanzionare e non è un termine perentorio, ma occorre procedere con sollecitudine in quanto i ritardi potrebbero determinare omissioni da parte del responsabile della struttura per mancata “immediata segnalazione”. Quanto detto innanzi è valido per tutte le sanzioni superiori al “Rimprovero verbale”, mentre per quest’ultima sanzione il procedimento disciplinare è di competenza del responsabile della struttura (sia esso dirigente o meno), e, pertanto, si esaurisce all’interno dell’ufficio di appartenenza del dipendente da sanzionare. |
CONTESTAZIONE DI ADDEBITI
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La contestazione dell’addebito deve essere fatta dall’ U. P. D. entro 30 giorni decorrenti dal ricevimento della segnalazione , ovvero da quando lo stesso U.P.D. abbia avuto direttamente piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare.
Questo termine è perentorio e rappresenta il dies a quo dal quale far decorrere l’avvio del procedimento disciplinare. |
AUDIZIONE DEL DIPENDENTE
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Il dipendente incolpato dovrà essere convocato con un preavviso di almeno 20 giorni per l’audizione in contraddittorio a sua difesa.
In caso di grave ed oggettivo impedimento, ferma la possibilità di depositare memorie scritte, il dipendente può richiedere che l’audizione sia differita. L’istanza può essere prodotta una sola volta e, in caso di accoglimento, viene prorogato il termine per la conclusione del procedimento in misura corrispondente ai giorni concessi. |
CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO
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L’intero procedimento disciplinare deve concludersi entro 120 giorni dalla data della contestazione dell’addebito.
Questo termine è perentorio e la mancata osservanza determina la decadenza dell’azione disciplinare. Il termine dei 120 giorni deve essere rapportato alla data in cui viene adottato il provvedimento e, pertanto, ai fini del computo della scadenza, non rilevano le attività successive (notifica al lavoratore, ecc). |
Salve, scrivo in merito ad un quesito inerente al provvedimento disciplinare da parte della P.A. nei confronti di un dipendente.
Si riesce a sapere quanto tempo ha a disposizione la P.A. per prendere provvedimenti?
Possibile che un pubblico dipendente può essere sanzionato anche ad anni di distanza?
Faccio specifico riferimento da quanto scritto da lei:
“Innanzitutto fu detto che la previsione normativa non appare in sintonia con la legge delega (art.17, comma 1, lett.s, legge 7 agosto 2015, n. 124), “giacchè l’eliminazione totale di termini perentori rischia di mettere a repentaglio proprio il perseguimento di tali obiettivi, procrastinando sine die l’avvio e la conclusione del procedimento disciplinare ed esponendo il dipendente al rischio di un esercizio dell’azione disciplinare arbitrario o addirittura ritorsivo, anche a lunga distanza di tempo dai fatti.”
Grazie